Maniere Forti
di
suo schiavo
genere
sadomaso
Era meticoloso e quasi paranoico nelle sue ricerche dirette ad individuare un tale che non avesse parenti o amici e che fosse un solitario, poco più che trentenne, possibilmente timido, insoddisfatto e in odore di omosessualità, per niente manifesta e realizzata. Parlando con vari tizi della palestra e discorrendo con loro del più e del meno gli sembrò di avere trovato quello che forse faceva al caso suo. Lo aveva visto nudo in doccia e gli era piaciuto. Possedeva un bel corpo giovane e atletico e una certa inespressa femminilità. Aveva anche osservato il modo furtivo con cui mirava ai genitali degli altri maschi e anche ai suoi. Imbastì una accurata istruttoria per conoscere tutto di lui. Dove abitava. Quale lavoro faceva. Se era sano. Lo pedinò e lo tenne sotto controllo per imparare le sue abitudini. Ne studiò il carattere e i gusti. Quando gli sembrò di saperne abbastanza lo abbordò e gli offrì la sua amicizia. Diventò il suo confidente e una buona spalla su cui piangere miseria. Un giorno tra un bicchierino e l'altro al bar sotto casa gli chiese se gli sarebbe piaciuto cambiare radicalmente vita e lui un po' esitante ma non più di tanto rispose di sì, che lo desiderava proprio. Decise di passare all'azione e di mettere in pratica il piano che aveva studiato nei minimi dettagli. Lo rapì e lo segregò sotto chiave in cantina dove aveva attrezzato un locale come prigione. Fece in modo che tutti lo credessero partito per un viaggio senza ritorno. Disdisse il suo appartamento e cancellò i suoi impegni di vita e le sue credenziali, facendo perdere le sue tracce. Intanto ogni giorno gli allungava il rancio in una ciotola avvertendolo che la razione sarebbe presto diminuita fino a quando non si fosse abituato a mangiare dal pavimento come una bestia. Cosa che lui si rassegnò a fare per non morire di fame. Quando implorò una doccia gli ordinò di mettersi nudo in piedi al centro della stanza con le braccia alzate e lo annaffiò con dei getti di acqua fredda. Durante un'ispezione nella sua cella gli impose un collare e lo mise alla catena, sequestrando i suoi abiti e tutto quello che poteva in qualche modo rivestirlo e ricordargli di essere o di essere stato un uomo. Privato di ogni speranza si mise a piangere disperatamente e non smise di singhiozzare finché lui non entrò per stringerlo forte a sé e accarezzarlo e consolarlo con fare molto affettuoso. Non era sciocco e aveva capito che l'unica sua salvezza era cadergli fra le braccia e votarsi a lui senza riserve. In quel momento di massima fragilità il suo carceriere gli sussurrò che era venuto il momento di diventare suo, lo girò e lo montò, poi chiuse la porta e non si rifece più vivo fino alla notte seguente. Ritornato da lui lo trovò un po' affranto ma docile e pronto a subire un'altra monta, al termine della quale egli osò confessargli che si sentiva cambiato e lo ringraziò di averlo di nuovo stuprato. Gli fu chiesto se gli era piaciuto e rispose di sì abbastanza, anzi molto, forse anche troppo, anche se non gli era mai successa una cosa del genere pur avendo sempre fantasticato di essere costretto ad assecondare un maschio. Da lì in poi fu tutta una passeggiata che lo plasmò e lo ridusse servizievole e pronto ad ubbidire a colui che elesse a diventargli padrone, lucrando la sua benevolenza e la sua protezione in modo sempre più spontaneo e volontario, con nessun rimpianto per la sua piatta esistenza di prima.
Dentro di sé era sempre più ipnotizzato dalla verga del dom, che da sempre lo aveva fatto stralunare. Agitava i suoi pensieri in continuazione. Quando ce l'aveva davanti si sentiva fremere. Chiese il permesso di sentirla in bocca e di assaggiarla. Gli fu subito concesso. Il dom gliela presentò e lui la baciò. Gliela spinse e cominciò un dentro e fuori che in breve si fece frenetico aiutato dalle bordate che il dom gli batteva contro, fino allo schizzo di cui si nutrì. Dopo questa esperienza la sua testa fradicia di una colata di sperma ribolliva. Ne ricavò la sensazione di appartenergli ancora meglio e ancora di più.
L'ormai conclamato dom aveva in animo di indirizzare il suo squisito sub a tirare fuori e ad esprimere il temperamento masochista che aveva intravisto in lui. Gliene parlò e lo trovò d'accordo nel cercare di accrescersi con la speranza di riuscire a corrispondere alle attese che si riponevano in lui. Fu portato in una sala di tatuaggio fuori mano dove il dom gli fece tatuare qua e là cinque stelle argentate a raggiera. Una sul culo, centrata sull'ano, che si spandeva sui glutei. Un'altra sul pube depilato, intorno ai genitali. La terza e la quarta a decoro dei capezzoli. La quinta a fare da cornice alla sua bocca. Di lato sul collo gli fece imprimere la scritta: “Sono Suo”.
-”Sei bellissimo”.
-”Grazie Padrone”.
Da quel giorno perse il suo vero nome e assunse, non senza una certa vanità, quello più adatto a lui e alla sua condizione di: “Stella”. Una Stella che doveva ben presto brillare nel firmamento del suo corpo a suon di frusta e di sevizie assortite. Una stella che brillava in una stalla, governata da un pastore che la portava al pascolo e la strigliava a dovere.
Dentro di sé era sempre più ipnotizzato dalla verga del dom, che da sempre lo aveva fatto stralunare. Agitava i suoi pensieri in continuazione. Quando ce l'aveva davanti si sentiva fremere. Chiese il permesso di sentirla in bocca e di assaggiarla. Gli fu subito concesso. Il dom gliela presentò e lui la baciò. Gliela spinse e cominciò un dentro e fuori che in breve si fece frenetico aiutato dalle bordate che il dom gli batteva contro, fino allo schizzo di cui si nutrì. Dopo questa esperienza la sua testa fradicia di una colata di sperma ribolliva. Ne ricavò la sensazione di appartenergli ancora meglio e ancora di più.
L'ormai conclamato dom aveva in animo di indirizzare il suo squisito sub a tirare fuori e ad esprimere il temperamento masochista che aveva intravisto in lui. Gliene parlò e lo trovò d'accordo nel cercare di accrescersi con la speranza di riuscire a corrispondere alle attese che si riponevano in lui. Fu portato in una sala di tatuaggio fuori mano dove il dom gli fece tatuare qua e là cinque stelle argentate a raggiera. Una sul culo, centrata sull'ano, che si spandeva sui glutei. Un'altra sul pube depilato, intorno ai genitali. La terza e la quarta a decoro dei capezzoli. La quinta a fare da cornice alla sua bocca. Di lato sul collo gli fece imprimere la scritta: “Sono Suo”.
-”Sei bellissimo”.
-”Grazie Padrone”.
Da quel giorno perse il suo vero nome e assunse, non senza una certa vanità, quello più adatto a lui e alla sua condizione di: “Stella”. Una Stella che doveva ben presto brillare nel firmamento del suo corpo a suon di frusta e di sevizie assortite. Una stella che brillava in una stalla, governata da un pastore che la portava al pascolo e la strigliava a dovere.
4
voti
voti
valutazione
2.8
2.8
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
In Riva al Mare
Commenti dei lettori al racconto erotico