Il diario di mia moglie - racconto 4

di
genere
prime esperienze

Dopo diversi tentativi di lui, lei finalmente cedette. Erano adolescenti, pieni di quell’energia inquieta che li spingeva a sfidarsi a vicenda, e accadde un sabato pomeriggio, in un angolo nascosto del parco vicino casa. L’erba era alta, ancora umida dalla pioggia del mattino, e l’aria odorava di terra e foglie bagnate. Si erano seduti dietro un vecchio albero storto, lontano dagli occhi dei passanti, con il rumore dei bambini che giocavano in lontananza a fare da sottofondo. Lui l’aveva guardata con quel sorriso storto che le faceva battere il cuore, e lei, dopo giorni a dire di no, si era arresa – non per stanchezza, ma per una curiosità che ormai non poteva più ignorare.
Si era chinata verso di lui, i jeans che sfregavano contro l’erba, e la prima volta fu un caos di sensazioni: il calore della sua pelle contro le labbra, un gusto salato e un po’ acre, come il mare mischiato a qualcosa di più ruvido, più vivo. Era strano, quasi invadente, ma allo stesso tempo la faceva sentire potente, come se in quel momento fosse lei a decidere tutto. Lui aveva trattenuto il fiato, poi aveva lasciato uscire un suono basso, un gemito che le vibrò dentro, e lei capì che non sarebbe più tornata indietro.
Da quel giorno, fu la svolta. Ogni pomeriggio trovava una scusa per cercarlo, un desiderio che le cresceva dentro come un’onda. A scuola, si infilavano nel bagno dei maschi durante l’intervallo, quello vicino alla palestra dove nessuno andava mai. L’odore di cloro e gomma delle scarpe da ginnastica si mischiava al sapore di lui, a volte più intenso dopo l’ora di educazione fisica, quando la sua pelle era ancora calda e sudata. Lei iniziò a notare ogni sfumatura: la consistenza morbida che le scivolava sulla lingua, il modo in cui il suo respiro si spezzava quando lei si fermava un attimo, solo per guardarlo e vedere i suoi occhi socchiusi.
Poi ci fu il camerino del grande negozio di abbigliamento in centro. Era un martedì pomeriggio, avevano bigiato l’ultima ora e si erano messi a girare tra gli scaffali, ridendo per niente. Lui aveva preso una maglietta a caso e l’aveva trascinata nel camerino, tirando la tenda con un gesto rapido. Lo spazio era stretto, pieno dell’odore di tessuto nuovo e del suo deodorante economico, quel profumo agrumato che lei ormai riconosceva ovunque. Lì, con il rischio di essere scoperti che le faceva tremare le mani, tutto sembrava più forte: il gusto di lui, più deciso, quasi pungente, si mescolava al battito accelerato del suo cuore. Le sue dita le sfioravano i capelli, un tocco nervoso ma deciso, e lei si perdeva in quel mix di sensazioni – il calore nella bocca, il rumore attutito della musica del negozio, la paura e l’eccitazione che si intrecciavano.
Ogni volta era diverso. Al parco, il vento portava l’odore dell’erba e il sapore di lui sembrava più selvatico, quasi terroso. A scuola, dopo una lezione noiosa, c’era una nota dolce, forse dal succo di frutta che aveva bevuto a pranzo. Nel camerino, con lo specchio che rifletteva i loro movimenti, era tutto più crudo, urgente, come se il tempo stesse per scadere. Lei adorava il modo in cui ogni dettaglio la travolgeva: la tensione nei muscoli di lui, il modo in cui la sua voce si incrinava quando cercava di restare zitto, persino il leggero bruciore sulle labbra dopo, che le ricordava cosa aveva fatto.
Un pomeriggio, mentre si rialzava dall’erba del parco e si puliva la bocca con la manica della felpa, lo guardò e disse: “Non so se sono io che lo voglio o sei tu che me lo fai desiderare.” Lui rise, una risata corta e un po’ imbarazzata, e lei gli sorrise indietro. Ma mentre tornava a casa, con il sapore di lui ancora sulle labbra, un pensiero le attraversò la mente, improvviso e pericoloso: Chissà com’è il sapore di qualcun altro. Quel pensiero la fece fermare un istante, il cuore che batteva più forte, e per la prima volta si chiese se quel desiderio, ormai così suo, potesse portarla ancora più lontano.

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scritto il
2025-02-21
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