Tre Desideri

di
genere
trio

Ero seduta sul bordo del letto con i talloni vicino ai glutei, ginocchia larghe, le parigine a fasciarmi le gambe, la fica esposta e le mie dita che la allargavano.
Pensavo che forse non ero pronta a quella situazione, che non era mai stata tra le mie fantasie.
Ma l’inerzia del sesso del pomeriggio, in cui avevano soddisfatto quel mio desiderio, e l’andamento sinuoso della traccia di dub in sottofondo, rendevano ovattati i miei pensieri.
Un “perché no?” si affacciò alla mia mente, e lo feci.
Lui, ai miei piedi, sembrò apprezzare. Ma d’altra parte era stata una sua richiesta.
Vederlo perdere la testa, abbandonare la lucidità a causa di quello che stava succedendo, era una sensazione strana, che mischiava un lieve disagio alla tenerezza per quell’uomo ad un senso di autocompiaciuto potere.

L’altro, sul letto dietro di me, che osservava da sopra la mia spalla, sembrò altrettanto soddisfatto, una lenta masturbazione che non si sarebbe interrotta presto.
Lo sentii che mi baciava il collo, la piacevole sensazione delle sue labbra sulla mia pelle, ad aggiungere stimolo a stimolo.
Chiusi gli occhi, mentre il mio corpo si rilassava.
E per un attimo mi sentii in pace con il mondo, seppur in quella assurda situazione.

+++

Li guardavo.
Ne avevamo parlato prima, quando eravamo seduti in quel bistrot, ed ora stava accadendo.
Lei distesa di fianco sul letto, lui dietro di lei, una mano le teneva sollevata la gamba.
Non era la vulva l’apertura che lui stava violando. Vulva che, ad ogni suo affondo, cambiava forma, si allungava in maniera oscena.
Lei cantava uno strano suono continuo dalla gola, un lamento come di animale ferito, ritmico, abbandonata ai colpi di lui.
I suoi seni nudi, la testa all’indietro, gli occhi chiusi, le dita che occasionalmente si allungavano sul proprio clitoride per poi tornare a tormentare i capezzoli.
Schiaffi sul culo ad intervalli irregolari, come strappati dalla foga del sesso.
Il rumore delle loro carni che sbattevano regolarmente, il sedere di lei contro il suo bacino.
Cazzo, con quelle parigine era irresistibile.
Li guardavo.

Non resistetti, e scivolai sul letto, infilando la testa tra le sue cosce divaricate dalla presa di lui.
Le baciai la pancia, le baciai la fica, mi riempii i polmoni dell’odore di donna.
I suoi feromoni che contaminavano i miei bronchi mi resero indifferente alle palle di lui che ballonzolavano a pochi centimetri dalla mia faccia, mentre le leccavo la carne dolente, mentre mi abbeveravo della sua umidità, mentre lui la violava.

Dal ritmo che accelerava capii che probabilmente sarebbe venuto presto.
Forse mi avrebbe sporcato.
Ma non mi fregava nulla.
Pensavo solo a mangiarla, vorace, negli occhi i suoi capelli mossi non troppo lunghi, ad incorniciare un viso delicato, ed un’espressione intelligente ed interessata.
Espressione intelligente ed interessata che non aveva ora.
Anzi, i suoi lineamenti ora deformati ed un po’ dementi, persa nella sensazione di essere posseduta.
Ma tanto non la potevo vedere, perché la mia faccia era affondata nella sua fica mentre lui la inculava.

Più tardi, mentre dormivano, mi sarei disteso dietro le sue spalle, ne avrei baciato la schiena nel sonno, sarei sceso giù fino ai glutei, che avrei delicatamente allargato, per non disturbarla.
Il suo sfintere arrossato dallo sfregamento, ci avrei soffiato sopra, per darle un poco di sollievo, e poi l’avrei leccato dolcemente, per lenire l’irritazione
(“Il suo roseto per me può anche spernacchiare Gigi d'Alessio. Sarebbe comunque più delicato di molti altri roseti che ho assaggiato in vita mia.” mi aveva detto lui, fantasticando del suo culo. Quella battuta mi aveva fatto scompisciare e mi tornava in mente ora che mi ci dedicavo con devozione, trattenendo con difficoltà una sommessa risata)

+++

Eravamo seduti noi tre al tavolino di un bistrot.
Una candela al centro protetta da una struttura di metallo.
Due birre ed un calice di vino.
E non era lei a bere il vino.
Erano due ore che parlavamo di letteratura, cinema, erotismo, musica.
Un vivace contrappunto di voci, che si alternavano e si sovrapponevano, rubandosi gli spazi.
Discorsi che lentamente erano scivolati su temi sensibili.

Finchè lei ci aveva fatto quella confessione.
Aveva ammesso quel desiderio, a due uomini, seduti al tavolino di un bistrot con lei, le teste leggere per l’alcool a stomaco vuoto. Una candela al centro.
Noi ci eravamo guardati.
Cazzo che maiala!
Anche se lei si era concessa qualche lieve cenno di imbarazzo, distolto lo sguardo di tanto in tanto, dietro gli occhiali, torturato qualche ricciolo dei capelli scuri, mentre le oscene parole fluivano dalle sue labbra.
Si capiva che aveva dovuto prendere la rincorsa, terminando il fiato nel descriverci i dettagli di quella sua fantasia.

“Ok…qualcun altro qui vuol mettere sul tavolo un proprio desiderio inespresso?” ci aveva infine incalzato.

Attimo di silenzio. Io certo che l’avevo un desiderio da confessare, ma non volevo essere il primo a parlare.
Lo fece lui:
“Senti: io sogno che una come te mi pisci addosso!”
SBAM!
Lei rinculò dalla sorpresa.
Li osservai fissarsi attoniti attraverso le doppie paia di lenti.
Il tipo aveva fegato.
“Perché?” la domanda di lei prese persino me alla sprovvista, ma lui non si scompose.
Bevve il suo vino, e sembrò riflettere. Come rispondere a quella legittima domanda un po’ del cazzo?
Perché uno vorrebbe che una donna gli pisciasse addosso?!
“Non so. E’ l’avere accesso a qualcosa di te che normalmente resta nascosto, privato.
Quotidiano ma sporco.
Naturale ma proibito.
Uno ti guarda, intellettuale, attraente, l'espressione sempre curiosa, quei cazzo di occhiali.
Probabilmente tu non fai pipì. Uno penserebbe che al massimo pisci champagne!
La gente probabilmente ti vede come le attrici nei film americani, che mica vanno al bagno.
E invece no: è la parte sporca e quotidiana di te che desidero, il tuo odore alla fine di una giornata faticosa, il tuo sapore acre!”

Come dargli torto?
Bevvi una sorsata della mia birra, un cortocircuito nella mia testa in quel gesto.
Un pensiero intrusivo.
Non riuscii ad evitare di immaginarla scureggiare.
E quasi mi strozzai con la birra.
Quel pensiero inespresso, che tenni per me, nonostante un attimo prima si parlasse di urina.
Nonostante un attimo prima lei ci avesse confidato quanto nascosto nel profondo delle sue mutandine.

Cazzo, avrei voluto violare quella rosellina capace di un peto.
Chi non avrebbe voluto?
Dovevo solo dirlo.
Poggiai la birra.
E finalmente parlai, ed espressi il terzo desiderio.

Di nuovo silenzio.
Le macchine che scorrevano rumorose sui sanpietrini a qualche metro dal nostro tavolino.
Lei si allungò sul portacandela al centro del tavolino e, facendo schermo con una mano, quasi sfiorandolo, soffiò da quelle cazzo di labbra, spegnendo la fiamma.
Poi si alzò.
Mi cadde l’occhio sulla striscia pelle delle sue gambe che faceva capolino tra la gonnellina e le parigine.
Finì la sua birra in un sorso, sbattendo rumorosamente il boccale vuoto sul piano di metallo.
Sono certo di aver colto un guizzo negli occhi di lui che brillarono nel guardarla bere.

“Ok: chi ci mette casa?”
scritto il
2024-11-22
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