Sei un personaggio (in cerca d'autrice)

di
genere
etero

Quale era la probabilità associata ad un evento del genere?
Quante possibilità c’erano che una tale casualità si avverasse?
Il professore di matematica ero io, ma quel calcolo proprio non riuscivo a impostarlo.
Eppure, il senso comune mi diceva (come avrebbe detto a chiunque altro) che la probabilità era bassissima.
Ciononostante, era accaduto.
E forse, fu tale intuizione a convincermi a concedermi un azzardo che non sarebbe stato nel mio pudico stile, altrimenti.
Perché, nell’istante in cui la donna mi aveva posto quella domanda, avevo passato in rassegna tutti i parametri con cui impostare l’equazione.
Salvo decidere, alla fine, di metterle una mano su una delle sue morbide tette e baciarla, senza aver calcolato quel cazzo di percentuale.

Perché le variabili erano veramente innumerevoli, e le connessioni tra gli eventi impossibili da tenere sotto controllo.
- Un’ora di buco che avevo dovuto coprire in quel liceo linguistico
- Una studentessa che mi chiede di rispiegare le scomposizioni in fattori di polinomi, in preparazione di una verifica che avrebbero avuto con la loro docente di ruolo
- Una lezione improvvisata ma tutto sommato sufficientemente chiara
- Un guizzo biografico per tenere alta l’attenzione nonostante l’ora di buco (incluso il ricordo del mio professore di Analisi I scrivere alla lavagna i pochi termini dell’equazione che regola le nostre vite e tutto l’universo)
- Il sottoscritto che quel giorno stesso acquista un biglietto in galleria per uno spettacolo al Teatro Argentina
- La madre della studentessa che acquista anch’ella un biglietto per lo stesso spettacolo
- Il sistema di Vivaticket che casualmente assegna entrambi i biglietti allo stesso palchetto da quattro, ma in cui saremo solo noi due.
Tutto il resto, erano carte da giocare, ma certamente il buon Dio, per una volta, aveva fatto un lancio di dadi molto benevolo con il sottoscritto.

Chiacchiere nel pre-spettacolo, per ingannare l’imbarazzo di trovarsi - due sconosciuti - nello stesso spazio angusto tappezzato di velluto rosso, il solito caldo atroce del teatro Argentina che costringe la donna a liberarsi di soprabito e cardigan, per mostrare un torso generoso, una camicetta leggera che le lascia una spalla nuda.

“Quindi sua figlia fa il linguistico a quel liceo?”
“Certo, lo conosce?”
“Ero lì per una supplenza proprio lunedì scorso”
“Veramente? Aspetti… mia figlia mi ha accennato ad un prof che vive poco fuori Roma, e che ha raccontato alla classe un buffo aneddoto su una certa equazione dell’universo…”

Rimango senza parole, sto per risponderle e proprio in quell’istante si spengono le luci.
D’altra parte, i miei tempi di reazione nella nostra conversazione erano stati ostacolati dall’agitarsi del suo decollete, per l’eccitazione che la donna metteva in ogni suo racconto.
Avendomi fatto partecipe di una incredibile serie di dettagli personali nei 10 minuti che avevamo passato assieme.
Divorziata, tre figlie, un impiego nel settore delle rinnovabili, qualche domenica estiva passata presso il paese del litorale laziale in cui vivo
Lei che mi fissava attraverso gli occhiali.
Io che cerco di non guardarle le tette.

Lo spettacolo è esilarante. E non privo di pungenti volgarità.
“A Boston Marriage”, di David Mamet.
Una commedia con tre personaggi femminili: due legate in passato da un rapporto sentimentale, ma la più giovane che si è presa una cotta per una ragazza, scatenando nella donna più matura liriche esclamazioni di disperazione che si rifanno ai classici greci, intervallate a triviale offese verso la timida governante che si affaccia saltuariamente sul palco.
Le risate irresistibili squassano il petto della donna che condivide con me il palchetto.
Finiamo più d’una volta a scambiarci sguardi di intesa per una battuta, lei che si protende verso di me ridendo in quelle più spinte.
Capita frequentemente che mi poggi una mano sulla coscia.
Fingo indifferenza, nel mio stile un po’ antico, un po’ vigliacco.

Ma durante la pausa possiamo riprendere il discorso.
Nel foyer prendiamo qualcosa da bere, per contrastare il calore. Lei spesso che si avvicina al mio viso accorciando le distanze.
“Guardi, ho come il sospetto che sia stato io nella classe di sua figlia!”
“Ma ovvio, ha anche il dubbio? Certo che era lei con quello che mi ha detto, non serve un ingegnere per capirlo!”
“E la verifica come è andata”
“Proprio questo volevo dirle: un 7, che non prendeva da tempo. Convinta di essere una frana con la matematica. Ma dice che la sua spiegazione l’ha aiutata. Siamo in debito!”
“Si figuri. Non si può immaginare quanto mi renda orgoglioso questa cosa, ogni volta…”
“E fa bene…senta, mi accompagni al bagno, devo fare pipì, prima che riparta lo spettacolo!”

Un brivido mi percorre la schiena di fronte alla confidenza, continuiamo a chiacchierare percorrendo l’arco del teatro, fino ai bagni in fondo al corridoio.
Lei entra, io la guardo di spalle sparire dietro la porta, la gonna che la fascia in maniera sensuale.
A tenermi compagnia nell’attesa, il solito lavorio della mia instancabile mente;
controllo di tanto in tanto il cellulare, ma nel teatro la connessione è pessima.
Una voce di donna annuncia che il secondo atto riprenderà in pochi minuti e la donna ricompare dal bagno.
“Che cazzo… neanche fossimo allo stadio…” colgo una sua imprecazione, ma non faccio domande e torniamo rapidi al nostro palchetto.

“Che ne direbbe di venire a dare ripetizioni a mia figlia?”
Ci chiudiamo la porta alle spalle, riprendendo i nostri posti.
“Guardi, sarebbe un piacere, ma ho delle giornate piuttosto complicate in questo periodo.”
La luce si spegne, il sipario si riapre, la scena cambiata di poco, che la piece mantiene una unità di scrittura.
“Coraggio!” mi poggia nuovamente una mano sulla gamba.
“E’ lei il professore di matematica: quante probabilità c’erano che dividesse lo stesso palchetto con la madre di una studentessa a cui ha fatto un’ora di supplenza, in una città come Roma?”
Ecco: era in quel momento, fissandola in viso, un suo sorriso ammiccante, i nostri occhi divisi da qualche decina di centimetri e dai rispettivi occhiali, che provai ad impostare l’equazione di calcolo combinatorio.
Gettando nel calderone tutte le variabili possibili, alla ricerca delle relazioni che mi avrebbero permesso di venir fuori con un numero – se non preciso – almeno realistico.

Ma io sono una pippa a fare i calcoli a mente, lo dico sempre ai miei studenti.
Ed il mio cazzo la risposta me la suggerisce con precisione chirurgica: era un evento al limite dell’impossibile, quindi c’era una sola cosa da fare.
Le misi una mano sul seno. E la baciai.

La donna non si ritrasse. Né mi appioppò un ceffone.
Si strinse invece la mano al petto, accogliendo le mie labbra, lasciando che le nostre lingue si incontrassero.
Aveva un buon sapore, che mi piaceva gustare con calma, complice l’aperitivo di poco prima.
Le sue dita mi accarezzarono il viso e fu un contatto dolce da sentire.
Anche il suo profumo era piacevole, non appesantito da inutili essenze alcoliche, naturale, femminile.

Dal palchetto sulla destra potevo sentire un lieve rumore familiare (qualcuno che russava, il sonno conciliato dalla temperatura), quello a sinistra rimasto vuoto in quella domenica pomeriggio.
Non avremmo rischiato incidenti diplomatici, a meno che una maschera non si fosse improvvisamente affacciata dalla porticina.
Ma in quel momento non ci stavamo pensando.

La mia mano scivola sul suo ginocchio, avventurandosi in mezzo alle sue cosce, che aveva finalmente allargato.
“Attento…” mi sussurra “che sembra che la fondazione del teatro di Roma non abbia abbastanza finanziamenti per pagare la carta igienica nei bagni. Non ho potuto asciugarmi prima!”
La prendo per una dichiarazione d’amore.
Pura e semplice.
Sentire la sua carne attraverso le mutandine di cotone, umida, è un piacere difficile da spiegare: come descrivere una sensazione sulla punta dei miei polpastrelli che sembra competere con ogni altra che possa provare al basso ventre?
Il senso di una intimità inaspettata, la prova di essere benaccetto lì in mezzo.
Il clitoride preme sulle mie dita attraverso il tessuto, mentre la donna sospira.
Superare quella barriera e bagnarmi di lei, mentre le nostre salive si mischiano, fanno percepire a me, stavolta, un’umidità incontrollata sulla punta del glande.

Nel frattempo, la matura matrona sul palco acconsente a prestare le proprie stanze per un incontro tra la sua ex-amante e la ragazza.
Ad un patto: che lei possa rimanere presente all’incontro, in qualche maniera.
E godersi lo spettacolo dell’amplesso delle due giovani.

“Il testo sembra sempre più interessante” commento staccando le mie labbra da quelle della donna.
“Hai ragione” mi risponde lei “quasi dispiace perdere lo spettacolo, ed è l’ultima replica…”
“Avrei una proposta!”

Mi ascolta, attenta, nonostante le mie dita che continuano a massaggiare dolcemente il suo clitoride.
Ma alla fine mi risponde:
“Devi essere un fake…non ti avessi davanti non ci crederei. Sei un personaggio…”
Le sorrido, prendendolo come un complimento.

La donna scosta un poco la sedia dalla balaustra del palchetto, facendomi spazio, sollevando la gonna e sfilando le mutandine.
Io ho finalmente la libertà di inginocchiarmi davanti a lei, che così potrà continuare a seguire la godibile piece teatrale.
Io potrò invece godere del profumo della pelle delle sue cosce, risalendo lungo le gambe a piccoli tratti, per gustarne il sapore, l’odore di femmina a guidarmi verso la sua intimità.
Ok, un’altra donna saprà sicuramente dedicarsi a quelle labbra meglio di me, ma la tipa non sembra lamentarsi.
E non sono sicuro che riesca a seguire esattamente lo svolgersi della commedia, più in basso, sul palco.

Ma ogni risata che le sfugge, è una contrazione delle sue carni sulla mia bocca.
E a me sembra di impazzire, le mie dita che stringono i suoi fianchi per non perdere il controllo.
Sentire la sua umidità riversarsi sulla mia lingua, mi disseta e mi rinfranca dal caldo torrido che regna nel palchetto tappezzato di velluto cremisi.

Ecco, solo una cosa rischia di farmi perdere il momento, ad un certo punto.
Mentre continuo a dedicarmi alla sua fica, tra un sospiro e l’altro, la sento commentare una cosa tipo:
“Sai…scrivo su un sito di racconti erotici…e mi ricordi un sacco un altro autore…”
Si interrompe un attimo, quando con la lingua entro nella sua vagina, il naso che preme su suo bocciolo:
“Ma quante possibilità ci sono che sia proprio tu?”

Mi paralizzo per un attimo, oscure formule di statistica che ripartono nella mia testa.
Solo aspirare l’odore della sua fica mi salva.
‘Sticazzi la statistica! Le succhio il clitoride, fuori controllo!
Lei solleva il bacino e posso lasciare scivolare le mani sotto il suo sedere, le dita che si affacciano sul buchino là sotto.
Le scappa un gridolino.
Il vicino smette di russare.

Un gran lancio di dadi, buon Dio!


NdA: ero tentato dal titolo STATISTICAZZI.
Ma sarebbe stato sabotarsi come al solito
pollini_viaggi@virgilio.it
scritto il
2024-10-19
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