L'Inconsapevole Risveglio 3 – l'accettazione dei sogni

di
genere
incesti

Giovanna iniziò a fare più straordinari al lavoro, cercando di riempire le ore del giorno per evitare di stare a casa il più possibile e ritrovarsi a lungo vicino a Marco, come se l distanza potesse allontanarla da quei pensieri. Nei fine settimana, si rifugiava nelle uscite con le amiche, preferendo la compagnia femminile alla possibilità di ritrovarsi da sola con Marco, quando il tempo libero avrebbe potuto significare più tempo con lui, più tempo per sentire quel desiderio confuso che la tormentava. Se nella realtà riusciva a mantenere un certo controllo, a nascondere il tumulto interiore dietro una maschera di normalità, i veri problemi erano nei sogni. Ogni notte, Marco diventava il suo incubo, il protagonista di sogni così vividi e reali da sembrare veri. La violentava in ogni angolo della casa, in scenari che cambiavano ma che portavano sempre alla stessa conclusione: lei, sua madre, era posseduta da lui, il suo bambino.
Nei sogni, la prendeva alla sprovvista mentre puliva la cucina, le sue mani che la strappavano via dalla realtà quotidiana per trascinarla in un mondo di lussuria e umiliazione. "Sei mia vacca, mia puttana," diceva Marco, le sue parole che la ferivano e la eccitavano allo stesso tempo. Giovanna cercava di resistere, ma il suo corpo tradiva la sua mente, bagnandosi, preparandosi per lui.
Un altro sogno la vedeva appena rientrata dal lavoro, stanca e vulnerabile , alle sue spalle arrivava Marco come apparso dal nulla e la prendeva e la spingeva contro il muro dell'ingresso, davanti la fredda parete e dietro il calore del suo corpo nudo, cercava in tutti i modi di fuggire ma tutto si risultava inutile, era impossibile con la sua forza che la schiacciava, la liberava degli abiti e entrava in lei, le sue spinte che la facevano urlare, non solo per il dolore ma per il piacere oscuro che sentiva. "Sei solo mia," ripeteva, ogni spinta un'affermazione della sua dominazione. C'erano le notti invece dove l'incubo era ambientato nel suo letto, dove si addormentava sperando in un po' di pace, ma veniva invece svegliata da Marco che era entrato nella sua camera , la svegliava per toccarle prima di passare a penetrarla con una rudezza che la faceva sentire usata e desiderata. La chiamava "troia", "vacca", e ogni insulto sembrava aumentare il suo desiderio, il suo cazzo enorme rispetto a quello del marito che si muoveva dentro di lei con una ferocia che la faceva sentire come se non aspettasse altro che appartenergli, essere sua come continuava a ripeterle.
I giorni e le settimane passavano,ora si era passati a due mesi da quella fatidica notte ma i sogni non cessavano. Ogni notte, Giovanna era stuprata nei suoi incubi, cercando di fuggire, di negarsi, ma Marco vinceva sempre, la prendeva, la faceva sua, e il suo corpo si svegliava sempre caldo, eccitato. In quei momenti sveglia, finiva per masturbarsi da sola nel suo letto, le dita che cercavano di porre fine a quell'eccitazione indotta da quei sogni infernali, tentando di liberarsi da quell'ossessione proibita. Le sue mani esploravano il suo corpo, immaginando le mani di Marco, il suo cazzo che la riempiva, e cercava di scacciare via la sensazione di piacere che provava, ma non riusciva. Ogni orgasmo era un misto di sollievo e vergogna, una confessione silenziosa del suo desiderio per ciò che non poteva e non doveva essere. La sua mente era un campo di battaglia, tra il dovere di una madre e la donna che anelava a qualcosa di proibito, qualcosa che solo nei sogni poteva vivere, ma che ogni mattina la lasciava con un senso di vuoto e di bisogno insaziato, questo succedeva a Giovanna, ma Marco?
Da quella notte in poi, sembrava che Marco fosse rinato. Aveva smesso di frequentare il medico, come se avesse finalmente trovato la cura per i suoi malesseri interiori. Era come se Giulia, la sua ex fidanzata, fosse completamente dimenticata , un ricordo sbiadito o almeno come se il suo ricordo non avesse più il potere di turbarlo. La sua vita era tornata a essere serena e tranquilla, ma con un'energia e un entusiasmo che parevano nuovi. Marco si immerse nella vita con una passione che non aveva mostrato da tempo. Gli amici erano tornati a essere una parte essenziale della sua quotidianità. Le serate erano spesso dedicate a uscite con la compagnia di sempre, tra risate, pizze condivise, e partite di biliardo o videogiochi al pub locale. La sua stanza, una volta il regno di un giovane tormentato, era ora un rifugio pieno di poster di film e band preferite, libri di fantascienza e manga aperti sul comodino. Lo sport aveva ripreso un ruolo centrale nella sua vita. Tornò in palestra con regolarità, le sue sessioni di sollevamento pesi e allenamenti cardio erano accompagnate da una musica energica che si sentiva fin dal corridoio quando si chiudeva nella sua camera. Il nuoto, un amore di vecchia data, lo vedeva spesso alla piscina comunale, dove tagliava l'acqua con bracciate decise, il corpo agile e resistente che emergeva dall'acqua con una grazia che sembrava riflettere il suo stato d'animo rinnovato.
Gli hobby riempivano i suoi pomeriggi e i suoi fine settimana. Aveva iniziato a frequentare corsi di fotografia, catturando momenti della sua nuova vita con una reflex che teneva sempre a portata di mano. La sua passione per la musica lo portava a suonare la chitarra elettrica, le note che riempivano la casa di suoni vibranti, una melodia che contrastava con il silenzio teso di Giovanna. Marco non si rendeva conto della sofferenza della madre, troppo preso da questa sua nuova vita piena di attività e di gioia. Se notava qualcosa di strano in Giovanna, forse attribuiva i suoi cambiamenti d'umore alla mancanza del padre, ancora lontano per lavoro. Non coglieva i suoi sguardi sfuggenti, i suoi pasti rapidi, la sua fretta di uscire di casa o di chiudersi in camera. Per lui, le cose erano tornate a posto, e la vita familiare sembrava di nuovo quella di una volta, con lui al centro di un vortice di attività salutari.
Ogni giorno, dopo la scuola o il lavoro part-time, Marco riempiva il suo tempo con qualcosa di nuovo. Un giorno poteva essere un'escursione in moto con gli amici, attraversando sentieri che offrivano panorami mozzafiato; un altro giorno, invece, si dedicava alla lettura in biblioteca, dove il silenzio gli dava la possibilità di espandere la mente con nuove idee e storie.
La sua camera era un riflesso di questo nuovo capitolo: c'erano attrezzi sportivi appoggiati in un angolo, un cavalletto con una tela incompiuta, il computer sempre acceso, pronto per una sessione di gaming o per editare le sue foto. La sua vita era una sinfonia di interessi che lo teneva lontano dalle ombre del passato, ma anche, senza saperlo, dalla sofferenza silenziosa di sua madre.
Giovanna, osservando da lontano questo nuovo Marco, provava una gioia mista a un dolore sordo. Era felice che suo figlio fosse tornato a vivere, ma ogni risata, ogni nota di chitarra, ogni scatto di fotografia le ricordava quella notte, il segreto che portava dentro di sé, e la battaglia interiore che continuava a combattere ogni volta che il sonno la prendeva, portandola nei sogni oscuri dove Marco era il protagonista indiscusso. Giovanna era disperata, traumatizzata dalla situazione che si era creata tra lei e Marco, dopo tutto quel tempo decise di prendere in mano la situazione, andando a parlare con il medico che suo marito aveva consigliato per il figlio. Era un consulto che temeva, ma sentiva di non avere altra scelta.
Si recò nello studio del dottor Lorenzo Rossi, un ambiente che trasmetteva calma con le sue pareti color crema e i quadri di paesaggi naturali e quella montagna di libri nel enorme libreria. Il medico, un uomo di mezza età con occhiali dalla montatura sottile e un sorriso rassicurante, la accolse con professionalità e si porto seduta sul grande divano di pelle marrone con cuscini comodi dove mesi prima si sedeva Marco e adesso stava a lei
"Buongiorno, signora," iniziò il dottor Rossi. "Come posso aiutarla? Suo figlio sta bene?" “mio figlio sta benissimo, la ringrazio per quello che ha fatto per lui, ma.. sono qui per me” attimi di silenzio, il dottore non le metteva fretta, anzi le diede il tempo per pensare come iniziare, Giovanna, con la vergogna che le pesava come un macigno, iniziò a raccontare una versione edulcorata della verità. "Ho... degli incubi ricorrenti" disse, la voce che tremava leggermente. "Non voglio dormire perché ho paura di cosa sognerò. Sono sogni ripetitivi anche se cambiano ..di qualche particolare" Il dottor Rossi annuì, prendendo appunti. "Capisco. Gli incubi possono essere molto disturbanti. Ha pensato all'ipnosi per affrontarli?" non passò un attimo tra la domanda del dottore e la risposta della donna sposata "No, no," rispose subito Giovanna, l'idea di essere ipnotizzata la terrorizzava, temeva di rivelare ciò che non voleva ammettere, di mettere in pericolo la propria vita e quella del figlio "Ho paura di... di dire troppo sotto ipnosi." alzo il palmo verso la donna "Va bene, va bene signora," disse il medico, con un tono che cercava di tranquillizzarla accompagnata da un sorriso tenue per metterla a suo agio "Possiamo affrontare questo problema in un altro modo. Gli incubi sono spesso espressioni dei nostri conflitti interni o di traumi non risolti. Invece di evitarli o combatterli, potrebbe essere utile affrontarli nel sogno stesso." Giovanna lo guardò con incertezza. "Affrontarli?" alzava e abbassava la testa con i suoi capelli grigi tirati all'indietro che sembravano attaccati per lungo sulla testa, la osservava da dietro quegli occhiali dalla montatura sottile "Esatto," continuò il dottor Rossi. "Potrebbe provare a non lottare contro il sogno ma a lasciarsi andare e accettare serenamente cercando di non spaventarsi. I sogni, anche se spaventosi, sono solo una manifestazione della mente. Non possono ferirla fisicamente. La paura che proviamo è reale, ma l'esperienza è simbolica. Scavare in quei sogni, cercare di capire cosa rappresentano, potrebbe liberarla da questa ansia." Giovanna annuì, la mente confusa ma speranzosa. "Capisco... o almeno, credo di capire.”
Quella notte, decise di seguire il consiglio del medico. Si sdraiò nel suo letto, il copriletto di seta che scivolava sotto il suo corpo, cercando di non opporsi all'inevitabile arrivo del sonno. Quando i sogni la presero, non lottò contro l'immagine di Marco sopra di lei, non cercò di fuggire dalla realtà onirica. Nei sogni successivi, si arrese completamente a Marco. Invece di opporsi, si lasciò dominare, si concesse a lui in ogni modo possibile. La cucina, dove una volta aveva pulito con disperazione, divenne il palcoscenico per un amplesso rude e passionale. Marco la prendeva contro il tavolo, le sue mani che esploravano il suo corpo con una possessività che, nei sogni, non le sembrava più solo minacciosa. "Sei mia, solo mia," diceva lui, e in quel contesto onirico, quelle parole non portavano solo umiliazione ma anche un oscuro piacere e lei invece di negarlo lo accettava anzi acconsentiva ad ogni posizione. Nei bagni della casa, dove ogni goccia d'acqua le ricordava il corpo di Marco, si lasciava andare sotto la doccia, l'acqua che bagnava i loro corpi uniti in un atto di lussuria. Sentiva il calore del suo cazzo dentro di lei, ogni spinta che la portava a un orgasmo che nel sogno era liberatorio. Nel suo letto, il luogo dove una volta cercava rifugio, ora si arrendeva completamente, permettendo a Marco di esplorare ogni piega del suo corpo, il suo ano che si dilatava per accoglierlo mentre la chiamava "puttana" e "vacca", parole che, in quel mondo di sogni, iniziavano a eccitarla. Ogni notte, iniziò ad attendere con una sorta di ansia quei sogni. Al risveglio, la vergogna era lì, ma anche il piacere, e spesso si trovava a masturbarsi, il corpo che cercava di liberarsi da quell'eccitazione indotta. Le sue dita trovavano la sua intimità, bagnata per i ricordi onirici, cercando di placare il desiderio che provava, anche se continuava a sentirsi sporca, contaminata da quei pensieri proibiti.
I sogni divennero meno minacciosi, e Giovanna iniziò a godere maggiormente di quell'esperienza onirica, come se avesse trovato una via di fuga dalla realtà, un modo per affrontare il suo trauma in un luogo dove nulla era reale, ma dove tutto poteva essere esplorato senza conseguenze.
Giovanna, una donna che aveva sempre vissuto con un senso di controllo e autorità sia nella sua vita matrimoniale che professionale, si trovava ora in un viaggio interiore che la portava a esplorare aspetti di sé che non aveva mai osato riconoscere. Nei suoi sogni, quella che era stata una fonte di terrore e vergogna diventava lentamente un terreno di scoperta e piacere proibito. Nel mondo onirico, accettare il piacere dominante che le veniva imposto da Marco, con il volto, il corpo e la voce di suo figlio, rappresentava per Giovanna un'opportunità di sperimentare la sottomissione, un ruolo che non aveva mai conosciuto nella sua vita reale. La sua mente, abituata a gestire le dinamiche paritarie con il marito e a mantenere una posizione di comando al lavoro, trovava in questi sogni una liberazione inaspettata.
Ogni notte, come si abbandonava ai sogni, Giovanna sentiva di lasciarsi andare totalmente. La sottomissione che viveva nei suoi sogni le dava un senso di leggerezza che non aveva mai provato. Non doveva più essere la persona responsabile, quella che prendeva decisioni o risolveva problemi. In quei momenti, poteva affidarsi ciecamente a un'altra figura, che nel suo subconscio assumeva le sembianze di Marco, permettendo a lui di decidere, di dominare, di amarla in un modo che la faceva sentire sia posseduta che curata.
L'umiliazione, che inizialmente era stata una fonte di disagio e repulsione, cominciava a eccitarla. Le parole offensive, i comandi dominanti, tutto ciò che prima la faceva sentire sporca, ora, nei sogni, la liberava da una parte del suo ego, permettendole di esplorare la vulnerabilità e il desiderio di essere guidata. L'atto di ubbidire, di lasciarsi andare alle decisioni di un altro, era qualcosa di nuovo, un contrasto con la sua vita quotidiana dove ogni azione doveva essere calcolata e responsabile.
Nel profondo della sua mente, Giovanna riconosceva che l'accettazione di questo ruolo di sottomissione nei sogni rappresentava una forma di evasione dai suoi doveri e dalle sue preoccupazioni. Era come se, in quei momenti, potesse deporre il peso della sua esistenza, diventando solo un recipiente di sensazioni e piaceri, senza la necessità di pensare o decidere.
Il piacere che provava era complesso, un mix di eccitazione fisica e liberazione psicologica. Ogni spinta, ogni ordine, ogni tocco rude nel sogno era un passo verso un'accettazione di sé che non aveva mai esplorato. La sottomissione che viveva era una liberazione dai ruoli che aveva sempre assunto, un'opportunità per sperimentare un lato di sé che aveva sempre negato o ignorato.
Questo cambiamento interiore la faceva sentire più realizzata, più viva, anche se solo nella mente. La vergogna era ancora presente, ma era mescolata con un senso di realizzazione che non aveva mai conosciuto. Era come se, in un certo senso, stesse riscoprendo se stessa, permettendo alla sua psiche di esplorare territori inesplorati della sua sessualità e delle sue dinamiche di potere.
La figura di Marco, nei sogni, diventava quindi un simbolo, una proiezione di ciò che la sua mente desiderava senza che lei potesse ammetterlo a livello cosciente. Era una rappresentazione di liberazione, di accettazione del proprio desiderio di essere dominata, di lasciarsi andare al punto di non ritorno, dove ogni pensiero, ogni responsabilità, poteva essere dimenticata in nome del piacere e della sottomissione.
Giovanna, dunque, non solo accettava ma iniziava ad apprezzare questo nuovo ruolo nei sogni, trovando in esso una forma di catarsi, un modo per far fronte a tutto quello che nella vita reale non poteva o non voleva affrontare. La sua mente, attraverso questi sogni, stava costruendo un nuovo paradigma di piacere e libertà, dove l'umiliazione e la sottomissione non erano più solo segni di vergogna ma di una profonda, seppur oscura, esplorazione del sé.

"Per qualsiasi dubbio, domanda, suggerimento o richiesta riguardante il racconto, non esitate a contattarmi all'indirizzo: jack_seven@virgilio.it."

scritto il
2025-01-02
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