La Guardia Imperiale
di
suo schiavo
genere
gay
Un signorotto di bella presenza una volta all'anno faceva ritorno nei suoi possedimenti dislocati in Siberia per farsi presentare e per conoscere di persona i giovanotti che avevano varcato la maggior età e che erano abili ad essere arruolati sotto le armi, andando o infoltire dopo un debito e duro addestramento un battaglione di arditi, del quale egli era al comando, che faceva da scorta nei suoi spostamenti all'angusto sovrano di tutte le russie. Al loro arrivo a Mosca ignari di tutto ciò che li aspettava da allora innanzi venivano segregati in una stanza, spogliati completamente dei loro abiti plebei e sottoposti a visita medica. Successivamente per alcuni giorni di fila erano tenuti nudi e in quarantena all'addiaccio in quello che si chiamava il “Recinto”, dove due volte al dì erano costretti ad alimentarsi abbordando a quattro zampe una vasca che conteneva il loro rancio, intorno alla quale si precipitavano a prendere posto come una mandria affamata, sgomitando e litigando per farsi largo nella mischia. Lo spettacolo sculettante di quei novizi tutti in fermento per accaparrarsi e divorare la maggior quantità di cibo che era loro possibile, a bella posta razionato e mai sufficiente a saziarli tutti, era molto gradito ai loro guardiani che intervenivano per disciplinarli a suon di sferza e poi si divertivano a lanciare loro al volo pochi bocconi di quello che chiamavano il “dessert” costituito da fette di pane secco intinte nel brandy. Tale trattamento serviva a fargli provare avvilimento e frustrazione al punto giusto rendendoli più che pronti a entrare nei ranghi come umili e ubbidienti matricole al servizio dei veterani che senza miserie li spadroneggiavano. Per aumentare ancor più il loro spirito di abnegazione e renderli sottomessi ai capi per un mese intero di notte ciascuno di questi novizi veniva imboscato a buscarsi due o tre verghe nel culo da etero a etero. I pochi che si dimostravano riluttanti a prestare tale servizio o che se ne lamentavano venivano spediti in isolamento a pane e acqua, più acqua che pane, e ne ritornavano rinsaviti. Superata tale prima e snervante gavetta entravano a far parte a buon diritto di quella truppa di elité. la migliore e la più rispettata di tutto l'esercito, all'interno della quale era consuetudine che i più anziani li convocassero ancora, fino allo scoccare del dodicesimo mese, al mattino a lustrare di buona lena i loro stivali chini ai loro piedi in mezzo al piazzale delle adunate e la sera di tanto in tanto in balia del loro arbitrio a sopportare ulteriori mortificanti abusi anali utili però a rafforzarli e ad inquadrarli definitivamente nel rispetto assoluto della gerarchia. Secondo il codice non scritto osservato per tradizione da tutti gli appartenenti a quel corpo scelto “a culo esposto e ben bene violato, si da forma e beltà ad ogni soldato”. Va da sé che una volta ammessi come camerati a tutto tondo, con pari diritti e doveri rispetto a quelli che vi militavano già da qualche anno, non andava via molto che ciascuno di essi non vedesse l'ora di rendere pan per focaccia ad ogni successiva nuova infornata di reclute che giungeva in caserma, a rivincita e a riscatto del disonore che avevano per avanti patito.
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