Oscenamente
di
La_Marzia
genere
trio
La chiamavano La Habana del Hudson, anni fa, ora ormai non ci sono solo cubani, ma latinos di ogni provenienza.
Il 90% della popolazione di Union City è latina. Immigrati, lavoratori, che rincorrono il sogno americano, rinchiusi in fabbriche da cui riemergono all'imbrunire stanchi e sporchi. Schiavi moderni, che col loro lavoro fanno sì che continuino a scintillare le luci della notte newyorkese.
New York è a pochi passi, mezz'ora al massimo, dall'altra parte dell'Hudson.
Se volete andare a divertirvi a New York uno dei primi consigli che vi posso dare è ... evitate Union City, non c'è niente da fare né da vedere.
Non è un posto pericoloso, almeno non più pericoloso del resto della immensa area metropolitana di New York.
Union City, New Jersey, Hudson County, lingua ufficiale lo spagnolo.
Se avete mai pensato all'inferno, un buon suggerimento di come possa essere ve lo possono dare i quartieri dormitorio in inverno, dove la neve è l'assoluta protagonista di tutto e il giorno è un'avventura tra sale sulle strade e lavoro. E fa talmente freddo che il sogno americano, dentro gli appartamenti senza riscaldamento, è sopravvivere, stare attaccati, pensare al caldo del Caribe.
Quando voglio fare qualcosa di diverso vado a Union City, ci vado con Bianca, la mia amica estetista, americana, ma dominicana di origine, nipote di un ex funzionario di Trujillo, scappato dall'isola prima di essere ucciso dal dittatore. Ne uccise 50 mila, uno più uno meno per lui faceva poca differenza.
Bianca deve il suo nome alla neve, ma non sa perchè bianca in italiano, sa solo che è bianca come la neve. Certo a vederla, non si direbbe.
Lei mi fa da interprete, il mio spagnolo è tremolante, si limita a qualche parola, alcune italianizzate, basta aggiungere una s e mi sembra di esser nata a Santo Domingo. La mia pelle è da latina, latina calabrese, non caribeña, ma pur sempre latina.
La vita notturna a Union City è cercare di riscaldarsi d'inverno e quando la temperatura torna mite, andare nei bar dai nomi ispanici. Bar pieni di gente che beve come spugne e pieni di ragazze che lavorano così, aspettando i clienti.
El paisano, Cucalambe, Mangos, bisogna evitare quelli troppo malfamati e quelli troppo patinati, meglio i locali dove il lusso non esiste.
Kitsch qui è una parola che nessuno conosce, ma che descrive bene l'ambiente.
Non è il mio ambiente, ma mi affascina terribilmente, bisogna stare attenti, evitare certe zone, il pericolo di fare incontri spiacevoli esiste, ma in due e con le dovute precauzioni, non succede niente.
Nella borsetta ci va lo spray antiaggressioni, che non ho mai usato, ma che dà sicurezza.
Ci vanno anche i preservativi, quelli sì, li ho usati.
É una notte diversa, kitsch, dirty, che a volte finisce anche nel nulla più assoluto.
A volte però capita di conoscere la gente giusta.
Nell'immaginario americano, condito di luoghi comuni, un ambiente del genere è pieno di delinquenti, narcos, capi di feroci pandillas. E forse qualcosa di vero ci sarà, ecco perché con Bianca evitiamo le facce sospette, l'abito qui sembra fare il monaco.
La primissima notte in cui decidemmo di attraversare l'Hudson, decidemmo di accettare da bere solo da facce di impiegati o autisti di mezzi pubblici. Che eccitante! Potevamo fare sesso con selvaggi spacciatori messicani e invece no, il nostro desiderio di trasgressioni aveva un limite. Ma non era paura, o forse sì anche, ma era una scelta precisa, una sceneggiatura di un film tutto nostro.
Mischiate tra putas centroamericane, probabilmente neppure ci distinguevamo e la cosa ci piaceva.
Arrivò un tipo, forse cinquantenne o giù di lì, non alto, faccia da autista di autobus, al massimo tassista. Ci guardammo con Bianca: era lui il prescelto. Non era bello, ma era rassicurante.
Gli facemmo credere che lui teneva in mano le redini del gioco, ci offrì da bere, cominciò il discorso partendo da lontano, con le domande di rito, a cui rispondemmo rigorosamente mentendo. Tanto era deciso, lui ci voleva scopare, noi volevamo scopare lui.
Non potevamo dirlo in modo diretto, né noi, né lui. Ecco perché era il prescelto: sembrava timido.
Lo aiutammo un po', a dire il vero, fosse stato per il suo ritmo, saremmo finite a letto ma a dormire.
Diciamo, recitammo la parte di quelle che vengono convinte piano piano e lui si sentì il più grande conquistatore del New Jersey.
Ah mi ero dimenticata un dettaglio: non era latino, parlava inglese, forse cercava qualche puta latina, invece trovò noi.
Finalmente ci riuscì, ci convinse ad andare in un motel con lui. Non era la prima volta in cui con Bianca ci spartivamo un uomo, ma era la prima volta con uno sconosciuto, in mezzo a quell'ambiente squallido, pieno di alcool e puzza di tabacco.
Così come il motel in cui finimmo puzzava d'alcool, di tabacco e di legno marcio.
Quando entrammo il gestore ci guardò come per vedere se conosceva queste due prostitute.
Il gioco aveva funzionato, volevamo passare per prostitute, senza però destare sospetti né far arrabbiare le prostitute vere, né i loro manager.
Al chiudere la porta dietro di noi, ebbi l'ultimo tentativo di autoconcincermi che stavo facendo una cazzata. Una voce antipatica e stridente mi ripeteva "ma cosa cazzo stai facendo?". Non ebbi il tempo di un ultimo dialogo né con me stessa né con Bianca.
Lui, che si chiamava con un nome che non ricordo, ma era un nome banale da americano da telefilm, non era John, ma poteva chiamarsi Pete, Jeff o Bill, non perse tempo e mi ritrovai le sue mani in mezzo alle gambe da sopra il vestito. Il tocco fu talmente piacevole che mi fece decidere che non c'era niente da decidere.
E fece capire a lui che io non portavo le mutandine. Avevo un vestito lungo, nessuno lo avrebbe notato e poi sedersi nei tavolini di un bar latino di Union City, senza indossare le mutandine fa un certo effetto.
Non so se anche Bianca fosse uscita di casa senza, di fatto appena girai lo sguardo era senza, con lui, Jeff, Jim o Bill, che non sapeva dove mettere le mani, se addosso al corpo nudo di Bianca o sui pantaloni per toglierseli. Fece entrambe le cose assieme, goffamente, mentre anch'io cominciavo a togliere il vestito.
Lui aveva già una bella erezione, un pene circonciso, con la punta lucida, ma quello era merito di Bianca e della sua lingua.
Lui era sdraiato a letto e pensai bene di salirci sopra per sedermi dolcemente sul suo viso. Ero nuda, ma avevo ancora addosso il reggiseno, mi ricordo questo dettaglio ma non so perché stessi ancora così.
Ricordo il primo contatto tra la sua lingua e la mia fica e ricordo ancora meglio come lui cominciò di colpo a fare uno strano movimento, sia con la lingua che diventò rigida, sia con il corpo.
Feci in tempo a girarmi e mi resi conto che stava venendo. Vidi il suo pene eretto che eiaculava abbondantemente e Bianca sorpresa che non sapeva come proseguire. Lui dopo l'orgasmo sgranó gli occhi in segno di vergogna, si alzò, balbettò qualcosa. Incrociai lo sguardo di Bianca e notai che era sporca del seme del tipo sul viso e mi venne da reagire in un modo di cui vado molto orgogliosa. Mi inchinai e coninvolgendo Bianca ripulì il pene del tassista/autista. Ci venne quasi spontaneo, sorridendo trasformammo un momento che poteva essere imbarazzante in un momento eccitante.
Non sono mai stata ghiotta di sperma, ma quella volta mi sembrò buonissimo, forse grazie anche alla bocca di Bianca.
E scongiurammo anche il pericolo che la serata finisse lì e che per noi non ci fosse altro.
Per fortuna Jim, Jeff, Mike rimase in posizione eretta, non so cosa avesse preso, ma funzionava.
Lo cavalcammo a turno, non era lo stallone scopatore dei sogni, ma dentro si sentiva. Esagerammo un po', urlammo come se fosse stata la scopata del secolo, in fondo eravamo delle grandi attrici, però ci scopò per bene.
Mentre si scopava Bianca, io sdraiata li guardavo. Notai che Bianca presa da dietro, muoveva il culo in modo particolare come cercando la migliore penetrazione possibile, ad un certo punto intervenni e come spesso mi capita, decisi io cosa dovevano fare gli altri.
Dissi a lui di bloccarla, di metterle una mano sul collo per tenerla ferma e di scoparla con forza, la fece ansimare e godere in breve tempo.
Bianca mi rinfaccia sempre che ero invidiosa di lui e che ero io, in quel momento, a volerla scopare oscenamente.
Il 90% della popolazione di Union City è latina. Immigrati, lavoratori, che rincorrono il sogno americano, rinchiusi in fabbriche da cui riemergono all'imbrunire stanchi e sporchi. Schiavi moderni, che col loro lavoro fanno sì che continuino a scintillare le luci della notte newyorkese.
New York è a pochi passi, mezz'ora al massimo, dall'altra parte dell'Hudson.
Se volete andare a divertirvi a New York uno dei primi consigli che vi posso dare è ... evitate Union City, non c'è niente da fare né da vedere.
Non è un posto pericoloso, almeno non più pericoloso del resto della immensa area metropolitana di New York.
Union City, New Jersey, Hudson County, lingua ufficiale lo spagnolo.
Se avete mai pensato all'inferno, un buon suggerimento di come possa essere ve lo possono dare i quartieri dormitorio in inverno, dove la neve è l'assoluta protagonista di tutto e il giorno è un'avventura tra sale sulle strade e lavoro. E fa talmente freddo che il sogno americano, dentro gli appartamenti senza riscaldamento, è sopravvivere, stare attaccati, pensare al caldo del Caribe.
Quando voglio fare qualcosa di diverso vado a Union City, ci vado con Bianca, la mia amica estetista, americana, ma dominicana di origine, nipote di un ex funzionario di Trujillo, scappato dall'isola prima di essere ucciso dal dittatore. Ne uccise 50 mila, uno più uno meno per lui faceva poca differenza.
Bianca deve il suo nome alla neve, ma non sa perchè bianca in italiano, sa solo che è bianca come la neve. Certo a vederla, non si direbbe.
Lei mi fa da interprete, il mio spagnolo è tremolante, si limita a qualche parola, alcune italianizzate, basta aggiungere una s e mi sembra di esser nata a Santo Domingo. La mia pelle è da latina, latina calabrese, non caribeña, ma pur sempre latina.
La vita notturna a Union City è cercare di riscaldarsi d'inverno e quando la temperatura torna mite, andare nei bar dai nomi ispanici. Bar pieni di gente che beve come spugne e pieni di ragazze che lavorano così, aspettando i clienti.
El paisano, Cucalambe, Mangos, bisogna evitare quelli troppo malfamati e quelli troppo patinati, meglio i locali dove il lusso non esiste.
Kitsch qui è una parola che nessuno conosce, ma che descrive bene l'ambiente.
Non è il mio ambiente, ma mi affascina terribilmente, bisogna stare attenti, evitare certe zone, il pericolo di fare incontri spiacevoli esiste, ma in due e con le dovute precauzioni, non succede niente.
Nella borsetta ci va lo spray antiaggressioni, che non ho mai usato, ma che dà sicurezza.
Ci vanno anche i preservativi, quelli sì, li ho usati.
É una notte diversa, kitsch, dirty, che a volte finisce anche nel nulla più assoluto.
A volte però capita di conoscere la gente giusta.
Nell'immaginario americano, condito di luoghi comuni, un ambiente del genere è pieno di delinquenti, narcos, capi di feroci pandillas. E forse qualcosa di vero ci sarà, ecco perché con Bianca evitiamo le facce sospette, l'abito qui sembra fare il monaco.
La primissima notte in cui decidemmo di attraversare l'Hudson, decidemmo di accettare da bere solo da facce di impiegati o autisti di mezzi pubblici. Che eccitante! Potevamo fare sesso con selvaggi spacciatori messicani e invece no, il nostro desiderio di trasgressioni aveva un limite. Ma non era paura, o forse sì anche, ma era una scelta precisa, una sceneggiatura di un film tutto nostro.
Mischiate tra putas centroamericane, probabilmente neppure ci distinguevamo e la cosa ci piaceva.
Arrivò un tipo, forse cinquantenne o giù di lì, non alto, faccia da autista di autobus, al massimo tassista. Ci guardammo con Bianca: era lui il prescelto. Non era bello, ma era rassicurante.
Gli facemmo credere che lui teneva in mano le redini del gioco, ci offrì da bere, cominciò il discorso partendo da lontano, con le domande di rito, a cui rispondemmo rigorosamente mentendo. Tanto era deciso, lui ci voleva scopare, noi volevamo scopare lui.
Non potevamo dirlo in modo diretto, né noi, né lui. Ecco perché era il prescelto: sembrava timido.
Lo aiutammo un po', a dire il vero, fosse stato per il suo ritmo, saremmo finite a letto ma a dormire.
Diciamo, recitammo la parte di quelle che vengono convinte piano piano e lui si sentì il più grande conquistatore del New Jersey.
Ah mi ero dimenticata un dettaglio: non era latino, parlava inglese, forse cercava qualche puta latina, invece trovò noi.
Finalmente ci riuscì, ci convinse ad andare in un motel con lui. Non era la prima volta in cui con Bianca ci spartivamo un uomo, ma era la prima volta con uno sconosciuto, in mezzo a quell'ambiente squallido, pieno di alcool e puzza di tabacco.
Così come il motel in cui finimmo puzzava d'alcool, di tabacco e di legno marcio.
Quando entrammo il gestore ci guardò come per vedere se conosceva queste due prostitute.
Il gioco aveva funzionato, volevamo passare per prostitute, senza però destare sospetti né far arrabbiare le prostitute vere, né i loro manager.
Al chiudere la porta dietro di noi, ebbi l'ultimo tentativo di autoconcincermi che stavo facendo una cazzata. Una voce antipatica e stridente mi ripeteva "ma cosa cazzo stai facendo?". Non ebbi il tempo di un ultimo dialogo né con me stessa né con Bianca.
Lui, che si chiamava con un nome che non ricordo, ma era un nome banale da americano da telefilm, non era John, ma poteva chiamarsi Pete, Jeff o Bill, non perse tempo e mi ritrovai le sue mani in mezzo alle gambe da sopra il vestito. Il tocco fu talmente piacevole che mi fece decidere che non c'era niente da decidere.
E fece capire a lui che io non portavo le mutandine. Avevo un vestito lungo, nessuno lo avrebbe notato e poi sedersi nei tavolini di un bar latino di Union City, senza indossare le mutandine fa un certo effetto.
Non so se anche Bianca fosse uscita di casa senza, di fatto appena girai lo sguardo era senza, con lui, Jeff, Jim o Bill, che non sapeva dove mettere le mani, se addosso al corpo nudo di Bianca o sui pantaloni per toglierseli. Fece entrambe le cose assieme, goffamente, mentre anch'io cominciavo a togliere il vestito.
Lui aveva già una bella erezione, un pene circonciso, con la punta lucida, ma quello era merito di Bianca e della sua lingua.
Lui era sdraiato a letto e pensai bene di salirci sopra per sedermi dolcemente sul suo viso. Ero nuda, ma avevo ancora addosso il reggiseno, mi ricordo questo dettaglio ma non so perché stessi ancora così.
Ricordo il primo contatto tra la sua lingua e la mia fica e ricordo ancora meglio come lui cominciò di colpo a fare uno strano movimento, sia con la lingua che diventò rigida, sia con il corpo.
Feci in tempo a girarmi e mi resi conto che stava venendo. Vidi il suo pene eretto che eiaculava abbondantemente e Bianca sorpresa che non sapeva come proseguire. Lui dopo l'orgasmo sgranó gli occhi in segno di vergogna, si alzò, balbettò qualcosa. Incrociai lo sguardo di Bianca e notai che era sporca del seme del tipo sul viso e mi venne da reagire in un modo di cui vado molto orgogliosa. Mi inchinai e coninvolgendo Bianca ripulì il pene del tassista/autista. Ci venne quasi spontaneo, sorridendo trasformammo un momento che poteva essere imbarazzante in un momento eccitante.
Non sono mai stata ghiotta di sperma, ma quella volta mi sembrò buonissimo, forse grazie anche alla bocca di Bianca.
E scongiurammo anche il pericolo che la serata finisse lì e che per noi non ci fosse altro.
Per fortuna Jim, Jeff, Mike rimase in posizione eretta, non so cosa avesse preso, ma funzionava.
Lo cavalcammo a turno, non era lo stallone scopatore dei sogni, ma dentro si sentiva. Esagerammo un po', urlammo come se fosse stata la scopata del secolo, in fondo eravamo delle grandi attrici, però ci scopò per bene.
Mentre si scopava Bianca, io sdraiata li guardavo. Notai che Bianca presa da dietro, muoveva il culo in modo particolare come cercando la migliore penetrazione possibile, ad un certo punto intervenni e come spesso mi capita, decisi io cosa dovevano fare gli altri.
Dissi a lui di bloccarla, di metterle una mano sul collo per tenerla ferma e di scoparla con forza, la fece ansimare e godere in breve tempo.
Bianca mi rinfaccia sempre che ero invidiosa di lui e che ero io, in quel momento, a volerla scopare oscenamente.
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