L'Inconsapevole Risveglio
di
Jack Seven
genere
incesti
Marco, un ragazzo di vent'anni, possedeva un fascino naturale che attirava l'attenzione di chiunque lo incontrasse. Aveva un volto che sembrava scolpito dall'arte stessa, la pelle chiara e liscia come il marmo, con guance leggermente rosee che conferivano al suo viso un'aria di giovinezza eterna. I suoi occhi erano di un azzurro profondo, come il cielo di una giornata di primavera, incorniciati da ciglia lunghe e folte che davano al suo sguardo un'intensità magnetica, le labbra piene e ben delineate suggerivano gentilezza e sensibilità. I capelli castani, spesso spettinati , gli cadevano morbidamente sulla fronte, aggiungendo un tocco di nonchalance alla sua bellezza angelica. Il suo corpo era quello di un giovane atleta, snello ma muscoloso, con spalle larghe e vita stretta. La sua altezza, intorno al metro e ottantasei, lo rendeva una figura imponente ma mai minacciosa. Vestiva con un'eleganza casual ma curata: jeans ben tagliati, magliette di cotone che evidenziavano la sua forma fisica, e giacche di pelle o cardigan che davano un tocco di maturità al suo look giovanile. Le scarpe erano sempre di marca, ma scelte per il comfort e lo stile, non per ostentazione.
Mentalmente, Marco era un giovane eccezionale. Era noto per la sua intelligenza acuta, sempre il primo della classe, con una naturale capacità di apprendere e comprendere. Aveva una personalità equilibrata, capace di mantenere la calma e di risolvere conflitti con diplomazia, era il tipo di ragazzo che si faceva rispettare senza alzare la voce, una guida naturale per i suoi coetanei. Tuttavia, dietro questa facciata di perfezione, c'era un lato di lui che pochi conoscevano, un lato che Giulia avrebbe scoperto.
Giulia, la sua professoressa di Francese, era una donna di circa trent'anni di una bellezza straordinaria. Aveva capelli biondi che cadevano in onde morbide e lucenti fino a metà schiena, con riflessi dorati che brillavano sotto la luce del sole. I suoi occhi erano di un verde smeraldo così vivace da sembrare quasi irreali, capaci di penetrare l'anima di chiunque li guardasse. Le sue labbra, piene e di un rosso naturale che ricordava le rose appena colte, erano spesso curvate in un sorriso enigmatico o in un'espressione pensierosa. Il suo viso era un ovale perfetto, con zigomi alti che davano al suo volto un'aria aristocratica. Il corpo di Giulia era un'opera d'arte, con curve che suggerivano una sensualità senza fine. Aveva seni pieni che riempivano con grazia qualsiasi abito indossasse, una vita sottile che poi si allargava in fianchi generosi, e gambe lunghe e ben definite, sempre elegantemente avvolte in calze o gonne che ne esaltavano la forma. La sua altezza, leggermente superiore alla media, le conferiva un'aria di autorità naturale. Vestiva con una combinazione di raffinatezza e seduzione: abiti che sottolineavano la sua figura senza mai essere volgari, tacchi che le davano un'andatura sicura e magnetica, e una scelta di colori che spaziava dal nero misterioso al rosso passionale. Giulia possedeva un'anima complessa. Era una donna intelligente, dotata di una cultura vasta e di un fascino che trascendeva la semplice bellezza fisica. La sua personalità era un mix di dolcezza e determinazione, con una propensione per la sottomissione che contrastava con il suo ruolo pubblico di insegnante autorevole. Fu questa dualità a attrarre Marco, che durante una vacanza scolastica, in un momento di intimità inebriante, scoprì il suo lato dominante, risvegliato dalla sottomissione di Giulia. La loro relazione, segreta e intensa durò anche oltre quella vacanza, rivelò aspetti di entrambi che nessuno dei due aveva mai esplorato, creando un legame profondo e turbolento, purtroppo per Marco un rapporto che durò solo due anni, fin quando Giulia si invaghì di un uomo della sua età straniero e lascio il paese per lui.
Erano passati mesi dall'abbandono, da quando Giulia se n'era andata, Marco era diventato un'ombra del ragazzo che tutti conoscevano. La sua irascibilità era palpabile, come un temporale che si annuncia con tuoni lontani ma sempre più vicini. Il giovane, un tempo calmo e risoluto, ora cambiava umore con la rapidità di una giornata autunnale, passando dalla serenità alla tempesta senza preavviso. Le sue emozioni erano un mare agitato, dove le onde della frustrazione e della tristezza si infrangevano incessantemente contro la spiaggia della sua mente.
Marco era diventato l'ombra di se stesso, un giovane che sembrava aver perso la sua lucentezza interiore. L'appetito, un tempo vorace per la vita e per il cibo, era svanito; i pasti erano diventati un rituale meccanico, dove ogni boccone sembrava pesare come un macigno. Il sonno, un tempo un rifugio, era ora un nemico, con notti trascorse a girarsi e rigirarsi nel letto, la mente che vorticava senza posa intorno a pensieri ossessivi di Giulia, del loro segreto e della vita che ora sembrava un deserto emotivo. A scuola, la concentrazione era un lontano ricordo. Marco, il primo della classe, ora vagava con la mente, i suoi occhi fissi su un punto invisibile all'orizzonte, mentre le lezioni scorrevano come un fiume lontano. I suoi voti, che un tempo erano un motivo di orgoglio per lui e per i suoi genitori, iniziarono a scendere in modo preoccupante. I professori, che avevano sempre elogiato il suo impegno e la sua intelligenza, ora scuotevano la testa con disappunto davanti ai suoi compiti incompleti o ai test falliti. All'inizio, Tommaso, con la sua mentalità pratica da giornalista, aveva liquidato la situazione come un periodo passeggero, un'ondata di tempesta adolescenziale che sarebbe passata. "Tutti attraversano momenti difficili," diceva , mentre preparava le valigie per il suo prossimo viaggio. Ma il tempo passava, e la tempesta non accennava a placarsi. Nessuno, neanche i suoi genitori, conosceva la vera causa del suo turbamento, la relazione segreta e finita con Giulia. Marco teneva tutto dentro di sé, un forziere chiuso a chiave con segreti che non poteva condividere, insieme alla borsa sotto il suo letto, dove teneva tutti i giochi sessuali e di dominazione che usava con Giulia, che aveva comprato con e per lei, adesso era sotto il letto e poi gettata nel ripostiglio a fare polvere. Non aveva confidenti, nessuno a cui rivelare la sua sofferenza. Sentiva un peso opprimente nel petto, un senso di isolamento che lo avvolgeva come una nebbia fitta.
La sua irrequietezza si manifestava in modi sempre più evidenti, un giorno, in classe, durante una discussione accesa su un argomento di cui Marco non riusciva a concentrarsi, la tensione esplose. Un compagno di classe, irritato dalla distrazione di Marco, fece un commento sarcastico che accese una miccia già incandescente, Marco, in un impeto di rabbia che non riusciva a controllare, si scagliò contro il compagno, trasformando una disputa verbale in una rissa fisica e gli spacco il naso con un pugno. La situazione degenerò rapidamente, con libri e penne che cadevano a terra, mentre i compagni si affrettavano a separarli, il tumulto attirò l'attenzione del professore, che chiamò immediatamente la sicurezza. Marco fu portato davanti al preside dell'università, un uomo severo con occhiali spessi e un'espressione di perenne disapprovazione. L'incontro fu breve e diretto; il preside, dopo aver ascoltato entrambe le versioni, decise di sospendere Marco per una settimana, non solo per la violenza, ma anche per il comportamento che aveva mostrato negli ultimi tempi.
Questa sospensione fu un colpo duro per la sua famiglia, la sua irrequietezza non si placava, ogni giorno era una lotta contro i propri demoni interiori, una lotta che si combatteva in silenzio, senza testimoni, con solo il suono del suo cuore spezzato che riecheggiava nell'isolamento della sua stanza, non usciva più di casa, la piscina, palestra, le uscite con gli amici erano un lontano ricordo.
I suoi genitori, Giovanna e Tommaso, si accorsero subito del cambiamento. Giovanna, con il suo ruolo di Direttrice marketing in una casa di moda, era abituata a gestire crisi e a leggere le persone, ma vedere suo figlio in questo stato la lasciava senza parole. La donna, sempre composta e riservata, con i suoi capelli castani e occhi verdi che riflettevano una mente analitica, si trovava ora a dover affrontare una situazione che non aveva mai previsto. Parlava con Marco con una voce che tentava di essere rassicurante, ma il suo tono tradiva preoccupazione. "Marco, parlami, cosa ti turba?" chiedeva, cercando di penetrare il muro di silenzio che il figlio aveva eretto intorno a sé.
Tommaso, padre e giornalista internazionale, era spesso lontano, ma anche quando era presente, la sua mente era sempre altrove, sulle storie che avrebbe raccontato al mondo. Alto, calvo ma con una barba sempre ben curata e occhi che avevano visto troppi orrori per non essere segnati, cercava di consolare suo figlio con le poche parole che il suo lavoro gli aveva lasciato. "Figliolo, so che è difficile, ma siamo qui per te," diceva con una voce che cercava di essere calda, nonostante il freddo della distanza fisica.
La situazione era particolarmente pesante sulle spalle di Giovanna. Con Tommaso in partenza per un nuovo servizio d'inchiesta all'estero, la gestione di Marco ricadeva interamente su di lei. La casa, una volta luogo di armonia, ora sembrava troppo grande, troppo silenziosa, con l'eco dei conflitti interiori di Marco che riecheggiava in ogni stanza. Prima di partire, Tommaso, con il suo tipico pragmatismo, decise di lasciare un piccolo segno di speranza. Scrisse su un pezzo di carta il nome e il numero di un psicoterapeuta che lo aveva aiutato quando aveva cercato di smettere di fumare. "Questo uomo ha cambiato la mia vita," disse a Giovanna, porgendole il biglietto con un'espressione che mescolava speranza e rassegnazione. "Forse può aiutare anche Marco." Giovanna, che non aveva mai creduto molto nella psicoterapia, fissò il biglietto tra le dita, sentendo il peso delle responsabilità e l'ansia per il futuro di suo figlio. La sua mente, abituata a strategie di marketing, ora cercava una strategia per aiutare suo figlio, sperando che questo terapeuta potesse essere la chiave per riportare la serenità nella vita di Marco, per ricostruire il ragazzo che tutti amavano e che sembrava perduto nelle ombre della sua depressione.
Marco, con il cuore pesante e la mente turbata, inizialmente rifiutò l'idea di andare dallo psicologo, che lui chiamava con disprezzo "strizzacervelli". Tuttavia, sotto la pressione della madre, si trovò a varcare la soglia dello studio del dottor Lorenzo Bianchi, un uomo di circa cinquant'anni dai modi gentili ma fermi. Lo studio del dottor Bianchi era un rifugio di pace, situato in un edificio antico nel centro della città, con le pareti tappezzate di libri che raccontavano storie di menti e cuori umani. La stanza era illuminata da una luce soffusa che proveniva da lampade di vetro verde, creando un'atmosfera calda e rassicurante. Un grande divano di pelle marrone, con cuscini invitanti, era posizionato di fronte alla poltrona del dottore, tra i due un tavolo basso con una scatola di fazzoletti e un registratore. Le finestre erano coperte da tende pesanti che filtravano la luce del giorno, mantenendo la privacy e la serenità del luogo. Il dottor Bianchi, con i suoi capelli grigi ben pettinati all'indietro, indossava sempre un cardigan sopra una camicia bianca e aveva un paio di occhiali dalla montatura sottile che accentuavano i suoi occhi penetranti ma empatici. La sua voce era calma, con un tono che invitava alla confidenza. Durante le prime sedute, Marco si chiudeva in un silenzio quasi assoluto. "Marco, capisco che possa essere difficile parlare di ciò che ti turba," iniziava il dottore, con un tono che cercava di essere comprensivo. "Ma ricorda, questo è un posto sicuro. Qui, non ci sono giudizi, solo ascolto." Marco rispondeva con monosillabi o frasi brevi, ogni parola strappata come un dente dolorante. "Non c'è niente da dire," mormorava, cercando di mantenere il controllo sulla sua verità. Il dottore, con pazienza, cercava di scavare più a fondo, ma Marco era abile nel deviare le domande. "Hai detto che c'è stata una rottura. Vuoi parlarne?" chiedeva il dottor Bianchi, sperando di aprire una breccia. Finalmente, Marco iniziò a parlare, ma solo di mezze verità. Raccontò di un amore romantico con una compagna di classe che era finito male, omettendo completamente la relazione con Giulia e i dettagli più intimi e oscuri. "Non ha funzionato, tutto qui," diceva, evitando accuratamente di rivelare la vera natura della sua relazione. Il dottor Bianchi ascoltava attentamente, cercando di leggere tra le righe. "Capisco che sia stata una perdita dolorosa, Marco. Ma spesso, il modo in cui parliamo di queste esperienze ci aiuta a elaborarle. Sei sicuro che questa sia tutta la storia?" Marco, timoroso che la verità potesse arrivare ai suoi genitori, rispondeva con un "Sì" deciso ma poco convincente. Dopo diverse sedute senza progressi significativi, il dottor Bianchi decise di cambiare approccio. "Marco, ho notato che parlare di questa situazione ti risulta molto difficile. Forse, potremmo provare con l'ipnosi, come ho fatto con tuo padre per aiutarlo a smettere di fumare. Potrebbe essere un modo per raggiungere ciò che non riesci a esprimere a parole." Il giovane, inizialmente riluttante, acconsentì, spinto dalla disperazione di trovare sollievo. Lo psicologo preparò la stanza, abbassando ulteriormente le luci e chiedendo a Marco di sedersi comodamente.
Lo studio del dottor Bianchi era avvolto in un silenzio quasi sacro, un tempio del pensiero e della riflessione. Le luci erano state abbassate, lasciando solo un bagliore soffuso che accarezzava i volumi rilegati sugli scaffali. La musica in sottofondo, una melodia leggera di pianoforte, sembrava sussurrare parole di conforto. Il dottor Bianchi, con la sua voce che sembrava distillata attraverso anni di esperienza, iniziò con calma l'induzione ipnotica. "Marco, chiudi gli occhi e rilassati. Senti come ogni respiro ti porta più in profondità nella tua mente, un luogo dove il tempo non esiste, dove sei al sicuro." La sua voce era un faro in una notte senza luna, guidando Marco in un mondo interiore dove le difese si abbassavano. Marco, sotto l'influsso dell'ipnosi, respirava profondamente, il suo corpo si rilassava visibilmente, le tensioni si scioglievano come neve al sole. "Sei in un luogo tranquillo, Marco," proseguì il dottore, "un luogo dove puoi esplorare i tuoi sentimenti senza timore. Ora, pensa a quel momento bello che hai vissuto, a lei... alla donna che ti ha fatto sentire vivo. "In trance, la voce di Marco era un sussurro, quasi un'eco di se stesso. "È stato bello... ma ora è sparito." Pensava a Giulia,le sue labbra lasciarono sfuggire un sospiro al ricordo. Il dottor Bianchi, guidato dalle mezze verità che Marco aveva condiviso, cercò di costruire un ponte verso la guarigione. "Le cose belle, Marco, non si possono cancellare dalla propria mente, proprio come quelle brutte. Ma puoi trovare quella bellezza di nuovo, in qualcuno che ti ricordi lei. Quando ti senti giù, triste e ti sembra di essere perso, cerca la somiglianza di quella donna in un'altra. Sfogati su di lei, ritrova il sorriso, la spensieratezza di quei giorni. Questo nuovo legame può alleggerire il peso del ricordo passato, sostituendolo con qualcosa di nuovo, di vitale. Sii paziente, abbi fiducia. Andrà tutto bene." Le parole del dottore si insinuavano nella mente di Marco come semi piantati in un terreno fertile, crescendo con ogni respiro. "Ritroverai te stesso, Marco. Lasciati guidare dalla memoria di ciò che è stato bello, ma permetti al nuovo di entrare nella tua vita. Quando ti sveglierai, avrai un nuovo senso di direzione, di speranza." Con queste parole, il dottor Bianchi iniziò il processo di risveglio, la sua voce come un faro che riportava Marco alla realtà. "Ad ogni respiro, ti senti sempre più sveglio, sempre più presente. E quando sarai completamente sveglio, ti sentirai rinnovato, con un nuovo scopo. Ora, quando sarai pronto, apri gli occhi." Marco sbatté le palpebre, tornando lentamente alla realtà, con una sensazione mista di confusione e speranza. Il dottor Bianchi osservava con attenzione, sperando di aver guidato Marco sulla strada della guarigione, anche se basata su una comprensione incompleta dei veri eventi che avevano turbato il giovane. "Ti senti meglio, Marco?" chiese il dottore, con un tono che cercava di essere sia professionale che empatico. "Sì, credo di sì," rispose Marco, ancora un po' disorientato, ma con un barlume di speranza che non sentiva da tempo. Il dottor Bianchi annuì, soddisfatto del suo lavoro, pur non conoscendo l'intera verità che si celava dietro il dolore di Marco.
Nei giorni successivi alla seduta di ipnosi, Marco sembrava aver ritrovato una parvenza di serenità, il suo umore era migliorato, anche se l'insonnia continuava a stringerlo nella sua morsa notturna. Giovanna, sua madre, guardava suo figlio con un cauto sollievo, sperando che la tempesta emotiva stesse finalmente passando. Ma l'influenza dell'ipnosi si rivelò più profonda e insidiosa di quanto chiunque potesse prevedere. Una notte, intorno alle due, l'insonnia era di nuovo la sua compagna indesiderata, Marco si alzò dal letto, il caldo dell'estate lo faceva sentire soffocato. Indossava solo dei boxer neri, la pelle esposta all'aria calda della notte. Si diresse in cucina, la luce del frigorifero illuminava il suo viso stanco mentre prendeva del latte fresco, cercando un conforto che non arrivava dal sonno. Tornando verso la sua stanza, il corridoio era avvolto nel buio, con solo il debole chiarore di un lampione esterno che filtrava attraverso una finestra a dare forma alle ombre. Fu allora che una voce lo fece sobbalzare. "Marco, tutto bene?" chiese sua madre, Giovanna, la voce assonnata ma carica di preoccupazione. Giovanna era lì, nel corridoio, svegliata dai rumori del figlio e dalla solitudine del letto matrimoniale, ormai troppo grande senza il marito, assente da mesi in terra straniera. Indossava una camicia da notte leggera, un indumento di seta color avorio che aderiva al suo corpo con una sensualità inconsapevole. La camicia, con una scollatura a V che rivelava un décolleté generoso, era bordata da un pizzo delicato che aggiungeva un tocco di eleganza e seduzione. Le spalline sottili e regolabili sostenevano il tessuto che cadeva con grazia lungo il suo corpo, delineando la curva del seno, la vita stretta e i fianchi ampi, simili a quelli di una Venere rinascimentale. Era scalza, i piedi ben curati che poggiavano delicatamente sul pavimento, le dita leggermente arcuate. In quel momento, sotto il gioco di luci e ombre, Marco non vide sua madre. Vide Giulia, la sua Giulia, con i suoi capelli biondi che sembravano riflessi d'oro anche nella penombra, gli occhi verdi che brillavano di un magnetismo che aveva sempre temuto e desiderato. La camicia da notte di Giovanna, con la sua morbidezza e la sua elegante semplicità, evocava l'immagine di Giulia, la stessa che aveva posseduto nei suoi sogni e ricordi. Il profumo di donna che emanava da sua madre, un mix di lavanda e qualcosa di indefinibile ma familiare, era come il fantasma del profumo di Giulia, riempiendo l'aria di un'illusione sensoriale. L'ipnosi aveva operato in modo subdolo, e in quel momento di confusione e desiderio represso, la mente di Marco gli giocò un terribile scherzo. Non era più il figlio preoccupato che cercava conforto, ma un giovane che vedeva la donna che aveva amato e perduto, tornata a lui nel corridoio buio della sua casa, vestita di seta e pizzo, un'eco della passione e del dominio che aveva conosciuto con Giulia.
"Sei così sexy, Giulia," disse Marco, la sua voce carica di lussuria mentre si avvicinava a Giovanna , ancora li ferma sulla soglia della camera da letto, i suoi occhi fissi su di lei come se fosse la sua professoressa che gli aveva rubato l'anima. Giovanna, incerta e dubbiosa, con la voce assonnata la prendo' quasi come uno scherzo del figlio. "No, Marco, sono tua madre, svegliati!" ma tutto cambio con il proseguo delle sue parole , Marco, immerso in un mondo di fantasia dove Giovanna era Giulia, non la sentiva, il suo desiderio annebbiava ogni cosa. "Ho bisogno di scoparti, ora,mi sei mancata tanto mia dolce troia" continuò Marco, la sua voce roca e imperiosa, trattandola con la stessa rudezza e desiderio che aveva riservato alla sua amante. Con una forza che Giovanna non si aspettava, strappò via la camicia da notte leggera, rivelando il corpo di sua madre. Il seno di Giovanna, una quarta soda e piena, si sollevava e abbassava rapidamente per il respiro agitato, i capezzoli si irrigidivano al tocco di Marco, tradendo il suo corpo nonostante la mente gridasse di fermarsi. "Cazzo, queste tette mi fanno impazzire," disse Marco, il suo tono osceno e avido. Afferrò un seno con una mano, strizzandolo con forza, mentre con l'altra mano pizzicava il capezzolo, facendolo diventare duro come un sassolino. Giovanna sentiva un brivido involontario attraversarle il corpo, un misto di umiliazione e tradimento fisico che non voleva riconoscere e che da mesi l'assenza del marito mancava. Marco si chinò, la sua bocca avida catturò uno dei capezzoli di Giovanna, succhiandolo con una passione che la fece sussultare. "Sì, vacca, mi ricordo bene quanto mi piaceva succhiarteli" mormorò contro la sua pelle, la lingua che girava intorno al capezzolo, mentre la sua mano scendeva verso il basso, esplorando il corpo di Giovanna con una familiarità che la faceva sentire sporca e violata.
"Fermati, ti prego, sono tua madre, non Giulia! Non conosco questa Giulia" gridava Giovanna, ma la sua voce si perdeva nel calore della stanza, nel desiderio cieco di Marco. Lui non la ascoltava, preso da un bisogno carnale che lo guidava. La sua mano trovò il punto tra le gambe di Giovanna, le dita che esploravano la sua intimità con una crudeltà che la faceva sentire come una semplice cosa da usare. "Guarda come sei bagnata, cazzo, anche se dici di no" disse Marco con un ghigno, mentre le sue dita si muovevano dentro di lei, sentendo l'umidità che il corpo di Giovanna non poteva negare. Ogni tocco era un'umiliazione, ogni parola un'offesa alla sua dignità di madre. Marco continuò a succhiare e baciare i seni di Giovanna, lasciando segni rossi della sua passione sulla sua pelle, mentre lei si sentiva sempre più sottomessa al suo corpo che tradiva la sua volontà. "Ti scoperò ancora e ancora, ti farò sentire quanto ti voglio," promise Marco, il suo cazzo duro e pronto, premendo contro il corpo di Giovanna, che cercava disperatamente di chiudere le gambe, di resistere, ma l'ipnosi e la forza di Marco erano insormontabili. Ogni gesto di Marco era un atto di possesso, ogni parola un'ulteriore umiliazione per Giovanna, che sentiva la sua identità di madre dissolversi sotto il peso della lussuria di suo figlio.
La spinse sul letto con una forza che Giovanna non si aspettava, il corpo di Marco dominante su di lei. Il suo cazzo, duro come il marmo per l'eccitazione, sporgeva fiero, le vene pulsanti visibili sotto la pelle tesa. "Succhiami il cazzo, Giulia, come sai fare tu," ordinò con una voce che non lasciava spazio a rifiuti. Giovanna, con un orrore che le attanagliava il cuore, si trovò a inginocchiarsi davanti a suo figlio, la sua bocca forzata ad aprirsi per accogliere la sua erezione. Sentiva la durezza e il calore del membro di Marco tra le labbra, la punta liscia che scivolava sulla sua lingua. "Sì, così, cazzo, sei la migliore," gemeva Marco, la sua mano afferrando i capelli di Giovanna per guidare il ritmo, spingendo il suo cazzo sempre più a fondo. Ogni movimento era un'umiliazione per Giovanna che cercava di distogliere lo sguardo, ma Marco la costringeva a guardarlo negli occhi mentre la usava. Il suo sapore, il suo odore, tutto le ricordava che era suo figlio e quel pensiero la faceva sentire sporca, violata. Venne nella sua bocca con un gemito di piacere, il suo sperma caldo e amaro riempiendole la bocca, costringendola a inghiottire per non soffocare. Non contento di quel primo atto, Marco la fece stendere con brutalità, posizionandosi tra le sue gambe, le sue mani forzando le cosce di Giovanna ad aprirsi, rivelando la sua intimità. "La tua fica è sempre così bagnata per me," disse, la sua voce un misto di lussuria e trionfo. La sua lingua iniziò a esplorare ogni piega della fica di Giovanna, leccandola con una passione che lei non voleva riconoscere, ogni tocco un tradimento del suo corpo. La lingua di Marco si muoveva con esperienza, trovando il clitoride di Giovanna, stimolandolo con movimenti circolari, mentre le sue dita si insinuavano dentro di lei, sentendo la sua umidità crescere. "Cazzo, mi piace il tuo sapore," mormorava, assaporando i suoi umori, il suo viso premuto contro di lei, la guancia che sfiorava la pelle sensibile delle sue cosce . Giovanna sentiva il suo corpo reagire contro la sua volontà, il piacere che si accumulava in lei, l'orgasmo che si avvicinava nonostante il suo cuore urlasse di no. "No, no, per favore, fermati," implorava, ma il suo corpo tradiva le sue parole, i suoi fianchi che si muovevano in automatico verso la bocca di Marco. Il culmine arrivò, devastante, con Giovanna che veniva suo malgrado, il suo corpo scosso da spasmi di piacere che la facevano sentire ancora più umiliata, la sua mente piena di vergogna e disgusto per aver provato piacere con suo figlio. "Non volevo questo," sussurrò tra le lacrime, mentre Marco, con un sorriso compiaciuto, continuava a leccare, assaporando ogni goccia del suo piacere come se fosse un trofeo della sua vittoria su di lei. Poi, con una passione che strappava lacrime di vergogna a Giovanna, la penetrò, il suo cazzo scivolò dentro la fica di sua madre con una facilità che la fece sentire ancora più sporca. "Scoparti è il paradiso, Giulia," disse, la sua voce roca per il desiderio, ogni parola un pugno nello stomaco di Giovanna. Muoveva i fianchi con forza, le sue mani afferrando i fianchi di Giovanna con tale violenza che lasciavano segni sulla sua pelle. Ogni spinta era un'aggressione al suo corpo, profonda e intensa, che la faceva sentire come se il suo essere venisse violato da dentro. Sentiva il calore del cazzo di Marco, le sue vene pulsanti che sfregavano contro le pareti della sua vagina, e non poté fare a meno di sentire il momento in cui venne dentro di lei, riempiendola di sperma, il calore del suo orgasmo che la marchiava come proprietà di suo figlio. Era finita, pensava... Ma non era finita. Con un movimento deciso, Marco la girò a pecora, mettendola su tutte e quattro, il suo culo alto e invitante, le natiche ben delineate che si tendevano sotto il suo sguardo. "Adoro il tuo culo," disse, la sua voce carica di lussuria, mentre con una mano accarezzava la curva delle sue natiche per poi finire in una sonora sculacciata. Giovanna, rendendosi conto di ciò che stava per accadere, urlò con tutto il suo essere, "No, Marco, fermati, sono tua madre!" Le sue parole erano cariche di disperazione, ma Marco, immerso nella sua fantasia, non ascoltava, la sua forza superava ogni tentativo di resistenza di Giovanna. "Voglio scoparti il culo, Giulia," dichiarò, come se fosse un diritto che si prendeva, ignorando le sue grida di protesta.
Giovanna era vergine dietro fino ad allora si era negata pure al marito, la penetrazione fu un'esperienza di dolore puro e crudo. "Per favore, no, fa male, fermati!" gridava, le lacrime scorrevano copiose sul suo volto, mentre cercava invano di allontanarsi, di sfuggire a ciò che stava accadendo. Marco, con una brutalità che Giovanna non avrebbe mai immaginato da suo figlio, la penetrò sodomizzandola, il suo cazzo che forzava l'ingresso stretto dell'orifizio, causando un dolore lancinante. "Cazzo, sei così stretta di come ti ricordavo" gemeva Marco, la sua voce un misto di piacere e trionfo, mentre si muoveva dentro di lei con una velocità e una forza che solo il desiderio represso poteva spiegare. Ogni spinta era un'onda di dolore che attraversava il corpo di Giovanna, il suo ano che si dilatava dolorosamente per accogliere l'intrusione. La sodomizzò a lungo, ogni movimento un tormento che la faceva gridare e piangere, il suo corpo che tremava per il dolore e l'umiliazione. Cercava di allontanarsi, ma Marco la teneva ferma, le sue mani forti che la bloccavano, spingendo più a fondo con ogni affondo, ignorando completamente il suo dolore.
Giovanna sentiva ogni centimetro di lui dentro di lei, l'intrusione di Marco, suo figlio, che la penetrava analmente era un'esperienza di dolore e umiliazione che mai avrebbe immaginato. Ogni spinta di Marco era come un colpo al cuore, il suo cazzo che si muoveva dentro di lei con una brutalità che la faceva sentire violata nel modo più intimo possibile. Con un grido di piacere che contrastava con i singhiozzi disperati di Giovanna, Marco finalmente raggiunse l'orgasmo, il suo sperma caldo e denso riempiendo il suo intestino, un'umiliazione finale che si sarebbe impressa nella sua mente per sempre. Marco, come un automa, si sollevò lentamente da sopra di lei, la sua mente ancora persa nella trance ipnotica. Si rivestì con movimenti meccanici, tornando nella sua camera senza una parola, cadendo in un sonno profondo e senza sogni. Il giorno dopo, si svegliò sentendosi stranamente di buon umore, come se una pesantezza fosse stata sollevata dalle sue spalle. Si fece una doccia, l'acqua calda che scorreva sul suo corpo, portando via i residui del sonno e lasciandolo con una sensazione di freschezza. Ricordava solo di aver fatto un sogno erotico su Giulia, dove aveva sfogato le sue frustrazioni sessuali come faceva un tempo con lei nella realtà. Giovanna, traumatizzata, non riusciva a dormire quella notte. Sentiva il bisogno impellente di lavarsi, di ripulirsi da quella vergogna. Si fece una doccia, l'acqua calda che scendeva su di lei, mescolandosi con le sue lacrime. Sentiva il sperma di Marco ancora dentro di sé, una sensazione di sporcizia che non riusciva a scacciare. Si pulì accuratamente, le sue dita che esploravano ogni piega della sua fichetta, cercando di eliminare ogni traccia di lui, ma mentre lo faceva, si accorse che il suo corpo reagiva, si bagnava al ricordo dell'atto, un tradimento che la fece sentire ancora più sporca. La vestaglia strappata, testimonianza del suo tormento, fu gettata via come un oggetto contaminato; non voleva lasciare tracce di quella notte infernale.
Nel silenzio della notte, i suoi pensieri erano un tumulto di orrore e confusione, chiedendosi se suo figlio fosse malato, pazzo. Non sapeva cosa fare, come affrontare ciò che era successo. Cercava di scacciare dalla mente l'immagine di Marco sopra di lei, la sensazione del suo cazzo che la penetrava, ma ogni ricordo la riportava a quell'umiliazione.
La mattina dopo, Giovanna fece una doccia, stavolta con l'intento di lavare via non solo il sudiciume fisico ma anche il senso di colpa e il dolore. Si lavò con un'attenzione maniacale, ogni centimetro del suo corpo, cercando di dimenticare, di tornare a essere solo una madre. Ma come avrebbe potuto guardare ancora negli occhi suo figlio? Quella domanda la perseguitava mentre cercava un nuovo vestito, qualcosa di semplice, che non le ricordasse la notte precedente.
Marco a colazione, il sole del mattino illuminava la cucina, dandogli un senso di normalità. Preparava una colazione ricca, sentendo i passi di sua madre che si avvicinavano. Con un sorriso, disse, "Oggi è una splendida giornata, ti unisci a me mamma?" La sua voce era allegra, ignaro del tormento che aveva inflitto, mentre Giovanna, con il cuore pesante, cercava di raccogliere il coraggio per affrontare un nuovo giorno, sapendo che nulla sarebbe stato mai più lo stesso tra loro.
Mentalmente, Marco era un giovane eccezionale. Era noto per la sua intelligenza acuta, sempre il primo della classe, con una naturale capacità di apprendere e comprendere. Aveva una personalità equilibrata, capace di mantenere la calma e di risolvere conflitti con diplomazia, era il tipo di ragazzo che si faceva rispettare senza alzare la voce, una guida naturale per i suoi coetanei. Tuttavia, dietro questa facciata di perfezione, c'era un lato di lui che pochi conoscevano, un lato che Giulia avrebbe scoperto.
Giulia, la sua professoressa di Francese, era una donna di circa trent'anni di una bellezza straordinaria. Aveva capelli biondi che cadevano in onde morbide e lucenti fino a metà schiena, con riflessi dorati che brillavano sotto la luce del sole. I suoi occhi erano di un verde smeraldo così vivace da sembrare quasi irreali, capaci di penetrare l'anima di chiunque li guardasse. Le sue labbra, piene e di un rosso naturale che ricordava le rose appena colte, erano spesso curvate in un sorriso enigmatico o in un'espressione pensierosa. Il suo viso era un ovale perfetto, con zigomi alti che davano al suo volto un'aria aristocratica. Il corpo di Giulia era un'opera d'arte, con curve che suggerivano una sensualità senza fine. Aveva seni pieni che riempivano con grazia qualsiasi abito indossasse, una vita sottile che poi si allargava in fianchi generosi, e gambe lunghe e ben definite, sempre elegantemente avvolte in calze o gonne che ne esaltavano la forma. La sua altezza, leggermente superiore alla media, le conferiva un'aria di autorità naturale. Vestiva con una combinazione di raffinatezza e seduzione: abiti che sottolineavano la sua figura senza mai essere volgari, tacchi che le davano un'andatura sicura e magnetica, e una scelta di colori che spaziava dal nero misterioso al rosso passionale. Giulia possedeva un'anima complessa. Era una donna intelligente, dotata di una cultura vasta e di un fascino che trascendeva la semplice bellezza fisica. La sua personalità era un mix di dolcezza e determinazione, con una propensione per la sottomissione che contrastava con il suo ruolo pubblico di insegnante autorevole. Fu questa dualità a attrarre Marco, che durante una vacanza scolastica, in un momento di intimità inebriante, scoprì il suo lato dominante, risvegliato dalla sottomissione di Giulia. La loro relazione, segreta e intensa durò anche oltre quella vacanza, rivelò aspetti di entrambi che nessuno dei due aveva mai esplorato, creando un legame profondo e turbolento, purtroppo per Marco un rapporto che durò solo due anni, fin quando Giulia si invaghì di un uomo della sua età straniero e lascio il paese per lui.
Erano passati mesi dall'abbandono, da quando Giulia se n'era andata, Marco era diventato un'ombra del ragazzo che tutti conoscevano. La sua irascibilità era palpabile, come un temporale che si annuncia con tuoni lontani ma sempre più vicini. Il giovane, un tempo calmo e risoluto, ora cambiava umore con la rapidità di una giornata autunnale, passando dalla serenità alla tempesta senza preavviso. Le sue emozioni erano un mare agitato, dove le onde della frustrazione e della tristezza si infrangevano incessantemente contro la spiaggia della sua mente.
Marco era diventato l'ombra di se stesso, un giovane che sembrava aver perso la sua lucentezza interiore. L'appetito, un tempo vorace per la vita e per il cibo, era svanito; i pasti erano diventati un rituale meccanico, dove ogni boccone sembrava pesare come un macigno. Il sonno, un tempo un rifugio, era ora un nemico, con notti trascorse a girarsi e rigirarsi nel letto, la mente che vorticava senza posa intorno a pensieri ossessivi di Giulia, del loro segreto e della vita che ora sembrava un deserto emotivo. A scuola, la concentrazione era un lontano ricordo. Marco, il primo della classe, ora vagava con la mente, i suoi occhi fissi su un punto invisibile all'orizzonte, mentre le lezioni scorrevano come un fiume lontano. I suoi voti, che un tempo erano un motivo di orgoglio per lui e per i suoi genitori, iniziarono a scendere in modo preoccupante. I professori, che avevano sempre elogiato il suo impegno e la sua intelligenza, ora scuotevano la testa con disappunto davanti ai suoi compiti incompleti o ai test falliti. All'inizio, Tommaso, con la sua mentalità pratica da giornalista, aveva liquidato la situazione come un periodo passeggero, un'ondata di tempesta adolescenziale che sarebbe passata. "Tutti attraversano momenti difficili," diceva , mentre preparava le valigie per il suo prossimo viaggio. Ma il tempo passava, e la tempesta non accennava a placarsi. Nessuno, neanche i suoi genitori, conosceva la vera causa del suo turbamento, la relazione segreta e finita con Giulia. Marco teneva tutto dentro di sé, un forziere chiuso a chiave con segreti che non poteva condividere, insieme alla borsa sotto il suo letto, dove teneva tutti i giochi sessuali e di dominazione che usava con Giulia, che aveva comprato con e per lei, adesso era sotto il letto e poi gettata nel ripostiglio a fare polvere. Non aveva confidenti, nessuno a cui rivelare la sua sofferenza. Sentiva un peso opprimente nel petto, un senso di isolamento che lo avvolgeva come una nebbia fitta.
La sua irrequietezza si manifestava in modi sempre più evidenti, un giorno, in classe, durante una discussione accesa su un argomento di cui Marco non riusciva a concentrarsi, la tensione esplose. Un compagno di classe, irritato dalla distrazione di Marco, fece un commento sarcastico che accese una miccia già incandescente, Marco, in un impeto di rabbia che non riusciva a controllare, si scagliò contro il compagno, trasformando una disputa verbale in una rissa fisica e gli spacco il naso con un pugno. La situazione degenerò rapidamente, con libri e penne che cadevano a terra, mentre i compagni si affrettavano a separarli, il tumulto attirò l'attenzione del professore, che chiamò immediatamente la sicurezza. Marco fu portato davanti al preside dell'università, un uomo severo con occhiali spessi e un'espressione di perenne disapprovazione. L'incontro fu breve e diretto; il preside, dopo aver ascoltato entrambe le versioni, decise di sospendere Marco per una settimana, non solo per la violenza, ma anche per il comportamento che aveva mostrato negli ultimi tempi.
Questa sospensione fu un colpo duro per la sua famiglia, la sua irrequietezza non si placava, ogni giorno era una lotta contro i propri demoni interiori, una lotta che si combatteva in silenzio, senza testimoni, con solo il suono del suo cuore spezzato che riecheggiava nell'isolamento della sua stanza, non usciva più di casa, la piscina, palestra, le uscite con gli amici erano un lontano ricordo.
I suoi genitori, Giovanna e Tommaso, si accorsero subito del cambiamento. Giovanna, con il suo ruolo di Direttrice marketing in una casa di moda, era abituata a gestire crisi e a leggere le persone, ma vedere suo figlio in questo stato la lasciava senza parole. La donna, sempre composta e riservata, con i suoi capelli castani e occhi verdi che riflettevano una mente analitica, si trovava ora a dover affrontare una situazione che non aveva mai previsto. Parlava con Marco con una voce che tentava di essere rassicurante, ma il suo tono tradiva preoccupazione. "Marco, parlami, cosa ti turba?" chiedeva, cercando di penetrare il muro di silenzio che il figlio aveva eretto intorno a sé.
Tommaso, padre e giornalista internazionale, era spesso lontano, ma anche quando era presente, la sua mente era sempre altrove, sulle storie che avrebbe raccontato al mondo. Alto, calvo ma con una barba sempre ben curata e occhi che avevano visto troppi orrori per non essere segnati, cercava di consolare suo figlio con le poche parole che il suo lavoro gli aveva lasciato. "Figliolo, so che è difficile, ma siamo qui per te," diceva con una voce che cercava di essere calda, nonostante il freddo della distanza fisica.
La situazione era particolarmente pesante sulle spalle di Giovanna. Con Tommaso in partenza per un nuovo servizio d'inchiesta all'estero, la gestione di Marco ricadeva interamente su di lei. La casa, una volta luogo di armonia, ora sembrava troppo grande, troppo silenziosa, con l'eco dei conflitti interiori di Marco che riecheggiava in ogni stanza. Prima di partire, Tommaso, con il suo tipico pragmatismo, decise di lasciare un piccolo segno di speranza. Scrisse su un pezzo di carta il nome e il numero di un psicoterapeuta che lo aveva aiutato quando aveva cercato di smettere di fumare. "Questo uomo ha cambiato la mia vita," disse a Giovanna, porgendole il biglietto con un'espressione che mescolava speranza e rassegnazione. "Forse può aiutare anche Marco." Giovanna, che non aveva mai creduto molto nella psicoterapia, fissò il biglietto tra le dita, sentendo il peso delle responsabilità e l'ansia per il futuro di suo figlio. La sua mente, abituata a strategie di marketing, ora cercava una strategia per aiutare suo figlio, sperando che questo terapeuta potesse essere la chiave per riportare la serenità nella vita di Marco, per ricostruire il ragazzo che tutti amavano e che sembrava perduto nelle ombre della sua depressione.
Marco, con il cuore pesante e la mente turbata, inizialmente rifiutò l'idea di andare dallo psicologo, che lui chiamava con disprezzo "strizzacervelli". Tuttavia, sotto la pressione della madre, si trovò a varcare la soglia dello studio del dottor Lorenzo Bianchi, un uomo di circa cinquant'anni dai modi gentili ma fermi. Lo studio del dottor Bianchi era un rifugio di pace, situato in un edificio antico nel centro della città, con le pareti tappezzate di libri che raccontavano storie di menti e cuori umani. La stanza era illuminata da una luce soffusa che proveniva da lampade di vetro verde, creando un'atmosfera calda e rassicurante. Un grande divano di pelle marrone, con cuscini invitanti, era posizionato di fronte alla poltrona del dottore, tra i due un tavolo basso con una scatola di fazzoletti e un registratore. Le finestre erano coperte da tende pesanti che filtravano la luce del giorno, mantenendo la privacy e la serenità del luogo. Il dottor Bianchi, con i suoi capelli grigi ben pettinati all'indietro, indossava sempre un cardigan sopra una camicia bianca e aveva un paio di occhiali dalla montatura sottile che accentuavano i suoi occhi penetranti ma empatici. La sua voce era calma, con un tono che invitava alla confidenza. Durante le prime sedute, Marco si chiudeva in un silenzio quasi assoluto. "Marco, capisco che possa essere difficile parlare di ciò che ti turba," iniziava il dottore, con un tono che cercava di essere comprensivo. "Ma ricorda, questo è un posto sicuro. Qui, non ci sono giudizi, solo ascolto." Marco rispondeva con monosillabi o frasi brevi, ogni parola strappata come un dente dolorante. "Non c'è niente da dire," mormorava, cercando di mantenere il controllo sulla sua verità. Il dottore, con pazienza, cercava di scavare più a fondo, ma Marco era abile nel deviare le domande. "Hai detto che c'è stata una rottura. Vuoi parlarne?" chiedeva il dottor Bianchi, sperando di aprire una breccia. Finalmente, Marco iniziò a parlare, ma solo di mezze verità. Raccontò di un amore romantico con una compagna di classe che era finito male, omettendo completamente la relazione con Giulia e i dettagli più intimi e oscuri. "Non ha funzionato, tutto qui," diceva, evitando accuratamente di rivelare la vera natura della sua relazione. Il dottor Bianchi ascoltava attentamente, cercando di leggere tra le righe. "Capisco che sia stata una perdita dolorosa, Marco. Ma spesso, il modo in cui parliamo di queste esperienze ci aiuta a elaborarle. Sei sicuro che questa sia tutta la storia?" Marco, timoroso che la verità potesse arrivare ai suoi genitori, rispondeva con un "Sì" deciso ma poco convincente. Dopo diverse sedute senza progressi significativi, il dottor Bianchi decise di cambiare approccio. "Marco, ho notato che parlare di questa situazione ti risulta molto difficile. Forse, potremmo provare con l'ipnosi, come ho fatto con tuo padre per aiutarlo a smettere di fumare. Potrebbe essere un modo per raggiungere ciò che non riesci a esprimere a parole." Il giovane, inizialmente riluttante, acconsentì, spinto dalla disperazione di trovare sollievo. Lo psicologo preparò la stanza, abbassando ulteriormente le luci e chiedendo a Marco di sedersi comodamente.
Lo studio del dottor Bianchi era avvolto in un silenzio quasi sacro, un tempio del pensiero e della riflessione. Le luci erano state abbassate, lasciando solo un bagliore soffuso che accarezzava i volumi rilegati sugli scaffali. La musica in sottofondo, una melodia leggera di pianoforte, sembrava sussurrare parole di conforto. Il dottor Bianchi, con la sua voce che sembrava distillata attraverso anni di esperienza, iniziò con calma l'induzione ipnotica. "Marco, chiudi gli occhi e rilassati. Senti come ogni respiro ti porta più in profondità nella tua mente, un luogo dove il tempo non esiste, dove sei al sicuro." La sua voce era un faro in una notte senza luna, guidando Marco in un mondo interiore dove le difese si abbassavano. Marco, sotto l'influsso dell'ipnosi, respirava profondamente, il suo corpo si rilassava visibilmente, le tensioni si scioglievano come neve al sole. "Sei in un luogo tranquillo, Marco," proseguì il dottore, "un luogo dove puoi esplorare i tuoi sentimenti senza timore. Ora, pensa a quel momento bello che hai vissuto, a lei... alla donna che ti ha fatto sentire vivo. "In trance, la voce di Marco era un sussurro, quasi un'eco di se stesso. "È stato bello... ma ora è sparito." Pensava a Giulia,le sue labbra lasciarono sfuggire un sospiro al ricordo. Il dottor Bianchi, guidato dalle mezze verità che Marco aveva condiviso, cercò di costruire un ponte verso la guarigione. "Le cose belle, Marco, non si possono cancellare dalla propria mente, proprio come quelle brutte. Ma puoi trovare quella bellezza di nuovo, in qualcuno che ti ricordi lei. Quando ti senti giù, triste e ti sembra di essere perso, cerca la somiglianza di quella donna in un'altra. Sfogati su di lei, ritrova il sorriso, la spensieratezza di quei giorni. Questo nuovo legame può alleggerire il peso del ricordo passato, sostituendolo con qualcosa di nuovo, di vitale. Sii paziente, abbi fiducia. Andrà tutto bene." Le parole del dottore si insinuavano nella mente di Marco come semi piantati in un terreno fertile, crescendo con ogni respiro. "Ritroverai te stesso, Marco. Lasciati guidare dalla memoria di ciò che è stato bello, ma permetti al nuovo di entrare nella tua vita. Quando ti sveglierai, avrai un nuovo senso di direzione, di speranza." Con queste parole, il dottor Bianchi iniziò il processo di risveglio, la sua voce come un faro che riportava Marco alla realtà. "Ad ogni respiro, ti senti sempre più sveglio, sempre più presente. E quando sarai completamente sveglio, ti sentirai rinnovato, con un nuovo scopo. Ora, quando sarai pronto, apri gli occhi." Marco sbatté le palpebre, tornando lentamente alla realtà, con una sensazione mista di confusione e speranza. Il dottor Bianchi osservava con attenzione, sperando di aver guidato Marco sulla strada della guarigione, anche se basata su una comprensione incompleta dei veri eventi che avevano turbato il giovane. "Ti senti meglio, Marco?" chiese il dottore, con un tono che cercava di essere sia professionale che empatico. "Sì, credo di sì," rispose Marco, ancora un po' disorientato, ma con un barlume di speranza che non sentiva da tempo. Il dottor Bianchi annuì, soddisfatto del suo lavoro, pur non conoscendo l'intera verità che si celava dietro il dolore di Marco.
Nei giorni successivi alla seduta di ipnosi, Marco sembrava aver ritrovato una parvenza di serenità, il suo umore era migliorato, anche se l'insonnia continuava a stringerlo nella sua morsa notturna. Giovanna, sua madre, guardava suo figlio con un cauto sollievo, sperando che la tempesta emotiva stesse finalmente passando. Ma l'influenza dell'ipnosi si rivelò più profonda e insidiosa di quanto chiunque potesse prevedere. Una notte, intorno alle due, l'insonnia era di nuovo la sua compagna indesiderata, Marco si alzò dal letto, il caldo dell'estate lo faceva sentire soffocato. Indossava solo dei boxer neri, la pelle esposta all'aria calda della notte. Si diresse in cucina, la luce del frigorifero illuminava il suo viso stanco mentre prendeva del latte fresco, cercando un conforto che non arrivava dal sonno. Tornando verso la sua stanza, il corridoio era avvolto nel buio, con solo il debole chiarore di un lampione esterno che filtrava attraverso una finestra a dare forma alle ombre. Fu allora che una voce lo fece sobbalzare. "Marco, tutto bene?" chiese sua madre, Giovanna, la voce assonnata ma carica di preoccupazione. Giovanna era lì, nel corridoio, svegliata dai rumori del figlio e dalla solitudine del letto matrimoniale, ormai troppo grande senza il marito, assente da mesi in terra straniera. Indossava una camicia da notte leggera, un indumento di seta color avorio che aderiva al suo corpo con una sensualità inconsapevole. La camicia, con una scollatura a V che rivelava un décolleté generoso, era bordata da un pizzo delicato che aggiungeva un tocco di eleganza e seduzione. Le spalline sottili e regolabili sostenevano il tessuto che cadeva con grazia lungo il suo corpo, delineando la curva del seno, la vita stretta e i fianchi ampi, simili a quelli di una Venere rinascimentale. Era scalza, i piedi ben curati che poggiavano delicatamente sul pavimento, le dita leggermente arcuate. In quel momento, sotto il gioco di luci e ombre, Marco non vide sua madre. Vide Giulia, la sua Giulia, con i suoi capelli biondi che sembravano riflessi d'oro anche nella penombra, gli occhi verdi che brillavano di un magnetismo che aveva sempre temuto e desiderato. La camicia da notte di Giovanna, con la sua morbidezza e la sua elegante semplicità, evocava l'immagine di Giulia, la stessa che aveva posseduto nei suoi sogni e ricordi. Il profumo di donna che emanava da sua madre, un mix di lavanda e qualcosa di indefinibile ma familiare, era come il fantasma del profumo di Giulia, riempiendo l'aria di un'illusione sensoriale. L'ipnosi aveva operato in modo subdolo, e in quel momento di confusione e desiderio represso, la mente di Marco gli giocò un terribile scherzo. Non era più il figlio preoccupato che cercava conforto, ma un giovane che vedeva la donna che aveva amato e perduto, tornata a lui nel corridoio buio della sua casa, vestita di seta e pizzo, un'eco della passione e del dominio che aveva conosciuto con Giulia.
"Sei così sexy, Giulia," disse Marco, la sua voce carica di lussuria mentre si avvicinava a Giovanna , ancora li ferma sulla soglia della camera da letto, i suoi occhi fissi su di lei come se fosse la sua professoressa che gli aveva rubato l'anima. Giovanna, incerta e dubbiosa, con la voce assonnata la prendo' quasi come uno scherzo del figlio. "No, Marco, sono tua madre, svegliati!" ma tutto cambio con il proseguo delle sue parole , Marco, immerso in un mondo di fantasia dove Giovanna era Giulia, non la sentiva, il suo desiderio annebbiava ogni cosa. "Ho bisogno di scoparti, ora,mi sei mancata tanto mia dolce troia" continuò Marco, la sua voce roca e imperiosa, trattandola con la stessa rudezza e desiderio che aveva riservato alla sua amante. Con una forza che Giovanna non si aspettava, strappò via la camicia da notte leggera, rivelando il corpo di sua madre. Il seno di Giovanna, una quarta soda e piena, si sollevava e abbassava rapidamente per il respiro agitato, i capezzoli si irrigidivano al tocco di Marco, tradendo il suo corpo nonostante la mente gridasse di fermarsi. "Cazzo, queste tette mi fanno impazzire," disse Marco, il suo tono osceno e avido. Afferrò un seno con una mano, strizzandolo con forza, mentre con l'altra mano pizzicava il capezzolo, facendolo diventare duro come un sassolino. Giovanna sentiva un brivido involontario attraversarle il corpo, un misto di umiliazione e tradimento fisico che non voleva riconoscere e che da mesi l'assenza del marito mancava. Marco si chinò, la sua bocca avida catturò uno dei capezzoli di Giovanna, succhiandolo con una passione che la fece sussultare. "Sì, vacca, mi ricordo bene quanto mi piaceva succhiarteli" mormorò contro la sua pelle, la lingua che girava intorno al capezzolo, mentre la sua mano scendeva verso il basso, esplorando il corpo di Giovanna con una familiarità che la faceva sentire sporca e violata.
"Fermati, ti prego, sono tua madre, non Giulia! Non conosco questa Giulia" gridava Giovanna, ma la sua voce si perdeva nel calore della stanza, nel desiderio cieco di Marco. Lui non la ascoltava, preso da un bisogno carnale che lo guidava. La sua mano trovò il punto tra le gambe di Giovanna, le dita che esploravano la sua intimità con una crudeltà che la faceva sentire come una semplice cosa da usare. "Guarda come sei bagnata, cazzo, anche se dici di no" disse Marco con un ghigno, mentre le sue dita si muovevano dentro di lei, sentendo l'umidità che il corpo di Giovanna non poteva negare. Ogni tocco era un'umiliazione, ogni parola un'offesa alla sua dignità di madre. Marco continuò a succhiare e baciare i seni di Giovanna, lasciando segni rossi della sua passione sulla sua pelle, mentre lei si sentiva sempre più sottomessa al suo corpo che tradiva la sua volontà. "Ti scoperò ancora e ancora, ti farò sentire quanto ti voglio," promise Marco, il suo cazzo duro e pronto, premendo contro il corpo di Giovanna, che cercava disperatamente di chiudere le gambe, di resistere, ma l'ipnosi e la forza di Marco erano insormontabili. Ogni gesto di Marco era un atto di possesso, ogni parola un'ulteriore umiliazione per Giovanna, che sentiva la sua identità di madre dissolversi sotto il peso della lussuria di suo figlio.
La spinse sul letto con una forza che Giovanna non si aspettava, il corpo di Marco dominante su di lei. Il suo cazzo, duro come il marmo per l'eccitazione, sporgeva fiero, le vene pulsanti visibili sotto la pelle tesa. "Succhiami il cazzo, Giulia, come sai fare tu," ordinò con una voce che non lasciava spazio a rifiuti. Giovanna, con un orrore che le attanagliava il cuore, si trovò a inginocchiarsi davanti a suo figlio, la sua bocca forzata ad aprirsi per accogliere la sua erezione. Sentiva la durezza e il calore del membro di Marco tra le labbra, la punta liscia che scivolava sulla sua lingua. "Sì, così, cazzo, sei la migliore," gemeva Marco, la sua mano afferrando i capelli di Giovanna per guidare il ritmo, spingendo il suo cazzo sempre più a fondo. Ogni movimento era un'umiliazione per Giovanna che cercava di distogliere lo sguardo, ma Marco la costringeva a guardarlo negli occhi mentre la usava. Il suo sapore, il suo odore, tutto le ricordava che era suo figlio e quel pensiero la faceva sentire sporca, violata. Venne nella sua bocca con un gemito di piacere, il suo sperma caldo e amaro riempiendole la bocca, costringendola a inghiottire per non soffocare. Non contento di quel primo atto, Marco la fece stendere con brutalità, posizionandosi tra le sue gambe, le sue mani forzando le cosce di Giovanna ad aprirsi, rivelando la sua intimità. "La tua fica è sempre così bagnata per me," disse, la sua voce un misto di lussuria e trionfo. La sua lingua iniziò a esplorare ogni piega della fica di Giovanna, leccandola con una passione che lei non voleva riconoscere, ogni tocco un tradimento del suo corpo. La lingua di Marco si muoveva con esperienza, trovando il clitoride di Giovanna, stimolandolo con movimenti circolari, mentre le sue dita si insinuavano dentro di lei, sentendo la sua umidità crescere. "Cazzo, mi piace il tuo sapore," mormorava, assaporando i suoi umori, il suo viso premuto contro di lei, la guancia che sfiorava la pelle sensibile delle sue cosce . Giovanna sentiva il suo corpo reagire contro la sua volontà, il piacere che si accumulava in lei, l'orgasmo che si avvicinava nonostante il suo cuore urlasse di no. "No, no, per favore, fermati," implorava, ma il suo corpo tradiva le sue parole, i suoi fianchi che si muovevano in automatico verso la bocca di Marco. Il culmine arrivò, devastante, con Giovanna che veniva suo malgrado, il suo corpo scosso da spasmi di piacere che la facevano sentire ancora più umiliata, la sua mente piena di vergogna e disgusto per aver provato piacere con suo figlio. "Non volevo questo," sussurrò tra le lacrime, mentre Marco, con un sorriso compiaciuto, continuava a leccare, assaporando ogni goccia del suo piacere come se fosse un trofeo della sua vittoria su di lei. Poi, con una passione che strappava lacrime di vergogna a Giovanna, la penetrò, il suo cazzo scivolò dentro la fica di sua madre con una facilità che la fece sentire ancora più sporca. "Scoparti è il paradiso, Giulia," disse, la sua voce roca per il desiderio, ogni parola un pugno nello stomaco di Giovanna. Muoveva i fianchi con forza, le sue mani afferrando i fianchi di Giovanna con tale violenza che lasciavano segni sulla sua pelle. Ogni spinta era un'aggressione al suo corpo, profonda e intensa, che la faceva sentire come se il suo essere venisse violato da dentro. Sentiva il calore del cazzo di Marco, le sue vene pulsanti che sfregavano contro le pareti della sua vagina, e non poté fare a meno di sentire il momento in cui venne dentro di lei, riempiendola di sperma, il calore del suo orgasmo che la marchiava come proprietà di suo figlio. Era finita, pensava... Ma non era finita. Con un movimento deciso, Marco la girò a pecora, mettendola su tutte e quattro, il suo culo alto e invitante, le natiche ben delineate che si tendevano sotto il suo sguardo. "Adoro il tuo culo," disse, la sua voce carica di lussuria, mentre con una mano accarezzava la curva delle sue natiche per poi finire in una sonora sculacciata. Giovanna, rendendosi conto di ciò che stava per accadere, urlò con tutto il suo essere, "No, Marco, fermati, sono tua madre!" Le sue parole erano cariche di disperazione, ma Marco, immerso nella sua fantasia, non ascoltava, la sua forza superava ogni tentativo di resistenza di Giovanna. "Voglio scoparti il culo, Giulia," dichiarò, come se fosse un diritto che si prendeva, ignorando le sue grida di protesta.
Giovanna era vergine dietro fino ad allora si era negata pure al marito, la penetrazione fu un'esperienza di dolore puro e crudo. "Per favore, no, fa male, fermati!" gridava, le lacrime scorrevano copiose sul suo volto, mentre cercava invano di allontanarsi, di sfuggire a ciò che stava accadendo. Marco, con una brutalità che Giovanna non avrebbe mai immaginato da suo figlio, la penetrò sodomizzandola, il suo cazzo che forzava l'ingresso stretto dell'orifizio, causando un dolore lancinante. "Cazzo, sei così stretta di come ti ricordavo" gemeva Marco, la sua voce un misto di piacere e trionfo, mentre si muoveva dentro di lei con una velocità e una forza che solo il desiderio represso poteva spiegare. Ogni spinta era un'onda di dolore che attraversava il corpo di Giovanna, il suo ano che si dilatava dolorosamente per accogliere l'intrusione. La sodomizzò a lungo, ogni movimento un tormento che la faceva gridare e piangere, il suo corpo che tremava per il dolore e l'umiliazione. Cercava di allontanarsi, ma Marco la teneva ferma, le sue mani forti che la bloccavano, spingendo più a fondo con ogni affondo, ignorando completamente il suo dolore.
Giovanna sentiva ogni centimetro di lui dentro di lei, l'intrusione di Marco, suo figlio, che la penetrava analmente era un'esperienza di dolore e umiliazione che mai avrebbe immaginato. Ogni spinta di Marco era come un colpo al cuore, il suo cazzo che si muoveva dentro di lei con una brutalità che la faceva sentire violata nel modo più intimo possibile. Con un grido di piacere che contrastava con i singhiozzi disperati di Giovanna, Marco finalmente raggiunse l'orgasmo, il suo sperma caldo e denso riempiendo il suo intestino, un'umiliazione finale che si sarebbe impressa nella sua mente per sempre. Marco, come un automa, si sollevò lentamente da sopra di lei, la sua mente ancora persa nella trance ipnotica. Si rivestì con movimenti meccanici, tornando nella sua camera senza una parola, cadendo in un sonno profondo e senza sogni. Il giorno dopo, si svegliò sentendosi stranamente di buon umore, come se una pesantezza fosse stata sollevata dalle sue spalle. Si fece una doccia, l'acqua calda che scorreva sul suo corpo, portando via i residui del sonno e lasciandolo con una sensazione di freschezza. Ricordava solo di aver fatto un sogno erotico su Giulia, dove aveva sfogato le sue frustrazioni sessuali come faceva un tempo con lei nella realtà. Giovanna, traumatizzata, non riusciva a dormire quella notte. Sentiva il bisogno impellente di lavarsi, di ripulirsi da quella vergogna. Si fece una doccia, l'acqua calda che scendeva su di lei, mescolandosi con le sue lacrime. Sentiva il sperma di Marco ancora dentro di sé, una sensazione di sporcizia che non riusciva a scacciare. Si pulì accuratamente, le sue dita che esploravano ogni piega della sua fichetta, cercando di eliminare ogni traccia di lui, ma mentre lo faceva, si accorse che il suo corpo reagiva, si bagnava al ricordo dell'atto, un tradimento che la fece sentire ancora più sporca. La vestaglia strappata, testimonianza del suo tormento, fu gettata via come un oggetto contaminato; non voleva lasciare tracce di quella notte infernale.
Nel silenzio della notte, i suoi pensieri erano un tumulto di orrore e confusione, chiedendosi se suo figlio fosse malato, pazzo. Non sapeva cosa fare, come affrontare ciò che era successo. Cercava di scacciare dalla mente l'immagine di Marco sopra di lei, la sensazione del suo cazzo che la penetrava, ma ogni ricordo la riportava a quell'umiliazione.
La mattina dopo, Giovanna fece una doccia, stavolta con l'intento di lavare via non solo il sudiciume fisico ma anche il senso di colpa e il dolore. Si lavò con un'attenzione maniacale, ogni centimetro del suo corpo, cercando di dimenticare, di tornare a essere solo una madre. Ma come avrebbe potuto guardare ancora negli occhi suo figlio? Quella domanda la perseguitava mentre cercava un nuovo vestito, qualcosa di semplice, che non le ricordasse la notte precedente.
Marco a colazione, il sole del mattino illuminava la cucina, dandogli un senso di normalità. Preparava una colazione ricca, sentendo i passi di sua madre che si avvicinavano. Con un sorriso, disse, "Oggi è una splendida giornata, ti unisci a me mamma?" La sua voce era allegra, ignaro del tormento che aveva inflitto, mentre Giovanna, con il cuore pesante, cercava di raccogliere il coraggio per affrontare un nuovo giorno, sapendo che nulla sarebbe stato mai più lo stesso tra loro.
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