Puttana in Trasferta: Vedi Napoli, e Muori
di
Patrizia V.
genere
dominazione
Molliamo gli ormeggi appena imbarcata la moto.
Non ho idea di cosa stia succedendo nella villa di don Gennaro, e francamente non mi interessa saperlo, almeno non subito.
Il tempo di scalciare via quelle maledette scarpe con il tacco alto e mi precipito ai comandi mentre Eva assicura la moto e Jasmine molla gli ormeggi: per fortuna il pieno è stato fatto e il motore era già caldo, grazie alla nostra Jas!
Usciamo dal porto di Marina Grande e ci allontaniamo a tutto motore da Capri, diretti al porto sicuro di Nisida.
Mi guardo alle spalle per assicurarmi di non avere già uno zodiac alle spalle, e imposto il pilota automatico; poi lascio i comandi a Jasmine e scendo sottocoperta per fare rapporto… Seriamo bene.
Castaldi mi sbrana per radio. Cosa cazzo mi è passato per la testa, di ammazzare anche Anna? Mi rendo conto o no, del casino che ho combinato?
Dovevo lasciare che ammazzasse due ragazzini sotto i miei occhi senza fare niente? Almeno ci ho provato…
…E non ci sono riuscita. A momenti ci lasciavo la pelle… E soprattutto adesso a Napoli sarà un casino di quelli epici, con un clan grosso come quello degli Sposito completamente decapitato e tutti gli altri che si getteranno ad occupare lo spazio rimasto improvvisamente libero nei quartieri che solo il giorno prima erano feudo di don Gennaro e famiglia!
Si fa presto a criticare: cosa avrei dovuto fare, stare a guardare? A quel punto, quale sarebbe stata la differenza fra Anna e me?
Qui Castaldi si calma un momento: ne riparleremo… Intanto dobbiamo sbrigarci ad arrivare a Nisida, dove dovremo buttare giù un bel rapporto scritto da spedire sulla rete protetta.
Spengo e mi rilasso.
Eva mi abbraccia da dietro; non l’ho ancora ringraziata di essere stata lì per me, e di avermi salvato la vita un’altra volta.
Ci baciamo, appassionatamente.
Andiamo a fare la doccia insieme, e finiamo sul lettone a fare l’amore.
Riemergiamo solo quando Jasmine ci avverte che siamo quasi a Nisida… Lei non ha ancora fatto gli esami, e senza patente nautica è meglio che non sia lei ad attraccare: non che non sia capace, ma l’assicurazione…
Incredibile come problemi così triviali ti riportino alla realtà di tutti i giorni anche al termine di un’avventura con tanti morti ammazzati.
In effetti, succede un bel casino.
A Napoli ci sono almeno sette omicidi in due giorni, tutti riconducibili alla faida degli Sposito. I GIS assaltano la villa di Marechiaro facendo altre due vittime e recuperando carte e registri delle gestioni dei tre fratelli Sposito, e il giorno dopo a Capri ci vanno i NOCS, che però non trovano più niente e nessuno… A parte i corpi in via di decomposizione di quattro membri della famiglia Sposito, ancora ammucchiati in camera da letto.
Il procuratore ci sta già impazzendo sopra…
I traffici della famiglia sono a un punto morto, ma le altre famiglie si stanno gettando come sciacalli su ciò che resta degli affari di don Gennaro, schiacciando senza pietà le ambizioni dei capiquartiere che avevano cercato di subentrare alla famiglia Sposito per la quale avevano lavorato per anni.
Spedisco il mio rapporto dettagliato a “Vittorio”, e per risposta ricevo due dozzine di richieste di approfondimento… Rispondo a tutte e ricevo una paternale di sei pagine piena di rimproveri per come ho gestito la faccenda della villa di Capri.
Sono così indignata per la mancanza di comprensione da parte dell’Agenzia, che sto seriamente considerando di mettermi al servizio della Mafia russa, che probabilmente tratta meglio i suoi agenti che rischiano la pelle, quando ricevo una chiamata sul crypto da “Vittorio”.
Sto per aggredirlo verbalmente nel migliore stile-Visentin, ma lui mi spiazza complimentandosi calorosamente. Si complimenta per il mio sangue freddo e mi prega di girare i complimenti anche a Eva per la sua mira.
I complimenti a Eva mi addolciscono di colpo.
- Ma io credevo che…
- Le rampogne scritte sono documenti ufficiali dovuti – ridacchia “Vittorio” divertito del mio imbarazzo – Sono classificati, ma rimangono agli atti e servono a coprire le spalle ai dirigenti in caso di inchieste parlamentari. Ora che ho letto tutta la storia, mi posso congratulare con voi, Mantidi: la situazione era complessa, e voi l’avete risolta senza compromettere l’Agenzia e togliendo di mezzo un clan pericolosissimo con danni collaterali tutto sommato limitati.
Sono sbalordita: - Quindi non abbiamo fatto un casino..?
- Certo che l’avete fatto! – ridacchia il vecchiaccio – Ma è per questo che abbiamo mandato voi a Napoli. Se volevo un lavoro fatto con i guanti bianchi mandavo un altro… Magari avremmo preferito che un membro debole della famiglia succedesse a don Gennaro, magari il giovane Giuseppe. Ma non si può avere tutto, e del resto ci eravamo già sbagliati con Anna Sposito, che si è rivelata una belva come i suoi fratelli. Quindi alla fine va bene così.
- Davvero?
- Beh, a noi va bene così. I cugini la pensano in maniera diversa, ma loro non sono mai contenti, e bisogna capirli. La lotta al crimine organizzato dura dal 1860, e durerà almeno altri cento anni: eliminare un clan non risolve le cose, ma è sempre un passettino nella giusta direzione.
Tiro un sospiro di sollievo: temevo davvero di non aver capito niente della vita…
- Naturalmente questa è un’affermazione privata e personale fra noi due, Mantide: il biasimo ufficiale resta, altrimenti chi li sente, i cugini? Ma d’altra parte, voi non dovete mica fare carriera, no?
Troppo giusto: - E’ sempre un piacere lavorare per te, “Vittorio”…
- Anche a me ha fatto piacere sentirti, Patrizia.
Marco è meno laconico.
Ci rifila un lungo pistolotto sul concetto secondo cui chi opera per imporre l’osservanza delle leggi dello Stato non può farsi anche giudice: se potere esecutivo e giudiziario si sovrappongono, viene ad essere compromesso uno dei principi di base della democrazia…
Che noia… Si sente che ha seguiro un corso di laurea in legge.
Okay, mi hai convinto. Allora: Anna ha sparato a Giuseppe e sta per sparare a Sara… Io cosa dovrei fare?
Impedirle di sparare, naturalmente… Ma senza strangolarla.
Certo: così lei chiama i suoi uomini, fa uccidere me, e dopo uccide comunque anche Sara.
Beh, bisognava provarci, magari non andava così; e comunque, io Sara non l’ho mica salvata.
Insomma: ero in una situazione di merda, e la soluzione non c’era. Toccava assumersi una responsabilità, e io l’ho fatto. Meno male che le cose sono andate in modo che adesso posso prendermi le mie brave critiche da viva…
Piove a catinelle a Nisida, e a Napoli le cose si stanno assestando lentamente.
Manca ancora un dettaglio prima di poter considerare conclusa la faccenda: i registri di don Gennaro sono spariti dalla villa di Capri, e i cugini li vogliono a tutti i costi.
Li ha portati via uno degli uomini di don Gennaro, e adesso vuole venderli al miglior offerente.
Il miglior offerente è lo Stato italiano.
- Perché devo andarci io?
Marco scuote la testa: - Per la solita ragione: ti conosce perché ti ha vista alla villa, e vuole te.
OK, ci vado. Ma non mi piace per niente, così prendiamo qualche precauzione.
Invecie della solita vineria di piazza Vanvitelli, questa volta si tratta di una pizzeria nei Quartieri Spagnoli…
Siamo fuori dal territorio degli Sposito: evidentemente il tipo ha già cambiato padrone.
Il posto è di bassa lega, ma la pizza è fantastica e siccome io non sono una snob, me la gusto di cuore mentre aspetto.
Il tipo si fa aspettare, da bravo buzzurro; mi sta già sul cazzo.
Sono nella mia versione jeans, e anche se non sono particolarmente provocante, mi accorgo di attirare diversi sguardi: una bionda della mia età, da sola in un locale del genere, desta curiosità.
Io odio aspettare; Eva lo sa benissimo, e probabilmente si sta divertendo da pazzi…
Eccolo.
Tipo nella media, sui quaranta: capelli neri lunghi, barba non fatta, aria da truzzo.
Mi si siede davanti con una busta in mano.
- E tu chi cazzo sei? – gli chiedo, già maldisposta nei suoi confronti.
Lui fa una smorfia e mi risponde per le rime: - Songo chello ca' staje aspettando, zoccola.
Io capisco solo lo “zoccola”, e mi basta per definire il mio rapporto con lui.
Ci scambiamo le buste; guardiamo dentro e verifichiamo che ci sia quello che ci interessa. Poi lui si alza e se ne va, come se non ci fossimo accordati sul prezzo della marchetta.
A volte questo lavoro è davvero squallido…
Mi alzo, lascio i soldi sul tavolo ed esco con la busta nella sacca a tracolla.
Ha smesso di piovere, bene… Mi avvio a passo svelto verso piazza Plebiscito; per fortuna oggi niente tacchi alti, solo i miei soliti stivali bassi.
Una scarica nell’auricolare, poi la voce concitata di Eva nell’orecchio: - Pat, attenta! Hai uno scooter alle spalle, e i due a bordo hanno il casco…
A Napoli nessuno porta il casco: solo Eva, io e i killer motorizzati, e tutti per lo stesso motivo.
Stringo i denti e tendo i muscoli mentre avverto il rombo del motorino smarmittato alle mie spalle.
Giro appena la testa per guardare dietro con la coda dell’occhio e lo vedo arrivare a tutta velocità facendo lo slalom fra le auto in sosta vietata e i passanti incazzati.
Sì, quello dietro ha una pistola: non ci sono dubbi, sono qui per me…
Mi butto a terra ed estraggo la mia Shield, che tenevo infilata nei pantaloni dietro la schiena.
Mi sono buttata troppo presto, il killer non ha ancora fatto fuoco e riesce a correggere la mira vedendomi rotolare sui sanpietrini.
Un colpo. Due, tre…
Sento il tonfo sordo dell’impatto dei proiettili al suolo accanto a me, ma io sto ancora rotolando e il tipo non è dei più in gamba: devono essere killer di strada, di quelli da duecento euro a contratto.
Il motore smarmittato mi romba accanto a meno di due metri.
Un altro colpo, se non mi colpisce è proprio un imbranato…
E’ davvero un imbranato. Okay, sparare da uno scooter in corsa non è neanche troppo facile, poverino. E poi con la coca in corpo non si prende bene la mira, specialmente di sera.
Io in corpo ho solo un’ottima pizza e una coca cola, e sparo da ferma: sparo due colpi, e li piazzo tutti e due nella schiena del mio aspirante killer, che caccia un urlo e cade all’indietro dalla moto, sbilanciando il compare che sbanda malamente sui sanpietrini bagnati.
Sparo un terzo colpo prima che il complice si allontani, e lo prendo alla gamba mentre scarta di lato per cercare di riprendere il controllo dopo la sbandata.
Lo scooter sbanda dall parte opposta, il pilota perde il controllo e si schianta contro il cassonetto pieno di immondizia.
Cazzo che casino: munnezza da tutte le parti e gente che urla come se fosse successo chissà che…
Mi alzo, scavalco il corpo del primo coglione (con due 0.9 nella schiena non può essermi molto utile) e raggiungo la montagna di rifiuti in cui sono finiti lo scooter e l’altro coglione, che invecie sta urlando di dolore e quindi sta abbastanza bene.
Gli tiro via il casco e gli punto la S&W al collo: - Chi vi ha pagato, stronzo?
E’ un ragazzino, sicuramente minorenne; mi guarda con gli occhi sbarrati dal dolore e dalla paura: evidentemente fare il killer è meno facile di come se l’era immaginato.
- Nun o’ saccio, o’ contràtt l’ha fatto o' mie cumpagn…
Non ho capito un cazzo, ma è evidente che lo scugnizzo aspirante guappo cerca di fare il furbo: lo colpisco in faccia con il calcio della Shield e oltre a spaccargli il labbro gli spezzo anche un paio di denti.
- Aahhh! Maledett zoccola, io niente saccio… Vattinne, lasseme sol!
Mi accorgo che sta accorrendo gente, e i passanti cominciano a radunarsi a capannello attorno a noi.
Mi ricordo che quella è una delle strade dove la pula ci va solo in forze, e spesso se la deve vedere con mezzo quartiere in rivolta… Meglio sparire.
Spacco definitivamente la faccia al coglione con il calcio della Shield, tanto per essere sicura che si ricordi di me per sempre, e mi rialzo in piedi con la pistola in pugno.
Ci saranno almeno una ventina di persone intorno a me, e nessuna mi appare molto amichevole: i due teppisti devono essere del posto, mentre io chiaramente non lo sono e questo non fa di me la benvenuta.
- Pat, tutto bene?
La voce di Eva nell’auricolare mi coglie di sorpresa.
- Sì, tutto a posto… Stai seguendo il contatto?
- Certo, gli sono dietro. Si dirige verso il porto.
- Stagli addosso. Io mi libero e ti raggiungo…
Punto la pistola sulla folla, e ottengo l’attenzione che volevo.
Poi comincio a correre verso piazza Plebiscito.
Non mi seguono: la folla rispetta le armi da fuoco, e hanno avuto modo di vedere che so usare la mia.
In piazza Trieste e Trento acchiappo un taxi abusivo e salto a bordo con il fiatone.
- Verso il porto! – ansimo – Poi le dico dove proseguire…
Giriamo intorno al Palazzo reale e poi dietro a Castel Nuovo, mentre Eva segue in moto il contatto e mi aggiorna in tempo reale.
Il mio tassista abusivo sembra divertirsi un mondo a seguire le mie istruzioni chiaramente dettate per radio, e mi chiede se stiamo girando un film.
Ci infiliamo contromano dietro al comando della Guardia di Finanza, e vedo la moto di Eva ferma all’angolo che ci aspetta.
Piazzo cinquanta euro in mano all’abusivo e salto a terra raggiungendo Eva.
- Calma, lui è a piedi – mi fa, con tono divertito – Ti sei rotolata per terra?
In effetti faccio un po’ schifo: il selciato nei Quartieri Spagnoli oltre che bagnato era anche bello sporco; fortuna che nell’immondizia non ci sono finita io!
Salto in sella dietro a Eva, e lei riparte.
Siamo dalle parti dell’Università: una zona-bene, speriamo non ci siano altre sorprese…
Lo vediamo entrare in un condominio abbastanza normale.
Io smonto mentre Eva incatena la moto (speriamo di ritrovarla!) e mi precipito alle sue calcagna.
Il portone si richiude lentamente, e riesco a bloccarlo mentre lui chiama l’ascensore.
Scivolo dentro e mi scapicollo su per le scale mentre lui sale con tutti i comodi… Più passa il tempo, e più questo tipo mi sta sul cazzo.
Scende al terzo piano, e io mi apposto dietro l’angolo mentre lui apre la serratura.
Poi, quando la porta è aperta, è finalmente il mio momento.
- Fermo dove sei!
Il camorrista si blocca nell’uscio spalancato; gira la testa e si vede puntare addosso una Smith & Wesson da 9mm, impugnata da una veneta alta e bionda dall’aria decisamente incazzata.
Mi sembra abbastanza sorpreso di vedermi, e la sua espressione mi basta per convincermi della sua colpevolezza: - Sorpreso di rivedermi così presto? Non mi credevi mica morta, vero?
Dalla sua faccia è evidente che pensava proprio questo, e la cosa mi indispone ancora di più.
- Dentro! Dobbiamo fare due chiacchiere, noi due…
- Maronn! Tengo mia moglie n’ casa…
Questa volta h capito: - Non me ne fotte un cazzo se dentro c’è anche tua moglie, cornuto! Non sono mica della polizia.
Lo spingo dentro e mi chiudo la porta alle spalle per evitare sorprese.
La luce nell’appartamentino è accesa, e si sente il profumo della cena.
Una voce di donna dalla cucina: - Amore, sì tu?
- Dille di venire in salotto – gli dico a bassa voce, la pistola spianata contro lo stomaco – E niente scherzi!
Lo stronzo obbedisce, e la mogliettina accorre premurosa…
… E io una delle sorprese più grosse della mia vita.
Neanche trent’anni, piccolina, snella, bruna: piuttosto attraente, con un grembiule da cucina a coprire la gonna leggera e la camicetta colorata, pantofole ai piedi fasciati nelle calze…
Sgrano gli occhi nel riconoscerla.
- Angela!
Lei ammutolisce nel riconoscemi a sua volta: - Pat! Che ci fai qui?
La moglie dello stronzo è la sorella stronza della mia amica Elena.
Lui appare più sbalordito di noi, e guarda la moglie con espressione bovina: - Voi due vi conoscete?
- Già – faccio io – Piuttosto bene…
- Vincè – balbetta lei - Chesta è a’ pazza e’ cui te aggio parlà: l’amic e’ sòrema…
Ho sempre la pistola puntata al marito, ma non posso fare a meno di guardare la moglie; il delinquente se ne rende conto, e non si lascia sfuggire l’occasione.
Vincenzo (si chiama così?) scatta e mi sferra un calcio alla mano, facendomi saltare via la pistola.
Istintivamente faccio un passo indietro ed evito il calcio successivo, ma poi il camorrista mi è addosso e mi afferra alla gola contando sulla sua forza fisica.
Io però sono ancora incazzata come una jena, e gli sferro con tutti i sentimenti una tremenda ginocchiata fra le palle.
L’uomo caccia un urlo lacerante e si piega in due dal dolore.
Finirebbe lì se quella rincoglionita di Angela non si lanciasse in soccorso del suo maschio vilipeso: mi si getta addosso gridando come una furia isterica, e mi tocca prima difendermi con un braccio, poi sferrarle un cazzotto nello stomaco per metterla fuori combattimento.
Angela emette un gemito strozzato e stramazza a terra bocconi, scalciando e vomitando sul pavimento.
Però la sorella stronza di Elena mi ha distratto quanto basta al marito per riprendersi almeno in parte dalla ginocchiata nei coglioni.
Lo vedo portarsi una mano sotto la giacca, e capisco di avere poco tempo.
Mi getto in terra per recuperare la mia Shield, l’afferro, rotolo sul fianco e sento partire il colpo di Vincenzo.
Avverto un tremendo bruciore al fianco sinistro, ma l’adrenalina mi mantiene lucida quanto basta da puntare la pistola sull’uomo dritto in piedi e tirare il grilletto.
Il tonfo del colpo che parte, il rinculo, il rimbombo della detonazione nell’ambiente ristretto, il fumo e l’odore della polvere da sparo combusta…
Un grugnito: il mio proiettile ha raggiunto Vincenzo al basso ventre, entrando verso l’alto: lo vedo piegarsi e lasciar cadere l’arma, che sbatte rumorosamente a terra.
Poi, lentamente, cade anche lui sul pavimento, con un tonfo più sordo e un rantolo.
Il rumore successivo è il grido isterico di Angela, che mi risveglia spiacevoli ricordi: quante volte l’ho già sentita strillare come un’oca selvatica?
- Piantala! – le intimo, seccata: - Fai più casino tu delle nostre due pistole messe insieme.
Mi alzo in piedi, mentre lei arranca sul pavimento verso il marito, piangendo istericamente.
Le sferro un calcio per tenerla a distanza, poi controllo il camorrista che rantola a terra in una pozza di sangue scuro che si allarga a vista d’occhio.
Il proiettile è entrato basso, ma con quell’angolazione deve avergli perforato lo stomaco perché il maiale ha già la pocca piena di sangue e sta chiaramente agonizzando.
- E’ spacciato – informo la prossima vedova – Peggio per lui, ma non sarebbe successo se tu non ti fossi impicciata come al solito.
Angela si getta sul corpo del marito, scosso dagli ultimi sussulti, piangendo come una pazza: - Vincenzo! Enzino mio, cosa ti hanno fatto…
Io recupero la busta con i soldi, poi chiamo Eva e le spiego che il contatto è bruciato e che dobbiamo esfiltrare alla svelta,
Infine afferro Angela, le mollo due schiaffoni per calmarla e me la trascino giù per le scale, lasciando il suo portatore di cazzo a crepare da solo sul pavimento di casa sua, affogato nel suo stesso sangue.
Mezz’ora neanche di corsa a piedi e poi sul taxi abusivo fino a Santa Lucia, e siamo a bordo della Serenissima, con i motori già accesi da Jasmine.
Eva ci ha coperto le spalle per tutto il tempo e arriva per ultima, caricando la moto a bordo mentre io spingo la prigioniera in lacrime dentro il quadrato.
Lasciamo il porticciolo sotto Castel dell’Ovo e facciamo rotta verso Nisida, che dista meno di un’ora.
Durante il tragitto, Angela piangnucola senza sosta nel quadrato, con Eva che la tiene d’occhio; io faccio rapporto per radio, confermando di aver recuperato i soldi oltre ai registri, avvertendo dei contrattempi occorsi e segnalando di avere una prigioniera a bordo; nel frattempo Jasmine mi medica il graffio al fianco… Mi rimarrà una brutta cicatrice, ma mi è andata bene.
Poi, una volta attraccati nel porto sicuro di Nisida, mi preparo a lvorarmi la mia prigioniera.
Angi: stupida, bigotta, ipocrita, vigliacca, egoista, traditrice, ninfomane… Soprattutto stupida.
La detesto da quando l’ho conosciuta, e se non l’ho ammazzata è stato solo per l’amicizia che mi lega a sua sorella Elena, che è tutto l’opposto. Adesso però è riuscita ad attraversarmi la strada un’altra volta, e proprio in un momento in cui sono di pessimo umore.
Mi guarda con gli occhi sgranati: è seduta sul divano del quadrato, ancora con indosso gli abiti da casa che indossava quando ho fatto irruzione a casa sua.
- Patrizia… Cosa vuoi farmi? Perché mi hai portato qui?
E’ spaventata… Brava. Fa bene ad esserlo.
- Tuo marito era affiliato alla camorra, e ha cercato di farmi uccidere. Potevo usarlo per ottenere informazioni, ma tu mi hai costretta a ucciderlo. Adesso dovrò usare te per ottenere quelle stesse informazioni.
- Cosa? Ma… No! Vincenzo non avrebbe mai… E poi io non so niente…
Le tiro un bel manrovescio in faccia e le spacco il labbro.
- Ah! – fa la stronza, sputando qualche gocciolina di sangue.
Le strappo il grembiule, poi le faccio saltare i bottoni della camicetta.
Prendo il coltello e le taglio il reggiseno fra le coppe, per poi strapparglielo.
- Tu adesso imparerai una volta per tutte a fare quello che ti dico io – le dico con voce piatta – Parlerai quando lo dico io, e dirai quello che voglio io. Hai capito?
- Io… Io…
Un altro bel manrovescio, che questa folta mi riesce meglio: con un bello schiocco e uno spruzzetto di sangue dal labbro ancora sano.
Arriva Eva, che si è tolta la combinazione da motociclista e adesso è in maglietta e slippini; mi porge il mio strapon.
- Lo riconosci? – faccio ad Angi, che mi guarda stravolta.
Mi libero dei jeans che avevo ancora indosso, e cingo lo strapon, puntandoglielo in faccia. Oltre a quello, indosso solo gli stivali e la mia espressione incazzata.
La prendo per i capelli e ringhio: - Adesso succhia! E cerca di lubrificarlo a dovere, per il tuo bene…
Le caccio il dildo in gola e la afferro per le orecchie per scoparle la faccia.
Lei si strozza, annaspa, tossisce… E comincia a succhiare.
Eva fa il tifo per me, seduta proprio lì accanto, mentre allargo il gargarozzo di Angi.
Quando ritengo che la lubrificazione sia sufficiente, estraggo il dildo di gomma e costringo Angela a mettersi a quattro zampe, appoggiata al divano. Eva le tiene ferme le braccia nude, e io le penetro la vagina slabbrandola in malo modo.
- Ahiaaa! – strilla la stronza – Mi fai male…
Le affondo in corpo fino all’elsa, spingendo la testa dello strapon ben oltre la cervice; mi assesto un momento, tanto per allogare meglio il dildo interno dentro la mia fica, poi comincio a scopare Angi senza nessun riguardo.
Lei strilla, strepita, si agita, ma poi si quieta e accetta la violazione.
Quando mi accorgo con un certo disappunto che comincia a prenderci gusto, capisco che è il momento di cambiare gioco… O meglio, di cambiare canale.
Estraggo lo strapon, lo appoggio al buchetto più stretto al di sopra della fica, e glielo pianto nel culo senza pietà.
- AAARGGHHHH!!!
L’urlo lacerante della disgraziata si deve essere sentito per tutto il porto di Nisida.
Niente sputo e tantomeno creme lubrificanti: la sodomizzo a secco, squarciandole le budella. Il succo di fica della scopatina precedente è tutto quello che le concedo per lenire il dolore.
Eva la tiene saldamente per le braccia mentre la stupro in culo con tutta la rabbia che provo per lei da anni… E che oggi è riuscita a far aumentare ancora.
- Avanti Pat – mi incoraggia Eva, divertita da quel gioco crudele – Sfondala!
Le rivolto le budella fino a farle uscire il sangue dai capillari spaccati, mentre lei urla a squarciagola, piange e si contorce per il dolore atroce.
Alla fine si abbatte stremata, ancora scossa dai singhiozzi ma del tutto spezzata: mi rendo conto di non incontrare più resistenza, e capisco di averla davvero sfondata. Lo sfintere non oppone più nessuna resistenza: è completamente spanata.
Il gioco non è più divertenete, quindi dopo un ultimo paio di colpi smetto di trapanarla ed estraggo lo strapon dallo squarci fra le natiche di Angi: il lattice è tutto imbrattato di sangue e venato da liquami intestinali.
Mi scoccia che sia così sporco, così la prendo per i capelli e la obbligo a ripulire il mio giocattolo preferito con la lingua.
Angi fa una faccia schifata, ma obbedisce: senza smettere di piangere lecca tutto finché il lattice non è pulto come si deve, e allora me lo sfilo.
Afferro la ragazza per la gola e stringo forte.
- Allora, stronza: non ti bastava averci tradite con i pirati in Adriatico e aver ridotto al suicidio quel poveraccio del tuo fidanzato dopo esserti messa con uno spacciatore: adesso ti sei anche sposata con un camorrista! Fai davvero schifo…
Lei piagnucola qualcosa di assolutamente incomprensibile, guadagnandosi un altro manrovescio che la fa cadere sul divano.
Le strappo la camicetta, lasciandola a torso nudo.
Ha delle belle tette, Angi: una terza abbondante, che non si merita per niente. Ne afferro una e la stringo: bella soda… La strizzo con forza, e Angi urla di nuovo.
I suoi capezzoli non sono grossi come i miei: rosei, larghi, e con una punta piccina.
Ne afferro uno e lo tiro con forza, quasi a strapparlo.
Angi urla ancora più forte.
- Ti piace, stronza? – le ringhio in faccia – Adesso te lo strappo… Anzi, li strappo tutti e due.
Li pizzico forte e strappo senza pietà
Angi caccia un urlo lacerante e rotola giù dal divano sbattendo la testa.
Rialza il capo a fatica, gli occhi gonfi di pianto: - Basta, per pietà! Farò qualinque cosa, ti prego…
Le spremo ferocemente le tette, quasi da farle schizzare il latte dai capezzoli gonfi e doloranti: - Ma cosa vuoi fare che a me possa interessare? Tu non servi a un cazzo, sei l’essere più inutile e nocivo che abbia mai visto…
- No! Ti prego, basta… Posso aiutare… Conosco persone… Posso farti sapere delle cose…
La afferro per il collo e stringo forte, fin quasi a strozzarla: - Ma che cazzo dici, strinza? Non vorrai farmi credere che quella mezzasega di tuo marito è stato così stupido da farti sapere per chi lavora? Non ci credo…
- Ghhh… - annaspa la disgraziata – Sì, è così… Li conosco… Li ho incontrati…
- E magari ti sei anche fatta scopare, vero? Sei una puttana per i boss, adesso?
- Aachhh… S… Sì! Sì, io… Li incontro… Ogni tanto…
Stringo ancora più forte: il collo sottile di Angela sta per spezzarsi.
- Ma senti che schifo di sgualdrina… E saresti disposta a fare la spia per me?
- Non… Non ammazzarmi Pat… Ti prego…
- Rispondi! Mi farai sapere tutto quello che voglio?
- S… Sssì… Tutto… Tutto…
Le sputo in faccia e la lascio andare.
- E va bene, zoccola. Proviamo a fare così: ti darò un numero di telefono, e tu dovrai chiamarlo ogni mercoledì sera, fra le nove e mezzanotte, e ci dirai tutto quello che ti chiederemo. Se le tue risposte ci piaceranno, ti lasceremo vivere almeno fino alla telefonata successiva. Se invecie non saremo soddisfatti, verrò a cercarti, e quando ti prenderò sarà meglio per te essere già morta, perché altrimenti ti farò urlare per molte, moltissime ore, prima di ucciderti… Hai capito?
Angi si tira sulle ginocchia, piangendo a dirotto, disperata.
Mi abbraccia le ginocchia, scossa dai singhiozzi: - Sì Pat, sì… Ho capito… Farò come vuoi tu, Pat! Grazie… Grazie…
- Grazie un cazzo. Adesso leccami per bene gli stivali, e lucidali come si deve, stupida cagna!
***
Il giorno dopo la scarichiamo davanti alla stazione die Carabinieri del suo quartiere, perché sporga denuncia sull’omicidio di suo marito prima di tornare a casa.
Castaldi ci riferisce che la stronza si è attenuta scrupolosamente alla versione che le abbiamo imposto, senza discostarsi di una riga: è tornata a casa scossa, ma cosciente, e ha già chiamato il numero che le abbiamo lasciato…
Adesso l’Agenzia ha una talpa dentro il clan che è subentrato agli Sposito: una talpa ignobile e terrorizzata, e quindi del tipo migliore.
Per una volta, perfino Marco Castaldi è soddisfatto delle Mantidi.
Non ho idea di cosa stia succedendo nella villa di don Gennaro, e francamente non mi interessa saperlo, almeno non subito.
Il tempo di scalciare via quelle maledette scarpe con il tacco alto e mi precipito ai comandi mentre Eva assicura la moto e Jasmine molla gli ormeggi: per fortuna il pieno è stato fatto e il motore era già caldo, grazie alla nostra Jas!
Usciamo dal porto di Marina Grande e ci allontaniamo a tutto motore da Capri, diretti al porto sicuro di Nisida.
Mi guardo alle spalle per assicurarmi di non avere già uno zodiac alle spalle, e imposto il pilota automatico; poi lascio i comandi a Jasmine e scendo sottocoperta per fare rapporto… Seriamo bene.
Castaldi mi sbrana per radio. Cosa cazzo mi è passato per la testa, di ammazzare anche Anna? Mi rendo conto o no, del casino che ho combinato?
Dovevo lasciare che ammazzasse due ragazzini sotto i miei occhi senza fare niente? Almeno ci ho provato…
…E non ci sono riuscita. A momenti ci lasciavo la pelle… E soprattutto adesso a Napoli sarà un casino di quelli epici, con un clan grosso come quello degli Sposito completamente decapitato e tutti gli altri che si getteranno ad occupare lo spazio rimasto improvvisamente libero nei quartieri che solo il giorno prima erano feudo di don Gennaro e famiglia!
Si fa presto a criticare: cosa avrei dovuto fare, stare a guardare? A quel punto, quale sarebbe stata la differenza fra Anna e me?
Qui Castaldi si calma un momento: ne riparleremo… Intanto dobbiamo sbrigarci ad arrivare a Nisida, dove dovremo buttare giù un bel rapporto scritto da spedire sulla rete protetta.
Spengo e mi rilasso.
Eva mi abbraccia da dietro; non l’ho ancora ringraziata di essere stata lì per me, e di avermi salvato la vita un’altra volta.
Ci baciamo, appassionatamente.
Andiamo a fare la doccia insieme, e finiamo sul lettone a fare l’amore.
Riemergiamo solo quando Jasmine ci avverte che siamo quasi a Nisida… Lei non ha ancora fatto gli esami, e senza patente nautica è meglio che non sia lei ad attraccare: non che non sia capace, ma l’assicurazione…
Incredibile come problemi così triviali ti riportino alla realtà di tutti i giorni anche al termine di un’avventura con tanti morti ammazzati.
In effetti, succede un bel casino.
A Napoli ci sono almeno sette omicidi in due giorni, tutti riconducibili alla faida degli Sposito. I GIS assaltano la villa di Marechiaro facendo altre due vittime e recuperando carte e registri delle gestioni dei tre fratelli Sposito, e il giorno dopo a Capri ci vanno i NOCS, che però non trovano più niente e nessuno… A parte i corpi in via di decomposizione di quattro membri della famiglia Sposito, ancora ammucchiati in camera da letto.
Il procuratore ci sta già impazzendo sopra…
I traffici della famiglia sono a un punto morto, ma le altre famiglie si stanno gettando come sciacalli su ciò che resta degli affari di don Gennaro, schiacciando senza pietà le ambizioni dei capiquartiere che avevano cercato di subentrare alla famiglia Sposito per la quale avevano lavorato per anni.
Spedisco il mio rapporto dettagliato a “Vittorio”, e per risposta ricevo due dozzine di richieste di approfondimento… Rispondo a tutte e ricevo una paternale di sei pagine piena di rimproveri per come ho gestito la faccenda della villa di Capri.
Sono così indignata per la mancanza di comprensione da parte dell’Agenzia, che sto seriamente considerando di mettermi al servizio della Mafia russa, che probabilmente tratta meglio i suoi agenti che rischiano la pelle, quando ricevo una chiamata sul crypto da “Vittorio”.
Sto per aggredirlo verbalmente nel migliore stile-Visentin, ma lui mi spiazza complimentandosi calorosamente. Si complimenta per il mio sangue freddo e mi prega di girare i complimenti anche a Eva per la sua mira.
I complimenti a Eva mi addolciscono di colpo.
- Ma io credevo che…
- Le rampogne scritte sono documenti ufficiali dovuti – ridacchia “Vittorio” divertito del mio imbarazzo – Sono classificati, ma rimangono agli atti e servono a coprire le spalle ai dirigenti in caso di inchieste parlamentari. Ora che ho letto tutta la storia, mi posso congratulare con voi, Mantidi: la situazione era complessa, e voi l’avete risolta senza compromettere l’Agenzia e togliendo di mezzo un clan pericolosissimo con danni collaterali tutto sommato limitati.
Sono sbalordita: - Quindi non abbiamo fatto un casino..?
- Certo che l’avete fatto! – ridacchia il vecchiaccio – Ma è per questo che abbiamo mandato voi a Napoli. Se volevo un lavoro fatto con i guanti bianchi mandavo un altro… Magari avremmo preferito che un membro debole della famiglia succedesse a don Gennaro, magari il giovane Giuseppe. Ma non si può avere tutto, e del resto ci eravamo già sbagliati con Anna Sposito, che si è rivelata una belva come i suoi fratelli. Quindi alla fine va bene così.
- Davvero?
- Beh, a noi va bene così. I cugini la pensano in maniera diversa, ma loro non sono mai contenti, e bisogna capirli. La lotta al crimine organizzato dura dal 1860, e durerà almeno altri cento anni: eliminare un clan non risolve le cose, ma è sempre un passettino nella giusta direzione.
Tiro un sospiro di sollievo: temevo davvero di non aver capito niente della vita…
- Naturalmente questa è un’affermazione privata e personale fra noi due, Mantide: il biasimo ufficiale resta, altrimenti chi li sente, i cugini? Ma d’altra parte, voi non dovete mica fare carriera, no?
Troppo giusto: - E’ sempre un piacere lavorare per te, “Vittorio”…
- Anche a me ha fatto piacere sentirti, Patrizia.
Marco è meno laconico.
Ci rifila un lungo pistolotto sul concetto secondo cui chi opera per imporre l’osservanza delle leggi dello Stato non può farsi anche giudice: se potere esecutivo e giudiziario si sovrappongono, viene ad essere compromesso uno dei principi di base della democrazia…
Che noia… Si sente che ha seguiro un corso di laurea in legge.
Okay, mi hai convinto. Allora: Anna ha sparato a Giuseppe e sta per sparare a Sara… Io cosa dovrei fare?
Impedirle di sparare, naturalmente… Ma senza strangolarla.
Certo: così lei chiama i suoi uomini, fa uccidere me, e dopo uccide comunque anche Sara.
Beh, bisognava provarci, magari non andava così; e comunque, io Sara non l’ho mica salvata.
Insomma: ero in una situazione di merda, e la soluzione non c’era. Toccava assumersi una responsabilità, e io l’ho fatto. Meno male che le cose sono andate in modo che adesso posso prendermi le mie brave critiche da viva…
Piove a catinelle a Nisida, e a Napoli le cose si stanno assestando lentamente.
Manca ancora un dettaglio prima di poter considerare conclusa la faccenda: i registri di don Gennaro sono spariti dalla villa di Capri, e i cugini li vogliono a tutti i costi.
Li ha portati via uno degli uomini di don Gennaro, e adesso vuole venderli al miglior offerente.
Il miglior offerente è lo Stato italiano.
- Perché devo andarci io?
Marco scuote la testa: - Per la solita ragione: ti conosce perché ti ha vista alla villa, e vuole te.
OK, ci vado. Ma non mi piace per niente, così prendiamo qualche precauzione.
Invecie della solita vineria di piazza Vanvitelli, questa volta si tratta di una pizzeria nei Quartieri Spagnoli…
Siamo fuori dal territorio degli Sposito: evidentemente il tipo ha già cambiato padrone.
Il posto è di bassa lega, ma la pizza è fantastica e siccome io non sono una snob, me la gusto di cuore mentre aspetto.
Il tipo si fa aspettare, da bravo buzzurro; mi sta già sul cazzo.
Sono nella mia versione jeans, e anche se non sono particolarmente provocante, mi accorgo di attirare diversi sguardi: una bionda della mia età, da sola in un locale del genere, desta curiosità.
Io odio aspettare; Eva lo sa benissimo, e probabilmente si sta divertendo da pazzi…
Eccolo.
Tipo nella media, sui quaranta: capelli neri lunghi, barba non fatta, aria da truzzo.
Mi si siede davanti con una busta in mano.
- E tu chi cazzo sei? – gli chiedo, già maldisposta nei suoi confronti.
Lui fa una smorfia e mi risponde per le rime: - Songo chello ca' staje aspettando, zoccola.
Io capisco solo lo “zoccola”, e mi basta per definire il mio rapporto con lui.
Ci scambiamo le buste; guardiamo dentro e verifichiamo che ci sia quello che ci interessa. Poi lui si alza e se ne va, come se non ci fossimo accordati sul prezzo della marchetta.
A volte questo lavoro è davvero squallido…
Mi alzo, lascio i soldi sul tavolo ed esco con la busta nella sacca a tracolla.
Ha smesso di piovere, bene… Mi avvio a passo svelto verso piazza Plebiscito; per fortuna oggi niente tacchi alti, solo i miei soliti stivali bassi.
Una scarica nell’auricolare, poi la voce concitata di Eva nell’orecchio: - Pat, attenta! Hai uno scooter alle spalle, e i due a bordo hanno il casco…
A Napoli nessuno porta il casco: solo Eva, io e i killer motorizzati, e tutti per lo stesso motivo.
Stringo i denti e tendo i muscoli mentre avverto il rombo del motorino smarmittato alle mie spalle.
Giro appena la testa per guardare dietro con la coda dell’occhio e lo vedo arrivare a tutta velocità facendo lo slalom fra le auto in sosta vietata e i passanti incazzati.
Sì, quello dietro ha una pistola: non ci sono dubbi, sono qui per me…
Mi butto a terra ed estraggo la mia Shield, che tenevo infilata nei pantaloni dietro la schiena.
Mi sono buttata troppo presto, il killer non ha ancora fatto fuoco e riesce a correggere la mira vedendomi rotolare sui sanpietrini.
Un colpo. Due, tre…
Sento il tonfo sordo dell’impatto dei proiettili al suolo accanto a me, ma io sto ancora rotolando e il tipo non è dei più in gamba: devono essere killer di strada, di quelli da duecento euro a contratto.
Il motore smarmittato mi romba accanto a meno di due metri.
Un altro colpo, se non mi colpisce è proprio un imbranato…
E’ davvero un imbranato. Okay, sparare da uno scooter in corsa non è neanche troppo facile, poverino. E poi con la coca in corpo non si prende bene la mira, specialmente di sera.
Io in corpo ho solo un’ottima pizza e una coca cola, e sparo da ferma: sparo due colpi, e li piazzo tutti e due nella schiena del mio aspirante killer, che caccia un urlo e cade all’indietro dalla moto, sbilanciando il compare che sbanda malamente sui sanpietrini bagnati.
Sparo un terzo colpo prima che il complice si allontani, e lo prendo alla gamba mentre scarta di lato per cercare di riprendere il controllo dopo la sbandata.
Lo scooter sbanda dall parte opposta, il pilota perde il controllo e si schianta contro il cassonetto pieno di immondizia.
Cazzo che casino: munnezza da tutte le parti e gente che urla come se fosse successo chissà che…
Mi alzo, scavalco il corpo del primo coglione (con due 0.9 nella schiena non può essermi molto utile) e raggiungo la montagna di rifiuti in cui sono finiti lo scooter e l’altro coglione, che invecie sta urlando di dolore e quindi sta abbastanza bene.
Gli tiro via il casco e gli punto la S&W al collo: - Chi vi ha pagato, stronzo?
E’ un ragazzino, sicuramente minorenne; mi guarda con gli occhi sbarrati dal dolore e dalla paura: evidentemente fare il killer è meno facile di come se l’era immaginato.
- Nun o’ saccio, o’ contràtt l’ha fatto o' mie cumpagn…
Non ho capito un cazzo, ma è evidente che lo scugnizzo aspirante guappo cerca di fare il furbo: lo colpisco in faccia con il calcio della Shield e oltre a spaccargli il labbro gli spezzo anche un paio di denti.
- Aahhh! Maledett zoccola, io niente saccio… Vattinne, lasseme sol!
Mi accorgo che sta accorrendo gente, e i passanti cominciano a radunarsi a capannello attorno a noi.
Mi ricordo che quella è una delle strade dove la pula ci va solo in forze, e spesso se la deve vedere con mezzo quartiere in rivolta… Meglio sparire.
Spacco definitivamente la faccia al coglione con il calcio della Shield, tanto per essere sicura che si ricordi di me per sempre, e mi rialzo in piedi con la pistola in pugno.
Ci saranno almeno una ventina di persone intorno a me, e nessuna mi appare molto amichevole: i due teppisti devono essere del posto, mentre io chiaramente non lo sono e questo non fa di me la benvenuta.
- Pat, tutto bene?
La voce di Eva nell’auricolare mi coglie di sorpresa.
- Sì, tutto a posto… Stai seguendo il contatto?
- Certo, gli sono dietro. Si dirige verso il porto.
- Stagli addosso. Io mi libero e ti raggiungo…
Punto la pistola sulla folla, e ottengo l’attenzione che volevo.
Poi comincio a correre verso piazza Plebiscito.
Non mi seguono: la folla rispetta le armi da fuoco, e hanno avuto modo di vedere che so usare la mia.
In piazza Trieste e Trento acchiappo un taxi abusivo e salto a bordo con il fiatone.
- Verso il porto! – ansimo – Poi le dico dove proseguire…
Giriamo intorno al Palazzo reale e poi dietro a Castel Nuovo, mentre Eva segue in moto il contatto e mi aggiorna in tempo reale.
Il mio tassista abusivo sembra divertirsi un mondo a seguire le mie istruzioni chiaramente dettate per radio, e mi chiede se stiamo girando un film.
Ci infiliamo contromano dietro al comando della Guardia di Finanza, e vedo la moto di Eva ferma all’angolo che ci aspetta.
Piazzo cinquanta euro in mano all’abusivo e salto a terra raggiungendo Eva.
- Calma, lui è a piedi – mi fa, con tono divertito – Ti sei rotolata per terra?
In effetti faccio un po’ schifo: il selciato nei Quartieri Spagnoli oltre che bagnato era anche bello sporco; fortuna che nell’immondizia non ci sono finita io!
Salto in sella dietro a Eva, e lei riparte.
Siamo dalle parti dell’Università: una zona-bene, speriamo non ci siano altre sorprese…
Lo vediamo entrare in un condominio abbastanza normale.
Io smonto mentre Eva incatena la moto (speriamo di ritrovarla!) e mi precipito alle sue calcagna.
Il portone si richiude lentamente, e riesco a bloccarlo mentre lui chiama l’ascensore.
Scivolo dentro e mi scapicollo su per le scale mentre lui sale con tutti i comodi… Più passa il tempo, e più questo tipo mi sta sul cazzo.
Scende al terzo piano, e io mi apposto dietro l’angolo mentre lui apre la serratura.
Poi, quando la porta è aperta, è finalmente il mio momento.
- Fermo dove sei!
Il camorrista si blocca nell’uscio spalancato; gira la testa e si vede puntare addosso una Smith & Wesson da 9mm, impugnata da una veneta alta e bionda dall’aria decisamente incazzata.
Mi sembra abbastanza sorpreso di vedermi, e la sua espressione mi basta per convincermi della sua colpevolezza: - Sorpreso di rivedermi così presto? Non mi credevi mica morta, vero?
Dalla sua faccia è evidente che pensava proprio questo, e la cosa mi indispone ancora di più.
- Dentro! Dobbiamo fare due chiacchiere, noi due…
- Maronn! Tengo mia moglie n’ casa…
Questa volta h capito: - Non me ne fotte un cazzo se dentro c’è anche tua moglie, cornuto! Non sono mica della polizia.
Lo spingo dentro e mi chiudo la porta alle spalle per evitare sorprese.
La luce nell’appartamentino è accesa, e si sente il profumo della cena.
Una voce di donna dalla cucina: - Amore, sì tu?
- Dille di venire in salotto – gli dico a bassa voce, la pistola spianata contro lo stomaco – E niente scherzi!
Lo stronzo obbedisce, e la mogliettina accorre premurosa…
… E io una delle sorprese più grosse della mia vita.
Neanche trent’anni, piccolina, snella, bruna: piuttosto attraente, con un grembiule da cucina a coprire la gonna leggera e la camicetta colorata, pantofole ai piedi fasciati nelle calze…
Sgrano gli occhi nel riconoscerla.
- Angela!
Lei ammutolisce nel riconoscemi a sua volta: - Pat! Che ci fai qui?
La moglie dello stronzo è la sorella stronza della mia amica Elena.
Lui appare più sbalordito di noi, e guarda la moglie con espressione bovina: - Voi due vi conoscete?
- Già – faccio io – Piuttosto bene…
- Vincè – balbetta lei - Chesta è a’ pazza e’ cui te aggio parlà: l’amic e’ sòrema…
Ho sempre la pistola puntata al marito, ma non posso fare a meno di guardare la moglie; il delinquente se ne rende conto, e non si lascia sfuggire l’occasione.
Vincenzo (si chiama così?) scatta e mi sferra un calcio alla mano, facendomi saltare via la pistola.
Istintivamente faccio un passo indietro ed evito il calcio successivo, ma poi il camorrista mi è addosso e mi afferra alla gola contando sulla sua forza fisica.
Io però sono ancora incazzata come una jena, e gli sferro con tutti i sentimenti una tremenda ginocchiata fra le palle.
L’uomo caccia un urlo lacerante e si piega in due dal dolore.
Finirebbe lì se quella rincoglionita di Angela non si lanciasse in soccorso del suo maschio vilipeso: mi si getta addosso gridando come una furia isterica, e mi tocca prima difendermi con un braccio, poi sferrarle un cazzotto nello stomaco per metterla fuori combattimento.
Angela emette un gemito strozzato e stramazza a terra bocconi, scalciando e vomitando sul pavimento.
Però la sorella stronza di Elena mi ha distratto quanto basta al marito per riprendersi almeno in parte dalla ginocchiata nei coglioni.
Lo vedo portarsi una mano sotto la giacca, e capisco di avere poco tempo.
Mi getto in terra per recuperare la mia Shield, l’afferro, rotolo sul fianco e sento partire il colpo di Vincenzo.
Avverto un tremendo bruciore al fianco sinistro, ma l’adrenalina mi mantiene lucida quanto basta da puntare la pistola sull’uomo dritto in piedi e tirare il grilletto.
Il tonfo del colpo che parte, il rinculo, il rimbombo della detonazione nell’ambiente ristretto, il fumo e l’odore della polvere da sparo combusta…
Un grugnito: il mio proiettile ha raggiunto Vincenzo al basso ventre, entrando verso l’alto: lo vedo piegarsi e lasciar cadere l’arma, che sbatte rumorosamente a terra.
Poi, lentamente, cade anche lui sul pavimento, con un tonfo più sordo e un rantolo.
Il rumore successivo è il grido isterico di Angela, che mi risveglia spiacevoli ricordi: quante volte l’ho già sentita strillare come un’oca selvatica?
- Piantala! – le intimo, seccata: - Fai più casino tu delle nostre due pistole messe insieme.
Mi alzo in piedi, mentre lei arranca sul pavimento verso il marito, piangendo istericamente.
Le sferro un calcio per tenerla a distanza, poi controllo il camorrista che rantola a terra in una pozza di sangue scuro che si allarga a vista d’occhio.
Il proiettile è entrato basso, ma con quell’angolazione deve avergli perforato lo stomaco perché il maiale ha già la pocca piena di sangue e sta chiaramente agonizzando.
- E’ spacciato – informo la prossima vedova – Peggio per lui, ma non sarebbe successo se tu non ti fossi impicciata come al solito.
Angela si getta sul corpo del marito, scosso dagli ultimi sussulti, piangendo come una pazza: - Vincenzo! Enzino mio, cosa ti hanno fatto…
Io recupero la busta con i soldi, poi chiamo Eva e le spiego che il contatto è bruciato e che dobbiamo esfiltrare alla svelta,
Infine afferro Angela, le mollo due schiaffoni per calmarla e me la trascino giù per le scale, lasciando il suo portatore di cazzo a crepare da solo sul pavimento di casa sua, affogato nel suo stesso sangue.
Mezz’ora neanche di corsa a piedi e poi sul taxi abusivo fino a Santa Lucia, e siamo a bordo della Serenissima, con i motori già accesi da Jasmine.
Eva ci ha coperto le spalle per tutto il tempo e arriva per ultima, caricando la moto a bordo mentre io spingo la prigioniera in lacrime dentro il quadrato.
Lasciamo il porticciolo sotto Castel dell’Ovo e facciamo rotta verso Nisida, che dista meno di un’ora.
Durante il tragitto, Angela piangnucola senza sosta nel quadrato, con Eva che la tiene d’occhio; io faccio rapporto per radio, confermando di aver recuperato i soldi oltre ai registri, avvertendo dei contrattempi occorsi e segnalando di avere una prigioniera a bordo; nel frattempo Jasmine mi medica il graffio al fianco… Mi rimarrà una brutta cicatrice, ma mi è andata bene.
Poi, una volta attraccati nel porto sicuro di Nisida, mi preparo a lvorarmi la mia prigioniera.
Angi: stupida, bigotta, ipocrita, vigliacca, egoista, traditrice, ninfomane… Soprattutto stupida.
La detesto da quando l’ho conosciuta, e se non l’ho ammazzata è stato solo per l’amicizia che mi lega a sua sorella Elena, che è tutto l’opposto. Adesso però è riuscita ad attraversarmi la strada un’altra volta, e proprio in un momento in cui sono di pessimo umore.
Mi guarda con gli occhi sgranati: è seduta sul divano del quadrato, ancora con indosso gli abiti da casa che indossava quando ho fatto irruzione a casa sua.
- Patrizia… Cosa vuoi farmi? Perché mi hai portato qui?
E’ spaventata… Brava. Fa bene ad esserlo.
- Tuo marito era affiliato alla camorra, e ha cercato di farmi uccidere. Potevo usarlo per ottenere informazioni, ma tu mi hai costretta a ucciderlo. Adesso dovrò usare te per ottenere quelle stesse informazioni.
- Cosa? Ma… No! Vincenzo non avrebbe mai… E poi io non so niente…
Le tiro un bel manrovescio in faccia e le spacco il labbro.
- Ah! – fa la stronza, sputando qualche gocciolina di sangue.
Le strappo il grembiule, poi le faccio saltare i bottoni della camicetta.
Prendo il coltello e le taglio il reggiseno fra le coppe, per poi strapparglielo.
- Tu adesso imparerai una volta per tutte a fare quello che ti dico io – le dico con voce piatta – Parlerai quando lo dico io, e dirai quello che voglio io. Hai capito?
- Io… Io…
Un altro bel manrovescio, che questa folta mi riesce meglio: con un bello schiocco e uno spruzzetto di sangue dal labbro ancora sano.
Arriva Eva, che si è tolta la combinazione da motociclista e adesso è in maglietta e slippini; mi porge il mio strapon.
- Lo riconosci? – faccio ad Angi, che mi guarda stravolta.
Mi libero dei jeans che avevo ancora indosso, e cingo lo strapon, puntandoglielo in faccia. Oltre a quello, indosso solo gli stivali e la mia espressione incazzata.
La prendo per i capelli e ringhio: - Adesso succhia! E cerca di lubrificarlo a dovere, per il tuo bene…
Le caccio il dildo in gola e la afferro per le orecchie per scoparle la faccia.
Lei si strozza, annaspa, tossisce… E comincia a succhiare.
Eva fa il tifo per me, seduta proprio lì accanto, mentre allargo il gargarozzo di Angi.
Quando ritengo che la lubrificazione sia sufficiente, estraggo il dildo di gomma e costringo Angela a mettersi a quattro zampe, appoggiata al divano. Eva le tiene ferme le braccia nude, e io le penetro la vagina slabbrandola in malo modo.
- Ahiaaa! – strilla la stronza – Mi fai male…
Le affondo in corpo fino all’elsa, spingendo la testa dello strapon ben oltre la cervice; mi assesto un momento, tanto per allogare meglio il dildo interno dentro la mia fica, poi comincio a scopare Angi senza nessun riguardo.
Lei strilla, strepita, si agita, ma poi si quieta e accetta la violazione.
Quando mi accorgo con un certo disappunto che comincia a prenderci gusto, capisco che è il momento di cambiare gioco… O meglio, di cambiare canale.
Estraggo lo strapon, lo appoggio al buchetto più stretto al di sopra della fica, e glielo pianto nel culo senza pietà.
- AAARGGHHHH!!!
L’urlo lacerante della disgraziata si deve essere sentito per tutto il porto di Nisida.
Niente sputo e tantomeno creme lubrificanti: la sodomizzo a secco, squarciandole le budella. Il succo di fica della scopatina precedente è tutto quello che le concedo per lenire il dolore.
Eva la tiene saldamente per le braccia mentre la stupro in culo con tutta la rabbia che provo per lei da anni… E che oggi è riuscita a far aumentare ancora.
- Avanti Pat – mi incoraggia Eva, divertita da quel gioco crudele – Sfondala!
Le rivolto le budella fino a farle uscire il sangue dai capillari spaccati, mentre lei urla a squarciagola, piange e si contorce per il dolore atroce.
Alla fine si abbatte stremata, ancora scossa dai singhiozzi ma del tutto spezzata: mi rendo conto di non incontrare più resistenza, e capisco di averla davvero sfondata. Lo sfintere non oppone più nessuna resistenza: è completamente spanata.
Il gioco non è più divertenete, quindi dopo un ultimo paio di colpi smetto di trapanarla ed estraggo lo strapon dallo squarci fra le natiche di Angi: il lattice è tutto imbrattato di sangue e venato da liquami intestinali.
Mi scoccia che sia così sporco, così la prendo per i capelli e la obbligo a ripulire il mio giocattolo preferito con la lingua.
Angi fa una faccia schifata, ma obbedisce: senza smettere di piangere lecca tutto finché il lattice non è pulto come si deve, e allora me lo sfilo.
Afferro la ragazza per la gola e stringo forte.
- Allora, stronza: non ti bastava averci tradite con i pirati in Adriatico e aver ridotto al suicidio quel poveraccio del tuo fidanzato dopo esserti messa con uno spacciatore: adesso ti sei anche sposata con un camorrista! Fai davvero schifo…
Lei piagnucola qualcosa di assolutamente incomprensibile, guadagnandosi un altro manrovescio che la fa cadere sul divano.
Le strappo la camicetta, lasciandola a torso nudo.
Ha delle belle tette, Angi: una terza abbondante, che non si merita per niente. Ne afferro una e la stringo: bella soda… La strizzo con forza, e Angi urla di nuovo.
I suoi capezzoli non sono grossi come i miei: rosei, larghi, e con una punta piccina.
Ne afferro uno e lo tiro con forza, quasi a strapparlo.
Angi urla ancora più forte.
- Ti piace, stronza? – le ringhio in faccia – Adesso te lo strappo… Anzi, li strappo tutti e due.
Li pizzico forte e strappo senza pietà
Angi caccia un urlo lacerante e rotola giù dal divano sbattendo la testa.
Rialza il capo a fatica, gli occhi gonfi di pianto: - Basta, per pietà! Farò qualinque cosa, ti prego…
Le spremo ferocemente le tette, quasi da farle schizzare il latte dai capezzoli gonfi e doloranti: - Ma cosa vuoi fare che a me possa interessare? Tu non servi a un cazzo, sei l’essere più inutile e nocivo che abbia mai visto…
- No! Ti prego, basta… Posso aiutare… Conosco persone… Posso farti sapere delle cose…
La afferro per il collo e stringo forte, fin quasi a strozzarla: - Ma che cazzo dici, strinza? Non vorrai farmi credere che quella mezzasega di tuo marito è stato così stupido da farti sapere per chi lavora? Non ci credo…
- Ghhh… - annaspa la disgraziata – Sì, è così… Li conosco… Li ho incontrati…
- E magari ti sei anche fatta scopare, vero? Sei una puttana per i boss, adesso?
- Aachhh… S… Sì! Sì, io… Li incontro… Ogni tanto…
Stringo ancora più forte: il collo sottile di Angela sta per spezzarsi.
- Ma senti che schifo di sgualdrina… E saresti disposta a fare la spia per me?
- Non… Non ammazzarmi Pat… Ti prego…
- Rispondi! Mi farai sapere tutto quello che voglio?
- S… Sssì… Tutto… Tutto…
Le sputo in faccia e la lascio andare.
- E va bene, zoccola. Proviamo a fare così: ti darò un numero di telefono, e tu dovrai chiamarlo ogni mercoledì sera, fra le nove e mezzanotte, e ci dirai tutto quello che ti chiederemo. Se le tue risposte ci piaceranno, ti lasceremo vivere almeno fino alla telefonata successiva. Se invecie non saremo soddisfatti, verrò a cercarti, e quando ti prenderò sarà meglio per te essere già morta, perché altrimenti ti farò urlare per molte, moltissime ore, prima di ucciderti… Hai capito?
Angi si tira sulle ginocchia, piangendo a dirotto, disperata.
Mi abbraccia le ginocchia, scossa dai singhiozzi: - Sì Pat, sì… Ho capito… Farò come vuoi tu, Pat! Grazie… Grazie…
- Grazie un cazzo. Adesso leccami per bene gli stivali, e lucidali come si deve, stupida cagna!
***
Il giorno dopo la scarichiamo davanti alla stazione die Carabinieri del suo quartiere, perché sporga denuncia sull’omicidio di suo marito prima di tornare a casa.
Castaldi ci riferisce che la stronza si è attenuta scrupolosamente alla versione che le abbiamo imposto, senza discostarsi di una riga: è tornata a casa scossa, ma cosciente, e ha già chiamato il numero che le abbiamo lasciato…
Adesso l’Agenzia ha una talpa dentro il clan che è subentrato agli Sposito: una talpa ignobile e terrorizzata, e quindi del tipo migliore.
Per una volta, perfino Marco Castaldi è soddisfatto delle Mantidi.
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