Le colpe di una mamma… …e l'ossessione del figlio… Ultimo episodio.
di
LorenaTh
genere
incesti
…ripensandoci, forse la prima volta che notai qualche cosa di strano fu quella mattina: “Simiiii, dai alzati! Sono le dieci, tirati su dai! La colazione è pronta!”
Sembrava una mattina come tante altre mentre toglievo le posate pulite dalla lavastoviglie e le mettevo nel cassetto, quando lui arrivó in cucina sbadigliando, insonnolito e scalzo come gli piaceva girare per casa in quelle mattine afose di estate.
“Buongiorno” gli dissi facendogli un amorevole sorriso mentre mi voltavo verso lui.
“Buongiorno” mi rispose svogliatamente mentre si stiracchiava e sbadigliava.
Distolsi immediatamente lo sguardo per la vergogna e tornai a frugare nel cassetto facendo finta di nulla, ma il rossore del mio viso tradiva l’imbarazzo per quello che avevo appena visto: con solo indosso quel suo sottile pigiamino estivo di cotone, la sua erezione spiccava in tutta la sua evidenza.
Tra me e me scioccamente ridacchiavano orgogliosa pensando: “Dio mio quanto ce l'ha grosso! Farà felice un sacco di ragazze con quel arnese che ha lì sotto il mio bambino.”
Il mio bambino… Ormai Simone era cresciuto parecchio, era un uomo adulto, era molto più alto di me ed era diventato più alto persino di quanto lo era stato suo padre, ma io ancora lo consideravo un cucciolo.
Oltre ad essere alto, Simone aveva un fisico asciutto e longilineo, era senza dubbio un bel ragazzo ed io ne ero molto orgogliosa.
Quella fu solo la prima volta che notai la sua erezione, ma le mattine seguenti di quell’estate era ormai una prassi; lo svegliavo, si alzava ed arrivava in cucina con il suo pene duro: “Sembra avere un palo della luce nelle mutande” ridevo tra me e me, pensando che fosse una cosa normale per un ragazzo avere la classica erezione mattutina, ma mi sbagliavo…
Qualche dubbio in più però mi venne quella volta in doccia…
Non ero avvezza a chiudere la porta a chiave e di solito la accostavo soltanto per una questione di sicurezza, in caso di emergenza, non si sà mai pensavo e fino a quel giorno non avevo mai avuto pensieri di cui preoccuparmi, quella volta però mentre l'acqua della doccia scrosciava rumorosamente, vidi attraverso i vetri opachi la porta aprirsi.
Spaventata da quell’ombra che si era intrufolata silenziosamente in bagno chiamai mio figlio, unica altra persona presente in casa: “Simiii?”
"Sì, sono io, devo pisciare.”
“e non lo puoi fare nell'altro bagno?”
“L'altro bagno non mi piace.”
Non proseguii la discussione oltre, in fin dei conti era mio figlio e continuai a lavarmi non curante di lui.
Prima lavai le braccia, poi le gambe, poi il seno, poi visto che era trascorso un bel pò di tempo mi girai verso il water per vedere se Simone fosse uscito, ma lui era ancora davanti al gabinetto in piedi.
Potevo vedere la sua sagoma deformata attraverso il vetro opaco della doccia, ma quello che mi turbò, furono gli strani movimenti che stava facendo…
Un brivido corse lungo la mia schiena.
Non volevo sapere nemmeno quello che stava combinando, così per togliermi da ogni imbarazzo dissi: “Simi sto uscendo!”
“Ok, ho fatto” mi rispose e uscì finalmente dal bagno.
Non so se quello che immaginavo di aver visto fosse la realtà, ma da quel giorno decisi di chiudere la porta a chiave quando facevo la doccia, così da evitare certi momenti imbarazzanti.
Un segnale ancor più chiaro lo ebbi però pochi giorni dopo: Stavo rovistando tra la cesta dei panni sporchi per caricare la lavatrice, quando l’occhio si posò su un mio perizoma; era arruffato, sporco, con della roba secca attaccata.
Provai un senso di disgusto.
Non avevo indossato quelle mutandine da parecchio tempo e quello sporco era inequivocabilmente sperma secco.
Iniziai a cercare dentro la cesta altri miei indumenti intimi e ne trovai parecchi, almeno una decina ed erano tutti imbrattati di sperma.
Sentii un nodo alla gola ed un senso di nausea allo stomaco.
Presi tutti quegli indumenti sudici e li misi in lavatrice.
Quando il lavaggio finì li lavai ancora e poi ancora.
Mi sentivo violata nella mia intimità e non importava quante volte lavassi quelle mutande, non sarai mai più riuscita ad indossarle nuovamente.
Decisi quindi di prendere un sacco dell'immondizia e di metterle tutte dentro, per poi gettarle nella pattumiera fuori di casa.
Appena rientrai a casa andai diretta in camera, presi tutti gli altri indumenti intimi puliti che avevo nel cassetto e li nascosi nell'armadio in mezzo alle lenzuola, per evitare che Simone li potesse trovare.
Ero preoccupata per mio figlio, ma immaginavo solamente che fosse preda dei propri ormoni e non credevo certo di essere io la sua ossessione…
Passarono altri giorni… e quella mattina, come ogni mattina ormai, arrivó in cucina scalzo e con la sua solita evidente erezione mattutina a cui ormai mi ero abituata.
“Dov'è lo zucchero?” Mi chiese, mentre ero come al solito indaffarata a svuotare la lavastoviglie: “Qui sopra a me nel pensile al centro” risposi senza nemmeno voltarmi.
Lo sentii alzarsi, si avvicinò alle mie spalle e poi si appoggiò a me.
Sentivo distintamente le sue parti intime spingere e strusciare contro il mio sedere mentre fingeva di non trovare il barattolo.
Tentai di schiacciarmi più che potevo contro il piano di lavoro della cucina, ma lui spinse ancora più forte il suo grosso fallo contro le mie natiche inchiodandomi al tavolo.
Con tutta la forza lo respinsi indietro e mi divincolai da quella posizione imbarazzante: “MA CHE FAI!?” Gli urlai.
Il suo viso mutò in un attimo; la sua espressione sorniona di poco prima, divenne di colpo seria, poi arrabbiata.
Mi guardava con occhi carichi di disprezzo per quel rifiuto, come fosse sorpreso di essere stato respinto.
Pieno di collera sbatté sul tavolo il barattolo dello zucchero che si frantumò in mille pezzi: “Vaffanculo puttana” disse tra i denti mentre se ne andò in camera sua.
“COSA? SIMONE TORNA QUI! “ Gli ordinai, ma lui mi ignorò, si vestì ed uscì di casa tornando solo a sera inoltrata.
Da quel giorno il nostro rapporto precipitò, evitava persino di parlarmi.
Passarono giorni e giorni, ma la situazione invece di migliorare continuò a peggiorare e parlare con lui di quanto era successo era fuori discussione.
Passò un mese intero da quella storia della cucina e oramai mio figlio mi trattava da sconosciuta, forse peggio, non voleva più parlare con me e mi guardava con disprezzo e con odio, senza che io ne capissi il motivo.
In questi trenta giorni però le sue perversioni sessuali nei miei confronti erano tutt’altro che finite: Quando usciva dalla doccia, ad esempio, lasciava deliberatamente la porta aperta affinché io lo potessi vedere mentre si asciugava la testa completamente nudo.
Ormai quando mi accorgevo che era prossimo ad uscire dalla doccia, mi chiudevo in cucina così a non essere costretta a dover assistere a quello spettacolo perverso.
Poco servì in realtà perché poco tempo dopo Simone cominciò a girare per la casa completamente nudo.
Quando io ero in sala lui veniva lì per guardare la tv, quando era in cucina arrivava per frugare nel frigorifero in cerca di cibo.
Ovunque mi trovassi, potevo esserne certa, che prima o poi lui sarebbe arrivato lì nudo, esibendo senza alcun pudore il suo enorme pene eretto che ciondolava oscenamente a destra e a manca e a nulla valevano le mie richieste di coprirsi.
Ormai l’atmosfera in casa era davvero pesante.
Quando Simone non si esibiva in quel modo, passava intere giornate chiuso in camera… e pure quella particolare giornata non faceva eccezione…
Chiuso nella sua cameretta di dodici metri quadri, stava ascoltando della musica rock dei Linkin Park ad un volume così alto da risultare molesto.
In quella situazione così pesante, non mi sarei mai permessa di obbligarlo ad abbassare il volume, così mi chiusi nuovamente in cucina, tentando di rimanere tranquilla.
Seduta sulla sedia davanti al tavolo da pranzo, iniziai a guardare le foto della galleria nel mio telefono.
Skippavo le immagini una dopo l’altra facendo scorrere il pollice dal basso verso l’altro, poi d'un tratto mi fermai esterrefatta per quello che stavo vedendo:
Quella che vedevo era una foto scattata al mio stesso cellulare appoggiato sopra al ripiano in marmo del lavandino del bagno.
Sul display acceso del telefono c’era una mia immagine, la quale era parzialmente coperta dal gigantesco glande dell’enorme pene di Simone dopo aver appena eiaculato.
Inorridita, gettai il telefono sopra il tavolo della cucina come se si fosse tramutato di colpo in un serpente.
Non sopportavo l’idea di aver inconsapevolmente tenuto tra le mani un oggetto ricoperto dallo sperma di mio figlio e ancor meno sopportavo che fossi stata io ad ispirare quella sconcezza.
Non sapevo quando avesse inserito quella foto nel mio telefono e non capivo nemmeno come ci fosse riuscito.
Rabbrividii, sentendomi un’altra volta violata nella mia intimità e fui presa da una irrefrenabile ira.
Mi alzai in piedi, rossa in viso per la collera e mi diressi a lunghe falcate verso la cameretta di Simone: “E’ ora di farla finita con questa storia!” Dissi.
Arrivai davanti alla porta chiusa, mentre le note di Numb rimbombavano per la casa e afferrai la maniglia aprendola di scatto…
…ma quello che vedi mi lasciò letteralmente impietrita:
Era di fronte a me, completamente nudo ed aveva indossato, se così vogliamo dire, uno dei miei zoccoli con tacco diciotto sul suo pene, mentre con la mano li teneva accoppiati sfregandoli l’uno sull’altro.
Mentre si masturbava tirando a sé il calzare, vedevo la sua gigantesca cappella gonfiarsi contro la striscia anteriore di pelle dello zoccolo, troppo grossa per riuscire a passare al di sotto.
Aveva l’espressione di un animale e mi guardava negli occhi mentre grugniva.
Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare l’assurda situazione quando dalla parte anteriore dello zoccoletto partirono una raffica di violenti schizzi di sperma che coprirono una distanza inimmaginabile fino a quasi lambire i miei piedi.
Misi le mani avanti in protezione.
Tutta la scena durò solo una manciata di secondi, ma a me sembrò un'eternità.
La rabbia di poco fa si trasformò in disperazione e fuggii.
Presi l’auto e scappai via senza una meta ma il più lontano possibile da quella casa di perversione.
Piansi mentre vagavo da una landa desolata all’altra, da un paesino all’altro e mi chiedevo “Perchè?”
Ero disperata, sola, ma dopo aver vagato per ore, l’istinto materno ebbe il sopravvento: "Devo salvare mio figlio!”
Capivo che l’ultima speranza era un terapeuta, ma convincere Simone ad andarci sarebbe stata un'impresa disperata. Non sarei mai riuscita a portarlo con la forza, per cui avrei dovuto giocare bene le mie carte.
Tornai a casa, entrai con calma ma in modo che potesse sentirmi e andai verso la sua camera.
Era seduto sul letto a giocare con la playstation ancora una volta nudo e mi ignorò completamente.
La cameretta era invasa dal nauseabondo odore di sperma disseminato in abbondanza sul pavimento e sui miei zoccoli.
Entrai, stando attenta a non calpestare il liquido e mi avvicinai a Simone sedendomi al suo fianco tentando di rompere il ghiaccio con una battuta: “Il trentasei ti sta un pò stretto su quell’arnese che hai lì sotto, forse sarebbe meglio un quarantasei”
Quella battuta appena recitata, suonò alle mie stesse orecchie come incredibilmente inappropriata e stupida, ma lui continuò ugualmente ad ignorarmi, ma lo stesso non si potè dire del suo pene,che iniziò inesorabilmente a sollevarsi.
Era bastata la mia sola presenza...
Gonfio, grosso, enorme e pulsante per l’eccitazione, era la prima volta che vedevo il suo gigantesco pene da così vicino.
Era tutto così sbagliato!
Fui presa dallo sconforto ma ugualmente gli dissi: “Simi, dobbiamo parlare”
“Non abbiamo nulla da dirci” Mi rispose nemmeno voltandosi.
“Simi, io voglio trovare un modo per poterti aiutare" Gli dissi amorevolmente.
“Allora prendimi il cazzo e fammi una sega!”
Nonostante tutte le premesse che mi ero fatta la mia soglia di pazienza era già stata ampiamente superata:“Sei una schifoso manico!”
“...e tu sei una puttana!”
La collera si impadronì di me, mi alzai di scatto e gli tirai un ceffone con tutta la forza che ebbi in corpo, facendomi più male io di quanto ne avessi fatto a lui.
Si alzò di scatto anche lui sovrastandomi in altezza ed incombendo minaccioso su di me.
Intimorita feci un passo indietro e tentai di mollargli un altro ceffone, ma prima di riuscire a colpirlo, mi afferrò il polso con forza inaudita e poi prese pure l’altro intrappolando entrambe le mie braccia.
“E’ tutta colpa tu!” Disse ricolmo di rabbia mentre digrignava i denti.
“Simi mi fai male” dissi piagnuccolando.
“E’ tutta colpa tua puttana!”
Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma la sua forza era così soverchiante che rendeva inutile ogni mio tentativo di liberarmi: “Ma che cosa ti fatto?” Gli dissi con voce spezzata.
Il suo volto era quasi distorto dalla collera e i suoi occhi riversavano odio: “E me lo chiedi? Che mamma è una che lascia solo in spiaggia il figlio per andare a scopare con il suo capo?!”
“Ma quando…” Tentai di rispondere ma mi interruppe subito:
“Non te lo ricordi? Quella volta che papà andò a vedere le moto e tu per sedurre il tuo capo ti sei messa con le tettone all'aria! Non ti ricordi che poi mi hai lasciato solo per andare a scopare? Altro che caffè! Come hai potuto farmi questo? Come hai potuto fare questo a papà?”
Fu come essere svegliata con un secchio d’acqua gelata…
Di colpo realizzai: “Era tutta colpa mia!”
Quella situazione, il malessere che gli provocavo, l’odio che provava nei miei confronti, l’ossessione sessuale che aveva verso di me, non era altro che la conseguenza di ciò che avevo fatto anni fà. Era solo colpa mia…
Le forze mi abbandonarono, non tentavo più di liberarmi, sembravo di colpo alienata da tutto il mondo che mi circondava, ma tentai in qualche modo di riprendere in mano la situazione:
“Simi, non è come pensi” tentai di dirgli con un filo di voce.
“Stai zitta puttana! E’ tutta colpa tua! Ora mettiti quelle scarpe da troia!”
“Simi, per favore.." lo implorai con un filo di voce.
“Che c’è? Ti sei scopata mezza città e ti fa schifo la sborra di tuo figlio?”
“ No, certo che non mi fai schifo… ”
“Allora mettiti quelle scarpe da zoccola! ”
Mi lasciò finalmente i polsi doloranti ed io mi diressi verso gli zoccoli rassegnata.
Passai una mano davanti al viso per togliermi i capelli da davanti agli occhi umidi portandoli dietro l'orecchio, poi tolsi le ciabatte ed infilai gli zoccoletti.
Sentivo il suo sperma scivolare sotto la pianta del piede.
“Vieni quì!” Mi ordinò.
I tonfi del tacco a spillo di diciotto centimetri risuonavano nella stanza ed ad ogni passo sentivo lo sperma insinuarsi tra le dita dei piedi.
“Chissà quante volte ti hanno scopato mentre indossavi queste scarpe da troia!” Disse.
Mi prese per i fianchi facendomi ruotare su me stessa e mi fece sedere sul bordo della sua piccola scrivania.
Passò le mani dietro la mia schiena e slacciò il fiocco che assicurava la mia vestaglia e l’aprì: “Simi per favore.” Lo implorai ancora.
“Non porti più nemmeno le mutande… quanto sei puttana!” Disse osservando il mio corpo nudo
Prese per la base il suo enorme pene ed iniziò a sfregarlo contro le labbra della mia vagina.
“Simi ti prego” Continuavo a piagnuccolare.
“Solo una cosa voglio sapere da te: Quella volta, in spiaggia ci hai scopato?”
“No…” Dissi con un filo di voce.
“Sei una puttana bugiarda! Dimmi la verità!”
“No…” Dissi con voce ancora più bassa.
“DIMMELOOO!” Mi urlò
“....si…” dissi con solo un alito di voce…
“AHAAAIIII!!!!”
Provai un dolore lacerante.
Come una spada, il suo enorme fallo mi aveva penetrato una forza disumana.
I suoi colpi sembravano cannonate mentre il suo cazzone affondava sempre più in profondità lacerando il mio ventre dall’interno.
Ogni sua potente bordata mi faceva sobbalzare indietro trascinando con me la piccola scrivania in cui ero seduta, la quale urtando il muro retrostante causava tonfi sordi che rimbombavano per tutta la casa.
BUM
BUM
BUM
BUM
Ad ogni colpo sentivo la sua rabbia repressa, la violenza, l'odio e la lussuria che gli avevo provocato.
BUM
BUM
BUM
I libri della scrivania caddero a terra ed i piccoli oggetti di coccio precipitarono sul pavimento frantumandosi.
BUM
BUM
BUM
Ogni volta che il suo cazzone affondava dentro la mia figa, faceva un verso animalesco dovuto allo sforzo fisico.
BUM
BUM
BUM
BUM
I miei respiri si allungavano ed emettevo impercettibili gemiti sincronizzati al suo.
BUM
BUM
BUM
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio dicendomi: “Ti piacciono i cazzi grossi?”
BUM
BUM
BUM
…
BUM
BUM
BUM
“RISPONDIMI!” Mi ordinò.
BUM
BUM
BUM
“...si…” bisbigliai
BUM
BUM
BUM
“E ti piace il mio cazzone tra le cosce?”
BUM
BUM
BUM
“.....si….”
BUM
BUM
BUM
“E allora godi puttana!”
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
Ogni tre o quattro colpi ripeteva assiduamente quella frase:
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
BUM
BUM
BUM…mentre i miei gemiti si facevano sempre più forti fino a tramutarsi in urla.
“ahaa,,, Ahaaa…AHAAA!”
La mia vagina iniziò a contrarsi ritmicamente esplodendo in un devastante orgasmo.
Guardavo il bellissimo viso di mio figlio ebro dal desiderio mentre mi scopava e vidi la sua espressione cambiare, quasi deformarsi mentre inarcava la schiena e ruotava gli occhi all'indietro.
Il suo sperma bollente si riversò come un fiume di lava all’interno della mia figa fradicia lavando via il suo rancore, mentre la sua espressione un fiotto dopo l'altro si distese.
Lo guardavo mentre i tratti del suo viso assunsero un'espressione serena, poi esausto si accasciò su di me poggiando la faccia sulla mia spalla e mi abbracciò.
“Mamma ti amo!” Mi disse teneramente.
Sentii lo sperma fuoriuscire dalla figa e colarmi tra gambe mentre avevo ancora il suo enorme cazzo tra le cosce; portai una mano sul suo capo e gli accarezzai i capelli: “Ti amo anche io Simi!”
Mi guardò dal basso facendomi un tenero sorriso e poi torno ad affondare il suo viso sereno sulla mia spalla..
Anni fa, avevo preso decisioni sbagliate, quelle scelte avevano portato a un distacco emotivo tra me e mio figlio, una distanza che sembrava incolmabile. Per ristabilire il nostro rapporto, dovetti affrontare le conseguenze delle mie azioni e accettare il dolore che ne derivava.
Fu in quel momento che compresi la verità della metafora dell'effetto farfalla. Ogni mia azione del passato, per quanto piccola e insignificante sembrasse all'epoca, aveva avuto ripercussioni enormi sul presente. Come il battito d'ali di una farfalla che può scatenare un uragano dall'altra parte del mondo, le mie decisioni avevano influenzato profondamente la vita di mio figlio.
La morale della mia storia è semplice: le nostre azioni, per quanto piccole possano sembrare, hanno conseguenze. Dobbiamo essere consapevoli delle scelte che facciamo e delle persone che possono essere colpite dalle nostre decisioni. Solo accettando le responsabilità del passato possiamo costruire un futuro migliore e ristabilire i rapporti con chi amiamo.
Ringraziamenti e saluti.
Lorena nel corso della sua vita farà ancora tantissime esperienze e avrà molte altre avventure piccanti, ma io per il momento mi fermo qui.
Scrivo queste righe perché desidero dedicare un momento a ringraziarvi tutti.
Nel corso degli ultimi dodici mesi, ho avuto il privilegio di condividere con voi i miei racconti e le mie storie e sento il bisogno di ringraziarvi dal profondo del cuore per avermi accompagnata in questo meraviglioso viaggio.
Grazie a tutti voi che avete letto i miei racconti e che vi siete emozionati insieme a me.
Grazie a chi mi ha sostenuta nei momenti difficili, a chi mi ha incoraggiata a non mollare.
Un grazie speciale a chi ha commentato i miei racconti, a chi ha espresso le proprie opinioni, a chi mi ha fatto sentire la sua presenza e il suo affetto. I vostri commenti sono stati per me uno stimolo prezioso, un incoraggiamento a fare sempre meglio, a superare i miei limiti e a crescere.
Spero che i miei racconti vi abbiano lasciato qualcosa, un'emozione, un ricordo, un insegnamento. Se con i miei racconti sono riuscita a regalarvi qualche istante di felicità, allora per me ne è valsa la pena, questa è la mia ricompensa, la mia vittoria.
Anche se questa è stata probabilmente la mia ultima storia, sappiate che porto con me ogni singolo momento condiviso con voi. Le storie rimarranno per sempre e, chi lo sa, forse un giorno ci ritroveremo ancora tra le pagine di un nuovo racconto.
Grazie a tutti.
Lorena
Sembrava una mattina come tante altre mentre toglievo le posate pulite dalla lavastoviglie e le mettevo nel cassetto, quando lui arrivó in cucina sbadigliando, insonnolito e scalzo come gli piaceva girare per casa in quelle mattine afose di estate.
“Buongiorno” gli dissi facendogli un amorevole sorriso mentre mi voltavo verso lui.
“Buongiorno” mi rispose svogliatamente mentre si stiracchiava e sbadigliava.
Distolsi immediatamente lo sguardo per la vergogna e tornai a frugare nel cassetto facendo finta di nulla, ma il rossore del mio viso tradiva l’imbarazzo per quello che avevo appena visto: con solo indosso quel suo sottile pigiamino estivo di cotone, la sua erezione spiccava in tutta la sua evidenza.
Tra me e me scioccamente ridacchiavano orgogliosa pensando: “Dio mio quanto ce l'ha grosso! Farà felice un sacco di ragazze con quel arnese che ha lì sotto il mio bambino.”
Il mio bambino… Ormai Simone era cresciuto parecchio, era un uomo adulto, era molto più alto di me ed era diventato più alto persino di quanto lo era stato suo padre, ma io ancora lo consideravo un cucciolo.
Oltre ad essere alto, Simone aveva un fisico asciutto e longilineo, era senza dubbio un bel ragazzo ed io ne ero molto orgogliosa.
Quella fu solo la prima volta che notai la sua erezione, ma le mattine seguenti di quell’estate era ormai una prassi; lo svegliavo, si alzava ed arrivava in cucina con il suo pene duro: “Sembra avere un palo della luce nelle mutande” ridevo tra me e me, pensando che fosse una cosa normale per un ragazzo avere la classica erezione mattutina, ma mi sbagliavo…
Qualche dubbio in più però mi venne quella volta in doccia…
Non ero avvezza a chiudere la porta a chiave e di solito la accostavo soltanto per una questione di sicurezza, in caso di emergenza, non si sà mai pensavo e fino a quel giorno non avevo mai avuto pensieri di cui preoccuparmi, quella volta però mentre l'acqua della doccia scrosciava rumorosamente, vidi attraverso i vetri opachi la porta aprirsi.
Spaventata da quell’ombra che si era intrufolata silenziosamente in bagno chiamai mio figlio, unica altra persona presente in casa: “Simiii?”
"Sì, sono io, devo pisciare.”
“e non lo puoi fare nell'altro bagno?”
“L'altro bagno non mi piace.”
Non proseguii la discussione oltre, in fin dei conti era mio figlio e continuai a lavarmi non curante di lui.
Prima lavai le braccia, poi le gambe, poi il seno, poi visto che era trascorso un bel pò di tempo mi girai verso il water per vedere se Simone fosse uscito, ma lui era ancora davanti al gabinetto in piedi.
Potevo vedere la sua sagoma deformata attraverso il vetro opaco della doccia, ma quello che mi turbò, furono gli strani movimenti che stava facendo…
Un brivido corse lungo la mia schiena.
Non volevo sapere nemmeno quello che stava combinando, così per togliermi da ogni imbarazzo dissi: “Simi sto uscendo!”
“Ok, ho fatto” mi rispose e uscì finalmente dal bagno.
Non so se quello che immaginavo di aver visto fosse la realtà, ma da quel giorno decisi di chiudere la porta a chiave quando facevo la doccia, così da evitare certi momenti imbarazzanti.
Un segnale ancor più chiaro lo ebbi però pochi giorni dopo: Stavo rovistando tra la cesta dei panni sporchi per caricare la lavatrice, quando l’occhio si posò su un mio perizoma; era arruffato, sporco, con della roba secca attaccata.
Provai un senso di disgusto.
Non avevo indossato quelle mutandine da parecchio tempo e quello sporco era inequivocabilmente sperma secco.
Iniziai a cercare dentro la cesta altri miei indumenti intimi e ne trovai parecchi, almeno una decina ed erano tutti imbrattati di sperma.
Sentii un nodo alla gola ed un senso di nausea allo stomaco.
Presi tutti quegli indumenti sudici e li misi in lavatrice.
Quando il lavaggio finì li lavai ancora e poi ancora.
Mi sentivo violata nella mia intimità e non importava quante volte lavassi quelle mutande, non sarai mai più riuscita ad indossarle nuovamente.
Decisi quindi di prendere un sacco dell'immondizia e di metterle tutte dentro, per poi gettarle nella pattumiera fuori di casa.
Appena rientrai a casa andai diretta in camera, presi tutti gli altri indumenti intimi puliti che avevo nel cassetto e li nascosi nell'armadio in mezzo alle lenzuola, per evitare che Simone li potesse trovare.
Ero preoccupata per mio figlio, ma immaginavo solamente che fosse preda dei propri ormoni e non credevo certo di essere io la sua ossessione…
Passarono altri giorni… e quella mattina, come ogni mattina ormai, arrivó in cucina scalzo e con la sua solita evidente erezione mattutina a cui ormai mi ero abituata.
“Dov'è lo zucchero?” Mi chiese, mentre ero come al solito indaffarata a svuotare la lavastoviglie: “Qui sopra a me nel pensile al centro” risposi senza nemmeno voltarmi.
Lo sentii alzarsi, si avvicinò alle mie spalle e poi si appoggiò a me.
Sentivo distintamente le sue parti intime spingere e strusciare contro il mio sedere mentre fingeva di non trovare il barattolo.
Tentai di schiacciarmi più che potevo contro il piano di lavoro della cucina, ma lui spinse ancora più forte il suo grosso fallo contro le mie natiche inchiodandomi al tavolo.
Con tutta la forza lo respinsi indietro e mi divincolai da quella posizione imbarazzante: “MA CHE FAI!?” Gli urlai.
Il suo viso mutò in un attimo; la sua espressione sorniona di poco prima, divenne di colpo seria, poi arrabbiata.
Mi guardava con occhi carichi di disprezzo per quel rifiuto, come fosse sorpreso di essere stato respinto.
Pieno di collera sbatté sul tavolo il barattolo dello zucchero che si frantumò in mille pezzi: “Vaffanculo puttana” disse tra i denti mentre se ne andò in camera sua.
“COSA? SIMONE TORNA QUI! “ Gli ordinai, ma lui mi ignorò, si vestì ed uscì di casa tornando solo a sera inoltrata.
Da quel giorno il nostro rapporto precipitò, evitava persino di parlarmi.
Passarono giorni e giorni, ma la situazione invece di migliorare continuò a peggiorare e parlare con lui di quanto era successo era fuori discussione.
Passò un mese intero da quella storia della cucina e oramai mio figlio mi trattava da sconosciuta, forse peggio, non voleva più parlare con me e mi guardava con disprezzo e con odio, senza che io ne capissi il motivo.
In questi trenta giorni però le sue perversioni sessuali nei miei confronti erano tutt’altro che finite: Quando usciva dalla doccia, ad esempio, lasciava deliberatamente la porta aperta affinché io lo potessi vedere mentre si asciugava la testa completamente nudo.
Ormai quando mi accorgevo che era prossimo ad uscire dalla doccia, mi chiudevo in cucina così a non essere costretta a dover assistere a quello spettacolo perverso.
Poco servì in realtà perché poco tempo dopo Simone cominciò a girare per la casa completamente nudo.
Quando io ero in sala lui veniva lì per guardare la tv, quando era in cucina arrivava per frugare nel frigorifero in cerca di cibo.
Ovunque mi trovassi, potevo esserne certa, che prima o poi lui sarebbe arrivato lì nudo, esibendo senza alcun pudore il suo enorme pene eretto che ciondolava oscenamente a destra e a manca e a nulla valevano le mie richieste di coprirsi.
Ormai l’atmosfera in casa era davvero pesante.
Quando Simone non si esibiva in quel modo, passava intere giornate chiuso in camera… e pure quella particolare giornata non faceva eccezione…
Chiuso nella sua cameretta di dodici metri quadri, stava ascoltando della musica rock dei Linkin Park ad un volume così alto da risultare molesto.
In quella situazione così pesante, non mi sarei mai permessa di obbligarlo ad abbassare il volume, così mi chiusi nuovamente in cucina, tentando di rimanere tranquilla.
Seduta sulla sedia davanti al tavolo da pranzo, iniziai a guardare le foto della galleria nel mio telefono.
Skippavo le immagini una dopo l’altra facendo scorrere il pollice dal basso verso l’altro, poi d'un tratto mi fermai esterrefatta per quello che stavo vedendo:
Quella che vedevo era una foto scattata al mio stesso cellulare appoggiato sopra al ripiano in marmo del lavandino del bagno.
Sul display acceso del telefono c’era una mia immagine, la quale era parzialmente coperta dal gigantesco glande dell’enorme pene di Simone dopo aver appena eiaculato.
Inorridita, gettai il telefono sopra il tavolo della cucina come se si fosse tramutato di colpo in un serpente.
Non sopportavo l’idea di aver inconsapevolmente tenuto tra le mani un oggetto ricoperto dallo sperma di mio figlio e ancor meno sopportavo che fossi stata io ad ispirare quella sconcezza.
Non sapevo quando avesse inserito quella foto nel mio telefono e non capivo nemmeno come ci fosse riuscito.
Rabbrividii, sentendomi un’altra volta violata nella mia intimità e fui presa da una irrefrenabile ira.
Mi alzai in piedi, rossa in viso per la collera e mi diressi a lunghe falcate verso la cameretta di Simone: “E’ ora di farla finita con questa storia!” Dissi.
Arrivai davanti alla porta chiusa, mentre le note di Numb rimbombavano per la casa e afferrai la maniglia aprendola di scatto…
…ma quello che vedi mi lasciò letteralmente impietrita:
Era di fronte a me, completamente nudo ed aveva indossato, se così vogliamo dire, uno dei miei zoccoli con tacco diciotto sul suo pene, mentre con la mano li teneva accoppiati sfregandoli l’uno sull’altro.
Mentre si masturbava tirando a sé il calzare, vedevo la sua gigantesca cappella gonfiarsi contro la striscia anteriore di pelle dello zoccolo, troppo grossa per riuscire a passare al di sotto.
Aveva l’espressione di un animale e mi guardava negli occhi mentre grugniva.
Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare l’assurda situazione quando dalla parte anteriore dello zoccoletto partirono una raffica di violenti schizzi di sperma che coprirono una distanza inimmaginabile fino a quasi lambire i miei piedi.
Misi le mani avanti in protezione.
Tutta la scena durò solo una manciata di secondi, ma a me sembrò un'eternità.
La rabbia di poco fa si trasformò in disperazione e fuggii.
Presi l’auto e scappai via senza una meta ma il più lontano possibile da quella casa di perversione.
Piansi mentre vagavo da una landa desolata all’altra, da un paesino all’altro e mi chiedevo “Perchè?”
Ero disperata, sola, ma dopo aver vagato per ore, l’istinto materno ebbe il sopravvento: "Devo salvare mio figlio!”
Capivo che l’ultima speranza era un terapeuta, ma convincere Simone ad andarci sarebbe stata un'impresa disperata. Non sarei mai riuscita a portarlo con la forza, per cui avrei dovuto giocare bene le mie carte.
Tornai a casa, entrai con calma ma in modo che potesse sentirmi e andai verso la sua camera.
Era seduto sul letto a giocare con la playstation ancora una volta nudo e mi ignorò completamente.
La cameretta era invasa dal nauseabondo odore di sperma disseminato in abbondanza sul pavimento e sui miei zoccoli.
Entrai, stando attenta a non calpestare il liquido e mi avvicinai a Simone sedendomi al suo fianco tentando di rompere il ghiaccio con una battuta: “Il trentasei ti sta un pò stretto su quell’arnese che hai lì sotto, forse sarebbe meglio un quarantasei”
Quella battuta appena recitata, suonò alle mie stesse orecchie come incredibilmente inappropriata e stupida, ma lui continuò ugualmente ad ignorarmi, ma lo stesso non si potè dire del suo pene,che iniziò inesorabilmente a sollevarsi.
Era bastata la mia sola presenza...
Gonfio, grosso, enorme e pulsante per l’eccitazione, era la prima volta che vedevo il suo gigantesco pene da così vicino.
Era tutto così sbagliato!
Fui presa dallo sconforto ma ugualmente gli dissi: “Simi, dobbiamo parlare”
“Non abbiamo nulla da dirci” Mi rispose nemmeno voltandosi.
“Simi, io voglio trovare un modo per poterti aiutare" Gli dissi amorevolmente.
“Allora prendimi il cazzo e fammi una sega!”
Nonostante tutte le premesse che mi ero fatta la mia soglia di pazienza era già stata ampiamente superata:“Sei una schifoso manico!”
“...e tu sei una puttana!”
La collera si impadronì di me, mi alzai di scatto e gli tirai un ceffone con tutta la forza che ebbi in corpo, facendomi più male io di quanto ne avessi fatto a lui.
Si alzò di scatto anche lui sovrastandomi in altezza ed incombendo minaccioso su di me.
Intimorita feci un passo indietro e tentai di mollargli un altro ceffone, ma prima di riuscire a colpirlo, mi afferrò il polso con forza inaudita e poi prese pure l’altro intrappolando entrambe le mie braccia.
“E’ tutta colpa tu!” Disse ricolmo di rabbia mentre digrignava i denti.
“Simi mi fai male” dissi piagnuccolando.
“E’ tutta colpa tua puttana!”
Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma la sua forza era così soverchiante che rendeva inutile ogni mio tentativo di liberarmi: “Ma che cosa ti fatto?” Gli dissi con voce spezzata.
Il suo volto era quasi distorto dalla collera e i suoi occhi riversavano odio: “E me lo chiedi? Che mamma è una che lascia solo in spiaggia il figlio per andare a scopare con il suo capo?!”
“Ma quando…” Tentai di rispondere ma mi interruppe subito:
“Non te lo ricordi? Quella volta che papà andò a vedere le moto e tu per sedurre il tuo capo ti sei messa con le tettone all'aria! Non ti ricordi che poi mi hai lasciato solo per andare a scopare? Altro che caffè! Come hai potuto farmi questo? Come hai potuto fare questo a papà?”
Fu come essere svegliata con un secchio d’acqua gelata…
Di colpo realizzai: “Era tutta colpa mia!”
Quella situazione, il malessere che gli provocavo, l’odio che provava nei miei confronti, l’ossessione sessuale che aveva verso di me, non era altro che la conseguenza di ciò che avevo fatto anni fà. Era solo colpa mia…
Le forze mi abbandonarono, non tentavo più di liberarmi, sembravo di colpo alienata da tutto il mondo che mi circondava, ma tentai in qualche modo di riprendere in mano la situazione:
“Simi, non è come pensi” tentai di dirgli con un filo di voce.
“Stai zitta puttana! E’ tutta colpa tua! Ora mettiti quelle scarpe da troia!”
“Simi, per favore.." lo implorai con un filo di voce.
“Che c’è? Ti sei scopata mezza città e ti fa schifo la sborra di tuo figlio?”
“ No, certo che non mi fai schifo… ”
“Allora mettiti quelle scarpe da zoccola! ”
Mi lasciò finalmente i polsi doloranti ed io mi diressi verso gli zoccoli rassegnata.
Passai una mano davanti al viso per togliermi i capelli da davanti agli occhi umidi portandoli dietro l'orecchio, poi tolsi le ciabatte ed infilai gli zoccoletti.
Sentivo il suo sperma scivolare sotto la pianta del piede.
“Vieni quì!” Mi ordinò.
I tonfi del tacco a spillo di diciotto centimetri risuonavano nella stanza ed ad ogni passo sentivo lo sperma insinuarsi tra le dita dei piedi.
“Chissà quante volte ti hanno scopato mentre indossavi queste scarpe da troia!” Disse.
Mi prese per i fianchi facendomi ruotare su me stessa e mi fece sedere sul bordo della sua piccola scrivania.
Passò le mani dietro la mia schiena e slacciò il fiocco che assicurava la mia vestaglia e l’aprì: “Simi per favore.” Lo implorai ancora.
“Non porti più nemmeno le mutande… quanto sei puttana!” Disse osservando il mio corpo nudo
Prese per la base il suo enorme pene ed iniziò a sfregarlo contro le labbra della mia vagina.
“Simi ti prego” Continuavo a piagnuccolare.
“Solo una cosa voglio sapere da te: Quella volta, in spiaggia ci hai scopato?”
“No…” Dissi con un filo di voce.
“Sei una puttana bugiarda! Dimmi la verità!”
“No…” Dissi con voce ancora più bassa.
“DIMMELOOO!” Mi urlò
“....si…” dissi con solo un alito di voce…
“AHAAAIIII!!!!”
Provai un dolore lacerante.
Come una spada, il suo enorme fallo mi aveva penetrato una forza disumana.
I suoi colpi sembravano cannonate mentre il suo cazzone affondava sempre più in profondità lacerando il mio ventre dall’interno.
Ogni sua potente bordata mi faceva sobbalzare indietro trascinando con me la piccola scrivania in cui ero seduta, la quale urtando il muro retrostante causava tonfi sordi che rimbombavano per tutta la casa.
BUM
BUM
BUM
BUM
Ad ogni colpo sentivo la sua rabbia repressa, la violenza, l'odio e la lussuria che gli avevo provocato.
BUM
BUM
BUM
I libri della scrivania caddero a terra ed i piccoli oggetti di coccio precipitarono sul pavimento frantumandosi.
BUM
BUM
BUM
Ogni volta che il suo cazzone affondava dentro la mia figa, faceva un verso animalesco dovuto allo sforzo fisico.
BUM
BUM
BUM
BUM
I miei respiri si allungavano ed emettevo impercettibili gemiti sincronizzati al suo.
BUM
BUM
BUM
Avvicinò la sua bocca al mio orecchio dicendomi: “Ti piacciono i cazzi grossi?”
BUM
BUM
BUM
…
BUM
BUM
BUM
“RISPONDIMI!” Mi ordinò.
BUM
BUM
BUM
“...si…” bisbigliai
BUM
BUM
BUM
“E ti piace il mio cazzone tra le cosce?”
BUM
BUM
BUM
“.....si….”
BUM
BUM
BUM
“E allora godi puttana!”
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
Ogni tre o quattro colpi ripeteva assiduamente quella frase:
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
BUM
BUM
BUM
“Godi puttana!”
BUM
BUM
BUM…mentre i miei gemiti si facevano sempre più forti fino a tramutarsi in urla.
“ahaa,,, Ahaaa…AHAAA!”
La mia vagina iniziò a contrarsi ritmicamente esplodendo in un devastante orgasmo.
Guardavo il bellissimo viso di mio figlio ebro dal desiderio mentre mi scopava e vidi la sua espressione cambiare, quasi deformarsi mentre inarcava la schiena e ruotava gli occhi all'indietro.
Il suo sperma bollente si riversò come un fiume di lava all’interno della mia figa fradicia lavando via il suo rancore, mentre la sua espressione un fiotto dopo l'altro si distese.
Lo guardavo mentre i tratti del suo viso assunsero un'espressione serena, poi esausto si accasciò su di me poggiando la faccia sulla mia spalla e mi abbracciò.
“Mamma ti amo!” Mi disse teneramente.
Sentii lo sperma fuoriuscire dalla figa e colarmi tra gambe mentre avevo ancora il suo enorme cazzo tra le cosce; portai una mano sul suo capo e gli accarezzai i capelli: “Ti amo anche io Simi!”
Mi guardò dal basso facendomi un tenero sorriso e poi torno ad affondare il suo viso sereno sulla mia spalla..
Anni fa, avevo preso decisioni sbagliate, quelle scelte avevano portato a un distacco emotivo tra me e mio figlio, una distanza che sembrava incolmabile. Per ristabilire il nostro rapporto, dovetti affrontare le conseguenze delle mie azioni e accettare il dolore che ne derivava.
Fu in quel momento che compresi la verità della metafora dell'effetto farfalla. Ogni mia azione del passato, per quanto piccola e insignificante sembrasse all'epoca, aveva avuto ripercussioni enormi sul presente. Come il battito d'ali di una farfalla che può scatenare un uragano dall'altra parte del mondo, le mie decisioni avevano influenzato profondamente la vita di mio figlio.
La morale della mia storia è semplice: le nostre azioni, per quanto piccole possano sembrare, hanno conseguenze. Dobbiamo essere consapevoli delle scelte che facciamo e delle persone che possono essere colpite dalle nostre decisioni. Solo accettando le responsabilità del passato possiamo costruire un futuro migliore e ristabilire i rapporti con chi amiamo.
Ringraziamenti e saluti.
Lorena nel corso della sua vita farà ancora tantissime esperienze e avrà molte altre avventure piccanti, ma io per il momento mi fermo qui.
Scrivo queste righe perché desidero dedicare un momento a ringraziarvi tutti.
Nel corso degli ultimi dodici mesi, ho avuto il privilegio di condividere con voi i miei racconti e le mie storie e sento il bisogno di ringraziarvi dal profondo del cuore per avermi accompagnata in questo meraviglioso viaggio.
Grazie a tutti voi che avete letto i miei racconti e che vi siete emozionati insieme a me.
Grazie a chi mi ha sostenuta nei momenti difficili, a chi mi ha incoraggiata a non mollare.
Un grazie speciale a chi ha commentato i miei racconti, a chi ha espresso le proprie opinioni, a chi mi ha fatto sentire la sua presenza e il suo affetto. I vostri commenti sono stati per me uno stimolo prezioso, un incoraggiamento a fare sempre meglio, a superare i miei limiti e a crescere.
Spero che i miei racconti vi abbiano lasciato qualcosa, un'emozione, un ricordo, un insegnamento. Se con i miei racconti sono riuscita a regalarvi qualche istante di felicità, allora per me ne è valsa la pena, questa è la mia ricompensa, la mia vittoria.
Anche se questa è stata probabilmente la mia ultima storia, sappiate che porto con me ogni singolo momento condiviso con voi. Le storie rimarranno per sempre e, chi lo sa, forse un giorno ci ritroveremo ancora tra le pagine di un nuovo racconto.
Grazie a tutti.
Lorena
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