La vedova Morbelli. Ovvero: Le formidabili logiche dell'aristocrazia acquisita
di
Exculiano Magenta
genere
dominazione
Leopoldo è il figlio della ricchissima vedova Morbelli. L’ho conosciuto al corso di inglese. Dopo solo due giorni mi ha già invitato a pranzo a casa sua.
E’ un bollente martedì di giugno. La reggia Morbelli è maestosa. Ettari di terreno la incorniciano e proteggono dal mondo esterno.
All’ingresso ci accoglie Ventiquattro. Così lo chiama Leopoldo. E’ un uomo alto quasi due metri, vestito solamente di una gonnellina di paglia, collane, bracciali e cavigliere.
- Buongiorno padrone – dice.
- Buongiorno Ventiquattro, porta via e servici l’aperitivo.
- Subito padrone – risponde Ventiquattro.
Si inginocchia ai piedi di Leopoldo e gli bacia le scarpe. Poi bacia le mie.
Andiamo verso il soggiorno immenso. Oro e marmo dappertutto. Specchi, arazzi alle finestre, preziose porcellane e statue d’argento. Al centro della sala, poggiato sul tavolino, regna un fallo enorme dorato, alto circa un metro e mezzo. Brilla, sprigionando la sua luce ovunque.
Mentre chiacchieriamo amabilmente di stronzate, fa la sua entrata un altro uomo, vestito allo stesso modo di Ventiquattro. In mano ha una specie di straccio. Si inginocchia all’ingresso del soggiorno, poi va verso il tavolino.
- Mio padre è morto e ha lasciato tutto a mia madre. Le sue ricchezze sono praticamente infinite.
- Complimenti. Avete una casa favolosa.
- Niente di che. C’è di meglio, t’assicuro.
L’uomo prende lo straccio ed inizia a lucidare la cappella del cazzo dorato con una cura esagerata. Si inginocchia davanti a quella statua e lucida il resto del tronco, per poi finire sulle grosse palle. Il cazzo, se possibile, brilla più di prima.
- Grazie Ventuno, ora levati dalle palle.
- Subito padrone – risponde l’uomo.
- Fico, eh? – dice Leopoldo rivolgendosi a me.
- Cosa?
- Posso fargli fare quello che voglio. Qualsiasi cosa.
- Davvero?
- Certo. Prova.
- No, mi vergogno. Fammi vedere tu
- Ventuno, vieni subito qui.
L’uomo corre da Leopoldo e si inginocchia, faccia a terra.
- Toglimi le scarpe.
- Subito padrone.
Ventuno toglie delicatamente le scarpe di Leopoldo e le posa a terra.
- Bravo. Ora togli i calzini.
L’uomo esegue senza fare un fiato e senza cambiare espressione.
- Bene, Ventuno, bene. Ora allarga bene le dita dei piedi, e mangia ogni caccola che trovi. Masticandola per benino prima.
Incredibilmente, ogni cosa che ordina Leopoldo viene eseguita con zelo. Osservo l’uomo che cerca ogni caccola tra le dita di quei piedi schifosi e le mangia, mostrando al padrone che ne mastica ognuna fino a ridurla in poltiglia, per poi ingoiarla.
L’uomo finisce il lavoro in men che non si dica. Leopoldo ha i piedi perfettamente puliti.
- Rimetti tutto a posto e levati dalle palle.
- Subito padrone.
Il poveraccio rimette calzini e scarpe, pulisce il pavimento e scappa via.
- incredibile – dico
- Beh, è una bella cosa, si. Ogni tanto, quando sono incazzato, ne scelgo uno e mi sfogo frustandolo fino a farlo svenire.
- Puoi…puoi proprio tutto eh?
- Eh eh. Modestamente…
In quel momento, da lontano, si sente un rumore di tacchi di scarpe. Un suono celestiale. Alziamo entrambe lo sguardo verso la cima di una rampa di splendenti scale di cristallo.
- Quella gran puttana di mia madre – dice Leopoldo.
Immediatamente si materializzano quattro uomini ai suoi piedi dal pene visibilmente enorme e tosto. Cominciano a baciarle le scarpe. Poi stendono un tappeto rosso per tutta la rampa, e seguono la discesa in ginocchio.
Una volta arrivata in fondo, gli uomini ritirano il tappeto e spariscono, non lasciando tracce.
La vedova Morbelli viene verso di noi. Non posso far a meno di guardare quelle scarpe. Il tacco vertiginoso è di diamante, la punta d’argento. Sento la schiena zuppa di sudore. La vedova Morbelli guarda il figlio.
- Chi è costui? – gli chiede senza guardarmi
- È un mio amico, non rompermi il cazzo.
- Non parlare così a tua madre davanti agli sconosciuti
- Ma stai zitta, puttana – le dice Leopoldo, e mi guarda sorridente.
La vedova mi guarda dall’alto dei suoi tacchi, ed io mi sento spogliato e violato.
- Vedova Morbelli
- È…è un piacere, signora- rispondo, prendendo la mano della vedova e baciandola
- Mani sudate, rossore e imbarazzo. Pessimo. Leopoldino, fai fare una doccia al tuo amico.
- Vattene, succhiacazzi, al mio amico penso io.
La vedova Morbelli porge la mano ad un uomo che si è appena materializzato, e si fa pulire e disinfettare ogni dito, mentre mi guarda schifata. Poi si gira e se ne va.
- ma che cazzo fai, t’imbarazzi?
- I…io? N…no, che dici?
- Ma se sudi come un maiale!
- É…che fa caldo, sai
- Io non sento tutto questo caldo. Bella figa mia madre, eh?
- Ma che dici?
- Si, si. Il bagno è lì in fondo, vatti a ripulire, dai. Troverai vestiti puliti e decenti per il pranzo con mia madre.
- Ti prego, il pranzo no!
- Ma certo che si. Devi!
- Oddio…
- Vai, vai. Ci vediamo dopo.
Mi rifugio nel bagno, terrorizzato al pensiero di quello che mi aspetta. Lì dentro trovo due uomini che iniziano a spogliarmi. Li lascio fare. Entrano nell’immensa doccia con me e mi lavano bene dappertutto.
- posso farvi una domanda? – mi rivolgo ad uno di loro
- Ditemi, padrone.
- Chi siete? E come mai questi nomi?
- I servitori della Suprema Regina. I nomi sono le lunghezze dei nostri peni. Lei ci ha scelti in base a questo. E può far di noi ciò che vuole.
Esco dal bagno lavato e profumato. Mi seggo al fianco di Leopoldo. Entrambi aspettiamo sua madre.
Arriva in braccio a due uomini dal cazzo perennemente duro, che la depositano su un trono, di fronte a noi. Poi si inginocchiano al suo fianco.
- Allora, qual è il tuo nome? – mi chiede subito.
- Eh? Ehm…eh eh…
- Orsù! Cosa mai t’ho domandato? Avanti, rispondi! – ribadisce alterata
- Gordiano, signora.
- Gordiano. Non male come nome. Sei un inferiore?
- Prego?
- Sei un nobile? Sei ricco? Sembra di no, quindi sei un inferiore, dico bene?
- Beh…
- Leopoldino, quale feccia mi porti a casa?
- Mamma, mangiamo ch’è meglio.
- Cibo! – urla la vedova Morbelli.
Quindici uomini dal cazzo duro portano decine di piatti coperti in men che non si dica.
Scopro il mio piatto: una lunga salsiccia spruzzata in punta con del formaggio bianco liquido e due patate tonde alla base. Guardo la vedova. Nel suo piatto giace una salsiccia lunga il doppio della mia, ma non è stesa orizzontalmente, bensì s’erge maestosa.
- Non ti piace il salsiccione?
- Gulp…ehm…si, signora.
- Mangia, allora.
Iniziamo a mangiare. Subito inizio a sudare copiosamente. Al mio fianco, in silenzio, Leopoldo divora tutto come un cane randagio che non mangia da mesi. Guardo la vedova che lo guarda schifata. Poi il suo sguardo si volge verso di me. Glaciale. Smette di mangiare per osservarmi.
Sudo, se possibile, ancor più abbondantemente.
La vedova Morbelli è chiaramente indignata. Distoglie lo sguardo e sbarra gli occhi davanti al suo piatto: c’è solamente una patata, quando il piatto ne prevedeva due, alla base della salsiccia. Non dice nulla, guarda l’uomo alla sua destra, che si alza di scatto, gli occhi fissi davanti a sé.
La vedova mi fissa, mentre infila una mano sotto la gonnellina dell’uomo, e di scatto gli agguanta una palla.
- Vedi cosa succede agli inferiori? Sbagliano continuamente, e pagano. Non fanno altro che pagare per i loro errori.
Mentre dice questo aumenta gradualmente la compressione sulla palla dello sventurato, che stringe le labbra, ma rimane muto.
- Nel mio piatto preferito manca una patata, ch’è come dire che manca…una PALLA!
Strizza ancor di più il testicolo dell’uomo, che diventa rosso e suda, ed inizia a tremare.
La vedova continua a guardarmi, mentre la palla dell’uomo sta quasi scoppiando nella sua mano. Lei sorride mentre gli fa questo.
- Basta, la prego- dico.
- Come dici, scusa? – domanda la vedova.
- Lo lasci stare
- E come osi tu darmi ordini?
L’uomo sta piangendo, ritto in piedi accanto alla contessa, che strizza ancor di più.
- Signora…
- Cosa? COSA?
- La prego, la smetta…- imploro, mentre Leopoldo ride di me e della scena.
- GLIELA STRAPPO, LA PALLA, A QUESTO SCHIFOSO BASTARDO! Oppure preferisci essere al suo posto?
- Signora…
- Allora? Gli stacco una palla e me la mangio, te lo giuro. A meno che non diventi uno di loro.
- Signora, ma…
L’uomo sta cedendo, sbava dalla bocca e piange, sento un lamento uscire dalla bocca semichiusa.
- Va bene, VA BENE! Diventerò uno di loro!
Immediatamente la vedova lascia il povero testicolo dell’uomo, che si accascia a terra.
- Trenta! – dice la vedova. Un uomo dal cazzo immenso appare all’improvviso, mi prende da sotto le ascelle e mi porta via. – Trenta, preparatelo! Leopoldino, ora continuiamo il nostro pranzo in pace– ordina la vedova Morbelli.
Nella sala preparatoria, dieci uomini mi strappano di dosso i vestiti e mi lasciano completamente nudo, osservando il mio cazzo.
- E’ una sciabola – dice uno di loro
- È enorme – ribatte un altro.
Mi danno la gonnellina di paglia, braccialetti e cavigliere, e mi portano subito al cospetto della vedova.
- Dammi le cesoie, Leopoldino.
Leopoldo da un paio di grosse cesoie alla madre.
- Tenetelo fermo.
Quattro uomini mi immobilizzano, offrendo alla vedova solo le mie palle ed il mio cazzo.
La vedova inserisce le due palle nelle cesoie, mentre sorride con soddisfazione. Io cerco di urlare dalla disperazione, ma un uomo alle mie spalle mi molla potenti cazzotti sulla bocca ad ogni minimo suono.
La vedova mi guarda negli occhi mentre ha le mie palle in pugno, tra le due grosse lame.
- Ed ora, caro inferiore…diamoci un taglio!
Si lecca le labbra.
- SEI MIO!
Un taglio netto, e vedo i miei due testicoli cadere per terra, tra le sonore risate della vedova Morbelli e di suo figlio.
E’ un bollente martedì di giugno. La reggia Morbelli è maestosa. Ettari di terreno la incorniciano e proteggono dal mondo esterno.
All’ingresso ci accoglie Ventiquattro. Così lo chiama Leopoldo. E’ un uomo alto quasi due metri, vestito solamente di una gonnellina di paglia, collane, bracciali e cavigliere.
- Buongiorno padrone – dice.
- Buongiorno Ventiquattro, porta via e servici l’aperitivo.
- Subito padrone – risponde Ventiquattro.
Si inginocchia ai piedi di Leopoldo e gli bacia le scarpe. Poi bacia le mie.
Andiamo verso il soggiorno immenso. Oro e marmo dappertutto. Specchi, arazzi alle finestre, preziose porcellane e statue d’argento. Al centro della sala, poggiato sul tavolino, regna un fallo enorme dorato, alto circa un metro e mezzo. Brilla, sprigionando la sua luce ovunque.
Mentre chiacchieriamo amabilmente di stronzate, fa la sua entrata un altro uomo, vestito allo stesso modo di Ventiquattro. In mano ha una specie di straccio. Si inginocchia all’ingresso del soggiorno, poi va verso il tavolino.
- Mio padre è morto e ha lasciato tutto a mia madre. Le sue ricchezze sono praticamente infinite.
- Complimenti. Avete una casa favolosa.
- Niente di che. C’è di meglio, t’assicuro.
L’uomo prende lo straccio ed inizia a lucidare la cappella del cazzo dorato con una cura esagerata. Si inginocchia davanti a quella statua e lucida il resto del tronco, per poi finire sulle grosse palle. Il cazzo, se possibile, brilla più di prima.
- Grazie Ventuno, ora levati dalle palle.
- Subito padrone – risponde l’uomo.
- Fico, eh? – dice Leopoldo rivolgendosi a me.
- Cosa?
- Posso fargli fare quello che voglio. Qualsiasi cosa.
- Davvero?
- Certo. Prova.
- No, mi vergogno. Fammi vedere tu
- Ventuno, vieni subito qui.
L’uomo corre da Leopoldo e si inginocchia, faccia a terra.
- Toglimi le scarpe.
- Subito padrone.
Ventuno toglie delicatamente le scarpe di Leopoldo e le posa a terra.
- Bravo. Ora togli i calzini.
L’uomo esegue senza fare un fiato e senza cambiare espressione.
- Bene, Ventuno, bene. Ora allarga bene le dita dei piedi, e mangia ogni caccola che trovi. Masticandola per benino prima.
Incredibilmente, ogni cosa che ordina Leopoldo viene eseguita con zelo. Osservo l’uomo che cerca ogni caccola tra le dita di quei piedi schifosi e le mangia, mostrando al padrone che ne mastica ognuna fino a ridurla in poltiglia, per poi ingoiarla.
L’uomo finisce il lavoro in men che non si dica. Leopoldo ha i piedi perfettamente puliti.
- Rimetti tutto a posto e levati dalle palle.
- Subito padrone.
Il poveraccio rimette calzini e scarpe, pulisce il pavimento e scappa via.
- incredibile – dico
- Beh, è una bella cosa, si. Ogni tanto, quando sono incazzato, ne scelgo uno e mi sfogo frustandolo fino a farlo svenire.
- Puoi…puoi proprio tutto eh?
- Eh eh. Modestamente…
In quel momento, da lontano, si sente un rumore di tacchi di scarpe. Un suono celestiale. Alziamo entrambe lo sguardo verso la cima di una rampa di splendenti scale di cristallo.
- Quella gran puttana di mia madre – dice Leopoldo.
Immediatamente si materializzano quattro uomini ai suoi piedi dal pene visibilmente enorme e tosto. Cominciano a baciarle le scarpe. Poi stendono un tappeto rosso per tutta la rampa, e seguono la discesa in ginocchio.
Una volta arrivata in fondo, gli uomini ritirano il tappeto e spariscono, non lasciando tracce.
La vedova Morbelli viene verso di noi. Non posso far a meno di guardare quelle scarpe. Il tacco vertiginoso è di diamante, la punta d’argento. Sento la schiena zuppa di sudore. La vedova Morbelli guarda il figlio.
- Chi è costui? – gli chiede senza guardarmi
- È un mio amico, non rompermi il cazzo.
- Non parlare così a tua madre davanti agli sconosciuti
- Ma stai zitta, puttana – le dice Leopoldo, e mi guarda sorridente.
La vedova mi guarda dall’alto dei suoi tacchi, ed io mi sento spogliato e violato.
- Vedova Morbelli
- È…è un piacere, signora- rispondo, prendendo la mano della vedova e baciandola
- Mani sudate, rossore e imbarazzo. Pessimo. Leopoldino, fai fare una doccia al tuo amico.
- Vattene, succhiacazzi, al mio amico penso io.
La vedova Morbelli porge la mano ad un uomo che si è appena materializzato, e si fa pulire e disinfettare ogni dito, mentre mi guarda schifata. Poi si gira e se ne va.
- ma che cazzo fai, t’imbarazzi?
- I…io? N…no, che dici?
- Ma se sudi come un maiale!
- É…che fa caldo, sai
- Io non sento tutto questo caldo. Bella figa mia madre, eh?
- Ma che dici?
- Si, si. Il bagno è lì in fondo, vatti a ripulire, dai. Troverai vestiti puliti e decenti per il pranzo con mia madre.
- Ti prego, il pranzo no!
- Ma certo che si. Devi!
- Oddio…
- Vai, vai. Ci vediamo dopo.
Mi rifugio nel bagno, terrorizzato al pensiero di quello che mi aspetta. Lì dentro trovo due uomini che iniziano a spogliarmi. Li lascio fare. Entrano nell’immensa doccia con me e mi lavano bene dappertutto.
- posso farvi una domanda? – mi rivolgo ad uno di loro
- Ditemi, padrone.
- Chi siete? E come mai questi nomi?
- I servitori della Suprema Regina. I nomi sono le lunghezze dei nostri peni. Lei ci ha scelti in base a questo. E può far di noi ciò che vuole.
Esco dal bagno lavato e profumato. Mi seggo al fianco di Leopoldo. Entrambi aspettiamo sua madre.
Arriva in braccio a due uomini dal cazzo perennemente duro, che la depositano su un trono, di fronte a noi. Poi si inginocchiano al suo fianco.
- Allora, qual è il tuo nome? – mi chiede subito.
- Eh? Ehm…eh eh…
- Orsù! Cosa mai t’ho domandato? Avanti, rispondi! – ribadisce alterata
- Gordiano, signora.
- Gordiano. Non male come nome. Sei un inferiore?
- Prego?
- Sei un nobile? Sei ricco? Sembra di no, quindi sei un inferiore, dico bene?
- Beh…
- Leopoldino, quale feccia mi porti a casa?
- Mamma, mangiamo ch’è meglio.
- Cibo! – urla la vedova Morbelli.
Quindici uomini dal cazzo duro portano decine di piatti coperti in men che non si dica.
Scopro il mio piatto: una lunga salsiccia spruzzata in punta con del formaggio bianco liquido e due patate tonde alla base. Guardo la vedova. Nel suo piatto giace una salsiccia lunga il doppio della mia, ma non è stesa orizzontalmente, bensì s’erge maestosa.
- Non ti piace il salsiccione?
- Gulp…ehm…si, signora.
- Mangia, allora.
Iniziamo a mangiare. Subito inizio a sudare copiosamente. Al mio fianco, in silenzio, Leopoldo divora tutto come un cane randagio che non mangia da mesi. Guardo la vedova che lo guarda schifata. Poi il suo sguardo si volge verso di me. Glaciale. Smette di mangiare per osservarmi.
Sudo, se possibile, ancor più abbondantemente.
La vedova Morbelli è chiaramente indignata. Distoglie lo sguardo e sbarra gli occhi davanti al suo piatto: c’è solamente una patata, quando il piatto ne prevedeva due, alla base della salsiccia. Non dice nulla, guarda l’uomo alla sua destra, che si alza di scatto, gli occhi fissi davanti a sé.
La vedova mi fissa, mentre infila una mano sotto la gonnellina dell’uomo, e di scatto gli agguanta una palla.
- Vedi cosa succede agli inferiori? Sbagliano continuamente, e pagano. Non fanno altro che pagare per i loro errori.
Mentre dice questo aumenta gradualmente la compressione sulla palla dello sventurato, che stringe le labbra, ma rimane muto.
- Nel mio piatto preferito manca una patata, ch’è come dire che manca…una PALLA!
Strizza ancor di più il testicolo dell’uomo, che diventa rosso e suda, ed inizia a tremare.
La vedova continua a guardarmi, mentre la palla dell’uomo sta quasi scoppiando nella sua mano. Lei sorride mentre gli fa questo.
- Basta, la prego- dico.
- Come dici, scusa? – domanda la vedova.
- Lo lasci stare
- E come osi tu darmi ordini?
L’uomo sta piangendo, ritto in piedi accanto alla contessa, che strizza ancor di più.
- Signora…
- Cosa? COSA?
- La prego, la smetta…- imploro, mentre Leopoldo ride di me e della scena.
- GLIELA STRAPPO, LA PALLA, A QUESTO SCHIFOSO BASTARDO! Oppure preferisci essere al suo posto?
- Signora…
- Allora? Gli stacco una palla e me la mangio, te lo giuro. A meno che non diventi uno di loro.
- Signora, ma…
L’uomo sta cedendo, sbava dalla bocca e piange, sento un lamento uscire dalla bocca semichiusa.
- Va bene, VA BENE! Diventerò uno di loro!
Immediatamente la vedova lascia il povero testicolo dell’uomo, che si accascia a terra.
- Trenta! – dice la vedova. Un uomo dal cazzo immenso appare all’improvviso, mi prende da sotto le ascelle e mi porta via. – Trenta, preparatelo! Leopoldino, ora continuiamo il nostro pranzo in pace– ordina la vedova Morbelli.
Nella sala preparatoria, dieci uomini mi strappano di dosso i vestiti e mi lasciano completamente nudo, osservando il mio cazzo.
- E’ una sciabola – dice uno di loro
- È enorme – ribatte un altro.
Mi danno la gonnellina di paglia, braccialetti e cavigliere, e mi portano subito al cospetto della vedova.
- Dammi le cesoie, Leopoldino.
Leopoldo da un paio di grosse cesoie alla madre.
- Tenetelo fermo.
Quattro uomini mi immobilizzano, offrendo alla vedova solo le mie palle ed il mio cazzo.
La vedova inserisce le due palle nelle cesoie, mentre sorride con soddisfazione. Io cerco di urlare dalla disperazione, ma un uomo alle mie spalle mi molla potenti cazzotti sulla bocca ad ogni minimo suono.
La vedova mi guarda negli occhi mentre ha le mie palle in pugno, tra le due grosse lame.
- Ed ora, caro inferiore…diamoci un taglio!
Si lecca le labbra.
- SEI MIO!
Un taglio netto, e vedo i miei due testicoli cadere per terra, tra le sonore risate della vedova Morbelli e di suo figlio.
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