La persistenza della memoria – Barcellona 2016
di
Marco Demma
genere
etero
L’appuntamento è per le quattro, ma io ti sto aspettando sotto la pioggia ormai da mezzora, guardando la gente passare e osservando le coppie che si sciolgono uno addosso all'altra come il tempo dipinto da Dalì.
Mi accendo l’ennesima sigaretta della giornata mentre mi fermo a pensare a te, a noi, a come ci siamo conosciuti e a come ci stiamo scoprendo ancora ogni giorno. Non credevo fosse possibile sentire così tanto a livello fisico il bisogno mentale di avere una persona; di viverla, di possederla.
Sei bella, di una bellezza semplice e pulita, fatta di sorrisi, profumi e pensieri. Penso alla prima volta che ti ho incontrato, così austera e irraggiungibile. Penso alla prima volta che ti ho posseduto, così passionale e generosa. Penso alle risate e al profumo di limoni. Penso alla nostra complicità.
Alzo lo sguardo e ti vedo in lontananza: indossi una camicetta bianca senza maniche e un paio di miei jeans che devo aver dimenticato a casa tua nell'inconscio desiderio di lasciare una traccia di me, un paio di sandali con il tacco, aperti, e una giacca di pelle sopra. Ti guardo e so che non indossi il reggiseno, tua piccola ribellione personale verso un mondo che dà troppe cose per scontate. Chiudo gli occhi e finisco questo bozzetto mentale immaginandoti con un paio mutandine di pizzo nero e subito vorrei sentire la tua pelle addosso alla mia.
Ti avvicini a me, mi prendi il viso con una mano, mi sorridi e mi appoggi dolcemente un bacio sulle labbra. Io in risposta ti prendo per la vita, ti premo contro di me e in un attimo la mia lingua sta rincorrendo la tua. La felicità si risveglia nei miei pantaloni. Ti stacchi dal mio bacio e, sempre accarezzandomi il viso, mi guardi senza parlare, riempiendomi le orecchie con un sorriso che non ha bisogno di parole.
Ho voglia di farti l’amore addosso, qui davanti a tutti. Tu lo sai, mentre attraverso i jeans vai a salutare il mio cazzo già duro: “è tutto il giorno che son bagnata… entriamo?!”
Cercando di confonderci in mezzo agli altri visitatori entriamo nel museo, l’allestimento temporaneo riesce solo parzialmente a distrarci dai nostri impulsi. Mi guardo intorno e ho come l’impressione che tutti si siano accorti di noi, della nostra eccitazione, della nostra passione. Quando son con te divento paranoico come un ragazzino che dopo aver fumato erba ha l’impressione che tutti lo sappiano e lo condannino. Ti avvicini a me: “Lascia che guardino, lascia che giudichino, lascia che imparino. Son ancora tutta bagnata, facciamo in fretta!”.
Mi trascini al prossimo quadro nel quale gli orologi in disfacimento surreale sembrano voler rappresentare il nostro momento di eccitamento in mezzo a questo colto pubblico di illetterati passionali: insieme viviamo al di sopra di ogni nozione che convenzionalmente scandisce la vita quotidiana di chi ci esiste intorno. Guidati delle nostre passioni noi viviamo di eccessi, ci nutriamo di desiderio, ci perfezioniamo nel vizio.
Ti abbraccio da dietro e ti faccio sentire la mia erezione ancora ben evidente. Con un movimento casuale sfioro il tuo seno sentendo i capezzoli già turgidi sotto il tessuto leggero della tua camicetta.
Ti scosto i capelli da un lato e ti bacio il collo, poi in un sussurro inizio a fare l’amore con te: “Avrei voglia di sbatterti al muro, abbassarti i pantaloni e farti scivolare dentro tutta la mia erezione. Ho voglia di venirti dentro. Voglio che mi senti esplodere dentro di te, impaziente e incontrollato. Ti voglio! Qui, ora!”, “Continua”, “Voglio sentire il profumo del tuo orgasmo mentre ti lecco, in ginocchio davanti a te mentre te mi tieni la testa premuta contro la tua figa. So quando stai godendo, perché mi stringi la faccia tra le cosce fino quasi a farmi soffocare”. Ansimi, il respiro si raccoglie in rivoli affannati: “Voglio che ci guardino tutti, adoranti, assorti ed eccitati come davanti ad un’opera d’arte. Tu sei arte, e insieme lo siamo noi!”.
Abbandoniamo la mostra e ci buttiamo di corsa nel primo tapas bar, ordiniamo una cerveza che nemmeno aspettiamo mentre irrequieti corriamo nei bagni sul retro.
In un attimo il mondo non esiste più, catturato nella persistenza della nostra memoria.
Mi accendo l’ennesima sigaretta della giornata mentre mi fermo a pensare a te, a noi, a come ci siamo conosciuti e a come ci stiamo scoprendo ancora ogni giorno. Non credevo fosse possibile sentire così tanto a livello fisico il bisogno mentale di avere una persona; di viverla, di possederla.
Sei bella, di una bellezza semplice e pulita, fatta di sorrisi, profumi e pensieri. Penso alla prima volta che ti ho incontrato, così austera e irraggiungibile. Penso alla prima volta che ti ho posseduto, così passionale e generosa. Penso alle risate e al profumo di limoni. Penso alla nostra complicità.
Alzo lo sguardo e ti vedo in lontananza: indossi una camicetta bianca senza maniche e un paio di miei jeans che devo aver dimenticato a casa tua nell'inconscio desiderio di lasciare una traccia di me, un paio di sandali con il tacco, aperti, e una giacca di pelle sopra. Ti guardo e so che non indossi il reggiseno, tua piccola ribellione personale verso un mondo che dà troppe cose per scontate. Chiudo gli occhi e finisco questo bozzetto mentale immaginandoti con un paio mutandine di pizzo nero e subito vorrei sentire la tua pelle addosso alla mia.
Ti avvicini a me, mi prendi il viso con una mano, mi sorridi e mi appoggi dolcemente un bacio sulle labbra. Io in risposta ti prendo per la vita, ti premo contro di me e in un attimo la mia lingua sta rincorrendo la tua. La felicità si risveglia nei miei pantaloni. Ti stacchi dal mio bacio e, sempre accarezzandomi il viso, mi guardi senza parlare, riempiendomi le orecchie con un sorriso che non ha bisogno di parole.
Ho voglia di farti l’amore addosso, qui davanti a tutti. Tu lo sai, mentre attraverso i jeans vai a salutare il mio cazzo già duro: “è tutto il giorno che son bagnata… entriamo?!”
Cercando di confonderci in mezzo agli altri visitatori entriamo nel museo, l’allestimento temporaneo riesce solo parzialmente a distrarci dai nostri impulsi. Mi guardo intorno e ho come l’impressione che tutti si siano accorti di noi, della nostra eccitazione, della nostra passione. Quando son con te divento paranoico come un ragazzino che dopo aver fumato erba ha l’impressione che tutti lo sappiano e lo condannino. Ti avvicini a me: “Lascia che guardino, lascia che giudichino, lascia che imparino. Son ancora tutta bagnata, facciamo in fretta!”.
Mi trascini al prossimo quadro nel quale gli orologi in disfacimento surreale sembrano voler rappresentare il nostro momento di eccitamento in mezzo a questo colto pubblico di illetterati passionali: insieme viviamo al di sopra di ogni nozione che convenzionalmente scandisce la vita quotidiana di chi ci esiste intorno. Guidati delle nostre passioni noi viviamo di eccessi, ci nutriamo di desiderio, ci perfezioniamo nel vizio.
Ti abbraccio da dietro e ti faccio sentire la mia erezione ancora ben evidente. Con un movimento casuale sfioro il tuo seno sentendo i capezzoli già turgidi sotto il tessuto leggero della tua camicetta.
Ti scosto i capelli da un lato e ti bacio il collo, poi in un sussurro inizio a fare l’amore con te: “Avrei voglia di sbatterti al muro, abbassarti i pantaloni e farti scivolare dentro tutta la mia erezione. Ho voglia di venirti dentro. Voglio che mi senti esplodere dentro di te, impaziente e incontrollato. Ti voglio! Qui, ora!”, “Continua”, “Voglio sentire il profumo del tuo orgasmo mentre ti lecco, in ginocchio davanti a te mentre te mi tieni la testa premuta contro la tua figa. So quando stai godendo, perché mi stringi la faccia tra le cosce fino quasi a farmi soffocare”. Ansimi, il respiro si raccoglie in rivoli affannati: “Voglio che ci guardino tutti, adoranti, assorti ed eccitati come davanti ad un’opera d’arte. Tu sei arte, e insieme lo siamo noi!”.
Abbandoniamo la mostra e ci buttiamo di corsa nel primo tapas bar, ordiniamo una cerveza che nemmeno aspettiamo mentre irrequieti corriamo nei bagni sul retro.
In un attimo il mondo non esiste più, catturato nella persistenza della nostra memoria.
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