E la Luna bussò – Genova 2016
di
Marco Demma
genere
etero
È l'una passata di uno stanco mercoledì notte e ti sto aspettando. Ci siamo finiti di scrivere pochi minuti fa e come sempre hai saputo quali corde accarezzare per non farti dire di no.
Sono appena tornato da una riunione fiume a Milano, ho gli occhi gonfi e arrossati dalle lenti a contatto indossate questa mattina alle 6. Mentre mi guardo allo specchio vedo il riflesso di un uomo molto più vecchio di me: capelli brizzolati, rughe di espressione sulla fronte e tanti, troppi pensieri dietro a quegli occhi verdi una volta così luminosi. Porto ancora l’abito blu e la mia camicia azzurra porta fortuna che avevo accuratamente scelto per il meeting di oggi. La cravatta di H&M comprata di corsa in stazione centrale mi stringe ancora il collo. Sorrido faticosamente riflettendo su ciò che vedo: l’immagine dello schiavo moderno.
Afferro il nodo per allentarlo quando mi squilla il telefono; ho un sobbalzo. “Ma quando ti decidi a mettere il nome sul campanello?”. Luna, la tua energia mi prende sempre ancora alla sprovvista. Saranno i quasi 10 anni di differenza ma proprio a volte non riesco a stare al tuo passo.
“Non voglio essere trovato, lo sai! Quando sono a casa voglio essere lasciato in pace”. Mi avvicino al citofono continuando a parlare al telefono, “Dimmi se si aprono sia il portone di legno che quello interno”. Mi rispondi qualcosa che non ascolto, mi concentro sui rumori di sottofondo e cerco di immaginarti: il portone che cigola lamentosamente per poi sbattere irato come in segno di protesta per essere stato disturbato nel cuore della notte; i tuoi passi veloci che rimbombano nel cortile interno come piccoli sassi lanciati da bambini dispettosi nascosti sui tetti della città; il vento profeta di un vicino temporale estivo che scompiglia indifferente i tuoi capelli biondi, ricci e ribelli.
La tua voce attraverso la cornetta mi riporta alla realtà: “Marco, ci sei? La porta interna non si apre”. Ripetutamente premo invano il bottone del citofono e ti rispondo: “Aspettami, sto scendendo”.
Infilo un paio di All Stars bianche e scalcinate che sotto l’abito di Boggi creano un effetto sbarazzino e scendo le scale di corsa. Quando attraverso la trasparenza del vetro mi vedi spuntare dall'ultima rampa, inizi a bussare alla porta dell’androne con fare impertinente. Toc… Toc… Toc.
Apro la porta e subito mi colpisci con un sorrisone enorme, felice, spensierato, leggero. Aria, luce, vita!
Non ti ho ancora toccata e già ti desidero; ti prendo per un braccio e avvicinandoti a me ti bacio delicatamente sulle labbra, bisbigliandoti un saluto che scivola anonimo sulla nostra pelle.
Ti cingo a me e subito premo la mia lingua tra le tue labbra per cercare la tua; stringo il tuo viso tra le mie mani quasi per paura che tu possa scomparire come in un sogno. Sento le tue dita sulla mia schiena attraverso la camicia, ti prendo per un polso e accompagno la tua mano sulla mia erezione che ormai forza la cerniera dei pantaloni nel disperato tentativo di incontrarti.
Non riesco a trattenermi. Con un colpo secco ti giro e ti faccio appoggiare al muro, ti slaccio i jeans e tu li spingi fino alle caviglie insieme agli slip. Mi inginocchio dietro di te e inizio a leccarti rapito dalla voglia mentre tu, consapevole dei miei desideri, spingi verso di me il tuo bel culetto sodo. La mia lingua passa in un attimo dalle tue grandi labbra al tuo sedere per poi tornare a cercare il tuo clitoride. Faccio scivolare due dita dentro di te e mi accorgo che sei già bagnatissima. Mi alzo in piedi. Slaccio i pantaloni dell’abito facendo risuonare nella rampa delle scale il rumore metallico della fibbia della cintura incurante del rischio di svegliare qualcuno.
In un attimo ti sto penetrando, trattieni un urlo che sfugge al tuo controllo mentre senti la mia cappella farsi strada dentro di te, affamata di piacere. Accelero senza fermarmi per 30 secondi, poi mi avvicino al tuo orecchio e ti dico di salire.
Tenendo goffamente insieme i nostri vestisti saliamo a due a due gli scalini che ci separano dal mio appartamento. Appena chiudiamo la porta alle nostre spalle siamo di nuovo uno addosso all'altra. Senza darmi tempo di fare nulla mi prendi il cazzo in mano accompagnandolo nella tua bocca, e come sempre provi a farlo scomparire tutto tra le tue labbra. Ti lascio fare per qualche minuto, poi ti prendo dai capelli e tenendoti premuta contro di me inizio a scoparti la bocca; tre o quattro colpi mi bastano per riprendere il controllo della situazione. Quando esco dalla tua bocca hai il respiro affannato e ti abbandoni sul divano pronta a lasciarmi fare tutto quello che voglio.
I tuoi vestiti scompaiono appendendosi agli scaffali della mia libreria mentre io affondo la faccia tra le tue cosce e comincio a dipingere curve di piacere tra le tue grandi labbra scegliendo dove incedere con la mia lingua e dove far arrivare le mie dita, come un pittore che sapientemente sceglie i colori migliori dalla sua tavolozza. Le tue unghie iniziano a lasciarmi segni sulla pelle mentre il tuo respiro accelera trasformandosi prima in un mugolio e poi in un grido. La mia lingua sul tuo clitoride accompagna il movimento delle mie dita che ti massaggiano dall'interno fino a quando il tuo orgasmo si insinua nella mia pelle lasciandomi segni di passione nella schiena.
Ti faccio alzare e tu sai già dove andare; ti sdrai sul mio letto a pancia in giù, con la faccia immersa tra i miei cuscini. Con un dito inizio a massaggiarti delicatamente il buchetto tra le tue natiche così candide da ispirare morsi. Uso la mia saliva e i tuoi umori per essere sicuro di lubrificarti bene prima di appoggiarti la mia cappella e cominciare a spingere. Stringi i cuscini tra le mani rilasciando un secco urlo di dolore quando con un movimento deciso la mia cappella scivola finalmente dentro di te. Le mie dita cercano il tuo clitoride trovandolo gonfio di piacere. Spingi il culo contro di me, aiutandomi ad affondare dentro un po’ di più e ti abbandoni a me e a quel piacere misto a dolore a cui non riesci mai a dire di no. Proseguo così finché non mi accorgo che stretto in quell'alcova proibita il mio orgasmo si sta facendo strada troppo rapidamente.
Esco, ti giro e ti bacio con passione infilandoti in bocca la mia lingua che ancora sa di te. Mi sdraio e ti faccio montare sopra. Il tuo corpo tra le mie mani è di una bellezza quasi perfetta mentre accompagni la mia erezione dentro di te. Sei cosi calda e accogliente che quando inizi a ondeggiare io non posso più trattenermi. Con impeto ti afferro per i fianchi tenendoti premuta contro di me e inizio a scoparti dal basso, sbattendotelo dentro con forza, sempre più a fondo, sempre più duro finché restano fuori solo le palle. Gli addominali mi bruciano come squartati da una lama, ma non riesco più a smettere; e anzi accelero, finché il tuo urlo di piacere lacera la notte per spegnersi con i tuoi denti affondati nella mia carne; esplodo dentro di te con un paio di fiotti caldi e copiosi che fondono il mio orgasmo con il tuo in un unico amplesso.
Ti abbandoni sul mio corpo mentre esausti e madidi di sudore ci aggrappiamo l’uno all'altra ancora quasi incapaci di respirare. Il silenzio ci inghiotte mentre fuori principia il temporale.
Sono appena tornato da una riunione fiume a Milano, ho gli occhi gonfi e arrossati dalle lenti a contatto indossate questa mattina alle 6. Mentre mi guardo allo specchio vedo il riflesso di un uomo molto più vecchio di me: capelli brizzolati, rughe di espressione sulla fronte e tanti, troppi pensieri dietro a quegli occhi verdi una volta così luminosi. Porto ancora l’abito blu e la mia camicia azzurra porta fortuna che avevo accuratamente scelto per il meeting di oggi. La cravatta di H&M comprata di corsa in stazione centrale mi stringe ancora il collo. Sorrido faticosamente riflettendo su ciò che vedo: l’immagine dello schiavo moderno.
Afferro il nodo per allentarlo quando mi squilla il telefono; ho un sobbalzo. “Ma quando ti decidi a mettere il nome sul campanello?”. Luna, la tua energia mi prende sempre ancora alla sprovvista. Saranno i quasi 10 anni di differenza ma proprio a volte non riesco a stare al tuo passo.
“Non voglio essere trovato, lo sai! Quando sono a casa voglio essere lasciato in pace”. Mi avvicino al citofono continuando a parlare al telefono, “Dimmi se si aprono sia il portone di legno che quello interno”. Mi rispondi qualcosa che non ascolto, mi concentro sui rumori di sottofondo e cerco di immaginarti: il portone che cigola lamentosamente per poi sbattere irato come in segno di protesta per essere stato disturbato nel cuore della notte; i tuoi passi veloci che rimbombano nel cortile interno come piccoli sassi lanciati da bambini dispettosi nascosti sui tetti della città; il vento profeta di un vicino temporale estivo che scompiglia indifferente i tuoi capelli biondi, ricci e ribelli.
La tua voce attraverso la cornetta mi riporta alla realtà: “Marco, ci sei? La porta interna non si apre”. Ripetutamente premo invano il bottone del citofono e ti rispondo: “Aspettami, sto scendendo”.
Infilo un paio di All Stars bianche e scalcinate che sotto l’abito di Boggi creano un effetto sbarazzino e scendo le scale di corsa. Quando attraverso la trasparenza del vetro mi vedi spuntare dall'ultima rampa, inizi a bussare alla porta dell’androne con fare impertinente. Toc… Toc… Toc.
Apro la porta e subito mi colpisci con un sorrisone enorme, felice, spensierato, leggero. Aria, luce, vita!
Non ti ho ancora toccata e già ti desidero; ti prendo per un braccio e avvicinandoti a me ti bacio delicatamente sulle labbra, bisbigliandoti un saluto che scivola anonimo sulla nostra pelle.
Ti cingo a me e subito premo la mia lingua tra le tue labbra per cercare la tua; stringo il tuo viso tra le mie mani quasi per paura che tu possa scomparire come in un sogno. Sento le tue dita sulla mia schiena attraverso la camicia, ti prendo per un polso e accompagno la tua mano sulla mia erezione che ormai forza la cerniera dei pantaloni nel disperato tentativo di incontrarti.
Non riesco a trattenermi. Con un colpo secco ti giro e ti faccio appoggiare al muro, ti slaccio i jeans e tu li spingi fino alle caviglie insieme agli slip. Mi inginocchio dietro di te e inizio a leccarti rapito dalla voglia mentre tu, consapevole dei miei desideri, spingi verso di me il tuo bel culetto sodo. La mia lingua passa in un attimo dalle tue grandi labbra al tuo sedere per poi tornare a cercare il tuo clitoride. Faccio scivolare due dita dentro di te e mi accorgo che sei già bagnatissima. Mi alzo in piedi. Slaccio i pantaloni dell’abito facendo risuonare nella rampa delle scale il rumore metallico della fibbia della cintura incurante del rischio di svegliare qualcuno.
In un attimo ti sto penetrando, trattieni un urlo che sfugge al tuo controllo mentre senti la mia cappella farsi strada dentro di te, affamata di piacere. Accelero senza fermarmi per 30 secondi, poi mi avvicino al tuo orecchio e ti dico di salire.
Tenendo goffamente insieme i nostri vestisti saliamo a due a due gli scalini che ci separano dal mio appartamento. Appena chiudiamo la porta alle nostre spalle siamo di nuovo uno addosso all'altra. Senza darmi tempo di fare nulla mi prendi il cazzo in mano accompagnandolo nella tua bocca, e come sempre provi a farlo scomparire tutto tra le tue labbra. Ti lascio fare per qualche minuto, poi ti prendo dai capelli e tenendoti premuta contro di me inizio a scoparti la bocca; tre o quattro colpi mi bastano per riprendere il controllo della situazione. Quando esco dalla tua bocca hai il respiro affannato e ti abbandoni sul divano pronta a lasciarmi fare tutto quello che voglio.
I tuoi vestiti scompaiono appendendosi agli scaffali della mia libreria mentre io affondo la faccia tra le tue cosce e comincio a dipingere curve di piacere tra le tue grandi labbra scegliendo dove incedere con la mia lingua e dove far arrivare le mie dita, come un pittore che sapientemente sceglie i colori migliori dalla sua tavolozza. Le tue unghie iniziano a lasciarmi segni sulla pelle mentre il tuo respiro accelera trasformandosi prima in un mugolio e poi in un grido. La mia lingua sul tuo clitoride accompagna il movimento delle mie dita che ti massaggiano dall'interno fino a quando il tuo orgasmo si insinua nella mia pelle lasciandomi segni di passione nella schiena.
Ti faccio alzare e tu sai già dove andare; ti sdrai sul mio letto a pancia in giù, con la faccia immersa tra i miei cuscini. Con un dito inizio a massaggiarti delicatamente il buchetto tra le tue natiche così candide da ispirare morsi. Uso la mia saliva e i tuoi umori per essere sicuro di lubrificarti bene prima di appoggiarti la mia cappella e cominciare a spingere. Stringi i cuscini tra le mani rilasciando un secco urlo di dolore quando con un movimento deciso la mia cappella scivola finalmente dentro di te. Le mie dita cercano il tuo clitoride trovandolo gonfio di piacere. Spingi il culo contro di me, aiutandomi ad affondare dentro un po’ di più e ti abbandoni a me e a quel piacere misto a dolore a cui non riesci mai a dire di no. Proseguo così finché non mi accorgo che stretto in quell'alcova proibita il mio orgasmo si sta facendo strada troppo rapidamente.
Esco, ti giro e ti bacio con passione infilandoti in bocca la mia lingua che ancora sa di te. Mi sdraio e ti faccio montare sopra. Il tuo corpo tra le mie mani è di una bellezza quasi perfetta mentre accompagni la mia erezione dentro di te. Sei cosi calda e accogliente che quando inizi a ondeggiare io non posso più trattenermi. Con impeto ti afferro per i fianchi tenendoti premuta contro di me e inizio a scoparti dal basso, sbattendotelo dentro con forza, sempre più a fondo, sempre più duro finché restano fuori solo le palle. Gli addominali mi bruciano come squartati da una lama, ma non riesco più a smettere; e anzi accelero, finché il tuo urlo di piacere lacera la notte per spegnersi con i tuoi denti affondati nella mia carne; esplodo dentro di te con un paio di fiotti caldi e copiosi che fondono il mio orgasmo con il tuo in un unico amplesso.
Ti abbandoni sul mio corpo mentre esausti e madidi di sudore ci aggrappiamo l’uno all'altra ancora quasi incapaci di respirare. Il silenzio ci inghiotte mentre fuori principia il temporale.
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