Operazione Mincemeat ep.6 - Amore e Morte

di
genere
etero

Di Tilde & Chicken

3 luglio 1943

La battaglia inscenata andò esattamente come previsto; solo un piccolo biplano della Luftwaffe sorvolò l'area di scontro, ma non intervenne. Manuel e Fucellas scortarono i tedeschi di Jan al confine mentre un manipolo di soldati britannici si faceva loro incontro.

“Hallo my heroes! I'm McTominay, lieutenant. Great job! We saw you from the rock… what a perfect tactic!”
“Sorry lieutenant… “ intervenne Laura.
“Please, Robert for you, milady “ sorrise.
“Fine! Laura is mine. So, thanks for your praises, but my friends are Spanish. They can't understand you!”
“Only Spanish? Shit! Any Italian?”
“Sissignore” capì Manuel ”Quello sì. Vi ringrazio, è stato un onore, vi consegno questi prigionieri.”
“Good… bene! alora siarete nostri guests… ospiti, giusto?”
“Volentieri! “ rispose Sante.
“No esta posible, amigo.” disse Fucellas mettendo in spalla l'arma ”Tengo i miei soldati senza comando.”
“That's a shame… buona vita!“ congedò l’inglese.

Insieme varcarono i cancelli del piccolo territorio della Regina mentre Fucellas, in sella alla sua moto ed in una nuvola di polvere, raggiungeva le milizie sulla spiaggia non troppo lontano.
Jan ed i suoi disertori furono portati alle segrete, insieme ad alcuni miliziani di Manuel come guardie; invece Laura ed i suoi due amici furono scortati al comando.

“Oh, voilà! Voici le nos sentinelles! Pardon, enqualificable, je suis general Mustache, semblerait que vous êtes mes invités d’honneur ce soir.“ salutò teatralmente e rise
“Monsieur general” prese la parola Sante” siano ben lieti di accettare il vostro invito…”
“Oh, voilà! Italianì, j'adore Caruso, Assia Norris… très jolie. Come voi, signorina: la ricordate molto.“

All'ufficiale sfuggì un occhiolino malizioso, così riparò riempiendosi la bocca di fumo da una pipa e ne fece cortina

“Siete troppo gentile generale.“ si mostrò timida Laura
“Oh, voilà! Ecco il nostro protetto; madame et messieurs, vi presento il generale Sikorski, capo legittimo di Polonia. Generale…” mostrando con un mano ”…voilà i nostri audaci condottieri che hanno sventato un attacco nazista, signori aiutatemi: Petrosillos… oui, le commandant Manuel… et l'élégante mademoiselle Laura.”

“Enchanté “ disse il polacco

Questi si profuse in un barocco baciamano che quasi imbarazzò al rossore la giovane italiana, Sante e lo spagnolo si guardarono ed un sorriso evidenziò la loro intesa.

Molto tempo per i convenevoli non c'era, con il frastuono dei colpi dalla flottiglia della decima mas nella baia di Algesiras e le sferzanti ricognizioni aeree. Memori ancora degli assalti del 7 maggio, i due generali dettero l'ordine di intensificare il fuoco sul mare, ma non colpirono la nave cisterna italiana incagliata a mezzo miglio dal molo e presidiata da neutrali spagnoli.

Più volte, nella giornata, Manuel si allontanò furtivo dal comando per ore, mentre Laura si intratteneva con il generale di Varsavia rapita dai racconti di lui sulle campagne in Africa e medio oriente. Lei stessa raccontò dei due mesi passati in Libia, molti anni prima, come infiltrata tra i resistenti di Omar al Mukhtar e dell'amicizia particolare con il generale Graziani.

Laura raccontò dei suoi rapporti sugli armamenti dell'Asse in Marsiglia ed a Bordeaux prima e Genova poi, fino a Napoli, informazioni essenziali per il contrattacco inglese; ma raccontò anche di quando fu presa dai fascisti e condannata alla fucilazione. Solo grazie all'intervento di Graziani, un'ora prima di finire davati al plotone, fu liberata in segreto, spedita in Spagna e data per giustiziata.

“Allora ci ho visto giusto: voi siete una spia, infallibile a quanto pare.”
“Sono stata presa, proprio capace… non direi.”
“Siete qui a parlarne: non ne ho viste tante di così abili!”
“Solo perché il generale è innamorato di me.”
“Come biasimarlo… ah! se fossi più giovane...”
“Siete un birbante, monsiuer…”

La chimica, che si stava instaurando fra i due, giunse ad un niente dalla scintilla quando il generale le sfiorò la guancia con il dorso della mano; una carezza che Laura raccolse, serrando fra viso e spalla quelle dita. Il cuore duro dell'ufficiale sobbalzò come ridestato da secoli d'oblio e lo spinse a cingerle un fianco, lei non si sfilò da quell'abbraccio e ricambiò posando una mano sulla sua spalla; quasi un passo di danza nel valzer suonato da colpi e scoppi. I due volti si toccarono pelle a pelle: Laura, ad occhi chiusi, lasciò che le labbra di lui assaporassero le sue e si rese conto che stava per sfuggirle il controllo della situazione.

Un rumoroso Manuel irruppe in stanza senza bussare e, quasi intimorito, il polacco si separò prontamente dall'italiana lasciandola perplessa. I due uomini si incrociarono sotto lo stipite della porta e si guardarono con un velo di odio, il generale come se avesse intuito il suo destino, lo spagnolo per semplice gelosia.
In quell'istante, la "spia del mare", come veniva spesso chiamava, capì che non avrebbe potuto impedire il corso degli eventi, ma fare leva sulla gelosia era un tentativo da provare.

“Laura, quel tipo…”
“Manuel, sei un uomo sicuro di sé ed è questo un aspetto di te che mi attrae, così come mi piace il tuo rispettare un avversario, affrontandolo alla pari, senza essere un vigliacco che colpisce alle spalle”
“Tu sei pericolosa, brunetta!”
“ ...e per cosa? “

Un silenzio irreale calò improvviso mentre lei gli passava una mano fra i capelli; poi avvolse il suo viso coi i palmi. Senza sollevarsi sulle punte, lasciò lo sguardo dritto sulla sua bocca ed attese che fosse lui a piegare la testa verso di lei fino a sfiorarle le labbra con le sue; poi le mani di Manuel la cinsero alla vita e la sollevarono con forza, lei lo strinse fra le cosce e chiuse le braccia intorno al suo collo massiccio abbandonandosi al bacio.

"Non sono più sicuro che succederà" farfugliò l'iberico recuperando il possesso della propria lingua; Laura fece finta di non aver compreso, ma il battito del suo cuore la tradì.
"Dimmi che mi ami" incalzò, ma lei riuscì solo a confessare che il suo corpo gli apparteneva. Nonostante fosse abituata a fingere fin da bambina, non fu in grado di mentire e rinnegare l'amore che provava per Sante.

Rimasero immobili, abbracciati, per un poco.
Laura poteva sentire l’eccitazione dell’uomo premere sul proprio ventre, mentre lui continuava a fissarla, dopo quelle sue parole: si capiva che avrebbe voluto dire qualcosa, ma si trattenne.
Le diede un bacio sulla fronte e si staccò da lei. La guardò un’ultima volta, senza parlare, prese il fucile e lasciò la stanza: la preparazione dell’attentato a Sikorsky non ammetteva incertezze e distrazioni.

Fu in quel momento che Sante entrò e disse che restava solo di attendere e riparare presso il comando inglese, da lì avrebbero potuto conoscere l'esito della missione di Manuel.
Laura rimase in silenzio, limitandosi ad un cenno di assenso.

Uno strano pensiero l’abitava: pensò a tutti i valorosi uomini che aveva incontrato nelle ultime settimane, sui diversi fronti di quella guerra crudele. Pensò a Manuel, a Jan, alle squadre di spagnoli e, infine, pensò allo stesso Sikorsky, che, ignaro, correva verso la propria fine. Lo immaginò sul proprio aereo, magari a fantasticare su quell’incontro galante con quella bella italiana, magari immaginando di ricontattarla non appena ci fosse stata l’occasione, sentendosi tranquillo tra gente fidata, sentendosi rilassato protetto dalla solida carlinga del velivolo.

Per cui fu assalita da una strana sensazione quando, nel comando alleato, cominciò a serpeggiare la voce di un evento drammatico. Le notizie si rincorrevano di bocca in bocca, e nessuno era certo di sapere a cosa credere.
Lei e Sante erano rimasti tutto il tempo assieme, senza mai separarsi: sembravano una coppia di comparse sul palco di una tragedia che non li sfiorava.
Gli inglesi erano sempre più sconvolti man mano che prendeva solidità la notizia di un Sikorsky morto e del suo aereo precipitato poco dopo il decollo da Gibilterra.

Lei, che lo aveva immaginato pensarla mentre decollava sul suo aereo, si sentì un poco come se fosse morta con lui, precipitata assieme all’ufficiale nelle acque della baia tra quelle lamiere.

“Sante, portami via, andiamo nella nostra stanza” sospirò lei fra lacrime nascenti

Lui la prese per mano, confuso dall’aria affranta della donna, si limitò ad un “certo” e non osò chiedere cosa le passasse per la testa; la condusse lungo i tortuosi cunicoli scavati nella montagna che conducevano alla loro camera, chiudendo dietro di sé l’agitazione per quanto era appena avvenuto al generale polacco, di cui erano parzialmente responsabili, oltre quella porta.

“Laura: cosa c’è?”

Le teneva le mani. La donna presto si staccò da lui, indietreggiando di un passo, senza smettere di fissarlo.
Poi, d’improvviso, lei gli tirò uno schiaffo.
Con uno sguardo freddo. E lucido, nonostante il gesto assurdo.
Sante non reagì subito. Si portò una mano alla guancia incredulo.

“Laura… cosa c’è?” ripeté con voce dolce, cercando di riprenderle le mani
“Dimmi che sono una puttana!” gli gridò contro, assestando un secondo ceffone
Le sue parole suonarono dolorose in quella stanza abitata solo dai loro corpi.

“Sante, dimmi che sono una puttana!”
“Laura, ma cosa dici?”
“Cazzo, Sante, non lo vedi?”
“Laura… non capisco…”
“Sono una troia… fino a ieri ero lì ad amoreggiare con Sikorsky. Nonostante sapessi cosa gli stesse per accadere… quale donna farebbe una cosa del genere?”
“Laura, di cosa cazzo parli?”

Lei fece per dargli un terzo schiaffo, che lui riuscì ad intercettare, ma gli gridò ancora ed ancora che doveva urlarle in faccia di essere una puttana e prenderla, scoparla come una lurida cagna, con tutta la violenza di cui fosse capace.

Sante non reagì. E questo la fece andare su tutte le furie. Si divincolò dalla presa dell'uomo ed afferrò il tessuto del corpetto, per strapparlo, in un'ira furibonda.
Il suo petto emerse nudo, i suoi capezzoli dritti per il freddo e per la rabbia.
Poi gli afferrò le mani e se le portò sulle mammelle, stringendosi al suo corpo. E cercò di baciarlo.

“Devi scoparmi, ora, perché sono una troia, cazzo!” Continuò a gridargli cercando di slacciargli i pantaloni, cercando di infilargli le mani sotto la cintura.

E Sante capì, finalmente.

Quando le mani di lei si strinsero attorno al suo cazzo, cominciò ad indurirsi. Lei gli avvolse le palle con l’altra e lui sibilò l'offesa richiesta con un tono tanto dolce quanto sprezzante, ma non resistette a baciarla.
La liberò di quel vestito strappato che ancora la copriva lacerando la gonna, le sue carni morbide apparirono nel loro splendore ed il pelo invitante della sua fica urlava di essere profanato.

“E adesso mi fotti come una troia, capito? E pensi solo al tuo piacere. E mi chiavi. E mi vieni dentro. E mi sporchi del tuo sperma”
Si avvicinò all’orecchio di lui e gli sussurrò un ultimo “Sfondami, Sante!”

Sante la afferrò e la spinse verso il tavolino lì vicino. Avrebbe voluto baciarla, ma lei rifiutava le sue labbra: non voleva amore, né piacere, voleva essere usata ed umiliata.
Allora la girò, la piegò e la sbatté pancia sul tavolo, nuda, esposta. Le schiacciò la testa sul legno con una mano e con l’altra la picchiò e le percosse violento le natiche. Lei non fece resistenza e si aggrappò con le mani ai bordi del piano; lui tirò fuori il cazzo dai pantaloni, senza neanche spogliarsi, le divaricò le gambe spingendo con forza le sue. Niente dolcezza, niente delicatezza; premette il cazzo sulle labbra asciutte, soffrì ed esitò per quello che stava per fare, lei implorò ancora e lui la penetrò.
Fu una liberazione entrarle nell’intimità.
Lei guaì di dolore, si morse le labbra ed una lacrima imperlò il suo viso, ma ciò non lo fece desistere, anzi, ne scatenò gli istinti più selvaggi.

Le afferrò i fianchi e cominciò a spingere furiosamente e ritmicamente, finché cominciò a sentire che si lubrificava.

“Tu lo sai cosa devi fare vero?”
“Certo che lo so, troia…”
“Tu lo sai cosa devi fare con la tua puttana, vero?” ripeté con una voce più flebile che si stava incrinando al ritmo delle spinte di lui.
Lui le negò la risposta, continuando a spingere, colpendola con schiaffi che lasciavano marchi che apparivano indelebili.
Il tavolino scricchiolava, come se dovesse presto cedere sotto il peso del corpo violato di lei. Finché, una terza volta lei gli domandò.
“Tu lo sai cosa devi farmi vero?” e lui finalmente indietreggiò, estraendo il cazzo dalla sua vagina, attendendo un ultimo ordine.

Senza cambiare posizione, il viso girato verso di lui, sollevato un poco dal tavolo, allargando ancora un poco le gambe, gli intimò:
“Sfondami il culo, stronzo, che sono il tuo buco. Sono solo un buco. Laura non esiste più! Laura è morta!”

Sante le fu di nuovo addosso, la mano su viso, la faccia che sbatté nuovamente sul tavolaccio. Con la mano cercò il suo retto, si bagnò il pollice e glielo infilò dentro, per prepararla.
Lei non fece resistenza. Lei non proferì alcun suono. Solo spinse ancora un poco più in su il sedere.
Sante si afferrò l’arnese e lo punto sull’ano di Laura.
E spinse, senza troppi complimenti, sentendola cedere.
Rimase fermo per un po’ in quella posizione, guardandola, in adorazione della sua schiena e dei suoi glutei schiacciati contro il suo bacino.

“Cosa aspetti?” gli chiese lei.

“Ti amo.” Rispose lui.
E diede il colpo finale.
Non ci volle molto che lui le venisse in culo.

All’arrivo dei suoi fiotti caldi, a Laura sembrò di morire, sentendosi in pace.
Finalmente.



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OPERAZIONE MINCEMEAT, STORIA DI UN INGANNO
Episodio 6: Amore e Morte

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pollini_viaggi@virgilio.it
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2025-01-05
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