Lo spettacolo deve continuare - Yellowrose

di
genere
dominazione

Premessa

Accade a volte che una storia si modelli su una persona, e che acquisti una vita propria, ma certe storie sono come un figlio, e come tale ha un origine, un inizio ed una fine. Possiamo originare qualcosa ma a volte sono altri a finirla, qui è lo stesso.
Ho scritto la prima parte di questa storia lasciandola con un finale aperto e un amica, leggendola ha pensato che fosse giusto darle un compimento...ed eccoci qui.
Qunidi non mi attribuiso la paternità di questo scritto, ma ne pubblico di seguito la continuazione al mio augurandomi che Yellorose, un giorno voglia pubblicare i suoi scritti autonomamente... anche perchè credo abbia davvero molto da raccontare. Quindi ecco questa continuazione di uno scritto ormai di fatto a "4 mani".

Lo spettacolo deve continuare (di Yellowrose)


Li su quel legno reso caldo dalla giacca di lui, chiuse gli occhi che grondavano lacrime, la fica e gli occhi bagnati dallo stesso dolore immenso: il primo per un cazzo che aveva atteso da tutta la vita il secondo per tutta quella attesa che aveva avuto finalmente la sua corona nello sguardo di lui.
Aveva mille volte aperto le gambe lei, credendo con la testa prima e col cuore poi, il cuore di troia quello daltonico che ama il cuoio il viola che diventa blu, che riconosce solo la pelle se è rossa calda, si credendo che quello sguardo sarebbe arrivato.
Ricordava ogni singolo momento vissuto nel cercare quello sguardo, ci vedeva la stessa emozione della bambina che la sera della vigilia non riesce a dormire e non aveva dormito la sera prima nell'attesa del regalo.
Ci fu il Natale quello primo della memoria, così primo da essere il primo da dimenticare, poi ne arrivarono altri e altri e altri, ma non tanti, che poi tanto non significa altro che un cazzo in culo quello si se lo ricordava.
Era una giornata bella di emozioni di quelle che riportano al mare, tanto il costume lo hai sempre addosso e il sale se passi la lingua sulle labbra lo continui a sentire.
"Ci vediamo domattina?"
"Si passo da te, vengo a casa tua"
e rimase così con la frenesia dell'adolescente cucita addosso, aderente pelle nuova per una donna vecchia.
Ed era arrivata dopo un'ora di auto e si erano messi d'accordo che lei avrebbe suonato e avrebbe eseguito le istruzioni, era brava era docile, succhiava bene il cazzo e sapeva resistere al dolore, questo glielo avevano detto, lei aveva dimenticato però.
Citofonò e il portone si aprì, lesse sul cellulare le istruzioni "Entra subito a sinistra la prima porta, Chiudi, spogliati, metti la benda aspetta in ginocchio".
Lo fece, come avrebbe sempre fatto, avrebbe fatto sempre tutto il possibile perchè il sogno diventasse pittura su tela e non idea su idea, parole su parole: lei voleva gli odori i sapori, lo spazio il tempo il respiro.
Si stupì quando nuda con la benda in mano, vide in terra un cuscino era per lei, non lo avrebbe mai pensato, non era abituata a quelle delicatezze e ricacciò le lacrime dentro insieme a tutto il resto che intanto usciva dalla fica. Si stupì di essere un contenitore di fica ed emozioni, si bagnò ancora di più e si mise in ginocchio ad aspettare bendata.
Il Suo naso respirò l'aria delle candele che non odoravano, nemmeno di paraffina, ma di attesa e calore e femmina.
Poi sentì dei rumori sapeva erano passi, sentiva erano passi di uomo nudo, lei non vedeva ma sentiva la nudità di lui e colse la ruvidità della lama del coltello, forse di sei cm, non glielo chiese di quanto fosse la lama, non era una domanda da fare non avrebbe più avuto occasione di fare domande, ma questo lei non lo sapeva.
Il freddo dell'acciaio, la riportò all'adolescenza e a quel cugino che faceva collezione di Opinel, era un Opinel quello che tagliava i sui slip, insinuandosi tra le mutande e la fica tra il cotone e la pelle depilata non di uomo ma della femmina. Tagliò il tessuto, spingendo prima la lama verso la carne delle grandi labbra piccola rincorsa per una corsa lenta dal rumore di fibre lacerate, quella sorta di graffio sordo che si sarebbe piantata come il suo tic tac di quel giorno. Odiava il tempo e gli orologi lei.
Si trovò senza mutande improvvisamente, aveva smarrito nel tempo perduto l'altro taglio aveva perso quell'azione distratta dal rumore del cotone e dell'acciaio distratta dalla fica calda e dai pensieri che stavano pesanti e immobili ad occupare con lei il cuscino.
Poi sentì un odore di nuovo di fibra naturale e forse prima succhio il cazzo o forse prima desiderò cosi tanto farlo che sentiva l'impronta della carne dura di lui sulla lingua, "adesso ti lego" e lei in ginocchio sempre restò lì come una bambola di pezza e si vide coi capelli di lana e il vestito di corda che stringeva la fica e spingeva sul clitoride e sotto la benda aveva gli occhi spalancati di quella bambina che cercava emozione. La legò e non si ricordava più come le legò le mani, le mani delle puttane le puttane non sanno mai dove vadano, dovrebbero avere sempre le tasche hanno solo le fiche bagnate invece.
La mise sul divano che aveva sentito essere bianco, e legata la scop da dietro, nessuna dolcezza, non si ricorda se avese goduto ma sa che lo aveva fatto. Poi la fece scendere, avvolta così, pesce nella rete non di mare, e la mise come si mettono le cose che vanno usate e provò ad incularla, ma non era larga abbastanza e cosi gli disse "prova a incularmi alla missionaria, poi dopo mi metti come vuoi", lei non si ricorda se lui sputò sulle mani o sul suo buco del culo, forse non servì forse la sua fica era colata abbastanza, ricorda che lui la inculò e che le piacque poi lui le disse " Adesso fatti inculare come la cagna che sei" e lei legata nella sua rete, sirena senza coda vestita di corda, si mise col culo all'aria e la faccia attaccata al pavimento, perchè il tappeto l'accarezzasse e ci fosse qualcosa di caldo tra il cazzo ed il suo culo. E ricorda la luce che dalla benda trafilava e le venne in mente che la stessa luce forse adesso poteva entrare nel suo culo e lei poteva essere mille cose, ma non una regina e nemmeno una troia.
Ricorda che a un certo punto lui volle farsi leccare il culo e lei si rifiutò, non cedette forse o preferì ricordare di non averlo fatto, ma è certo che lui le prese i capezzoli con forza tirandoli per ricordarle ciò che doveva fare.
Poi un milione di istanti condensarono in uno, e divennero il momento in cui assieme misero a posto le corde e fu lo stesso che segnava il momento di rientrare, rientrò a casa e le mancò come ogni volta come ogni maledetta volta il momento delle carezze che le puttane sostituiscono coi soldi, nessuna differenza solo valori diversi, ricordò che le mancò quel calore il calore dei soldi il calore della mano e sulla strada del ritorno sentì un grande silenzio di freddo.
Non parlò quel giorno, resto a casa a dormire tutto il pomeriggio, ubriaca di sperma che sentiva ancora nel culo, buco riempito come in quel momento sul palco. Si spensero le luci, erano gli occhi che si chiudevano il sipario del giorno appena finito. Le restò addosso la coperta e il desiderio di calore, cercava un riparo da quel buio del sonno, arrivarono i sogni portarono sorrisi e cambiò la luna e cambiò lei, restò puttana e non diventò regina.


scopertaeros69
scritto il
2016-11-16
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