Quella notte in laguna.
di
Tibet
genere
interviste
Questo racconto è nato da una mia esigenza sorta dopo aver scambiato qualche parola con Molly su Venezia.
Si tratta della Venezia di quarant'anni fa o poco più.
La Venezia della mia prima infanzia.
Città magica nonostante l'odore di acqua marcia e del piscio dei gatti nelle calli, la nebbia e l'acqua alta.
Amo la Venezia di quel tempo e odio quella di adesso travestita da luna park, volgare, pacchiana e kitsch.
Ricordo...
Ho abitato con i miei nella vecchia casa di famiglia fino alla morte del nonno, il patriarca della famiglia, ufficiale di marina a riposo, un vecchio ultraottantenne burbero dalla criniera candida e folta barba bianca, autoritario eppur tenero a modo suo con noi bambini che pretendeva che vivessimo tutti sotto lo stesso tetto. Il suo. In caso contrario minacciava i renitenti con ogni più terribile sanzione!
Diseredarli. Disconoscerli. Maledirli in eterno.
Eravamo una famiglia benestante, il vecchio aveva ottenuto per il suo trascorso militare un commercio e delle concessioni di monopolio di sale e tabacchi. (O li aveva ereditati...? Non lo so.)
E il nostro vivere fino a che lui visse era conforme a questo nostro benessere.
Per esempio? Il Carnevale a Venezia non finiva certo con la quaresima, nossignore! Continuava ben oltre, era perenne, una città incoscientemente in festa, era sempre più evidente la voglia di fuggire la realtà rifugiandosi nell'effimero che è la caratteristica di questa città, che vive ancora così. Una volta potenza mondiale e poi ridimensionata dal tempo.
Noi eravamo in maschera per buona parte dell'anno. Era sempre divertimento.
E le vacanze in terra ferma d'estate? Una folla, noi, che si trasferiva in qualche casa della riviera del Brenta. Un corteo di macchine a noleggio.
Eravamo una moltitudine in quella casa.
Il vecchio aveva avuto dieci figli, mio padre era il penultimo.
E li voleva tutti accanto da comandare come il suo equipaggio quando era su una nave, ma era un comandare benevolo a volte anche affettuoso.
Eterogenei i suoi figli... eh?
Che io ricordi... c'era un avvocato, non so se lo era davvero, era sempre in pantofole in casa che ciondolava e straparlava di codici e cause, poi... di sicuro un prete e una suora che venivano a tratti, ricordo poi lo zio Romano come un fascista nostalgico e nulla facente, per bilanciare c'era uno zio comunista sfegatato... Nino, che viveva di slogan di Stalin, loro due che litigavano di continuo, poi... gli altri, mio padre geometra, la zia Ninetta... poi? E nessuno lavorava... salvo mio padre, impiegato al Genio Civile, gli altri gironzolavano per i negozi dove avrebbero dovuto collaborare ma facevano più danno che altro.
Non ricordo tutti e non ho modo di attingere ai ricordi altrui e c'era infine una marea di bambini... uno sciame!
La casa era vecchia, antica, una casa di quattro piani più sottotetto in una calle adiacente a Campo San Polo, grande... grandissima, una miriade di stanze comunicanti fra loro e corridoi e bagni grandi e piccoli e saloni e loculi! Corridoi e sottotetti, veramente... credo che non esistesse a quel tempo una vera intimità per le tante coppie che dovevano conviverci. I litigi erano frequenti. Ma il vecchio teneva comunque tutti sotto controllo. Aveva il polso di ferro.
La casa era aggettante... forse non sapete come erano state costruite le case a Venezia nel passato, ai tempi della Serenissima.
Inizialmente, nell'antico... il commercio si svolgeva nella bottega che dava direttamente sulla calle e poi piano per piano... la casa si allargava, prendeva spazio... quello spazio che non poteva recuperare altrimenti, erano pochi centimetri per volta certo ma alla fine il piano più alto sporgeva oltre un mezzo metro dal perimetro della base. Diciamo che nella calle non arrivava mai il sole e... a volte neanche la pioggia.
Che ci fossero tresche amorose in famiglia? E storie di corna?
C'erano... a volte io bambino entravo in una stanza e tutti si zittivano, gli adulti dico. Le ultime parole che sentivo pronunciare dagli adulti negli ultimi tempi che ci vivevo era di solito... “povera Ninetta...” era lei la protagonista!
Di quel tradimento so, ma senz'altro la promiscuità ne promuoveva altri. Corna e baruffe.
Zia Ninetta era sposata con zio Pepi, un uomo robusto anzi corpulento, massiccio che lavorava al porto.
Insomma... lui la tradiva, ma con chi?
Non è che mi interessasse poi molto. Ero più preso dai mille giochi, dai tuffi in laguna, alle gite in barchino, da una infinità di altre cose.
Scherzi, lazzi e schiamazzi.
Chi soffriva di più la situazione di convivenza forzata era mia madre, donna puritana e in un certo modo altezzosa nei modi, forse per via della sua provenienza da una famiglia con deboli legami con la piccola nobiltà. Litigavano spesso lei e mio padre, ma lui... non voleva lasciare la casa paterna, ribatteva alle continue lamentele che non poteva farlo al momento, che lo avrebbe fatto al momento opportuno.
Ciò comunque avvenne a breve distanza dalla morte del vecchio, forse l'accadimento che aspettavano tutti per ottenere la libertà.
La famiglia brevemente si disgregò, ognuno prese la sua strada.
I figli diventarono di colpo adulti e dovettero industriarsi un modo per campare.
La casa venne venduta e il ricavato diviso.
Presumo...
I negozi? Il commercio? Non lo so...
L'arcano della tresca fra zio Bepi e la sua amante misteriosa mi fu svelato in quella notte in laguna.
Avevo poco più di otto anni. Poco dopo morì il nonno.
La notte del Redentore era magica, la laguna davanti a San Marco si riempiva di imbarcazioni con lanterne colorate e si aspettava il grande spettacolo pirotecnico, i fuochi d'artificio. Fra la Giudecca e le Zattere veniva messo in opera un ponte di barche. Era una magnifica festa. Si tornava a riva con le luci dell'alba.
Il vecchio prendeva una grande imbarcazione a noleggio, grande, non so come si chiamasse quel tipo di barca... forse burchio? Davvero enorme, veniva approntato un tavolo per tutta la sua lunghezza e delle assi di legno al bordo del natante.
Poi? A poppa e prua c'erano viveri in abbondanza, diverse damigiane di vino e altre mille cose.
Oltre a noi familiari c'erano amici del nonno, altri parenti.
Si prendeva posto nella laguna già nel tardo pomeriggio per avere un posto migliore.
Ma... come sbrigare i propri bisogni corporali? Si tornava all'antico. Per gli uomini era più facile, andavano a poppa, si volgevano verso il mare e si liberavano. Ma le donne?
Diventavano per necessità un po' spudorate, si sedevano sul bordo e con un artificio di equilibrio pisciavano in acqua. Noi bambini le guardavamo e ridevamo. Mia mamma no... non l'avrebbe mai fatto, penso ma non lo so con certezza che si fosse portata un bacile o qualcosa del genere da usare come pitale.
Questo era enormemente interessante agli occhi di un bambino.
Si mangiava e beveva fino a quando, a mezzanotte, iniziava il grande spettacolo pirotecnico. Più che mangiare ora era il bere l'occupazione principale, per gli uomini dico ma non che le donne restassero molto indietro, bevevano anche loro e si rideva, si cantava... qualcuno suonava la fisarmonica, raccontavano barzellette sconce che non capivo. Finito lo spettacolo subentrava la stanchezza, qualcuno si assopiva stendendosi sulle panche, altri posavano la testa sul tavolo. Si attendeva l'alba.
La mia curiosità... già allora era rivolta al mondo femminile.
Mi piaceva immensamente zia Fiameta, diminuitivo di Fiamma, sposata con il più giovane dei fratelli, zio Nane. Era graziosa, delicata e molto affettuosa con noi bambini, con me in particolare... mi pareva di essere il suo preferito. Lei non aveva ancora figli. Bionda, incarnato pallido.
Se si potesse definire innamoramento l'infatuazione di un bambino di otto anni... ebbene ero innamorato di lei. L'avevo guardata interessato mentre si sedeva sul bordo per orinare in acqua ma vidi solo un balenio di carne bianca. Era, ai miei occhi, splendida. Come una dea.
Ma fu anche la mia prima delusione amorosa.
Mi assopii... mi risvegliai... cercai con gli occhi Fiameta, ebbene... era a poppa che parlava con zio Bepi, lui cercava di abbracciarla, lei resisteva,
poi... ambedue rivolsero una occhiata circolare al battello, la gente dormiva... alcuni erano ebbri di vino e di certo lo era Nane il marito di Fiameta. Rassicurati di questo... lui la costrinse piegata in avanti, lei appoggiò le mani al bordo della barca, lui le alzò la gonna e vidi di nuovo il biancore del suo sedere, poi... lui che si appressava e i movimenti del coito. Breve e violento.
Ne restai enormemente deluso. Arrabbiato. Furente.
Ecco chi era l'amante dello zio Bepi, uomo volgare e sanguigno.
Era la mia adorata zia Fiameta... eterea e delicata.
Non capivo, non mi capacitavo... ma poi brevemente il tempo guarì quella superficiale, infantile ferita al cuore.
Ma lei era davvero bella. Lui invece un orrido animale.
Finisce qui il mio ricordare, il vecchio morì e ci fu un funerale meraviglioso. Decine e decine di gondole e imbarcazioni ornate a lutto e dopo la sua tumulazione... una festa senza eguali.
Poi... lasciai quella casa e le mie radici.
Tibet
Si tratta della Venezia di quarant'anni fa o poco più.
La Venezia della mia prima infanzia.
Città magica nonostante l'odore di acqua marcia e del piscio dei gatti nelle calli, la nebbia e l'acqua alta.
Amo la Venezia di quel tempo e odio quella di adesso travestita da luna park, volgare, pacchiana e kitsch.
Ricordo...
Ho abitato con i miei nella vecchia casa di famiglia fino alla morte del nonno, il patriarca della famiglia, ufficiale di marina a riposo, un vecchio ultraottantenne burbero dalla criniera candida e folta barba bianca, autoritario eppur tenero a modo suo con noi bambini che pretendeva che vivessimo tutti sotto lo stesso tetto. Il suo. In caso contrario minacciava i renitenti con ogni più terribile sanzione!
Diseredarli. Disconoscerli. Maledirli in eterno.
Eravamo una famiglia benestante, il vecchio aveva ottenuto per il suo trascorso militare un commercio e delle concessioni di monopolio di sale e tabacchi. (O li aveva ereditati...? Non lo so.)
E il nostro vivere fino a che lui visse era conforme a questo nostro benessere.
Per esempio? Il Carnevale a Venezia non finiva certo con la quaresima, nossignore! Continuava ben oltre, era perenne, una città incoscientemente in festa, era sempre più evidente la voglia di fuggire la realtà rifugiandosi nell'effimero che è la caratteristica di questa città, che vive ancora così. Una volta potenza mondiale e poi ridimensionata dal tempo.
Noi eravamo in maschera per buona parte dell'anno. Era sempre divertimento.
E le vacanze in terra ferma d'estate? Una folla, noi, che si trasferiva in qualche casa della riviera del Brenta. Un corteo di macchine a noleggio.
Eravamo una moltitudine in quella casa.
Il vecchio aveva avuto dieci figli, mio padre era il penultimo.
E li voleva tutti accanto da comandare come il suo equipaggio quando era su una nave, ma era un comandare benevolo a volte anche affettuoso.
Eterogenei i suoi figli... eh?
Che io ricordi... c'era un avvocato, non so se lo era davvero, era sempre in pantofole in casa che ciondolava e straparlava di codici e cause, poi... di sicuro un prete e una suora che venivano a tratti, ricordo poi lo zio Romano come un fascista nostalgico e nulla facente, per bilanciare c'era uno zio comunista sfegatato... Nino, che viveva di slogan di Stalin, loro due che litigavano di continuo, poi... gli altri, mio padre geometra, la zia Ninetta... poi? E nessuno lavorava... salvo mio padre, impiegato al Genio Civile, gli altri gironzolavano per i negozi dove avrebbero dovuto collaborare ma facevano più danno che altro.
Non ricordo tutti e non ho modo di attingere ai ricordi altrui e c'era infine una marea di bambini... uno sciame!
La casa era vecchia, antica, una casa di quattro piani più sottotetto in una calle adiacente a Campo San Polo, grande... grandissima, una miriade di stanze comunicanti fra loro e corridoi e bagni grandi e piccoli e saloni e loculi! Corridoi e sottotetti, veramente... credo che non esistesse a quel tempo una vera intimità per le tante coppie che dovevano conviverci. I litigi erano frequenti. Ma il vecchio teneva comunque tutti sotto controllo. Aveva il polso di ferro.
La casa era aggettante... forse non sapete come erano state costruite le case a Venezia nel passato, ai tempi della Serenissima.
Inizialmente, nell'antico... il commercio si svolgeva nella bottega che dava direttamente sulla calle e poi piano per piano... la casa si allargava, prendeva spazio... quello spazio che non poteva recuperare altrimenti, erano pochi centimetri per volta certo ma alla fine il piano più alto sporgeva oltre un mezzo metro dal perimetro della base. Diciamo che nella calle non arrivava mai il sole e... a volte neanche la pioggia.
Che ci fossero tresche amorose in famiglia? E storie di corna?
C'erano... a volte io bambino entravo in una stanza e tutti si zittivano, gli adulti dico. Le ultime parole che sentivo pronunciare dagli adulti negli ultimi tempi che ci vivevo era di solito... “povera Ninetta...” era lei la protagonista!
Di quel tradimento so, ma senz'altro la promiscuità ne promuoveva altri. Corna e baruffe.
Zia Ninetta era sposata con zio Pepi, un uomo robusto anzi corpulento, massiccio che lavorava al porto.
Insomma... lui la tradiva, ma con chi?
Non è che mi interessasse poi molto. Ero più preso dai mille giochi, dai tuffi in laguna, alle gite in barchino, da una infinità di altre cose.
Scherzi, lazzi e schiamazzi.
Chi soffriva di più la situazione di convivenza forzata era mia madre, donna puritana e in un certo modo altezzosa nei modi, forse per via della sua provenienza da una famiglia con deboli legami con la piccola nobiltà. Litigavano spesso lei e mio padre, ma lui... non voleva lasciare la casa paterna, ribatteva alle continue lamentele che non poteva farlo al momento, che lo avrebbe fatto al momento opportuno.
Ciò comunque avvenne a breve distanza dalla morte del vecchio, forse l'accadimento che aspettavano tutti per ottenere la libertà.
La famiglia brevemente si disgregò, ognuno prese la sua strada.
I figli diventarono di colpo adulti e dovettero industriarsi un modo per campare.
La casa venne venduta e il ricavato diviso.
Presumo...
I negozi? Il commercio? Non lo so...
L'arcano della tresca fra zio Bepi e la sua amante misteriosa mi fu svelato in quella notte in laguna.
Avevo poco più di otto anni. Poco dopo morì il nonno.
La notte del Redentore era magica, la laguna davanti a San Marco si riempiva di imbarcazioni con lanterne colorate e si aspettava il grande spettacolo pirotecnico, i fuochi d'artificio. Fra la Giudecca e le Zattere veniva messo in opera un ponte di barche. Era una magnifica festa. Si tornava a riva con le luci dell'alba.
Il vecchio prendeva una grande imbarcazione a noleggio, grande, non so come si chiamasse quel tipo di barca... forse burchio? Davvero enorme, veniva approntato un tavolo per tutta la sua lunghezza e delle assi di legno al bordo del natante.
Poi? A poppa e prua c'erano viveri in abbondanza, diverse damigiane di vino e altre mille cose.
Oltre a noi familiari c'erano amici del nonno, altri parenti.
Si prendeva posto nella laguna già nel tardo pomeriggio per avere un posto migliore.
Ma... come sbrigare i propri bisogni corporali? Si tornava all'antico. Per gli uomini era più facile, andavano a poppa, si volgevano verso il mare e si liberavano. Ma le donne?
Diventavano per necessità un po' spudorate, si sedevano sul bordo e con un artificio di equilibrio pisciavano in acqua. Noi bambini le guardavamo e ridevamo. Mia mamma no... non l'avrebbe mai fatto, penso ma non lo so con certezza che si fosse portata un bacile o qualcosa del genere da usare come pitale.
Questo era enormemente interessante agli occhi di un bambino.
Si mangiava e beveva fino a quando, a mezzanotte, iniziava il grande spettacolo pirotecnico. Più che mangiare ora era il bere l'occupazione principale, per gli uomini dico ma non che le donne restassero molto indietro, bevevano anche loro e si rideva, si cantava... qualcuno suonava la fisarmonica, raccontavano barzellette sconce che non capivo. Finito lo spettacolo subentrava la stanchezza, qualcuno si assopiva stendendosi sulle panche, altri posavano la testa sul tavolo. Si attendeva l'alba.
La mia curiosità... già allora era rivolta al mondo femminile.
Mi piaceva immensamente zia Fiameta, diminuitivo di Fiamma, sposata con il più giovane dei fratelli, zio Nane. Era graziosa, delicata e molto affettuosa con noi bambini, con me in particolare... mi pareva di essere il suo preferito. Lei non aveva ancora figli. Bionda, incarnato pallido.
Se si potesse definire innamoramento l'infatuazione di un bambino di otto anni... ebbene ero innamorato di lei. L'avevo guardata interessato mentre si sedeva sul bordo per orinare in acqua ma vidi solo un balenio di carne bianca. Era, ai miei occhi, splendida. Come una dea.
Ma fu anche la mia prima delusione amorosa.
Mi assopii... mi risvegliai... cercai con gli occhi Fiameta, ebbene... era a poppa che parlava con zio Bepi, lui cercava di abbracciarla, lei resisteva,
poi... ambedue rivolsero una occhiata circolare al battello, la gente dormiva... alcuni erano ebbri di vino e di certo lo era Nane il marito di Fiameta. Rassicurati di questo... lui la costrinse piegata in avanti, lei appoggiò le mani al bordo della barca, lui le alzò la gonna e vidi di nuovo il biancore del suo sedere, poi... lui che si appressava e i movimenti del coito. Breve e violento.
Ne restai enormemente deluso. Arrabbiato. Furente.
Ecco chi era l'amante dello zio Bepi, uomo volgare e sanguigno.
Era la mia adorata zia Fiameta... eterea e delicata.
Non capivo, non mi capacitavo... ma poi brevemente il tempo guarì quella superficiale, infantile ferita al cuore.
Ma lei era davvero bella. Lui invece un orrido animale.
Finisce qui il mio ricordare, il vecchio morì e ci fu un funerale meraviglioso. Decine e decine di gondole e imbarcazioni ornate a lutto e dopo la sua tumulazione... una festa senza eguali.
Poi... lasciai quella casa e le mie radici.
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