Una fottuta troia

di
genere
dominazione

Non è dolce. Non è lento. È una fottuta aggressione, ed è tutto quello che voglio. Le sue spinte sono violente, rapide, ogni colpo mi scuote il corpo come se fosse un terremoto. Il letto cigola, il cuscino soffoca i miei gemiti, ma lui non si ferma. Non si fermerà finché non mi avrà spaccata, finché non avrà preso tutto quello che può da me.
Le sue mani affondano nei miei fianchi, mi tira verso di lui come se fossi un oggetto da usare, e io lo amo per questo. Lo amo perché mi sta distruggendo. Perché non gli importa se piango o se urlo.
Sento un dolore che si mescola al piacere, un misto di lacrime e risate isteriche che mi esplode in gola. Mi sta deflorando ancora, anche se l’ho già fatto mille volte. Mi sta martoriando come se fosse la prima, e forse lo è, perché nessuno mi ha mai preso così.
Quando il mio corpo si spezza, lo fa in un’ondata di piacere violento che mi strappa l’anima. Urlo contro il cuscino, le unghie che graffiano il materasso, e lui mi segue, spingendo ancora più forte, riempiendomi finché non ne può più.
Crolliamo insieme, sudati, ansimanti. Sento il suo sperma caldo dentro di me, una colata che cola tra le mie cosce, e non voglio lavarmi. Voglio tenerlo addosso, voglio che il suo odore mi ricordi cos’è successo qui.
«Hai avuto quello che volevi?» mi chiede con voce roca.
Mi volto verso di lui, il corpo ancora tremante. «Non è mai abbastanza.»
Lui ride, quella risata sporca e bastarda che mi fa venire voglia di ricominciare subito. Perché non voglio dolcezza. Voglio essere distrutta, ricostruita e distrutta di nuovo.
Siamo ancora lì, sporchi, appiccicosi, con il fiato che puzza di sesso e sigarette. Non c’è aria nella stanza, ma a chi cazzo importa? È come se l’ossigeno lo stessimo respirando l’uno dall’altra, tra un respiro e l’altro, tra una scopata e quella che verrà.
Lui si alza dal letto senza neanche guardarmi. Si passa una mano tra i capelli spettinati, si accende un’altra sigaretta e se ne sta lì, in piedi davanti alla finestra aperta. Il vento gli sbatte contro, ma è ancora caldo del mio sudore.
Io resto stesa a pancia in giù, le gambe spalancate, il cazzo della notte ancora impresso tra le cosce. Mi fa male. Cristo, quanto mi fa male. Ma quel dolore è la mia droga. Più ne sento, più ne voglio. La carne deve pulsare. Le ossa devono tremare.
«Sei ancora sveglia?» chiede, tirando una lunga boccata di fumo.
«Sì.» Mi lecco le labbra secche. Il gusto di lui è ancora lì, misto al mio sudore, al mio umore. Un cocktail velenoso che mi rende dipendente. «Che vuoi fare?»
Lui si volta verso di me. Gli occhi sono scuri, pesanti, come se stesse scavando in fondo al mio cervello, ai miei desideri. Sa già cosa voglio. Sa che non basta mai.
«Ti faccio male davvero questa volta?» chiede. Non sorride. Non scherza. È serio. Il mio stomaco si stringe, ma non è paura. È anticipazione. Mi sto bagnando di nuovo solo a sentirlo parlare.
Annuisco. Sì, fammi male. Sfamami con la tua violenza. Prendimi come se fossi l’unica cosa che ti è rimasta.
«Allora metti la faccia a terra.»
Mi giro senza pensare, con il cuore che mi esplode nel petto. Il pavimento è freddo contro le guance, il legno ruvido mi graffia la pelle. Lo sento avvicinarsi dietro di me, i passi lenti, come se volesse farmi aspettare ancora un po’. Ogni secondo è un tormento, ma cazzo, quanto mi piace soffrire per lui.
Mi afferra i capelli e li tira indietro, costringendomi a sollevare la testa. Il collo mi fa male, ma non mollo. «Sai cosa sei, vero?»
«Sì.» La mia voce è un gemito soffocato.
«Dillo.»
Porca troia. Mi si chiude la gola, ma le parole escono comunque. «Sono la tua puttana.»
«Di più.» Mi tira i capelli più forte. «Dillo meglio.»
«Sono la tua troia. La tua schiava. Il tuo fottuto giocattolo.» Sento le lacrime bruciarmi gli occhi, ma sono calde come il piacere che mi si sta raccogliendo tra le gambe. Sono sua. E voglio essere sua finché non mi distrugge del tutto.
Mi piega in avanti, il viso ancora contro il pavimento, e questa volta non c’è niente di lento o delicato. Mi penetra con la stessa forza con cui mi ha afferrato i capelli, senza grazia, senza chiedere permesso. Il pavimento scricchiola sotto di noi mentre mi prende, le sue mani affondate nei miei fianchi come se volesse spezzarmi in due. Ogni spinta è una bestemmia, ogni colpo è un insulto al pudore.
«Così ti piace?» ringhia contro il mio orecchio, il fiato caldo sulla mia pelle sudata.
«Sì! Dio, sì!» Urlo così forte che qualcuno potrebbe sentirci, ma non me ne frega un cazzo. Voglio che sentano. Voglio che sappiano cosa mi sta facendo.
Le sue spinte diventano più profonde, più violente. Sento il dolore mescolarsi al piacere, una fitta che mi trafigge il ventre e mi fa vedere nero. Sono sul punto di svenire, ma cazzo se mi fermo ora. Mi aggrappo al pavimento con le unghie, lascio segni che non andranno via, come quelli che lui sta lasciando dentro di me.
Quando vengo, è come un’esplosione che mi strappa via ogni respiro. Urlo, tremo, piango, e non so più dove sono. L’unica cosa che sento è lui, che continua a spingere dentro di me, che mi riempie fino a svuotarmi.
Lui si piega sopra di me, le sue mani ancora attaccate ai miei fianchi. Mi morde la spalla con una violenza che mi fa sussultare, e poi lo sento: il suo corpo che si tende, il calore che mi riempie ancora una volta. È finita. Sono distrutta. E cazzo, lo amo per questo.
Crolliamo entrambi sul pavimento, il fiato corto, i corpi incollati dal sudore e dal peccato. Non parliamo. Non serve. Lui si accende un’altra sigaretta e io chiudo gli occhi, ancora tremante.
Forse morirò qui. Forse domani non mi alzerò dal letto. Ma so che, se ci riuscirò, tornerò a chiedergli di farmi a pezzi ancora.

scritto il
2025-02-07
2 . 2 K
visite
3 8
voti
valutazione
5.2
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto sucessivo

Fallo, Stronzo
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.