L'Inconsapevole Risveglio 2 – l'inizio del Tormento

di
genere
incesti

Il sole del mattino illuminava la cucina, creando un'atmosfera di calda normalità, Marco, seduto a capotavola, era l'immagine della felicità ritrovata; i suoi occhi brillavano con una luce che mancava da tempo, il suo sorriso era contagioso. Aveva preparato una colazione abbondante per se e per la madre che ancora non si era alzata, dormigliona, pensava lui. . Nel suo piatto uova strapazzate con bacon croccante, toast dorati, succo d'arancia appena spremuto e caffè fumante. Il suo umore era euforico, aveva un gran appetito quella mattina, come se la notte avesse portato via ogni ombra dalla sua mente ma in cambio consumato enorme forza fisica e ora doveva mangiare. Giovanna si avvicinava con esitazione, il suo passo incerto, il corpo teso, gli occhi che tradivano una tensione interiore. Indossava una semplice vestaglia di cotone, cercando di nascondere le curve del suo corpo, ma non poteva nascondere il conflitto che la agitava. Si sedette di fronte a Marco, mantenendo una distanza che non era solo fisica ma anche emotiva. Marco, ignaro della tempesta che si agitava nell'animo di sua madre, iniziava a parlare con entusiasmo. "Mamma, non immagini quanto mi sento bene oggi! Ho dormito come non facevo da mesi, e ho fatto un sogno... era così reale!" Non menzionava il nome di Giulia, perché il sogno era su una sua professoressa, un segreto che non voleva condividere. La sua voce era piena di vita, le sue mani gesticolavano con vigore, le stesse mani che la notte precedente avevano esplorato il corpo di Giovanna con una rudezza che lei non aveva mai conosciuto. Giovanna, sentendo quelle parole, non poté fare a meno di osservare quelle mani, le ricordava su di sé, stringendo i suoi seni con forza, le dita che si infilavano dentro di lei, le mani che la tenevano stretta, quasi schiacciandola contro di lui. Un brivido la percorse, un mix di paura e qualcosa di oscuro, di peccaminoso. "Che bello, caro," rispose Giovanna, cercando di mantenere la voce ferma, ma il suo sguardo si perdeva nei dettagli di Marco. Le sue labbra, che ora sorridevano, erano le stesse che avevano baciato le sue, che avevano accarezzato la sua lingua con una passione che non aveva mai sperimentato con suo marito. Ricordava la sensazione della bocca di Marco sui suoi capezzoli, la lingua che scendeva lungo il suo corpo, quel calore umido tra le sue gambe. Mentre Marco parlava del suo sogno ma senza approfondirlo ne svelare di cosa parlava, lui si concentrava a descrivere della sensazione di liberazione che aveva provato, i ricordi di Giovanna si accendevano come flashback vividi. La voce di suo figlio, che ora raccontava spensieratamente, era la stessa che l'aveva chiamata con un desiderio che la umiliava ma, nello stesso tempo, la eccitava. L'astinenza forzata da suo marito, lontano per lavoro, aveva lasciato un vuoto che, suo malgrado, quella notte aveva colmato Marco.
Giovanna si sentiva scombussolata, il suo corpo che iniziava a riscaldarsi al ricordo; era spaventata, sì, ma anche eccitata dal modo rude, possessivo, sconvolgente con cui Marco l'aveva presa, un'energia che suo marito non aveva mai mostrato, un'esperienza che, per quanto violenta e sbagliata, aveva risvegliato qualcosa di primitivo in lei. Cercava di nascondere questa battaglia interiore, ma la sua mente era altrove. Mentre Marco parlava, lei era persa nei ricordi della notte precedente: il suo corpo che veniva esplorato con una ferocia che la faceva sentire sia vittima che complice. La sua voce, che ora raccontava di sogni, le ricordava le parole sconce, le frasi che l'avevano umiliata come madre ma che, in quel contesto di desiderio represso, l'avevano fatta sentire desiderata come donna.
La colazione continuava, con Marco che serviva il cibo con cura. "Vuoi altro, mamma?" chiese, avvicinandosi con la caffettiera. Giovanna, per un attimo, lasciò che il suo sguardo scivolasse verso il pacco di Marco, un pensiero inappropriato le attraversò la mente, un doppio senso che la scaldò. L'inconscio desideroso del piacere che aveva provato la notte precedente la spinse quasi a rispondere con un “Si..” -sì, dammelo, ancora e ancora-, ma si riprese in tempo. "..cioè no...No, grazie, caro, sono a posto per la colazione," disse, cercando di mantenere un tono naturale, mentre dentro di lei si agitava un tumulto di emozioni contrastanti.
Marco, durante la colazione, continuava a parlare dei suoi piani. "Ho deciso di tornare in palestra e fare nuoto, mamma. Voglio tornare a vivere come facevo prima," disse con un entusiasmo che sollevò un po' l'umore di Giovanna. Sentire che suo figlio voleva riprendere le attività che amava la rassicurava, ma non poteva fare a meno di associare quei momenti con i ricordi della notte passata.
La psiche di Giovanna era un campo di battaglia tra il senso di colpa, la vergogna e un'inaspettata eccitazione che la faceva sentire sporca, ma anche viva. Ogni parola di Marco era un richiamo a quei momenti, le sue risate un'eco delle grida e dei gemiti della notte. Non voleva che Marco si accorgesse del suo turbamento, non voleva che tornasse a essere il ragazzo triste e perso che era stato. Voleva che fosse di nuovo felice, il suo figlio prediletto, anche se questo significava nascondere il tumulto interiore e i ricordi di una notte che avrebbe cambiato per sempre il loro rapporto.
La cucina era moderna ma accogliente, con mobili in legno chiaro e una grande finestra che dava sul giardino, dove la luce del sole faceva brillare le superfici pulite. La tavola, ancora apparecchiata con piatti bianchi decorati con motivi floreali e bicchieri di vetro, testimoniava la colazione appena consumata. Marco finì la colazione con un'energia che sembrava rinnovata. Si alzava per rigovernare, ma Giovanna, vedendo il suo entusiasmo, lo fermò con un gesto della mano. "Lascia stare, Marco, finisco io. Vai pure," disse, la sua voce cercando di nascondere il tumulto interiore. Marco, con un sorriso che illuminava la stanza, si avvicinò a lei, il suo corpo ancora vibrante di energia giovanile. Si chinò per darle un bacio sulla guancia, un gesto innocente che fece sussultare Giovanna. Sentì il calore delle labbra di suo figlio sulla pelle e un'ondata di calore la percorse, portandola istintivamente a stringere le gambe, cercando di contenere le emozioni che si agitavano dentro di lei. Marco, ignaro di tutto, si diresse verso il bagno per farsi la doccia. Giovanna, rimasta sola in cucina, decise che sarebbe rimasta a casa quel giorno. Lascio i piatti e bicchieri nel lavandino e sali le scale, fino a tornare nella propria stanza e prese il telefono, un modello vecchio stile con una base fissa sul comodino, seduta sul bordo del letto e chiamò l'ufficio. "Ciao, sono Giovanna. Non mi sento molto bene oggi, prendo un giorno di malattia," disse, la sua voce tremava leggermente. La sua mente cercava di non pensare a ciò che era successo, ma era una battaglia persa. Sentiva ì il rumore della doccia che si avviava . La casa era una villetta a due piani con interni spaziosi, arredata con gusto, dove ogni stanza raccontava una storia di vita familiare. Le pareti erano adornate con fotografie di famiglia, e i divani del salotto, in tessuto beige, invitavano alla tranquillità, le camere e il bagno con la doccia erano li al secondo piano, lei rimase li seduta con lo sguardo verso quel letto, verso il pavimento dove lui l'aveva presa. Poco dopo, Marco uscì dal bagno, avvolto solo in un asciugamano bianco annodato in vita, la sua pelle ancora umida e il corpo muscoloso leggermente arrossato dall'acqua calda, passo davanti la camera di lei per andare nella propria, era una scena che aveva visto molte volte, ma oggi, dopo la notte passata, le fece fare un tuffo al cuore. La struttura fisica di Marco, il suo torace definito e le spalle larghe, erano dettagli che ora la colpivano in modo diverso. Il cuore di Giovanna batté più forte, finché Marco non la superò, dirigendosi verso la sua camera per vestirsi.
Il suono del telefono la riportò alla realtà. Era suo marito Tommaso, la sua voce chiara e serena attraverso il ricevitore. "Ciao amore, come va? Come sta Marco?" chiese con sincero interesse. "Sta bene, sembra di nuovo lui," rispose Giovanna, la voce che cercava di mantenere il calore affettuoso ma tradendo una leggera tensione. Mentre parlava, si mordeva il labbro inferiore, gli occhi che vagavano senza meta, evitando di incrociare qualsiasi cosa che le ricordasse la notte precedente. "Sono contento di sentirlo. Quel dottore ha fatto miracoli, vero?" Il marito sembrava compiaciuto, attribuendosi il merito di aver trovato la soluzione giusta. "Sì, hai avuto una buona intuizione," rispose Giovanna, ma ogni parola era un'eco di ciò che non poteva dire. Le frasi che non pronunciava pesavano come un macigno. La conversazione si prolungò con il marito che le raccontava del suo lavoro, dei suoi colleghi, della routine lontana. Giovanna ascoltava, ma la sua mente era altrove, il ricordo delle mani di Marco sul suo corpo, della sua voce che la chiamava con desiderio, riempiva ogni pausa del dialogo. "Ti amo," disse infine il marito, con la semplicità di una routine consolidata. "Anch'io," rispose Giovanna, il cuore pesante di segreti e sentimenti contrastanti. Il telefono tornò sulla base con un clic, lasciandola in una casa che sembrava improvvisamente troppo silenziosa.
Scese le scale e rimase per lunghi minuti in piedi in cucina, le mani che ancora stringevano il panno da cucina, la mente in tumulto. Il profumo del caffè e delle uova strapazzate aleggiava ancora nell'aria, ma quello che sentiva era il calore e il dolore di una notte che non avrebbe mai dimenticato, un segreto che avrebbe dovuto custodire per sempre. Marco era uscito, lasciando la casa in un silenzio che sembrava amplificare i suoi pensieri, Giovanna si mise a pulire, sperando di distrarre la mente da quella notte che non riusciva a dimenticare. La stanchezza della notte insonne la colpì come un'onda, e decise di riposarsi solo per un momento sul divano del salotto, un mobile elegante con cuscini in velluto verde che di solito portava conforto.
Chiuse gli occhi, stava lì ferma e immobile, il tempo scorreva e non ne teneva di conto, il corpo pesante per la fatica, e dopo del tempo, sentì il tocco delle mani di qualcuno che le accarezzava il viso. La sensazione era dolce, quasi rassicurante e le mani si mossero verso il suo seno, stringendolo sopra il vestito leggero, il tessuto che si tendeva sotto la pressione delle dita. Un bacio le sfiorò le labbra, e in un momento di stanchezza e confusione, pensò scioccamente che fosse suo marito, le aveva fatto una sorpresa, l'aveva chiamata dal aeroporto e ora l'aveva raggiunta, erano di nuovo insieme e con lui poteva superare tutto, dimenticare, si dono completamente a quel bacio più di quanto volesse. Ma quando aprì gli occhi, si spalancarono dal terrore, la realtà la colpì come un pugno: non era Tommaso, che era ancora lontano da lei, all'estero per lavoro, ma Marco con il suo sguardo ardente di desiderio. "No, Marco, fermati!" esclamò, cercando di respingerlo con gesti frenetici, con le mani i palmi contro il suo torace , ma lui era più forte. Implacabile "Stai zitta, puttana," rispose lui con voce roca, strappandole via il vestito con una forza che non immaginava di avere. Il suo corpo ora nudo, con il seno che si sollevava e abbassava per il respiro affannoso, i capezzoli duri sotto il tessuto strappato, era esposto alla sua vista. "Non puoi resistermi," disse, la sua voce un misto di lussuria e disprezzo. Giovanna cercava di coprirsi, di gridare, ma le sue parole erano soffocate dal panico. "Per favore, Marco, no! Sono tua madre!" implorava, ma lui sembrava non ascoltare, le sue mani esploravano ogni curva, ogni piega del suo corpo come se fosse una proprietà da reclamare. La sua bocca si posò sul suo seno, succhiando e mordendo i capezzoli, lasciando segni rossi della sua passione sulla pelle di Giovanna. "Guarda che fica bagnata hai, mamma, sei proprio una gran troia," disse, mentre le sue dita si insinuavano tra le sue gambe, trovando la sua intimità già umida, un tradimento del suo corpo che la faceva sentire ancora più sporca.”una vacca da monta” Marco la penetrava con rudezza, il suo cazzo enorme e duro che si faceva strada dentro di lei, ogni spinta un atto di possesso, di dominio. "Sei mia, solo mia," ripeteva, ogni parola un insulto, ogni spinta una violazione. La vagina di Giovanna si dilatava per accoglierlo, tradendo il suo desiderio di resistergli, bagnandosi contro la sua volontà.
"Non puoi fare questo, fermati!" gridava , implorava Giovanna, ma le sue parole erano come sussurri contro la forza di Marco. "Chiudi quella bocca, vacca," rispondeva lui, muovendosi dentro di lei con una ferocia che la faceva sentire usata, umiliata, ma anche, in qualche modo oscuro, eccitata. Veniva dentro di lei, riempiendola con il suo sperma, il calore che la faceva sentire marchiata, posseduta. Rideva, osservando il suo corpo abusato, i suoi seni che portavano i segni della sua passione, i suoi fianchi ancora tremanti. "Guarda che corpo umiliato," disse con un ghigno crudele, mentre lei, bagnata e eccitata, cercava di riprendere fiato prima di un nuovo urlo, uno più potente... Giovanna urlava, un grido che rompeva il silenzio del sogno e solo allora si svegliò, ancora vestita, sul divano, il vestito non aveva strappi, il sudore che le imperlava la fronte. Il sogno era finito, ma la sensazione di eccitazione e il battito del cuore accelerato erano reali. Si alzò, sistemando il vestito, cercando di scacciare quel pensiero, quella realtà che sembrava troppo viva per essere solo un sogno. Decise di finire di pulire la casa, ma ogni movimento era pesante, ogni pensiero un ritorno a quella fantasia proibita. La sua mente cercava di riprendere il controllo, di dimenticare, ma il suo corpo, traditore, ricordava ogni tocco, ogni parola, ogni sensazione di quella visione oscura. Mentre Giovanna si dedicava alle faccende domestiche, la sua mente era un campo di battaglia tra razionalità e desiderio oscuro. Ogni movimento, ogni strofinata del panno sui mobili, ogni spruzzo di detergente nel bagno, era accompagnato da un turbine di pensieri che non riusciva a placare. Iniziò rimettendo a posto le camere. Mentre sistemava le lenzuola nel letto di Marco, non poteva fare a meno di ricordare la notte precedente, la sensazione del peso del corpo del figlio sopra il suo, quel senso di violazione e di piacere che la faceva sentire sporca e confusa. "È tutto sbagliato," si ripeteva, la voce bassa, quasi un sussurro, mentre lisciava le pieghe del lenzuolo con mani tremanti. Si spostò in cucina, ripulendo il tavolo dove avevano fatto colazione, ogni briciola rimossa era come un tentativo di cancellare la memoria di quella mattina. Ma mentre lavava i piatti, la sua mente vagava, immaginando di nuovo Marco sopra di sé, il calore del suo corpo, la forza delle sue spinte. Scuoteva la testa, cercando di scacciare quei pensieri, ma erano come ombre che non volevano dissolversi. Gli occhi di Giovanna si inumidirono, una lacrima solitaria che scendeva lungo la guancia mentre continuava a pulire. "Perché non riesco a smettere di pensarci?" si chiedeva, mentre passava lo straccio sul piano della cucina, ogni movimento più aggressivo, come se potesse così eliminare il tumulto interiore. Nel bagno, dove solo poche ore prima Marco si era fatto la doccia, la cosa peggiorava. Il vapore residuo, l'odore del suo bagnoschiuma, ogni dettaglio la riportava indietro. Mentre puliva il lavandino, notava un capello scuro, forse di Marco, e il cuore le batteva più forte. "È tutto sbagliato," ripeteva, più a se stessa che a chiunque altro, mentre puliva il box doccia con una meticolosità che confinava con l'ossessione, come se ogni goccia d'acqua rimasta fosse una testimonianza di ciò che non doveva essere successo. Pensava a come spiegare a se stessa ciò che era accaduto, cercava risposte plausibili. "È stato un errore, un momento di follia," si diceva, ma poi la mente traditrice le mostrava Marco sopra di lei, il suo viso contratto dal piacere, le sue parole offensive che la umiliavano ma che, in qualche modo oscuro, la eccitavano. Ogni volta che cercava di scacciare quei pensieri, essi tornavano con più forza, come un'eco che non voleva smettere di risuonare. Si ritrovava a guardare il proprio riflesso nello specchio appannato dal vapore, gli occhi umidi per le lacrime che non riusciva più a trattenere. "Non dovrei sentirlo, non dovrei volerlo," mormorava, ma il ricordo fisico, il calore che sentiva ancora tra le gambe, la contraddiceva. Ogni parte di lei lottava contro l'altra: la madre contro la donna, la ragione contro il desiderio represso. Mentre finiva di pulire, ogni movimento era un tentativo di ripristinare un ordine, una normalità che sentiva essere andata persa per sempre. "È tutto sbagliato," si ripeteva ancora, una cantilena che non poteva smettere, cercando di riportare la sua vita, e la sua mente, a una parvenza di sanità. Da quella sera, Giovanna cercava di minimizzare il tempo passato nella stessa stanza con Marco. I pasti erano diventati fugaci, quasi una corsa contro il tempo per evitare di stare troppo vicino a lui. Ogni boccone era ingoiato in fretta, senza assaporare davvero il cibo, solo per la fretta di allontanarsi, perché stare accanto a lui le provocava uno strano effetto, una mescolanza di eccitazione e orrore. Non sapeva se volesse prenderlo a schiaffi per ciò che era successo o baciarlo con la passione che si riserva a un amante, baci ardenti, infuocati, che nessuna madre dovrebbe desiderare.

-Per dubbi, domande, suggerimenti e richieste sul racconto, potete scrivermi a: jack_seven@virgilio.it
scritto il
2025-01-02
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