I giocattoli di mamma 2

di
genere
sadomaso

Più ci pensavo e più mi convincevo che nostra madre volesse renderci come lei. Forse più che i soldi e le proprietà a me e a Rosa voleva lasciare in eredità il suo sadismo dandoci il pretesto per aprire quel suo terrificante baule e per farci prendere in mano i suoi aberranti strumenti correttivi. Per farlo non si era nemmeno fatta scrupolo di scrivere sul suo testamento accuse infamanti verso Luca per dargli il ruolo del soggetto da rieducare. Che donna meschina!

L'unica cosa che interessava a me ed a mia sorella era provare a salvare la nostra famiglia dal disastro. Non ci importava nulla di imparare ad infliggere dolore nè a sapere dosare colpi perfetti percuotendo carni indifese con lunghe fruste. Ci importava di Luca ed avremmo smesso quando lui ci avrebbe detto basta.

La dottoressa Bovardi voleva che noi stabilissimo la data ed il luogo dove esaudire le richieste del testamento. La data fu scelta in fretta. Mia sorella Rosa propose sabato 12 Maggio ma io dissi che sarebbe stato meglio il giorno seguente, domenica. Così fu. L'unico problema fu dove svolgere la sessione. Non potevamo svolgere quella particolare attività nella casa di nostra madre a Sazzano. Non potevamo farci vedere in paese dai parenti perchè avremmo dovuto dare troppe spiegazioni a loro e poi a mio marito. Scegliere il posto sembrava un problema insormontabile ed il tempo passava. Ad aiutarci a superare lo stallo ci pensò la dottoressa Bovardi, andando ben oltre il suo ruolo professionale, offrendoci una soluzione. Lei aveva una seconda casa a poca distanza da Capo Rizzuto, era una graziosa villetta monofamiliare da cui dal primo piano si poteva intravedere il mar Ionio. Ci propose di passare là non solo la domenica prefissata ma anche il sabato per avere il tempo di esercitarci ed imparare a sferrare colpi in sicurezza. La dottoressa avrebbe pensato addirittura ad ingaggiare la ditta di trasporti per prelevare il baule e la cavallina da casa di nostra madre. Ancora oggi sono convinta che questo gesto della dottoressa Bovardi non fosse dettato da un moto di generosità quanto da un basso e pruriginoso senso di curiosità. L'opportunità di fare da testimone ad una famiglia costretta ad umiliarsi penso che fosse qualcosa a cui non volesse rinunciare.

Comunque sia accettammo l'offerta. Mentii ancora a mio marito Sergio quando gli dissi che per il weekend del 12 e 13 maggio avevo organizzato un soggiorno in spa con Rosa. Luca invece inventò una visita a Reggio Calabria per la notte bianca di sabato per visitare la pinacoteca civica e poi godersi il mare di domenica con alcuni compagni di corso del DAMS. Le ennesime bugie in famiglia, le ennesime macchie sul rapporto con mio marito Sergio.

Quel sabato arrivò in fretta. Quella mattina la dottoressa ci accolse nella sua seconda casa con la gentilezza di una vera padrona di casa, provò a metterci a nostro agio col suo gran sorriso ma nulla potè non appena vedemmo il baule di nostra madre nel mezzo del soggiorno. Ricordo che per un attimo ebbi un lieve giramento di testa appena lo vidi tanto che dovetti sorreggermi a mio figlio per non perdere l'equilibrio mentre mia sorella lo guardò con gli occhi lucidi colmi di raccapriccio.

Non lo aprimmo subito, nè io nè Rosa ne avremmo avuto la forza. Ci sedemmo con la dottoressa Bovardi per un thè poi lei ci mostrò le nostre stanze e solo in tarda mattinata io e mia sorella ci facemmo forza per avvicinarci a quell'orribile cimelio che sembrava arrivato dal nostro doloroso passato per guastare anche il nostro presente. Dopo aver inserito la chiave nella toppa che teneva chiuso il baule lo aprimmo ed appena sollevammo il coperchio un intenso odore misto di cuoio e legno aggredì le nostre narici. All'interno del baule la collezione di strumenti correttivi di nostra madre giaceva accatastata ed in perfette condizioni come se il tempo non fosse passato. Ad ognuno di quei terrificanti strumenti la mia mente fu capace di associare un ricordo. C'era il mestolo di legno che mia madre alternava tra la pentola in cui cuoceva il sugo ed il mio culo per darmi bollenti colpi che avrebbero lasciato il segno per giorni. C'era il bastone in legno di pioppo che da un giorno all'altro non servì più a guidare in altezza la crescita delle piante di pomodoro ma servi a sferzare le rotonde natiche mie e di mia sorella. C'era il rigidissimo righello di scuola di nostra madre a cui lei era affezionata non solo per i ricordi della sua gioventù ma anche perchè, secondo lei, quando impattava sui nostri sederi produceva un suono bellissimo. E poi c'era lo strumento che anche quel giorno fece gelare il sangue sia a me che a Rosa, lo scudisco calabro. Ci bastò un veloce incrocio di sguardi per decidere assieme che nè io nè lei avremmo mai usato quello spavento oggetto di tortura su Luca.

Quel sabato pomeriggio io e Rosa ci esercitammo a modo nostro con la goffaggine di chi non ha mai inflitto punizioni corporali. All'inizio usammo dei cuscini. Sferrammo colpi a mano aperta ma da subito la sensazione fu un po' strana e poco soddisfacente. Dopo un po' capimmo che allenarci così non sarebbe servito a niente e superammo quella fase di stallo solo quando la dottoressa Bovardi ci consegnò l'ultimo tassello dell'orripilante volontà di nostra madre, il suo diario.

Quel maledetto diario! Mi disgustava vederne la copertina da giovane come mi disgustò sfogliarne le pagine quel giorno. La carta era ingiallita ma gli appunti erano ancora leggibili. Ed erano anche categorici su un punto. Secondo mia madre era impossibile imparare a sferrare buoni colpi senza potersi avvalere di un corpo caldo da percuotere. Avremmo dovuto esercitarci su qualcuno. Io e Rosa ci guardammo negli occhi ed, arrossendo, arrivammo alla stessa soluzione.

"Nè tu nè io vogliamo chiedere a Luca di prestarsi ad essere sculacciato anche nella nostra esercitazione, vero?" chiese Rosa.

"Certo che no. Finchè non abbiamo imparato un minimo di tecnica non dobbiamo coinvolgerlo." risposi io.

"Sono d'accordo. Allora... dobbiamo sculacciarci tra noi."

Rosa disse quella frase sottovoce ma nonostante il suo tono fosse reso delicato dal suo imbarazzo quelle parole entrarono nelle mie orecchie come una violenza. Ero contraria. Balbettai.

"Io non voglio... io..."

"Anna! Non abbiamo altra scelta. So che anche tu come me eri convinta che non sarebbe mai più successo di doverci mettere col culo per aria un'altra volta e soffrire ancora ma il nostro passato ci chiede un ultimo sacrificio prima di poterlo davvero lasciare alle nostre spalle."

"Ma..."

"Dobbiamo farlo per Luca." disse Rossa impedendomi di obbiettare. "Dobbiamo imparare come percuotere un sedere in modo abbastanza sicuro per fargli male senza rovinarlo."

Quando mia sorella mi ricordò che lo stessi facendo per mio figlio trovai la forza per accettare l'idea di venire percossa ancora una volta anche se una lacrima mi scese da una guancia. Penso che quel giorno la mia faccia fosse piuttosto esauriente a comunicare il mio disagio perchè Rosa provò a rassicurarmi come meglio poteva. Si avvicinò a me e mi accarezzò una guancia parlandomi con un tono di voce delicato.

"Comincio io. Metto io il culo come bersaglio. Va bene?"

Io annuì.

Mia sorella mostrava decisione e forza d'animo ma era un comportamento di facciata. Anche lei come me era stata psicologicamente segnata dalla dura educazione che nostra madre ci aveva impartito da giovani. Rosa abbassò i pantaloni rimanendo in mutande ma quando mi vide seduta in attesa che si mettesse con l'addome poggiato sulle mie coscie e le natiche verso l'alto si bloccò.

"Rosa... va tutto bene? C'è qualcosa che non va?"

"Non... non mi va di adagiarmi sulle tue gambe come ero obbligata a fare con lei. Mi imbarazza troppo mettermi così."

"Allora appoggiati contro il muro restando in piedi."

"Come quando quella stronza mi faceva assaggiare il battipanni. No. Ho una idea migliore."

Rosa aprì la porta che dava sulla terrazza e si affacciò guardando verso il mare che si intravedeva più in là oltre le altre villette di quella zona residenziale.

"Penso che potrei sopportare di ricevere schiaffi sul culo potendo ammirare il mare. Comincia pure Anna."

"Il diario dice di iniziare accarezzando il sedere prima di iniziare a punirlo. Devo farlo per sentire la consistenza dei tuoi glutei e per..."

"Non devi giustificarti. So perchè devi farlo. Procedi."

Non avevo mai toccato mia sorella in quel modo prima di allora. A volte avevo avuto contatti fisici con lei ma erano tutti classificabili come gesti di affetto ben lontani dal passare una mano sul suo culo seminudo coperto solo dalle sue mutande. Mi sembrava di vivere una scena di quei vecchi film pornosoft degli anni 70, uno di quelli della serie Emmanuelle che facevano arrapare tanto mio marito non appena vedeva Laura Gemser invischiata in rapporti lesbo dall'alta tensione erotica. Ma io non ero un'attrice e non ero sul set di un filmetto per adulti ma bensì nella realtà. Ed il burroso sedere che stavo lisciando era quello di mia sorella. Se devo essere estremamente sincera era proprio il fatto di toccare a quel modo un'altra donna che mi faceva sentire strana. Per colpa di quella stronza di mia madre stavo sperimentando esperienze che non volevo vivere mi urtava terribilmente pensarci.

La mia mano intanto scorreva sulla pelle di Rosa. Iniziavo ad accarezzarle entrambi i glutei. Non glielo dissi ma pensavo che avesse una pelle incredibilmente liscia per una donna della sua età. Aveva poca cellulite e poche smagliature, le sue natiche erano ancora piuttosto rotonde e ben modellate, pensai che avrebbero potuto ancora fare la gioia di tanti uomini. Tenni quel complimento per me perchè mi sembrava qualcosa di fuori luogo da dire. A poco a poco mi accorsi che Il suo sedere era piacevole da toccare e lo stavo accarezzando con preoccupante voluttà. Ci mancavano solo le carezze lesbo con mia sorella in questa disturbante storia familiare!

Le sue chiappe erano facili da coccolare con la mano, sarebbero state altrettanto semplici da colpire con un frustino?

Era arrivato il momento di impugnare per la prima volta uno dei terribili strumenti collettivi che mia madre aveva usato tante volte su di me. Mi guardai bene anche soltanto dal pensare di utilizzare il tremendo scudiscio calabro che intravedevo al fondo del baule. Dopo una breve esitazione scelsi un frustino, Ce ne era uno con la punta arrotondata che pareva più morbido ed innocuo degli altri. Aveva tra l'altro un'abbondante impugnatura che era praticamente un invito ad essere raccolto.

Rosa si fidò di me. Rimase appoggiata al balcone senza neppure voltarsi e controllare quale strumento avessi scelto per iniziare la sua punizione corporale. Non sussultò neppure quando mi avvicinai iniziando a far scorrere il cuoio del frustino sul suo culo e quando con un dito iniziai ad abbassare l'orlo delle sue mutande rimase immobile come una statua. Quando la sua biancheria intima color celeste scese finendo attorno alle sue caviglie era arrivato il momento di sferrare un primo colpo. Fu in quel momento che mi scappò una frase.

"Mi dispiace tanto Rosa. davvero"

"Fai pure. Non preoccuparti." Rispose lei con tono impassibile. Penso stesse cercando di estraniarsi.

Io chiusi gli occhi e feci scendere il primo colpo.

CIAFF

Sentii mia sorella gemere. Pensai di aver colpito delicatamente eppure le feci male. Lei mi ripeteva di non preoccuparmi e di continuare intanto però quel primo colpo aveva già lasciato il primo segno sulle sue larghe natiche ed io sentivo già un bruciante senso di colpa crescere dentro di me. Avrei voluto già smettere ma non potevo. La posta in gioco era troppo alta. Dovevo continuare.

Feci scendere altri colpi mentre i miei occhi iniziavano ad essere lucidi.

CIAFF CIAFF CIAFF

È una sensazione tremenda essere costretti a fare cose che non sia la volontà di compiere. Poco importava che mia sorella sembrava incassare bene quei colpi, che cercasse di trattenere i gemiti per impressionarmi il meno possibile e che mi esortasse a continuare perché le sue natiche erano sempre più rosse ed io ero convinta che soffrisse parecchio nonostante stesse cercando di mascherare il dolore. Io, se possibile, stavo soffrendo ancora di più di lei. Era disgustoso impugnare quel frustino, era come se i perversi giocattoli di mia madre mi facessero male anche quando ad impugnarli ero io. Continuavo a far scendere nuovi colpi che cadevano sul didietro di mia sorella mentre ormai avevo le guance rigate di lacrime. Non mi dava troppo sollievo avere ormai capito come avrei dovuto colpire e come impattare su entrambe le natiche.

Ad un certo punto mia sorella si accorse che io iniziavo a singhiozzare e che per me usare quegli strumenti era troppo gravoso. Si sollevò dalla ringhiera su cui era appoggiata e si avvicinò a me stringendomi in un abbraccio.

"Devi essere forte Anna. So che è dura ma domani questo incubo sarà finito." disse lei col tono di voce più dolce che era capace di usare.

"Ti ho fatto dei segni tremendi sul culo. Ti ho fatto male Rosa, lo so che te ne ho fatto. Non negare solo per farmi stare meglio."

Lei non negò, non disse nulla.

Mi ci volle un'ora per riprendermi, quanto meno per ricompormi ed asciugarmi il viso dalle lacrime. Quando fui io ad appoggiarmi sulla ringhiera del balcone della casa della dottoressa Bovardi vidi mio figlio Luca. Non era dell’umore di farsi un giro per visitare Capo Rizzuto, tutto quello che stava facendo era tirare le calze ad un pallone contro ad un muro che delimitava la proprietà della villetta. Calciava senza impegno, era visibilmente teso. Vederlo così preoccupato mi faceva star male ma al tempo stesso mi dava una nuova volontà di affrontare l'incubo che stavamo vivendo.

"Accarezzami dietro Rosa." dissi.

"Sei sicura di...?"

"Sì." le risposi subito io.

Rosa non perse tempo le sue mani iniziarono a lambire il mio sedere. Erano carezze molto diverse da quelle che mi aveva dato poco prima per consolarmi, Non so bene come spiegarlo. Posso solo dire che mi stava toccando come una sorella non avrebbe mai dovuto permettersi di fare. Ogni tanto con le dita arpionava l'orlo all'altezza dell'ano scoprendomelo in modo apparentemente casuale. Rosa era evidentemente capace di concentrarsi meglio di me. Giocava col mio sedere facendomi arrossire. Tremavo all'idea che Luca potesse vedermi in quella posizione facendo certe cose con mia sorella. Quei pensieri un po’ paranoici svanirono quando mia sorella d'improvviso arpionò con un dito l'orlo superiore delle mie mutande e me le tiro giù con un deciso strattone. Ricordo che mi fece sussultare. Ricordo anche che non mi voltai per controllare cosa stesse facendo perché volevo dimostrarle che anche io mi fidavo di lei. Non guardai alle mie spalle e non volli sapere quale maledetto strumento correttivo stesse raccogliendo dal baule di nostra madre.

Venni a sapere quale fosse l'oggetto da lei scelto solo nel momento in cui lo poggiò sulle mie terga nude provocandomi un brivido. Era calda la plastica del battipanni che aveva scelto ed io sapevo benissimo quanto potesse diventare rovente mano a mano che avrebbe battuto sul mio fondoschiena. Certi ricordi non si cancellano.

"Allora io comincio Anna." mi avvertii Rosa.

Io non dissi nulla, annuii solamente.

CIAFF

Il primo colpo non fece male. Non faceva mai male neppure quando ero ragazza ed iniziai a sapere cosa volesse dire subire quel tipo di percosse. il battipanni di mia madre provocava dolore a poco a poco. Colpo dopo colpo.

CIAFF CIAFF

Sembra una punizione leggera all'inizio, Infatti anche quella volta sentivo un pizzicore simile ad un formicolio. Quella dannata plastica illudeva promettendo di non lasciare segni ma era una bugia. il rossore si palesava sempre dopo, quando la cute elaborava l'impatto ed iniziava a bruciare rendendo i colpi successivi feroci e pesanti da sostenere. Quanto ho odiato quel battipanni! Quanto dolore mi ha provocato! Lo maledissi tanti anni fa come lo maledissi quel giorno.

Avrei tanto voluto gestire il dolore come aveva fatto mia sorella poc'anzi ma non ne fui capace. Dalla bocca mi uscirono gemiti incontrollati che non sapevo trattenere. Lei si impegnava a non infierire sempre negli stessi punti del mio fondoschiena ma evidentemente il mio sedere era già abbondantemente colorato di rosso da non poter evitare di farmi soffrire più del necessario. Intramezzò persino pause più lunghe tra un colpo e l'altro ma fu inutile. Solo quando non ebbe più il coraggio di sollevare in aria il battipanni mi disse che le dispiaceva avermi fatto così male.

Io e mia sorella Rosa pensavamo che quel pomeriggio di umiliazione e sofferenza fosse terminato ma non fu proprio così. La dottoressa Bovardi entrò trovandoci mezze nude e con le mutande abbassate. Si era permessa di andare in farmacia per comprare una pomata lenitiva immaginando ne avessimo avuto bisogno alla fine di quella giornata. Poggiò l'unguento sul comodino vicino al letto senza però trattenersi dal buttare l'occhio sui nostri glutei arrossati. Un sorriso compiaciuto le comparì sul volto. Fu la conferma che fosse una stronza e che si stesse divertendo ad ospitarci per vederci umiliare per colpa delle condizioni testamentarie imposte da nostra madre. Non le importava di aiutarci risolvere i nostri problemi voleva solo divertirsi ed avere un nuovo piccante aneddoto da raccontare alle amiche durante qualche aperitivo fregandosene del segreto professionale.

Quella pomata diede veramente refrigerio alle nostre natiche vistosamente ammaccate. Ne spalmammo parecchia, quasi metà barattolo. Il dolore fisico diminuiva ma le nostre preoccupazioni restavano sempre lì. Sia io che Rosa pensavamo a nostra madre che se avesse potuto vederci utilizzare i suoi orrendi strumenti di correzione si sarebbe messa sicuramente a ridere di gusto. Forse era davvero il suo sogno più segreto, o la sua perversione più profonda poter vedere un giorno ognuna di noi punire l'altra. Vederci poi punire Luca rappresentava sicuramente l'apoteosi delle sue fantasie più malate.

Luca... Il giorno seguente sarebbe toccato a lui subire ed essere punito per mano nostra. A me faceva rabbia pensare che lei lo avesse coinvolto per un capriccio accusandolo gratuitamente e scrivendo male di lui persino sul suo testamento.

Quella notte avevo bisogno di dormire. Presi alcune gocce di sonnifero, non so se Rosa fece altrettanto. Nonostante ciò non riuscì a prendere sonno.

La puzza di quella domenica di merda era troppo forte per sperare di riposare.
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2024-11-17
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