Schiavo
di
Aramis
genere
bisex
Il mercato degli schiavi brulicava di acquirenti e venditori che disputavano astiosamente l'uno con l'altro sul valore della merce. Al lato della piazza c’era la mercanzia, gli schiavi, con occhi sconfortati, arcigni. Portavano le loro catene con un misto di ostilità e rassegnazione.
"Centurione", chiamò una voce vicina, "qualche cosa per te oggi?" Mi girai verso un uomo accosciato, quasi calvo, con una toga marrone. Lui unì la punta delle dita e mi fissò con i suoi scuri occhi malevoli. "Ho molte belle vergini arrivate di fresco a Roma."
"Sto cercando un ragazzo della Gallia Comata portato per essere messo sul mercato un mese fa. E’ circa di questa altezza, ha lunghi capelli scuri ed occhi blu chiaro." ed alzai una mano all’altezza della mia spalla per indicare l'altezza del giovane. "Il suo nome è Castore, l’hai presente? Sai dirmi dov’è?"
Il mercante di schiavi alzò le spalle ed i suoi palmi tozzi. “Ahimè, Centurione, ci sono molti ragazzi che passano per il mercato degli schiavi. Non posso ricordare proprio quello. Ma ho molti giovani imberbi della Gallia. Forse uno di loro potrebbe interessarti." e sventolò la mano verso il misero gruppo di creature in catene.
"No, io cerco quel ragazzo, Castore. Magari uno dei tuoi soci può ricordarselo?"
Il commerciante si mosse di malavoglia e conferì coi suoi colleghi. Le sue indagini furono brevi. "Mi spiace, Centurione, ma nessuno ricorda il ragazzo, Castore."
Quando mi girai per andare via, mi scontrai con un mendicante dai capelli grigi curvo che allungava la sua ciotola verso di me. "Molte scuse, padrone. Hai qualche cosa per un vecchio?"
Io prelevai due monete di bronzo dalla mia cintura e le lanciai nella sua ciotola.
"Che gli dei possano favorirti, giovane padrone. Che tu possa avere ricchezza e felicità!"
Un impulso improvviso mi spinse a chiedere: "Cerco un ragazzo della Gallia Comata, uno schiavo che fu portato per essere messo sul mercato un mese fa. Il suo nome è Castore. Ne sai qualche cosa?"
Il vecchio mendicante si graffiò il mento avvizzito e strabuzzò gli occhi. "Cosa puoi dare per questa informazione?"
Il mio cuore cominciò a battere selvaggiamente. "Puoi dirmi dov’è?" Il mendicante spinse la sua ciotola verso di me. Io vi lanciai dentro un denaro d’argento. Lui afferrò la moneta e la morse per valutarla. "Io non posso dirti dov’è il ragazzo, padrone. Ma posso dirti dove trovare uno che lo sa."
"Dimmelo subito, prima che ti spacchi il tuo cranio!"
"L'uomo che cerchi frequenta il tempio di Venere. Il suo nome è Lucius Titus e tiene un bordello di catamite vicino al vico di Domiziano."
Il mio cuore affondò come se fosse fatto di piombo. "Per tutti gli dei", mormorai, "dimmi che Castore non è un catamite!"
Il vecchio mendicante retrocedette. "Ti ho detto tutto quello che so, padrone. Devi cercare Lucius Titus, lui sa."
Attraversai le strade verso il tempio di Venere, improvvisamente demoralizzato ed afflitto. Gli schiavi catamiti (giovani prostituti) erano conosciuti per essere abituati al vino forte. Erano spesso malati , cinici e pieni di disperazione. Quando la loro bellezza giovanile si affievoliva, venivano venduti e forzati a compiere i lavori più servili.
Non essendo addestrati per lavori utili, perivano rapidamente sotto la frusta del sorvegliante. Sarebbe stato questo il fato di Castore?
* * *
La strada rumorosa improvvisamente scomparve di fronte a me. Nell'occhio della mia mente vidi la recente campagna nella Gallia Transalpina. Profondamente ferito nel torace, giacevo al margine della strada da due giorni, abbandonato come morto dai miei compagni legionari. Poi un ragazzo mi trovò, mi portò in una capanna vicina e mi rimise in salute. Suo padre era stato ucciso dai romani durante l'invasione, tuttavia non mi odiava; era di natura molto dolce, calda, e sembrava che i suoi pensieri trascendessero il tempo. Disse di chiamarsi Castore e che era stato chiamato così in onore dei Dioscuri, perché suo padre aveva passato molti anni in mare e aveva visto davvero Castore e Polluce con brillanti indumenti e stelle sulle loro teste durante le tempeste. Una notte fissò la fiamma di una lampada e mi disse che la legione romana doveva andarsene dalla Gallia, che sarebbe stata sconfitta. Nove settimane più tardi i resti della legione passarono in ritirata. Comunque; nel passare mi costrinsero ad riunirmi a loro e presero prigioniero Castore che divenne proprietà della Repubblica romana per essere venduto o riscattato; era un bottino di guerra.
Smisi di camminare, completamente perso nei miei pensieri. Come dolcemente Castore mi aveva pulito e rivestito la ferita con unguento di aloe! L'erba calmante aveva prodotto sollievo immediato. Ero stato colpito da una lancia attraverso la corazza di cuoio. Per quattro giorni tossii sangue. Castore bagnò la mia ferita e l'avvolse in bende pulite. Sembrava avesse una conoscenza istintiva della medicina e le sue mani avevano un salutare effetto calmante su di me. Una volta che ero febbricitante, mormorai adirato che lui era un barbaro che non sapeva niente degli dei. Lui mi disse calmo che c’è un solo Dio. Come potevano esserci tali idee in un ragazzo privo di istruzione? Lui mi alimentò con farina d'avena con un cucchiaio di legno. Era un cibo povero ma ripristinò la mia forza. Portava un vaso di coccio in cui mi liberavo e, anche se il fiume era distante, mi portava sempre acqua fresca per bere e lavarmi.
Più tardi, dopo che ero molto migliorato, mentre una mattina stava lavandomi, afferrai i suoi polsi e lo tirai a me. "Per me tu sei più bello di qualsiasi donna", dissi. "Potrei costringerti a servirmi come una donna."
Il terrore balenò nei suoi occhi blu. "Tu potresti costringermi, è vero, Marcus Decius. Ma l’amore non può essere preso. Deve essere dato."
Abbassò gli occhi le sue labbra tremarono. Le sue parole forarono il mio cuore e ammollirono l'urgenza del mio desiderio. Comunque lui divenne tutto per me: guaritore, insegnante, amico ed amante. Quel giorno ci sdraiammo insieme sul giaciglio e ci stringemmo l’un l’altro intimamente per la prima volta. Io giocherellai coi suoi capelli lunghi e scuri e strisciai le mie labbra contro la morbida barba che cominciava a crescere sulle sue guance. Nella sua giovane faccia vidi le linee angolari della virilità che cominciavano ad apparire. La sua carne bianca come il latte era integra e flessibile sotto il mio tocco. Io sono un soldato di Roma, un Centurione, un uomo civilizzato. Ma in quei lunghi dolci giorni d’estate il giovane gallo mi ha insegnato per la prima volta cos’è veramente amare qualcuno, senza fare del male o mentire. Io cominciai a chiedermi chi era il vero barbaro, lui o io. Lui mi insegnò a non prendere, ma aspettare pazientemente finché lui era pronto a dare amore. Lui mi insegnò la gioia di servire l’altro. Lui mi insegnò ad essere calmo e quieto nella calma della notte. Ma, più importante, lui mi insegnò che l'unico vero nemico è la paura.
* * *
Mentre ero sovrappensiero nella piazza affollata, passò un corteo di Baccanti. C’erano uomini e donne, indossavano maschere per celare la loro identità e portavano coppe e tyrsi. Avevano dell’edera nei capelli e pelli di daino avvolte intorno alle spalle. Alla testa del corteo c’era un giovane che suonava un flauto. I festaioli accennavano agli spettatori con le loro tazze. "Venite, unitevi a noi", gridavano. Una volta i baccanali erano limitati a tre giorni all’anno, ma recentemente si tenevano più spesso e qualche volta per sette giorni alla volta. L'avevo dimenticato. Dato che stavo andando nella stessa direzione, mi accodai alla folla chiassosa.
Il crepuscolo si abbattè sulla città mentre camminavamo, il corteo gradualmente si gonfiava e finalmente arrivò al tempio di Venere. I Baccanti entrarono ed io li seguii. Nel portico stavano i venditori che cavavano con un mestolo caldo vino dolce e lo versavano nelle tazze; ne comprai ed entrai nel tempio. Il cavernoso interno era illuminato da torce che scintillavano fiocamente nell'oscurità. L'orgia stava proseguendo, di fronte a me, su un basso divano, era sdraiato sulla schiena un uomo nudo con un'erezione enorme. Una bella ragazza, che aveva una maschera sugli occhi, stava a gambe divaricate sulle sue anche e prendeva lentamente il suo uccello dentro di se. I due fottevano tranquillamente, senza fretta. I piccoli seni rimbalzavano mentre si immergeva su e giù sull’asta ricurva.
C'erano molti più uomini che donne, un maschio si avvicinò alla ragazza da dietro. Le lubrificò il buco del culo e la spinse in avanti. Lei non fece obiezione e lui le inserì l’uccello nel culo. La duplice sensazione di essere rapita in estasi da due uomini la fece anelare di piacere. Poi un terzo maschio si mise davanti alla faccia della ragazza e tirò la sua bocca sopra il suo uccello pulsante. Lei lo succhiò avidamente mentre gli accarezzava le palle pendenti.
Io mi appoggiai ad un pilastro e guardai il turbine dei partecipanti. Il vino aveva cominciato a fare effetto ed io mi sentii attratto nell'orgia contro la mia volontà.
Tre uomini spogliarono una ragazza di fronte a me. Uno di loro schizzò vino sui suoi seni e lo leccò via. Un altro la spinse sopra un divano. Il terzo gli separò le gambe allargandogli la fessura mettendo in mostra il colore scarlatto delle labbra interne. Poi inserì due dita nel canale e le strofinò il clitoride col pollice. Lei si contorse di piacere mentre le dita scivolavano dentro e fuori di lei. Poi i tre cominciarono a fotterla a turno.
Lì vicino cinque altri uomini si avvicinarono ad una giovane sdraiata su un divano. Uno di loro seppellì la faccia tra le sue gambe per bere lo sperma dalla sua fica. Tre di loro spinsero i loro uccelli nella sua faccia. Gli altri si inginocchiarono accanto a lei e le strizzarono le tette. Lei era una bella ragazza e succhiò i tre uccelli portandoli alla piena erezione. Poi quello che le stava succhiando la figa strisciò tra le sue gambe e pinse dentro l’uccello. Le sue palle schiaffeggiavano contro il culo mentre le pugnalava l’inguine. Quello che le aveva strizzato le tette spinse il cazzo nella sua bocca. I tre uomini con erezioni si accarezzavano l'un l'altro. Poi uno si chinò e succhiò l'uccello dell'uomo alla sua destra. Presto l'uomo alla sua sinistra gli andò dietro e gli spinse il pene nel culo.
Mentre questo stava accadendo, un giovane nudo si fermò di fronte a me. I suo occhi marrone mi fissarono, si lasciò cadere sulle ginocchia e fece correre le mani su per le mie cosce facendole scivolare sotto la gonna della mia tunica. Poi prese il mio uccello e cominciò a succhiarlo. Sembrava molto esperto dato che il suo succhiare era estremamente morbido e piacevole. Quando fui completamente eccitato si alzò e mi bisbigliò in un orecchio.
"Colpiscimi, Centurione. Flagellami con le frange di cuoio della tua gonna. Ho bisogno di una lezione severa. E quando rabbrividerò e tremerò per il dolore, stuprami senza misericordia."
Battei una mano sopra le sue natiche nude. Erano morbide e grassocci. Lui si girò leggermente ed io spinsi un dito tra le sue natiche a sondare il buco dilatato. Il mio secondo e terzo dito scivolarono facilmente nell'apertura larga. Era pieno sino all’orlo di sperma. Presi il suo uccello che era piccolo e pendeva molle nella mia mano. Lui abbasso gli occhi ed avvolse le sue braccia intorno al mio collo.
"Legami i polsi con la tua cintura. Lasciami succhiare il tuo buco del culo. Fottimi la faccia. Fottimi il culo. Pisciami in bocca. Vieni, seguimi. ti porto in una cameraI appartata."
Mi condusse in una piccola stanza adiacente che era piena di soldati. In un’imbragatura di cuoio, come un'amaca, c’era un giovane sdraiato sulla schiena. Le sue cosce erano tenute alte da grandi anelli di ferro intorno alle ginocchia. Il suo culo, appoggiato al bordo dell’amaca, era aperto e completamente esposto. Un grosso soldato peloso avanzò dietro il giovane, lo schiaffeggiò con forza e spinse la sua enorme erezione tra le sue natiche. Il soldato si immerse dentro e fuori furiosamente, spingendo nel culo del giovane con un assalto violento.
"Oh", gemette il giovane "Sei il quarantatreesimo. Non riesco a prenderne più. Fermati!"
Il grosso soldato lo inculò ancora più forte, non voleva smettere. Poi si chinò e tirò i capezzoli del ragazzo. ("Vorrei che tu avessi delle vere tette", mormorò.) Le sue palle rimbalzavano selvaggiamente e la testa del ragazzo rimbalzava come se lui avesse perso coscienza. Improvvisamente, il grosso culo peloso del soldato tremò. Strinse le grosse chiappe, poi rabbrividì e tolse l’uccello gocciolante.
Il giovane che mi aveva portato nella camera esclamò improvvisamente: "Lasciatemi il posto. Tutti dobbiamo avere il nostro turno."
Loro tolsero il primo giovane dall’amaca e l’altro vi salì. A quel punto decisi che avevo visto abbastanza. Più importanti affari mi attendevano. Uscii dalla camera e ritornai nell'aula principale del tempio.
* * *
Là c’era la seconda ragazza, quella che avevo visto, quella che era stata chiavata dai tre uomini, seduta scompostamente sul divano, l’interno delle sue cosce brillavano di sperma. Mi fece un cenno ed io mi avvicinai. Quando le fui vicina tirò la gonna della mia tunica. "Sei molto bello, Centurione. Togliti l’uniforme", mi esortò. “Unisciti alla festa di Bacco." La folla turbinante di corpi nudi ed il caldo vino mi avevano eccitato. Le sue mani scivolarono sopra il mio uccello pulsante. "È così grosso!" bisbigliò. "Devo averlo!"
Mi sedetti accanto a lei sul divano, era molto sudata e dalla sua fica gocciolava il succo di molti uomini, mi ricordava le ragazze nei bordelli dei soldati. Stavamo in lunghe file ad aspettare il nostro turno e quando arrivavamo nella tenda, le ragazze erano sudate e gocciolavano sborra. La tentazione di fotterla era grande. Feci scivolare una mano tra le sue gambe e lei le allargò esortandomi ad inserire il mio uccello tra le morbide labbra pelose. Spinsi tre dita dentro di lei senza difficoltà. La sua fica era larga, calda e scivolosa.
Lei si lamentò leggermente: "Prendimi, Centurione. Fammi tua."
Ma io le strinsi le gambe e lottai per controllarmi. "Cerco un uomo, Lucius Titus, che si dice che frequenti questo tempio. Puoi indicarmelo?"
"Io sono una devota di Venere e conosco molto bene Lucius Titus. Passa molto tempo qui. Se vuoi ti porterò da lui. Ma sei così bello. Non vuoi amarmi prima? "
"Forse più tardi. Portami da Lucius Titus", dissi.
Mi condusse dietro ad una tenda in una piccola alcova dove un enorme uomo, completamente nudo, russava su un divano.
"Lucius", disse lei scuotendogli una spalla “C'è un giovane Centurione che vuole vederti."
La grassa figura alzò la testa e ci guardò con occhi incerti. "Oh, Severina, sei tu. Cosa posso fare per te?" Lottò per sedersi, le pieghe di grasso gli nascondevano gli organi.
"Questo giovane desidera parlarti. E’ un Centurione. Ero sola e ho visto un giovane attraente ed inattivo vicino alla statua della dea."
Lucius si strofinò gli occhi con le nocche dei pugni. "Perchè mi vuole vedere?"
"Sto cercando uno schiavo, un ragazzo della Gallia Comata che è arrivato a Roma circa un mese fa. Ha capelli scuri e lunghi e occhi blu chiaro.Si chiama Castore."
Un'aria di sospetto scintillò sulla faccia di Lucius. Aggrottò le ciglia ed inclinò la testa.
"Perché mi chiedi di questo ragazzo?"
"Un vecchio mendicante al mercato degli schiavi mi ha detto che tu sapevi dove trovarlo.”
Nei suoi occhi balenò la rabbia: "Oh, lui l’ha fatto, non è vero?" Poi in maniera servile ed ipocrita aggiunse: "Se il tuo gusto inclina verso i ragazzini, io posso aiutarti, Centurione. Ma il giovane che cerchi non è disponibile."
"Io devo trovarlo. Ti darò qualsiasi cosa tu chieda, ma è urgente che io lo veda."
La sua curiosità fu risvegliata. "Cosa puoi offrire? " I suoi piccoli occhi scuri lampeggiarono tra le pieghe di grasso. "Allora?"
Presi una borsa di cuoio dalla mia cintura. "Qui ci sono tetradracme di Alessandro. Prendine quante ne vuoi, io devo vedere il ragazzo."
Gli occhi di Lucius brillarono di avidità. "Il ragazzo sarà venduto ad un cliente speciale. Ma per tre tetradracme puoi vederlo stasera. Non devi rimanere al Baccanale, tra poco se ne andrà." Prese tre monete d’argento dalla mia mano. Conosci il Domizianeo? C'è un piccolo vicolo dietro. Vai alla terza casa e dà questo al custode." Spinse un medaglione di bronzo nella mia mano. "Digli che ti manda Titus e che vuoi vedere il ragazzo nella sua stanza."
Quando mi girai per andare via, una donna in toga bianca entrò nell'alcova. Aveva una maschera d’oro ed i suoi capelli castani erano ben intrecciati e pettinati. I suoi seni erano nudi. Erano i seni pieni di una donna matura. Mentre si avvicinava fece scivolare una mano sopra il mio braccio.
"Cosa abbiamo qui?" e fece le fusa seducentemente.
Titus si contorse imbarazzato ed i suoi occhi passarono da uno all’altra. Si affrettò a chiudersi l’accappatoio. "Il Centurione ed io avevamo una piccola questione di affari, signora Helena."
"Parlando di affari", disse lei “La nostra operazione è pronta per domani?"
"Tutto concluso. L'uomo verrà a mezzogiorno."
"Mandero Baldar a prendere l'acquisto."
Io mi girai per andarmene, ansioso di essere via di lì.
"Un momento, Centurione" disse lei. "Posso parlare un momento con te?"
Attraversammo la tenda che chiudeva l'alcova e lei mi condusse in una stanza vicina. Fuori della porta un fiero visigoto con un grande groviglio di capelli biondi stava di guardia. Indossava una tunica di cuoio e le sue labbra carnose erano arricciate in un perpetuo ghigno. Le sue braccia e gambe erano grosse e muscolose. La signora mi condusse nella stanza e chiuse la porta. Un braciere scintillava su un treppiede nell'angolo. Lei si sdraiò su di un lungo divano.
"Cosa desideri mia signora?"
Lei si tolse la maschera rivelando una faccia ben proporzionata con grandi occhi tondi e piene labbra sensuali. "Baldar è la mia guardia del corpo", disse gesticolando verso la porta. "non fargli caso. Vieni e siediti.” e sventolò imperiosamente la mano.
Mi sedetti su uno sgabello accanto a lei senza parlare. Lei era evidentemente una patrizia, abituata ad avere quello che voleva. Un'espressione astuta scintillò nei suoi luminosi occhi verdi.
"Sei molto attraente, Centurione. Io sono una signora con necessità speciali. Ed io posso essere
più che generosa con un uomo che mi accontenta."
Mi alzai per andarmene. "La mia signora deve cercare un altro uomo più adatto alle sue inclinazioni", dissi.
Lei si alzò accanto a me e spinse le mani sotto la gonna della mia tunica. "Tu sei perfetto per le mie inclinazioni, Centurione. La tua uniforme è meravigliosa in questa luce della lampada ed io chiedo insistentemente un uomo d’azione." Poi i suoi occhi allargarono e lei ansò piano mentre toccava i miei organi maschili. "Il tuo fallo è enorme. Pagherò bene per i tuoi servizi, devi solo seguire le mie istruzioni."
Misi le mani sui suoi seni pesanti e tirai leggermente i capezzoli. "Mia signora, io devo andare. Signora Helena, non è vero? Forse ci incontreremo ancora.”
La delusione attraverso i suoi occhi e le sue belle sopracciglia si contrassero in un cipiglio. "Ti darò oro, Centurione. Più di quanto tu abbia mai sognato." Poi un vizioso sorriso attraversò le sue labbra. "Potrei dire a Baldar di trattenerti", lei disse.
Mi spremette i testicoli. Era più di un’allegra pressione. Il mio inguine era dolorante. Spingendo via la sua mano, afferrai l'elsa della mia spada.
"I Visigoti hanno già assaggiato questa lama. Ho un'importante commissione. La mia signora deve scusarmi e deve cercare altrove compagnia.”
Quando lasciai il tempio, la spinsi fuori della mia mente. Roma era piena di donne licenziose e lei era solo una fra le tante.
Quando fui all’aria fresca della sera i miei sandali volarono sui ciottoli ed il mio cuore cominciò a correre per l’eccitazione. Era vero? Stavo per vedere Castore? Pigiai il medaglione nel mio palmo e mi immersi nell'oscurità.
* * *
Finalmente trovai il vicolo e bussai all'ingresso della terza casa. Il guardiano guardò il medaglione e mi introdusse in un corridoio male in arnese.
"Per di qui", disse. "Teniamo il ragazzo incatenato nella sua stanza.”
Mi condusse in una grande sala di ricevimento dove vi erano uomini e giovani in veste da camera. Un soldato alzò un ragazzo sopra la tavola, alzò la gonna della tunica del giovane e l'accarezzò. Un giovane ne teneva un altro nudo in grembo, carezzandogli i capelli, baciandogli le labbra e palpando il suo inguine. In un angolo tre soldati stavano sopra un altro giovane. Uno dei soldati prese il ragazzo da dietro; un altro lo masturbò ed il terzo spinse il suo uccello nella bocca del giovane. Sembrava che il Baccanale si fosse esteso anche a questo bordello.
Salimmo dei gradini, entrammo in un altro corridoio e ci fermammo davanti ad una stanza. Il guardiano aprì la porta e mi fece entrare. "Non può rimanere molto.” Disse, poi scomparve giù per i gradini.
La stanza era nella penombra più profonda, l'unica fonte di luce era un piccolo lume in una nicchia sul muro. Una figura prona, con in dosso solo un perizoma, era sdraiata incatenò sopra un pagliericcio. Mi inginocchiai accanto al ragazzo e lo guardai in faccia. Improvvisamente il mio cuore si riempì di gioia, avevo visto il mio amico, Castore. Pigiai la sua mano ed i suoi occhi si aprirono.
"Marcus Decius, sei veramente tu o sto ancora sognando?"
"Sono veramente io, Castore. Finalmente ti ho trovato."
Lui si mise a sedere e mi abbracciò. "Ho sognato spesso questo momento. Sapevo che saresti venuto ma mi chiedevo se non era troppo tardi. Ah, hai l’armatura nuova. Sei bello e forte."
"Meglio di quando mi hai trovato accanto alla strada?"
"Molto meglio. La tua grande forza ti splende negli occhi."
"Aiutami a togliermi la corazza, così possiamo giacere insieme." Mi tolsi la tunica, mi sdraiai accanto a lui e lo presi nelle mie braccia. Quando l'attrassi a me, lui tremò incontrollabilmente.
"Ho paura, Marcus, amico mio."
"Ora sono qui, devi avere coraggio."
"Ma io sto per essere venduto ad una nobile signora come amante."
"Questa prospettiva ti rende infelice?"
"Prima di essere venduto devo essere castrato, così non posso mettere incinta la signora."
Fui preso dalla nausea. "No", esclamai. “Non deve accadere. Lo impedirò in qualche modo."
"Lei già ha pagato. Ho paura che non c'è niente che tu possa fare.”
Gli toccai le palle e le trovai intatte tra le sue gambe. “E quando dovrebbe aver luogo questa castrazione?"
"Dicono sarà domani. C'è un vecchio che viene a farlo. Lui sa come rompere internamente i testicoli, così un uomo diventa sterile anche se appare normale."
“Non ti toglieranno i testicoli?"
"No, ma dicono che è anche peggio ed il dolore dura molto più a lungo. Ho parlato con un ragazzo che l'aveva fatto."
“Non deve accadere, ti rapirò o ti comprerò, ma in qualche modo farò in modo che non accada."
"Mi sono detto spesso che potevi. Marcus Decius ora è la mia unica speranza, mi sono detto molte volte."
Lo lo tenni nelle mie braccio ed ancora una volta diventammo una cosa sola. Lui spinse una mano nella mia tunica e toccò la cicatrice della mia ferita. Poi io aprii il suo perizoma e sentii la vecchia intimità che ci univa. Lui era mio ed io ero suo. Ci eravamo dati l'uno all'altro a suo tempo ed il legame era ancora fresco, ancora vivo.
Sopraffatto dalla passione seppellii la faccia contro la sua gola e gli accarezzai uccello e palle. Lui rimase sdraiato immobile, io alzai la gonna della mia tunica e pigiai il mio organo maschile contro il suo. Improvvisamente lui scoppio in lacrime, tirai la sua faccia contro la mia spalla.
"Castore, cosa c’è che non va?"
"Qui gli uomini prendono senza chiedere. Mi hanno incatenato, mi hanno colpito e mi hanno costretto a fare la loro volontà. Il ferro che mi stringe la caviglia la fa sanguinare continuamente."
"Oh, Castore, giuro su tutti gli dei che ti tirerò fuori di qui. Tu mi hai riportato alla vita, ed ora io ti salverò da questa oscurità da Stige. Asciugati le lacrime, dobbiamo pensare il da farsi. Chi è questa nobile signora di cui devi diventare l’amante?"
"L'ho incontrata solo una volta. Lucius Titus la chiama la sua signora Helena. Sembra che abbia un appetito insaziabile per gli uomini attraenti, ma ha paura di restare incinta."
Improvvisamente la conversazione tra Lucius Titus e la patrizia al tempio di Venere ebbe un senso perfetto. 'Lei ha un servitore, un grosso visigoto che si chiama Baldar?"
"Sì, la conosci?"
"L’ho incontrata questa sera. La castrazione sarà fatta domani a mezzogiorno e poi ti daranno a lei." Rapidamente mi alzai e mi misi l’armatura.
"Dove stai andando?"
"Devo affrettarmi a trovare signora Helena." Mi inginocchiai accanto a lui e pigiai le labbra sulla sua fronte. "Tu vivi nel mio cuore, Castore, continuamente. Se ti accadesse qualche cosa, perderei la volontà di vivere. Le nostre anime sono allacciate oltre ogni comprensione umana."
“Ci sono stelle sulla tua armatura e sul fodero della tua spada."
"E’ solamente la lampada, amico mio."
"No, Marcus, sono stelle."
* * *
Il festeggiamento al tempio di Venere era diventato più forte che mai. Molti soldati si erano uniti alla folla ed erano in fila ad aspettare per una donna disponibile.
Baldar sonnecchiava al suo posto. Gli passai davanti ed andai nella stanza della signora Helena.
Era sdraiata sul divano e si stava masturbando.
"Sei ritornato!" esclamò. "Lo speravo." Si alzò e mi abbracciò. 'Ah", bisbigliò, "Hai l’odore di uno stallone, un grande stallone virile." Prese una corda da intorno alla sua vita. "Vieni qui, Centurione e lascia che ti leghi le mani dietro la schiena."
Si mise dietro di me e mi legò i polsi con la corda. Io riuscii a muovere il braccio in modo da potermi slegare.
"Il tuo partner deve essere legato, mia signora?"
"Sì", disse. "Ora sdraiati sul divano."
Mi sdraiai sulla schiena. Lei alzò la gonna della mia tunica ed accarezzò le mie parti maschili.
"Che uccello mostruoso hai, un uccello che molte signore possono solamente sognare." Le sue labbra furono occupate a succhiare la mia asta portandola alla rigidità. "Ah", mormorò, "ma temo ancora quelle palle massiccie." Prese una piccola corda dalla sua cintura e l'allacciò ermeticamente intorno al mio scroto. Poi gettò la sua toga sopra uno sgabello, si mise a gambe divaricate a cavallo delle mie anche ed inserì la punta del mio uccello tra le labbra della sua figa. "Oh", ansò, "se solamente io potessi prenderlo tutto."
Tentando di farlo si sedette lentamente lasciando che la sua fessura affamata ingoiasse la testa palpitante del mio uccello. Lei era completamente preoccupata delle sue sensazioni. Per lei ero solo un pezzo di carne per il suo piacere egoista. Quando il mio uccello era a metà strada dentro di lei, si fermò. Qualche cosa rese impraticabile la sua vagina.
"Perché non mi prendi tutto, mia signora?"
Lei sembrò irritata, come se io avessi interrotto il suo treno di pensieri. "Ho una spugna umida nel mio canale femminile quando vengo a queste baldorie. È per prevenire la concezione.Tu devi essere contento di avere una parte di me."
Si alzò ed abbassò sul mio uccello. Era chiaro che lei voleva il totale controllo sul suo partner maschio. Chiuse gli occhi e si rinchiuse nei propri sentimenti, come se io non fossi là, come se io fossi soltanto un oggetto per il suo masturbarsi. I suoi capezzoli divennero eretti e la pelle d’oca comparve sulle sue braccia e gambe. Ma le chiavate parziali sembrano molto strane. La sua fica era così larga e poco profonda che mi lasciò insoddisfatto.
Gradualmente la mia mente vagò verso i miei veri affari. "Signora Helena", cominciai, "Sono appena stato da un mio amico, un giovane della Gallia Settentrionale. Ti deve essere consegnato domani. Ma io t'imploro, dallo in custodia a me. Io devo portarlo via da..."
"Non parlare! Stai interrompendo la mia concentrazione. Non vedi che sto tremando al limite dell’orgasmo? " Si pizzicò i capezzoli e si strofinò il clitoride con frenetici movimenti di artigli.
"Ma, mia signora, il giovane perirà se è costretto a rimanere schiavo. Pagherò qualsiasi prezzo tu chieda. Solo devi darlo a me."
Una fiera rabbia balenò nei suoi occhi, l'avevo distratta dall'arrivare all’orgasmo che lei cercava insistentemente, disperatamente. Mi schiaffeggiò con forza.
"Cosa devo fare? Il giovane è mio! Lui mi servirà al mio comando come tu mi stai servendo ora!"
Portò le mani dietro di se e mi schiacciò le palle.
Un grido soffocato sfuggì dalle mie labbra. Mossi i polsi allentando i legacci ed aspettai che il dolore diminuisse. "Tu puoi trovare un altro giovane per soddisfarti, mia signora. Roma è piena di schiavi così."
La sua faccia si contorse in un’espressione di pietà e repulsione. "Voi uomini", ringhiò, "Voi pensate di soddisfare noi donne. Bene, non è così!" Saltò in piedi e prese un piccolo pugnale dalla cintura della sua toga. Poi lo puntò verso le mie palle. "Hai rovinato il mio piacere col tuo discorso: parli, chiacchieri! Questo è tutto quello che voi uomini sapete fare, parlare senza fine! Ora io rovinerò il tuo piacere, permanentemente!"
Allungò il pugnale verso di me, io mi liberai subito le mani. Balzai in piedi, afferrai il polso della sua mano destra e misi la sinistra sulla sua bocca.
"Tu donna vile e disgustosa! Sacrificheresti la felicità di un giovane innocente per il tuo piacere egoista!"
Picchiai le sue nocche contro lo sgabello finché non lasciò cadere il pugnale che precipitò sul pavimento con un tintinnio.
"Vieni qui", dissi spingendola sul divano. "Ti estrarrò la spugna e ti gettero ai soldati nel tempio!" Lei si contorse istericamente mentre io ficcavo le dita nella sua vagina e toglievo la spugna. "E dopo che i soldati ti avranno stuprata ti taglierò la lingua e ti venderò ad un bordello militare. Passerai il resto dei tuoi giorni in gravidanza e malattia. Infatti vorrò essere il primo della fila dei soldati!"
Mentre lottavo per allargarle le gambe, la mia mano scivolò dalla sua bocca e lei gridò con tutta la sua forza: "Baldar!"
* * *
La porta si spalancò e la forma goffa del visigoto apparve. Lei saltò in piedi e recuperò il pugnale dal pavimento. Io mi alzai e slegai la corda dalle mie palle. La guardia del corpo prese una daga dalla sua cintura. I suoi occhi vibrarono mentre lui cercava di comprendere la situazione.
"Uccidilo, pazzo! Mi ha attaccato!" Gridò lei. Il visigoto mi guardò attentamente, esitò, e lentamente scosse la sua criniera di capelli di biondi.
"Perché stai fermo? Se non l'uccidi ti immergerò questo pugnale nel cuore! " e puntò il pugnale verso il torace di Baldar.
"Ma, mia signora", lui protestò, "lui è un Centurione della legione romana. Attaccarlo vuol dire morte certa. Andiamocene via!."
"Codardo! Smidollato! Come osi disubbidirmi!"
Lei tremava d’ira, afferrò la sua toga dallo sgabello e la tenne contro i seni nudi. "Oh sì", disse sarcasticamente, "Mi sono dimenticai che sei solo un mezzo uomo. Baldar è solamente mezzo uomo, ora!" esclamò fulminandolo col suo sguardo.
Come ulteriore umiliazione tirò da parte la sua tunica di cuoio per mettere in mostra il suoi organi maschili. Il pene era lungo e glabro, ma il sacco dello scroto era vuoto, era un eunuco.
Un'espressione di confusione addolorata attraversò la faccia di Baldar. Lui la spinse da parte chiudendo la tunica. "Tu mi avevi detto che mi amavi e ti saresti sempre presa cura di me", frignò. "Tu avevi detto che sarei stato il tuo amante per sempre dopo la castrazione."
Le sue spalle si abbassarono e strinse indifeso i pugni, come un bambino in collera. ! ”Perché l’hai fatto? Perché sei così crudele?"
Lei rise deridendolo. "Tu, grossa carcassa ingombrante, diventi più grasso e più stupido ogni giorno! Tu mi divertivi. Ma quando ti hanno tolto le palle devono averti tolto contemporaneamente anche il cervello! Dimentichi che come tua padrona ho il il potere di vita e di morte su di te!" Lei rise di nuovo ed appoggiò il pugnale contro il suo torace.
Improvvisamente la faccia del grosso visigoto arrossì, i suoi occhi rotearono e le vene sul suo collo si gonfiarono. Lui tremò incontrollabilmente e sembrò che la furia si impossessasse di lui. Afferrò la gola pallida della donna e la scosse come una bambola di stracci. Le sue braccia e gambe si dibattevano selvaggiamente, e quando la sua forza alla fine declinò, la sua testa si abbassò pesantemente sopra il suo seno, le aveva rotto il collo. Non ancora soddisfatto la trascinò al braciere e spinse la sua faccia nei carboni ardenti.
"Solamente il fuoco potrà pulire le cattive parole dalle sue labbra", mormorò. Quando si rese conto di quello che aveva fatto, lasciò cadere il suo corpo al pavimento e cadde sulle ginocchia piangendo inconsolabilmente. "Uccidimi, signore, non sono degno di vivere!"
"Se mi aiuterai, io ti salverò la vita e ti darò la libertà. A meno che non mi sbagli, lei nascondeva una borsa d’oro nella cintura." Afferrai il suo indumento dal pavimento. Nelle pieghe della toga trovai una piccola borsa di cuoio pesante con monete d’oro di tutte le dimensioni. "Questi soldi sono tuoi se domani verrai con me al bordello di Lucius Titus per andare a prendere il giovane schiavo chiamato Castore. Vuoi aiutarmi?"
"Sì, padrone, ma quando il suo cadavere verrà scoperto io sarò incolpato di assassinio."
"Strappa i gioielli dal suo corpo. Non di deve lasciare nulla che la possa identificare. I carboni roventi le hanno già bruciato la faccia; getteremo il suo corpo nel Tevere e se arriverà a riva, nessuno la riconoscerà."
* * *
La mattina seguente all’alba faceva freddo. Un temporale autunnale stava venendo da ovest; Baldar ed io andammo al bordello, io mi preoccupai di avvolgermi in un mantello per coprire completamente la mia uniforme. Il guardiano ci fece entrare e ci portò da Lucius.
"La signora Helena ora vuole il giovane;" dissi. "La castrazione non sarà necessaria.” Lucius ci guardò sorpreso. "La castrazione è già ha cominciata", disse.
Un forte grido provenne dal primo piano. Lasciando cadere ogni precauzione, mi gettai sui gradini ed andai nella stanza in fondo al corridoio. Castore era là, nudo, la faccia nascosta tra le mani. Il mendicante dai capelli grigi che avevo incontrato al mercato degli schiavi era dietro di lui con un paio di pinze in mano. Chiaramente lui aveva saputo dove era Castore perché faceva le castrazioni.
"Fermati!", ordinai. "Il giovane deve andare via così com’è." Gettai un perizoma intorno alle anche di Castore. "Togli la catena dalla sua caviglia!", comandai. Mentre si toglieva la catena, Lucius e Baldar entrarono nella stanza. "Io ti ricordo", disse sospettosamente Lucius. "Eri al Baccanale la notte scorsa. Cosa fai qui?"
"Ho passato la notte con la signora Helena, e lei mi ha chiesto di portare il giovane alla sua villa questa mattina."
"La signora Helena non cambierebbe mai la sua idea di far castrare il ragazzo.", protestò Lucius.
"Il ragazzo sarà riscattato dalla sua tribù in Gallia, ma deve essere reso intatto. La signora Helena sarà pagata bene."
"Perché questo riscatto non è stato proposto a me?" chiese Lucius e i suoi occhi avidi brillarono.
"Il ragazzo è stato pagato. Se hai ulteriori domande, parla con la signora Helena."
* * *
Lasciammo il bordello e salimmo su una piccola barca del Tevere. Il tempo era stato freddo e coperto tutta la mattina, improvvisamente cominciò a piovere ed il vento rinforzò. Vestito solamente di un perizoma, Castore rabbrividì nel forte vento d’autunno ed io lo presi sotto il mio mantello per proteggerlo dalla pioggia. Baldar con la cosa dell’occhio ci gettava sguardi diffidenti, sembrava geloso, risentito, diffidente.
Mentre attraversavamo la parte più profonda del fiume, la barca cominciò ad ondeggiare selvaggiamente.
La nausea prese Baldar, presto la sua faccia divenne di un livido cremisi e lui mi guardò spaventato ed adirato. Un brutto cipiglio si incise sulle sue labbra brutali. "Mi hai promesso l'oro della signora Helena. Dov’è?" I suoi occhi orlati di rosso si strinsero con odio e strinse i pugni. "Devo averlo, ora!" Con un improvviso movimento mise le mani al mio collo e spremette la trachea. Ansai cercando l’aria ed un panico gelido mi afferrò. Lo spettro della morte mi apparve in lontananza. Spinsi un ginocchio nel suo inguine e gli diedi un pugno nello stomaco. Lui barcollò e precipitò sopra il ponte che ballava. Improvvisamente il vento intensificò. La barca barcollò incontrollabile e l'albero quasi toccava la superficie dell'acqua. Castore ed io afferrammo le ringhiere, ma Baldar scivolò sul tavolato bagnato. Non riuscendo ad afferrare la presa, scivolò fuori bordo nelle onde turbolente. Il timoniere lottò per controllare il natante, la sua faccia si contorse di paura, gettò uno sguardo impotente verso Baldar, alzò le spalle e spinse con forza il timone. Da distante guardammo Baldar affondare e poi riemergere. Presto scomparve una seconda volta sotto l'acqua, lo perdemmo di vista e non riaffiorò più. Spinsi l’oro della signora Helena più profondamente nella mia cintura e Castore ed io ci afferrammo alle ringhiere per sarvarci la vita.
Sull'altro lato del Tevere prendemmo una stanza in una piccola casa vicino alla riva. La pioggia stava ancora precipitando pesantemente, ma noi eravamo caldi nelle braccia uno dell'altro, sdraiati sotto una coperta su di un pagliericcio. Tirai Castore più vicino a me.
"Sono arrivato troppo tardi? Il vecchio aveva già fatto la castrazione?"
"No, mi ha lasciato cadere la pinza su un piede ed io ho gridato. Poi sei entrato e la procedura si è fermata."
"Quindi sei intero e completo? Non ti ha ferito?"
"No, Marcus, sei arrivato in tempo."
Io lo tenni al mio petto e gli carezzai la schiena snella e le natiche. "Stai meglio senza le catene?"
"Molto meglio. Quasi mi sembra che siamo ancora in Gallia."
Toccai i peli morbidi sul suo labbro superiore. "Presto sarai un uomo. Vorrai stare con me anche allora?"
"Tu ed io siamo legati insieme per sempre."
"Io lascerò l'esercito e possiamo comprare della terra da coltivare nel nord fertile, non in Gallia, ma da questo lato delle Alpi. Ti piacerebbe?"
"Sì, purchè restiamo insieme." Fece correre le dita tra i miei capelli e mi baciò le palpebre. “Grazie, Marcus Decius, per avermi salvato da una vita dal dolore infinito."
"Oh, Castore, hai dimenticato che tu mi hai aiutato?"
Lui mi tolse la tunica e scivolò fuori dal suo perizoma. La sua carne era calda e morbida quando si sdraiò accanto a me. Mi baciò le guance e la bocca, le sue mani carezzarono la mia nuca. Io presi la sua vita snella e modellai i piccoli tumuli morbidi delle sue natiche.
"Non ho dimenticato", bisbigliò. "Quei giorni sono come un sogno per me."
"Perché mi hai salvato la vita? Io ero un soldato nemico. Avresti dovuto uccidermi."
Lui mise la mano sinistra sulla mia bocca. "Non parlare di morte, Marcus. Non potevo sopportare di vederti morire. Ogni vita è preziosa, ed io avevo visto troppe uccisioni. Inoltre, tutto ritorna, sai. Il bene ed il male che facciamo ci ritorna prima o poi."
Le sue parole penetrarono il mio cuore ed io sapevo che lui aveva ragione. Il male che la signora
Helena aveva fatto alla fine aveva rotto il suo bel collo bianco. L'ira di Baldar lo aveva fatto finire nel Tevere. Io ero vivo perché questo giovane aveva avuto pietà di me in Gallia. E lui era libero dalla schiavitù per il mio amore per lui. Forse gli dei erano giusti dopo tutto.
* * *
Io pigiai le mie labbra contro la sua bocca morbida e feci scivolare la lingua tra i suoi denti. Contemporaneamente lui spingeva la lingua nella mia bocca, ci scambiammo la saliva, respirammo più ansanti e sentimmo il fuoco della passione crescere tra noi. I nostri uccelli erano gonfi e pulsanti.
Castore sposto la testa verso i miei piedi e si sdraiò accanto a me. Delicatamente prese la punta del mio uccello, tirò indietro il prepuzio e fece scivolare sulla sua lingua la testa palpitante.
"Avevo dimenticato com’è grosso" Bisbigliò. Prese la testa del mio uccello nella sua bocca e succhiò leggermente.
Il suo uccello inarcato era davanti alla mia faccia, tirai impazientemente giù il prepuzio e lo presi nella mia bocca. Era sempre una delizia dargli piacere così senza fretta. Come era diverso il nostro fare l’amore privato dalla sordida e malata brutalità di Roma. Questo dolce giovane aveva toccato una parte di me affamata di dolcezza ed appagamento, una parte che non poteva essere soddisfatta da tutte le orge e depravazioni di Roma. Il suo uccello era della taglia giusta per essere ingoiato ed io lo ingoiai fino alla base. Mentre lo facevo lui continuava a succhiarmi molto dolcemente, e la nostra passione divenne più forte. Poi rilasciai la sua asta e leccai le sue belle palle rosa che scivolarono nel suo scroto, ed io giocherellai col turbine di capelli scuri sopra la sua verga curva. Contemporaneamente lui mordicchiò le mie palle e mi riempì di brividi deliziosi di piacere. Ben presto lui si voltò e si sdraiò sulla schiena accanto a me. I suoi occhi blu erano brillanti e sorridenti.
"Prendimi, Marcus se mi vuoi."
Io mi inginocchiai tra le sue gambe, come per montarlo, ma improvvisamente cambiai idea. "Ora sei un uomo, Castore. Voglio che tu mi prenda. Questa sarà la tua prima volta."
I suoi occhi allargarono per la sorpresa. “Sei sicuro, Marcus? Non te ne pentirai dopo?"
Mi misi a gambe divaricate sulle sue anche e feci correre le mani sulla morbida carne lattea del suo torace.
"Tu ed io ora siamo partner, Castore. Io voglio che tu mi ami come io ti ho amato."
I suoi occhi sorrisero il suo accordo. Misi della saliva sulla punta del suo uccello e l'inserii nel mio buco del culo. Scivolò dentro facilmente riempendomi di un calore istantaneo. Quando fu seppellito sino all'elsa, io precipitai in avanti ed avvolsi le mie braccia intorno al suo collo. Il mio uccello pulsò contro il suo stomaco snello.
Bisbigliai: "Come si sente?"
Lui mosse avanti ed indietro molto lentamente il suo uccello nel mio canale. Poi l'affondò tutto dentro di me.
"E’ meraviglioso, Marcus. Non ho mai sentito un’eccitazione così calda e palpitante."
Baciai le sue labbra morbide ed il suo spingere gradualmente aumentò di velocità. Per aiutare i suoi movimenti, mi sedetti, poi mi alzai e lasciai cadere il mio culo sopra la sua asta che mi penetrò. La sensazione di averlo dentro di me era molto eccitante ed un filo di pre eiaculazione cadde dalla mia fessura della piscia sopra il suo stomaco.
Lui fece correre le sue mani sulle mie gambe ed il mio torace. "Sei così peloso", disse. "Mi fai il solletico quando giacciamo insieme."
Mi tirò a se e pigiò le sue labbra contro le mie, un gemito smorzato sfuggì dalla sua gola. Mi strinse con forza a se ed il suo orgasmo esplose.
"Oh, Marcus", esclamò, "è così piacevole che quasi potrei morire." Lui rabbrividì, chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime fluissero sulle sue guance.
Restammo sdraiati a lungo uno nelle braccia dell’altro finché il suo uccello non scivolò fuori da me.
"Posso prenderti ora? " Chiesi.
Lui mi strinse la mano. "Chiaramente", bisbigliò. Io mi inginocchiai tra le sue ginocchia e misi le sue gambe snelle sulle mie spalle. Poi coprii la punta del mio uccello di saliva e l'inserii tra le sue natiche. Quando scivolai in lui, sentii un'inondazione di calore e gratitudine per la dolcezza e la bellezza di quel ragazzo. Il mio uccello affondò lentamente fino alla base e le mie palle incontrarono le sue natiche lisce. Io respirai profondamente ed avvolsi le mie braccia intorno al suo collo.
"Oh, Castore", bisbigliai, "Ti amo più di chiunque abbia mai conosciuto. Tu riveli il meglio in me. Tutto è più chiaro e più vero quando io sono con te."
I nostri movimenti erano lenti e calcolati. La festa d’amore non dovrebbe essere affrettata. Lui avvolse le sue gambe intorno alla mia vita e le nostre labbra si incontrarono ancora, succhiando allegramente e baciando dolcemente. Io sollevai il collo per succhiare i suoi capezzoli, a lui era sempre piaciuto. Le sue tette erano piccole e piatte e quando le succhiavo il suo buco del culo si contorceva sempre, spedendo tremori di piacere sul il mio uccello. Lo inculai con forza spingendo la mia verga ad un’alta vetta di eccitazione.
Dopo un po' dissi, "Mettiti su di me, mi piace quando mi cavalchi l’asta."
Mi sdraiai sulla schiena. Lui si mise a gambe divaricate su di me e si sedette sul mio uccello. Lo fece scivolare di nuovo dentro di se e si alzò ed abbassò lentamente, impalandosi completamente sulla mia verga palpitante. Il suo buco corrugato mi riempì di onde successive di piacere. Presi il suo bell’attrezzo nelle mie mani e lo carezzai avanti ed indietro. Stava diventando di nuovo duro ed il suo scroto si stava contraendo. Ci feci correre sopra la punta delle dita.
"Oh, Marcus", disse lui, "Verrò di nuovo."
"Vai avanti, Castore. Io sono al limite."
Lui strofinò la punta delle sue dita sulle sue tette ed io feci scivolare avanti ed indietro la pelle del suo cazzo. La nostra passione si elevò ad una tempesta di fuoco furiosa che ci lasciò senza fiato. Poi il suo uccello si contorse e fiotti di sperma scoppiarono fuori e schizzarono sul mio torace. Contemporaneamente sentii la pressione dentro di me arrivare al punto critico. Digrignai i denti e trattenni il fiato. Poi io ansai mentre il mio sperma veniva spruzzato nel suo piccolo culo snello.
"Oh, Castore", bisbigliai alla fine, "Vieni qui. Lasciami tenerti."
Lui precipitò in avanti e restammo sdraiati per molto tempo un nelle braccia dell’altro. L’ultimo bagliore dell’amore era estremamente dolce. Ancora una volta le nostre vite avevano trovato la totale unione che avevamo scoperto in Gallia.
* * *
Più tardi eravamo davanti alla finestra e guardavamo il Tevere, mentre continuava a piovigginare. Barche stavano andando verso il mare ed improvvisamente balenò un lampo, Castore esclamò: "Guarda, sopra l'albero di quella nave. Li vedi?"
"Cosa?"
"I Dioscuri, Castore e Polluce in corazze raggianti con corone di stelle sopra la testa. Sono un auspicio che noi avremo una navigazione tranquilla."
Tutti ciò che vidi era il bagliore che qualche volta appare sopra gli alberi delle navi durante i temporali, ma Castore poteva vedere molte cose che io non potevo. Quindi se diceva di averli visti, era così.
I fratelli gemelli, Castore e Polluce erano nati dall'unione fra Leda e Zeus. I fratelli si amavano l'un l'altro a tal punto che Polluce fu distrutto quando Castore morì e gli dei lo riunirono a Castore nei cieli.Possono ancora essere visti là nelle notti stellate, sono la costellazione dei Gemelli, i fratelli gemelli il cui amore era più forte della morte.
"Centurione", chiamò una voce vicina, "qualche cosa per te oggi?" Mi girai verso un uomo accosciato, quasi calvo, con una toga marrone. Lui unì la punta delle dita e mi fissò con i suoi scuri occhi malevoli. "Ho molte belle vergini arrivate di fresco a Roma."
"Sto cercando un ragazzo della Gallia Comata portato per essere messo sul mercato un mese fa. E’ circa di questa altezza, ha lunghi capelli scuri ed occhi blu chiaro." ed alzai una mano all’altezza della mia spalla per indicare l'altezza del giovane. "Il suo nome è Castore, l’hai presente? Sai dirmi dov’è?"
Il mercante di schiavi alzò le spalle ed i suoi palmi tozzi. “Ahimè, Centurione, ci sono molti ragazzi che passano per il mercato degli schiavi. Non posso ricordare proprio quello. Ma ho molti giovani imberbi della Gallia. Forse uno di loro potrebbe interessarti." e sventolò la mano verso il misero gruppo di creature in catene.
"No, io cerco quel ragazzo, Castore. Magari uno dei tuoi soci può ricordarselo?"
Il commerciante si mosse di malavoglia e conferì coi suoi colleghi. Le sue indagini furono brevi. "Mi spiace, Centurione, ma nessuno ricorda il ragazzo, Castore."
Quando mi girai per andare via, mi scontrai con un mendicante dai capelli grigi curvo che allungava la sua ciotola verso di me. "Molte scuse, padrone. Hai qualche cosa per un vecchio?"
Io prelevai due monete di bronzo dalla mia cintura e le lanciai nella sua ciotola.
"Che gli dei possano favorirti, giovane padrone. Che tu possa avere ricchezza e felicità!"
Un impulso improvviso mi spinse a chiedere: "Cerco un ragazzo della Gallia Comata, uno schiavo che fu portato per essere messo sul mercato un mese fa. Il suo nome è Castore. Ne sai qualche cosa?"
Il vecchio mendicante si graffiò il mento avvizzito e strabuzzò gli occhi. "Cosa puoi dare per questa informazione?"
Il mio cuore cominciò a battere selvaggiamente. "Puoi dirmi dov’è?" Il mendicante spinse la sua ciotola verso di me. Io vi lanciai dentro un denaro d’argento. Lui afferrò la moneta e la morse per valutarla. "Io non posso dirti dov’è il ragazzo, padrone. Ma posso dirti dove trovare uno che lo sa."
"Dimmelo subito, prima che ti spacchi il tuo cranio!"
"L'uomo che cerchi frequenta il tempio di Venere. Il suo nome è Lucius Titus e tiene un bordello di catamite vicino al vico di Domiziano."
Il mio cuore affondò come se fosse fatto di piombo. "Per tutti gli dei", mormorai, "dimmi che Castore non è un catamite!"
Il vecchio mendicante retrocedette. "Ti ho detto tutto quello che so, padrone. Devi cercare Lucius Titus, lui sa."
Attraversai le strade verso il tempio di Venere, improvvisamente demoralizzato ed afflitto. Gli schiavi catamiti (giovani prostituti) erano conosciuti per essere abituati al vino forte. Erano spesso malati , cinici e pieni di disperazione. Quando la loro bellezza giovanile si affievoliva, venivano venduti e forzati a compiere i lavori più servili.
Non essendo addestrati per lavori utili, perivano rapidamente sotto la frusta del sorvegliante. Sarebbe stato questo il fato di Castore?
* * *
La strada rumorosa improvvisamente scomparve di fronte a me. Nell'occhio della mia mente vidi la recente campagna nella Gallia Transalpina. Profondamente ferito nel torace, giacevo al margine della strada da due giorni, abbandonato come morto dai miei compagni legionari. Poi un ragazzo mi trovò, mi portò in una capanna vicina e mi rimise in salute. Suo padre era stato ucciso dai romani durante l'invasione, tuttavia non mi odiava; era di natura molto dolce, calda, e sembrava che i suoi pensieri trascendessero il tempo. Disse di chiamarsi Castore e che era stato chiamato così in onore dei Dioscuri, perché suo padre aveva passato molti anni in mare e aveva visto davvero Castore e Polluce con brillanti indumenti e stelle sulle loro teste durante le tempeste. Una notte fissò la fiamma di una lampada e mi disse che la legione romana doveva andarsene dalla Gallia, che sarebbe stata sconfitta. Nove settimane più tardi i resti della legione passarono in ritirata. Comunque; nel passare mi costrinsero ad riunirmi a loro e presero prigioniero Castore che divenne proprietà della Repubblica romana per essere venduto o riscattato; era un bottino di guerra.
Smisi di camminare, completamente perso nei miei pensieri. Come dolcemente Castore mi aveva pulito e rivestito la ferita con unguento di aloe! L'erba calmante aveva prodotto sollievo immediato. Ero stato colpito da una lancia attraverso la corazza di cuoio. Per quattro giorni tossii sangue. Castore bagnò la mia ferita e l'avvolse in bende pulite. Sembrava avesse una conoscenza istintiva della medicina e le sue mani avevano un salutare effetto calmante su di me. Una volta che ero febbricitante, mormorai adirato che lui era un barbaro che non sapeva niente degli dei. Lui mi disse calmo che c’è un solo Dio. Come potevano esserci tali idee in un ragazzo privo di istruzione? Lui mi alimentò con farina d'avena con un cucchiaio di legno. Era un cibo povero ma ripristinò la mia forza. Portava un vaso di coccio in cui mi liberavo e, anche se il fiume era distante, mi portava sempre acqua fresca per bere e lavarmi.
Più tardi, dopo che ero molto migliorato, mentre una mattina stava lavandomi, afferrai i suoi polsi e lo tirai a me. "Per me tu sei più bello di qualsiasi donna", dissi. "Potrei costringerti a servirmi come una donna."
Il terrore balenò nei suoi occhi blu. "Tu potresti costringermi, è vero, Marcus Decius. Ma l’amore non può essere preso. Deve essere dato."
Abbassò gli occhi le sue labbra tremarono. Le sue parole forarono il mio cuore e ammollirono l'urgenza del mio desiderio. Comunque lui divenne tutto per me: guaritore, insegnante, amico ed amante. Quel giorno ci sdraiammo insieme sul giaciglio e ci stringemmo l’un l’altro intimamente per la prima volta. Io giocherellai coi suoi capelli lunghi e scuri e strisciai le mie labbra contro la morbida barba che cominciava a crescere sulle sue guance. Nella sua giovane faccia vidi le linee angolari della virilità che cominciavano ad apparire. La sua carne bianca come il latte era integra e flessibile sotto il mio tocco. Io sono un soldato di Roma, un Centurione, un uomo civilizzato. Ma in quei lunghi dolci giorni d’estate il giovane gallo mi ha insegnato per la prima volta cos’è veramente amare qualcuno, senza fare del male o mentire. Io cominciai a chiedermi chi era il vero barbaro, lui o io. Lui mi insegnò a non prendere, ma aspettare pazientemente finché lui era pronto a dare amore. Lui mi insegnò la gioia di servire l’altro. Lui mi insegnò ad essere calmo e quieto nella calma della notte. Ma, più importante, lui mi insegnò che l'unico vero nemico è la paura.
* * *
Mentre ero sovrappensiero nella piazza affollata, passò un corteo di Baccanti. C’erano uomini e donne, indossavano maschere per celare la loro identità e portavano coppe e tyrsi. Avevano dell’edera nei capelli e pelli di daino avvolte intorno alle spalle. Alla testa del corteo c’era un giovane che suonava un flauto. I festaioli accennavano agli spettatori con le loro tazze. "Venite, unitevi a noi", gridavano. Una volta i baccanali erano limitati a tre giorni all’anno, ma recentemente si tenevano più spesso e qualche volta per sette giorni alla volta. L'avevo dimenticato. Dato che stavo andando nella stessa direzione, mi accodai alla folla chiassosa.
Il crepuscolo si abbattè sulla città mentre camminavamo, il corteo gradualmente si gonfiava e finalmente arrivò al tempio di Venere. I Baccanti entrarono ed io li seguii. Nel portico stavano i venditori che cavavano con un mestolo caldo vino dolce e lo versavano nelle tazze; ne comprai ed entrai nel tempio. Il cavernoso interno era illuminato da torce che scintillavano fiocamente nell'oscurità. L'orgia stava proseguendo, di fronte a me, su un basso divano, era sdraiato sulla schiena un uomo nudo con un'erezione enorme. Una bella ragazza, che aveva una maschera sugli occhi, stava a gambe divaricate sulle sue anche e prendeva lentamente il suo uccello dentro di se. I due fottevano tranquillamente, senza fretta. I piccoli seni rimbalzavano mentre si immergeva su e giù sull’asta ricurva.
C'erano molti più uomini che donne, un maschio si avvicinò alla ragazza da dietro. Le lubrificò il buco del culo e la spinse in avanti. Lei non fece obiezione e lui le inserì l’uccello nel culo. La duplice sensazione di essere rapita in estasi da due uomini la fece anelare di piacere. Poi un terzo maschio si mise davanti alla faccia della ragazza e tirò la sua bocca sopra il suo uccello pulsante. Lei lo succhiò avidamente mentre gli accarezzava le palle pendenti.
Io mi appoggiai ad un pilastro e guardai il turbine dei partecipanti. Il vino aveva cominciato a fare effetto ed io mi sentii attratto nell'orgia contro la mia volontà.
Tre uomini spogliarono una ragazza di fronte a me. Uno di loro schizzò vino sui suoi seni e lo leccò via. Un altro la spinse sopra un divano. Il terzo gli separò le gambe allargandogli la fessura mettendo in mostra il colore scarlatto delle labbra interne. Poi inserì due dita nel canale e le strofinò il clitoride col pollice. Lei si contorse di piacere mentre le dita scivolavano dentro e fuori di lei. Poi i tre cominciarono a fotterla a turno.
Lì vicino cinque altri uomini si avvicinarono ad una giovane sdraiata su un divano. Uno di loro seppellì la faccia tra le sue gambe per bere lo sperma dalla sua fica. Tre di loro spinsero i loro uccelli nella sua faccia. Gli altri si inginocchiarono accanto a lei e le strizzarono le tette. Lei era una bella ragazza e succhiò i tre uccelli portandoli alla piena erezione. Poi quello che le stava succhiando la figa strisciò tra le sue gambe e pinse dentro l’uccello. Le sue palle schiaffeggiavano contro il culo mentre le pugnalava l’inguine. Quello che le aveva strizzato le tette spinse il cazzo nella sua bocca. I tre uomini con erezioni si accarezzavano l'un l'altro. Poi uno si chinò e succhiò l'uccello dell'uomo alla sua destra. Presto l'uomo alla sua sinistra gli andò dietro e gli spinse il pene nel culo.
Mentre questo stava accadendo, un giovane nudo si fermò di fronte a me. I suo occhi marrone mi fissarono, si lasciò cadere sulle ginocchia e fece correre le mani su per le mie cosce facendole scivolare sotto la gonna della mia tunica. Poi prese il mio uccello e cominciò a succhiarlo. Sembrava molto esperto dato che il suo succhiare era estremamente morbido e piacevole. Quando fui completamente eccitato si alzò e mi bisbigliò in un orecchio.
"Colpiscimi, Centurione. Flagellami con le frange di cuoio della tua gonna. Ho bisogno di una lezione severa. E quando rabbrividerò e tremerò per il dolore, stuprami senza misericordia."
Battei una mano sopra le sue natiche nude. Erano morbide e grassocci. Lui si girò leggermente ed io spinsi un dito tra le sue natiche a sondare il buco dilatato. Il mio secondo e terzo dito scivolarono facilmente nell'apertura larga. Era pieno sino all’orlo di sperma. Presi il suo uccello che era piccolo e pendeva molle nella mia mano. Lui abbasso gli occhi ed avvolse le sue braccia intorno al mio collo.
"Legami i polsi con la tua cintura. Lasciami succhiare il tuo buco del culo. Fottimi la faccia. Fottimi il culo. Pisciami in bocca. Vieni, seguimi. ti porto in una cameraI appartata."
Mi condusse in una piccola stanza adiacente che era piena di soldati. In un’imbragatura di cuoio, come un'amaca, c’era un giovane sdraiato sulla schiena. Le sue cosce erano tenute alte da grandi anelli di ferro intorno alle ginocchia. Il suo culo, appoggiato al bordo dell’amaca, era aperto e completamente esposto. Un grosso soldato peloso avanzò dietro il giovane, lo schiaffeggiò con forza e spinse la sua enorme erezione tra le sue natiche. Il soldato si immerse dentro e fuori furiosamente, spingendo nel culo del giovane con un assalto violento.
"Oh", gemette il giovane "Sei il quarantatreesimo. Non riesco a prenderne più. Fermati!"
Il grosso soldato lo inculò ancora più forte, non voleva smettere. Poi si chinò e tirò i capezzoli del ragazzo. ("Vorrei che tu avessi delle vere tette", mormorò.) Le sue palle rimbalzavano selvaggiamente e la testa del ragazzo rimbalzava come se lui avesse perso coscienza. Improvvisamente, il grosso culo peloso del soldato tremò. Strinse le grosse chiappe, poi rabbrividì e tolse l’uccello gocciolante.
Il giovane che mi aveva portato nella camera esclamò improvvisamente: "Lasciatemi il posto. Tutti dobbiamo avere il nostro turno."
Loro tolsero il primo giovane dall’amaca e l’altro vi salì. A quel punto decisi che avevo visto abbastanza. Più importanti affari mi attendevano. Uscii dalla camera e ritornai nell'aula principale del tempio.
* * *
Là c’era la seconda ragazza, quella che avevo visto, quella che era stata chiavata dai tre uomini, seduta scompostamente sul divano, l’interno delle sue cosce brillavano di sperma. Mi fece un cenno ed io mi avvicinai. Quando le fui vicina tirò la gonna della mia tunica. "Sei molto bello, Centurione. Togliti l’uniforme", mi esortò. “Unisciti alla festa di Bacco." La folla turbinante di corpi nudi ed il caldo vino mi avevano eccitato. Le sue mani scivolarono sopra il mio uccello pulsante. "È così grosso!" bisbigliò. "Devo averlo!"
Mi sedetti accanto a lei sul divano, era molto sudata e dalla sua fica gocciolava il succo di molti uomini, mi ricordava le ragazze nei bordelli dei soldati. Stavamo in lunghe file ad aspettare il nostro turno e quando arrivavamo nella tenda, le ragazze erano sudate e gocciolavano sborra. La tentazione di fotterla era grande. Feci scivolare una mano tra le sue gambe e lei le allargò esortandomi ad inserire il mio uccello tra le morbide labbra pelose. Spinsi tre dita dentro di lei senza difficoltà. La sua fica era larga, calda e scivolosa.
Lei si lamentò leggermente: "Prendimi, Centurione. Fammi tua."
Ma io le strinsi le gambe e lottai per controllarmi. "Cerco un uomo, Lucius Titus, che si dice che frequenti questo tempio. Puoi indicarmelo?"
"Io sono una devota di Venere e conosco molto bene Lucius Titus. Passa molto tempo qui. Se vuoi ti porterò da lui. Ma sei così bello. Non vuoi amarmi prima? "
"Forse più tardi. Portami da Lucius Titus", dissi.
Mi condusse dietro ad una tenda in una piccola alcova dove un enorme uomo, completamente nudo, russava su un divano.
"Lucius", disse lei scuotendogli una spalla “C'è un giovane Centurione che vuole vederti."
La grassa figura alzò la testa e ci guardò con occhi incerti. "Oh, Severina, sei tu. Cosa posso fare per te?" Lottò per sedersi, le pieghe di grasso gli nascondevano gli organi.
"Questo giovane desidera parlarti. E’ un Centurione. Ero sola e ho visto un giovane attraente ed inattivo vicino alla statua della dea."
Lucius si strofinò gli occhi con le nocche dei pugni. "Perchè mi vuole vedere?"
"Sto cercando uno schiavo, un ragazzo della Gallia Comata che è arrivato a Roma circa un mese fa. Ha capelli scuri e lunghi e occhi blu chiaro.Si chiama Castore."
Un'aria di sospetto scintillò sulla faccia di Lucius. Aggrottò le ciglia ed inclinò la testa.
"Perché mi chiedi di questo ragazzo?"
"Un vecchio mendicante al mercato degli schiavi mi ha detto che tu sapevi dove trovarlo.”
Nei suoi occhi balenò la rabbia: "Oh, lui l’ha fatto, non è vero?" Poi in maniera servile ed ipocrita aggiunse: "Se il tuo gusto inclina verso i ragazzini, io posso aiutarti, Centurione. Ma il giovane che cerchi non è disponibile."
"Io devo trovarlo. Ti darò qualsiasi cosa tu chieda, ma è urgente che io lo veda."
La sua curiosità fu risvegliata. "Cosa puoi offrire? " I suoi piccoli occhi scuri lampeggiarono tra le pieghe di grasso. "Allora?"
Presi una borsa di cuoio dalla mia cintura. "Qui ci sono tetradracme di Alessandro. Prendine quante ne vuoi, io devo vedere il ragazzo."
Gli occhi di Lucius brillarono di avidità. "Il ragazzo sarà venduto ad un cliente speciale. Ma per tre tetradracme puoi vederlo stasera. Non devi rimanere al Baccanale, tra poco se ne andrà." Prese tre monete d’argento dalla mia mano. Conosci il Domizianeo? C'è un piccolo vicolo dietro. Vai alla terza casa e dà questo al custode." Spinse un medaglione di bronzo nella mia mano. "Digli che ti manda Titus e che vuoi vedere il ragazzo nella sua stanza."
Quando mi girai per andare via, una donna in toga bianca entrò nell'alcova. Aveva una maschera d’oro ed i suoi capelli castani erano ben intrecciati e pettinati. I suoi seni erano nudi. Erano i seni pieni di una donna matura. Mentre si avvicinava fece scivolare una mano sopra il mio braccio.
"Cosa abbiamo qui?" e fece le fusa seducentemente.
Titus si contorse imbarazzato ed i suoi occhi passarono da uno all’altra. Si affrettò a chiudersi l’accappatoio. "Il Centurione ed io avevamo una piccola questione di affari, signora Helena."
"Parlando di affari", disse lei “La nostra operazione è pronta per domani?"
"Tutto concluso. L'uomo verrà a mezzogiorno."
"Mandero Baldar a prendere l'acquisto."
Io mi girai per andarmene, ansioso di essere via di lì.
"Un momento, Centurione" disse lei. "Posso parlare un momento con te?"
Attraversammo la tenda che chiudeva l'alcova e lei mi condusse in una stanza vicina. Fuori della porta un fiero visigoto con un grande groviglio di capelli biondi stava di guardia. Indossava una tunica di cuoio e le sue labbra carnose erano arricciate in un perpetuo ghigno. Le sue braccia e gambe erano grosse e muscolose. La signora mi condusse nella stanza e chiuse la porta. Un braciere scintillava su un treppiede nell'angolo. Lei si sdraiò su di un lungo divano.
"Cosa desideri mia signora?"
Lei si tolse la maschera rivelando una faccia ben proporzionata con grandi occhi tondi e piene labbra sensuali. "Baldar è la mia guardia del corpo", disse gesticolando verso la porta. "non fargli caso. Vieni e siediti.” e sventolò imperiosamente la mano.
Mi sedetti su uno sgabello accanto a lei senza parlare. Lei era evidentemente una patrizia, abituata ad avere quello che voleva. Un'espressione astuta scintillò nei suoi luminosi occhi verdi.
"Sei molto attraente, Centurione. Io sono una signora con necessità speciali. Ed io posso essere
più che generosa con un uomo che mi accontenta."
Mi alzai per andarmene. "La mia signora deve cercare un altro uomo più adatto alle sue inclinazioni", dissi.
Lei si alzò accanto a me e spinse le mani sotto la gonna della mia tunica. "Tu sei perfetto per le mie inclinazioni, Centurione. La tua uniforme è meravigliosa in questa luce della lampada ed io chiedo insistentemente un uomo d’azione." Poi i suoi occhi allargarono e lei ansò piano mentre toccava i miei organi maschili. "Il tuo fallo è enorme. Pagherò bene per i tuoi servizi, devi solo seguire le mie istruzioni."
Misi le mani sui suoi seni pesanti e tirai leggermente i capezzoli. "Mia signora, io devo andare. Signora Helena, non è vero? Forse ci incontreremo ancora.”
La delusione attraverso i suoi occhi e le sue belle sopracciglia si contrassero in un cipiglio. "Ti darò oro, Centurione. Più di quanto tu abbia mai sognato." Poi un vizioso sorriso attraversò le sue labbra. "Potrei dire a Baldar di trattenerti", lei disse.
Mi spremette i testicoli. Era più di un’allegra pressione. Il mio inguine era dolorante. Spingendo via la sua mano, afferrai l'elsa della mia spada.
"I Visigoti hanno già assaggiato questa lama. Ho un'importante commissione. La mia signora deve scusarmi e deve cercare altrove compagnia.”
Quando lasciai il tempio, la spinsi fuori della mia mente. Roma era piena di donne licenziose e lei era solo una fra le tante.
Quando fui all’aria fresca della sera i miei sandali volarono sui ciottoli ed il mio cuore cominciò a correre per l’eccitazione. Era vero? Stavo per vedere Castore? Pigiai il medaglione nel mio palmo e mi immersi nell'oscurità.
* * *
Finalmente trovai il vicolo e bussai all'ingresso della terza casa. Il guardiano guardò il medaglione e mi introdusse in un corridoio male in arnese.
"Per di qui", disse. "Teniamo il ragazzo incatenato nella sua stanza.”
Mi condusse in una grande sala di ricevimento dove vi erano uomini e giovani in veste da camera. Un soldato alzò un ragazzo sopra la tavola, alzò la gonna della tunica del giovane e l'accarezzò. Un giovane ne teneva un altro nudo in grembo, carezzandogli i capelli, baciandogli le labbra e palpando il suo inguine. In un angolo tre soldati stavano sopra un altro giovane. Uno dei soldati prese il ragazzo da dietro; un altro lo masturbò ed il terzo spinse il suo uccello nella bocca del giovane. Sembrava che il Baccanale si fosse esteso anche a questo bordello.
Salimmo dei gradini, entrammo in un altro corridoio e ci fermammo davanti ad una stanza. Il guardiano aprì la porta e mi fece entrare. "Non può rimanere molto.” Disse, poi scomparve giù per i gradini.
La stanza era nella penombra più profonda, l'unica fonte di luce era un piccolo lume in una nicchia sul muro. Una figura prona, con in dosso solo un perizoma, era sdraiata incatenò sopra un pagliericcio. Mi inginocchiai accanto al ragazzo e lo guardai in faccia. Improvvisamente il mio cuore si riempì di gioia, avevo visto il mio amico, Castore. Pigiai la sua mano ed i suoi occhi si aprirono.
"Marcus Decius, sei veramente tu o sto ancora sognando?"
"Sono veramente io, Castore. Finalmente ti ho trovato."
Lui si mise a sedere e mi abbracciò. "Ho sognato spesso questo momento. Sapevo che saresti venuto ma mi chiedevo se non era troppo tardi. Ah, hai l’armatura nuova. Sei bello e forte."
"Meglio di quando mi hai trovato accanto alla strada?"
"Molto meglio. La tua grande forza ti splende negli occhi."
"Aiutami a togliermi la corazza, così possiamo giacere insieme." Mi tolsi la tunica, mi sdraiai accanto a lui e lo presi nelle mie braccia. Quando l'attrassi a me, lui tremò incontrollabilmente.
"Ho paura, Marcus, amico mio."
"Ora sono qui, devi avere coraggio."
"Ma io sto per essere venduto ad una nobile signora come amante."
"Questa prospettiva ti rende infelice?"
"Prima di essere venduto devo essere castrato, così non posso mettere incinta la signora."
Fui preso dalla nausea. "No", esclamai. “Non deve accadere. Lo impedirò in qualche modo."
"Lei già ha pagato. Ho paura che non c'è niente che tu possa fare.”
Gli toccai le palle e le trovai intatte tra le sue gambe. “E quando dovrebbe aver luogo questa castrazione?"
"Dicono sarà domani. C'è un vecchio che viene a farlo. Lui sa come rompere internamente i testicoli, così un uomo diventa sterile anche se appare normale."
“Non ti toglieranno i testicoli?"
"No, ma dicono che è anche peggio ed il dolore dura molto più a lungo. Ho parlato con un ragazzo che l'aveva fatto."
“Non deve accadere, ti rapirò o ti comprerò, ma in qualche modo farò in modo che non accada."
"Mi sono detto spesso che potevi. Marcus Decius ora è la mia unica speranza, mi sono detto molte volte."
Lo lo tenni nelle mie braccio ed ancora una volta diventammo una cosa sola. Lui spinse una mano nella mia tunica e toccò la cicatrice della mia ferita. Poi io aprii il suo perizoma e sentii la vecchia intimità che ci univa. Lui era mio ed io ero suo. Ci eravamo dati l'uno all'altro a suo tempo ed il legame era ancora fresco, ancora vivo.
Sopraffatto dalla passione seppellii la faccia contro la sua gola e gli accarezzai uccello e palle. Lui rimase sdraiato immobile, io alzai la gonna della mia tunica e pigiai il mio organo maschile contro il suo. Improvvisamente lui scoppio in lacrime, tirai la sua faccia contro la mia spalla.
"Castore, cosa c’è che non va?"
"Qui gli uomini prendono senza chiedere. Mi hanno incatenato, mi hanno colpito e mi hanno costretto a fare la loro volontà. Il ferro che mi stringe la caviglia la fa sanguinare continuamente."
"Oh, Castore, giuro su tutti gli dei che ti tirerò fuori di qui. Tu mi hai riportato alla vita, ed ora io ti salverò da questa oscurità da Stige. Asciugati le lacrime, dobbiamo pensare il da farsi. Chi è questa nobile signora di cui devi diventare l’amante?"
"L'ho incontrata solo una volta. Lucius Titus la chiama la sua signora Helena. Sembra che abbia un appetito insaziabile per gli uomini attraenti, ma ha paura di restare incinta."
Improvvisamente la conversazione tra Lucius Titus e la patrizia al tempio di Venere ebbe un senso perfetto. 'Lei ha un servitore, un grosso visigoto che si chiama Baldar?"
"Sì, la conosci?"
"L’ho incontrata questa sera. La castrazione sarà fatta domani a mezzogiorno e poi ti daranno a lei." Rapidamente mi alzai e mi misi l’armatura.
"Dove stai andando?"
"Devo affrettarmi a trovare signora Helena." Mi inginocchiai accanto a lui e pigiai le labbra sulla sua fronte. "Tu vivi nel mio cuore, Castore, continuamente. Se ti accadesse qualche cosa, perderei la volontà di vivere. Le nostre anime sono allacciate oltre ogni comprensione umana."
“Ci sono stelle sulla tua armatura e sul fodero della tua spada."
"E’ solamente la lampada, amico mio."
"No, Marcus, sono stelle."
* * *
Il festeggiamento al tempio di Venere era diventato più forte che mai. Molti soldati si erano uniti alla folla ed erano in fila ad aspettare per una donna disponibile.
Baldar sonnecchiava al suo posto. Gli passai davanti ed andai nella stanza della signora Helena.
Era sdraiata sul divano e si stava masturbando.
"Sei ritornato!" esclamò. "Lo speravo." Si alzò e mi abbracciò. 'Ah", bisbigliò, "Hai l’odore di uno stallone, un grande stallone virile." Prese una corda da intorno alla sua vita. "Vieni qui, Centurione e lascia che ti leghi le mani dietro la schiena."
Si mise dietro di me e mi legò i polsi con la corda. Io riuscii a muovere il braccio in modo da potermi slegare.
"Il tuo partner deve essere legato, mia signora?"
"Sì", disse. "Ora sdraiati sul divano."
Mi sdraiai sulla schiena. Lei alzò la gonna della mia tunica ed accarezzò le mie parti maschili.
"Che uccello mostruoso hai, un uccello che molte signore possono solamente sognare." Le sue labbra furono occupate a succhiare la mia asta portandola alla rigidità. "Ah", mormorò, "ma temo ancora quelle palle massiccie." Prese una piccola corda dalla sua cintura e l'allacciò ermeticamente intorno al mio scroto. Poi gettò la sua toga sopra uno sgabello, si mise a gambe divaricate a cavallo delle mie anche ed inserì la punta del mio uccello tra le labbra della sua figa. "Oh", ansò, "se solamente io potessi prenderlo tutto."
Tentando di farlo si sedette lentamente lasciando che la sua fessura affamata ingoiasse la testa palpitante del mio uccello. Lei era completamente preoccupata delle sue sensazioni. Per lei ero solo un pezzo di carne per il suo piacere egoista. Quando il mio uccello era a metà strada dentro di lei, si fermò. Qualche cosa rese impraticabile la sua vagina.
"Perché non mi prendi tutto, mia signora?"
Lei sembrò irritata, come se io avessi interrotto il suo treno di pensieri. "Ho una spugna umida nel mio canale femminile quando vengo a queste baldorie. È per prevenire la concezione.Tu devi essere contento di avere una parte di me."
Si alzò ed abbassò sul mio uccello. Era chiaro che lei voleva il totale controllo sul suo partner maschio. Chiuse gli occhi e si rinchiuse nei propri sentimenti, come se io non fossi là, come se io fossi soltanto un oggetto per il suo masturbarsi. I suoi capezzoli divennero eretti e la pelle d’oca comparve sulle sue braccia e gambe. Ma le chiavate parziali sembrano molto strane. La sua fica era così larga e poco profonda che mi lasciò insoddisfatto.
Gradualmente la mia mente vagò verso i miei veri affari. "Signora Helena", cominciai, "Sono appena stato da un mio amico, un giovane della Gallia Settentrionale. Ti deve essere consegnato domani. Ma io t'imploro, dallo in custodia a me. Io devo portarlo via da..."
"Non parlare! Stai interrompendo la mia concentrazione. Non vedi che sto tremando al limite dell’orgasmo? " Si pizzicò i capezzoli e si strofinò il clitoride con frenetici movimenti di artigli.
"Ma, mia signora, il giovane perirà se è costretto a rimanere schiavo. Pagherò qualsiasi prezzo tu chieda. Solo devi darlo a me."
Una fiera rabbia balenò nei suoi occhi, l'avevo distratta dall'arrivare all’orgasmo che lei cercava insistentemente, disperatamente. Mi schiaffeggiò con forza.
"Cosa devo fare? Il giovane è mio! Lui mi servirà al mio comando come tu mi stai servendo ora!"
Portò le mani dietro di se e mi schiacciò le palle.
Un grido soffocato sfuggì dalle mie labbra. Mossi i polsi allentando i legacci ed aspettai che il dolore diminuisse. "Tu puoi trovare un altro giovane per soddisfarti, mia signora. Roma è piena di schiavi così."
La sua faccia si contorse in un’espressione di pietà e repulsione. "Voi uomini", ringhiò, "Voi pensate di soddisfare noi donne. Bene, non è così!" Saltò in piedi e prese un piccolo pugnale dalla cintura della sua toga. Poi lo puntò verso le mie palle. "Hai rovinato il mio piacere col tuo discorso: parli, chiacchieri! Questo è tutto quello che voi uomini sapete fare, parlare senza fine! Ora io rovinerò il tuo piacere, permanentemente!"
Allungò il pugnale verso di me, io mi liberai subito le mani. Balzai in piedi, afferrai il polso della sua mano destra e misi la sinistra sulla sua bocca.
"Tu donna vile e disgustosa! Sacrificheresti la felicità di un giovane innocente per il tuo piacere egoista!"
Picchiai le sue nocche contro lo sgabello finché non lasciò cadere il pugnale che precipitò sul pavimento con un tintinnio.
"Vieni qui", dissi spingendola sul divano. "Ti estrarrò la spugna e ti gettero ai soldati nel tempio!" Lei si contorse istericamente mentre io ficcavo le dita nella sua vagina e toglievo la spugna. "E dopo che i soldati ti avranno stuprata ti taglierò la lingua e ti venderò ad un bordello militare. Passerai il resto dei tuoi giorni in gravidanza e malattia. Infatti vorrò essere il primo della fila dei soldati!"
Mentre lottavo per allargarle le gambe, la mia mano scivolò dalla sua bocca e lei gridò con tutta la sua forza: "Baldar!"
* * *
La porta si spalancò e la forma goffa del visigoto apparve. Lei saltò in piedi e recuperò il pugnale dal pavimento. Io mi alzai e slegai la corda dalle mie palle. La guardia del corpo prese una daga dalla sua cintura. I suoi occhi vibrarono mentre lui cercava di comprendere la situazione.
"Uccidilo, pazzo! Mi ha attaccato!" Gridò lei. Il visigoto mi guardò attentamente, esitò, e lentamente scosse la sua criniera di capelli di biondi.
"Perché stai fermo? Se non l'uccidi ti immergerò questo pugnale nel cuore! " e puntò il pugnale verso il torace di Baldar.
"Ma, mia signora", lui protestò, "lui è un Centurione della legione romana. Attaccarlo vuol dire morte certa. Andiamocene via!."
"Codardo! Smidollato! Come osi disubbidirmi!"
Lei tremava d’ira, afferrò la sua toga dallo sgabello e la tenne contro i seni nudi. "Oh sì", disse sarcasticamente, "Mi sono dimenticai che sei solo un mezzo uomo. Baldar è solamente mezzo uomo, ora!" esclamò fulminandolo col suo sguardo.
Come ulteriore umiliazione tirò da parte la sua tunica di cuoio per mettere in mostra il suoi organi maschili. Il pene era lungo e glabro, ma il sacco dello scroto era vuoto, era un eunuco.
Un'espressione di confusione addolorata attraversò la faccia di Baldar. Lui la spinse da parte chiudendo la tunica. "Tu mi avevi detto che mi amavi e ti saresti sempre presa cura di me", frignò. "Tu avevi detto che sarei stato il tuo amante per sempre dopo la castrazione."
Le sue spalle si abbassarono e strinse indifeso i pugni, come un bambino in collera. ! ”Perché l’hai fatto? Perché sei così crudele?"
Lei rise deridendolo. "Tu, grossa carcassa ingombrante, diventi più grasso e più stupido ogni giorno! Tu mi divertivi. Ma quando ti hanno tolto le palle devono averti tolto contemporaneamente anche il cervello! Dimentichi che come tua padrona ho il il potere di vita e di morte su di te!" Lei rise di nuovo ed appoggiò il pugnale contro il suo torace.
Improvvisamente la faccia del grosso visigoto arrossì, i suoi occhi rotearono e le vene sul suo collo si gonfiarono. Lui tremò incontrollabilmente e sembrò che la furia si impossessasse di lui. Afferrò la gola pallida della donna e la scosse come una bambola di stracci. Le sue braccia e gambe si dibattevano selvaggiamente, e quando la sua forza alla fine declinò, la sua testa si abbassò pesantemente sopra il suo seno, le aveva rotto il collo. Non ancora soddisfatto la trascinò al braciere e spinse la sua faccia nei carboni ardenti.
"Solamente il fuoco potrà pulire le cattive parole dalle sue labbra", mormorò. Quando si rese conto di quello che aveva fatto, lasciò cadere il suo corpo al pavimento e cadde sulle ginocchia piangendo inconsolabilmente. "Uccidimi, signore, non sono degno di vivere!"
"Se mi aiuterai, io ti salverò la vita e ti darò la libertà. A meno che non mi sbagli, lei nascondeva una borsa d’oro nella cintura." Afferrai il suo indumento dal pavimento. Nelle pieghe della toga trovai una piccola borsa di cuoio pesante con monete d’oro di tutte le dimensioni. "Questi soldi sono tuoi se domani verrai con me al bordello di Lucius Titus per andare a prendere il giovane schiavo chiamato Castore. Vuoi aiutarmi?"
"Sì, padrone, ma quando il suo cadavere verrà scoperto io sarò incolpato di assassinio."
"Strappa i gioielli dal suo corpo. Non di deve lasciare nulla che la possa identificare. I carboni roventi le hanno già bruciato la faccia; getteremo il suo corpo nel Tevere e se arriverà a riva, nessuno la riconoscerà."
* * *
La mattina seguente all’alba faceva freddo. Un temporale autunnale stava venendo da ovest; Baldar ed io andammo al bordello, io mi preoccupai di avvolgermi in un mantello per coprire completamente la mia uniforme. Il guardiano ci fece entrare e ci portò da Lucius.
"La signora Helena ora vuole il giovane;" dissi. "La castrazione non sarà necessaria.” Lucius ci guardò sorpreso. "La castrazione è già ha cominciata", disse.
Un forte grido provenne dal primo piano. Lasciando cadere ogni precauzione, mi gettai sui gradini ed andai nella stanza in fondo al corridoio. Castore era là, nudo, la faccia nascosta tra le mani. Il mendicante dai capelli grigi che avevo incontrato al mercato degli schiavi era dietro di lui con un paio di pinze in mano. Chiaramente lui aveva saputo dove era Castore perché faceva le castrazioni.
"Fermati!", ordinai. "Il giovane deve andare via così com’è." Gettai un perizoma intorno alle anche di Castore. "Togli la catena dalla sua caviglia!", comandai. Mentre si toglieva la catena, Lucius e Baldar entrarono nella stanza. "Io ti ricordo", disse sospettosamente Lucius. "Eri al Baccanale la notte scorsa. Cosa fai qui?"
"Ho passato la notte con la signora Helena, e lei mi ha chiesto di portare il giovane alla sua villa questa mattina."
"La signora Helena non cambierebbe mai la sua idea di far castrare il ragazzo.", protestò Lucius.
"Il ragazzo sarà riscattato dalla sua tribù in Gallia, ma deve essere reso intatto. La signora Helena sarà pagata bene."
"Perché questo riscatto non è stato proposto a me?" chiese Lucius e i suoi occhi avidi brillarono.
"Il ragazzo è stato pagato. Se hai ulteriori domande, parla con la signora Helena."
* * *
Lasciammo il bordello e salimmo su una piccola barca del Tevere. Il tempo era stato freddo e coperto tutta la mattina, improvvisamente cominciò a piovere ed il vento rinforzò. Vestito solamente di un perizoma, Castore rabbrividì nel forte vento d’autunno ed io lo presi sotto il mio mantello per proteggerlo dalla pioggia. Baldar con la cosa dell’occhio ci gettava sguardi diffidenti, sembrava geloso, risentito, diffidente.
Mentre attraversavamo la parte più profonda del fiume, la barca cominciò ad ondeggiare selvaggiamente.
La nausea prese Baldar, presto la sua faccia divenne di un livido cremisi e lui mi guardò spaventato ed adirato. Un brutto cipiglio si incise sulle sue labbra brutali. "Mi hai promesso l'oro della signora Helena. Dov’è?" I suoi occhi orlati di rosso si strinsero con odio e strinse i pugni. "Devo averlo, ora!" Con un improvviso movimento mise le mani al mio collo e spremette la trachea. Ansai cercando l’aria ed un panico gelido mi afferrò. Lo spettro della morte mi apparve in lontananza. Spinsi un ginocchio nel suo inguine e gli diedi un pugno nello stomaco. Lui barcollò e precipitò sopra il ponte che ballava. Improvvisamente il vento intensificò. La barca barcollò incontrollabile e l'albero quasi toccava la superficie dell'acqua. Castore ed io afferrammo le ringhiere, ma Baldar scivolò sul tavolato bagnato. Non riuscendo ad afferrare la presa, scivolò fuori bordo nelle onde turbolente. Il timoniere lottò per controllare il natante, la sua faccia si contorse di paura, gettò uno sguardo impotente verso Baldar, alzò le spalle e spinse con forza il timone. Da distante guardammo Baldar affondare e poi riemergere. Presto scomparve una seconda volta sotto l'acqua, lo perdemmo di vista e non riaffiorò più. Spinsi l’oro della signora Helena più profondamente nella mia cintura e Castore ed io ci afferrammo alle ringhiere per sarvarci la vita.
Sull'altro lato del Tevere prendemmo una stanza in una piccola casa vicino alla riva. La pioggia stava ancora precipitando pesantemente, ma noi eravamo caldi nelle braccia uno dell'altro, sdraiati sotto una coperta su di un pagliericcio. Tirai Castore più vicino a me.
"Sono arrivato troppo tardi? Il vecchio aveva già fatto la castrazione?"
"No, mi ha lasciato cadere la pinza su un piede ed io ho gridato. Poi sei entrato e la procedura si è fermata."
"Quindi sei intero e completo? Non ti ha ferito?"
"No, Marcus, sei arrivato in tempo."
Io lo tenni al mio petto e gli carezzai la schiena snella e le natiche. "Stai meglio senza le catene?"
"Molto meglio. Quasi mi sembra che siamo ancora in Gallia."
Toccai i peli morbidi sul suo labbro superiore. "Presto sarai un uomo. Vorrai stare con me anche allora?"
"Tu ed io siamo legati insieme per sempre."
"Io lascerò l'esercito e possiamo comprare della terra da coltivare nel nord fertile, non in Gallia, ma da questo lato delle Alpi. Ti piacerebbe?"
"Sì, purchè restiamo insieme." Fece correre le dita tra i miei capelli e mi baciò le palpebre. “Grazie, Marcus Decius, per avermi salvato da una vita dal dolore infinito."
"Oh, Castore, hai dimenticato che tu mi hai aiutato?"
Lui mi tolse la tunica e scivolò fuori dal suo perizoma. La sua carne era calda e morbida quando si sdraiò accanto a me. Mi baciò le guance e la bocca, le sue mani carezzarono la mia nuca. Io presi la sua vita snella e modellai i piccoli tumuli morbidi delle sue natiche.
"Non ho dimenticato", bisbigliò. "Quei giorni sono come un sogno per me."
"Perché mi hai salvato la vita? Io ero un soldato nemico. Avresti dovuto uccidermi."
Lui mise la mano sinistra sulla mia bocca. "Non parlare di morte, Marcus. Non potevo sopportare di vederti morire. Ogni vita è preziosa, ed io avevo visto troppe uccisioni. Inoltre, tutto ritorna, sai. Il bene ed il male che facciamo ci ritorna prima o poi."
Le sue parole penetrarono il mio cuore ed io sapevo che lui aveva ragione. Il male che la signora
Helena aveva fatto alla fine aveva rotto il suo bel collo bianco. L'ira di Baldar lo aveva fatto finire nel Tevere. Io ero vivo perché questo giovane aveva avuto pietà di me in Gallia. E lui era libero dalla schiavitù per il mio amore per lui. Forse gli dei erano giusti dopo tutto.
* * *
Io pigiai le mie labbra contro la sua bocca morbida e feci scivolare la lingua tra i suoi denti. Contemporaneamente lui spingeva la lingua nella mia bocca, ci scambiammo la saliva, respirammo più ansanti e sentimmo il fuoco della passione crescere tra noi. I nostri uccelli erano gonfi e pulsanti.
Castore sposto la testa verso i miei piedi e si sdraiò accanto a me. Delicatamente prese la punta del mio uccello, tirò indietro il prepuzio e fece scivolare sulla sua lingua la testa palpitante.
"Avevo dimenticato com’è grosso" Bisbigliò. Prese la testa del mio uccello nella sua bocca e succhiò leggermente.
Il suo uccello inarcato era davanti alla mia faccia, tirai impazientemente giù il prepuzio e lo presi nella mia bocca. Era sempre una delizia dargli piacere così senza fretta. Come era diverso il nostro fare l’amore privato dalla sordida e malata brutalità di Roma. Questo dolce giovane aveva toccato una parte di me affamata di dolcezza ed appagamento, una parte che non poteva essere soddisfatta da tutte le orge e depravazioni di Roma. Il suo uccello era della taglia giusta per essere ingoiato ed io lo ingoiai fino alla base. Mentre lo facevo lui continuava a succhiarmi molto dolcemente, e la nostra passione divenne più forte. Poi rilasciai la sua asta e leccai le sue belle palle rosa che scivolarono nel suo scroto, ed io giocherellai col turbine di capelli scuri sopra la sua verga curva. Contemporaneamente lui mordicchiò le mie palle e mi riempì di brividi deliziosi di piacere. Ben presto lui si voltò e si sdraiò sulla schiena accanto a me. I suoi occhi blu erano brillanti e sorridenti.
"Prendimi, Marcus se mi vuoi."
Io mi inginocchiai tra le sue gambe, come per montarlo, ma improvvisamente cambiai idea. "Ora sei un uomo, Castore. Voglio che tu mi prenda. Questa sarà la tua prima volta."
I suoi occhi allargarono per la sorpresa. “Sei sicuro, Marcus? Non te ne pentirai dopo?"
Mi misi a gambe divaricate sulle sue anche e feci correre le mani sulla morbida carne lattea del suo torace.
"Tu ed io ora siamo partner, Castore. Io voglio che tu mi ami come io ti ho amato."
I suoi occhi sorrisero il suo accordo. Misi della saliva sulla punta del suo uccello e l'inserii nel mio buco del culo. Scivolò dentro facilmente riempendomi di un calore istantaneo. Quando fu seppellito sino all'elsa, io precipitai in avanti ed avvolsi le mie braccia intorno al suo collo. Il mio uccello pulsò contro il suo stomaco snello.
Bisbigliai: "Come si sente?"
Lui mosse avanti ed indietro molto lentamente il suo uccello nel mio canale. Poi l'affondò tutto dentro di me.
"E’ meraviglioso, Marcus. Non ho mai sentito un’eccitazione così calda e palpitante."
Baciai le sue labbra morbide ed il suo spingere gradualmente aumentò di velocità. Per aiutare i suoi movimenti, mi sedetti, poi mi alzai e lasciai cadere il mio culo sopra la sua asta che mi penetrò. La sensazione di averlo dentro di me era molto eccitante ed un filo di pre eiaculazione cadde dalla mia fessura della piscia sopra il suo stomaco.
Lui fece correre le sue mani sulle mie gambe ed il mio torace. "Sei così peloso", disse. "Mi fai il solletico quando giacciamo insieme."
Mi tirò a se e pigiò le sue labbra contro le mie, un gemito smorzato sfuggì dalla sua gola. Mi strinse con forza a se ed il suo orgasmo esplose.
"Oh, Marcus", esclamò, "è così piacevole che quasi potrei morire." Lui rabbrividì, chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime fluissero sulle sue guance.
Restammo sdraiati a lungo uno nelle braccia dell’altro finché il suo uccello non scivolò fuori da me.
"Posso prenderti ora? " Chiesi.
Lui mi strinse la mano. "Chiaramente", bisbigliò. Io mi inginocchiai tra le sue ginocchia e misi le sue gambe snelle sulle mie spalle. Poi coprii la punta del mio uccello di saliva e l'inserii tra le sue natiche. Quando scivolai in lui, sentii un'inondazione di calore e gratitudine per la dolcezza e la bellezza di quel ragazzo. Il mio uccello affondò lentamente fino alla base e le mie palle incontrarono le sue natiche lisce. Io respirai profondamente ed avvolsi le mie braccia intorno al suo collo.
"Oh, Castore", bisbigliai, "Ti amo più di chiunque abbia mai conosciuto. Tu riveli il meglio in me. Tutto è più chiaro e più vero quando io sono con te."
I nostri movimenti erano lenti e calcolati. La festa d’amore non dovrebbe essere affrettata. Lui avvolse le sue gambe intorno alla mia vita e le nostre labbra si incontrarono ancora, succhiando allegramente e baciando dolcemente. Io sollevai il collo per succhiare i suoi capezzoli, a lui era sempre piaciuto. Le sue tette erano piccole e piatte e quando le succhiavo il suo buco del culo si contorceva sempre, spedendo tremori di piacere sul il mio uccello. Lo inculai con forza spingendo la mia verga ad un’alta vetta di eccitazione.
Dopo un po' dissi, "Mettiti su di me, mi piace quando mi cavalchi l’asta."
Mi sdraiai sulla schiena. Lui si mise a gambe divaricate su di me e si sedette sul mio uccello. Lo fece scivolare di nuovo dentro di se e si alzò ed abbassò lentamente, impalandosi completamente sulla mia verga palpitante. Il suo buco corrugato mi riempì di onde successive di piacere. Presi il suo bell’attrezzo nelle mie mani e lo carezzai avanti ed indietro. Stava diventando di nuovo duro ed il suo scroto si stava contraendo. Ci feci correre sopra la punta delle dita.
"Oh, Marcus", disse lui, "Verrò di nuovo."
"Vai avanti, Castore. Io sono al limite."
Lui strofinò la punta delle sue dita sulle sue tette ed io feci scivolare avanti ed indietro la pelle del suo cazzo. La nostra passione si elevò ad una tempesta di fuoco furiosa che ci lasciò senza fiato. Poi il suo uccello si contorse e fiotti di sperma scoppiarono fuori e schizzarono sul mio torace. Contemporaneamente sentii la pressione dentro di me arrivare al punto critico. Digrignai i denti e trattenni il fiato. Poi io ansai mentre il mio sperma veniva spruzzato nel suo piccolo culo snello.
"Oh, Castore", bisbigliai alla fine, "Vieni qui. Lasciami tenerti."
Lui precipitò in avanti e restammo sdraiati per molto tempo un nelle braccia dell’altro. L’ultimo bagliore dell’amore era estremamente dolce. Ancora una volta le nostre vite avevano trovato la totale unione che avevamo scoperto in Gallia.
* * *
Più tardi eravamo davanti alla finestra e guardavamo il Tevere, mentre continuava a piovigginare. Barche stavano andando verso il mare ed improvvisamente balenò un lampo, Castore esclamò: "Guarda, sopra l'albero di quella nave. Li vedi?"
"Cosa?"
"I Dioscuri, Castore e Polluce in corazze raggianti con corone di stelle sopra la testa. Sono un auspicio che noi avremo una navigazione tranquilla."
Tutti ciò che vidi era il bagliore che qualche volta appare sopra gli alberi delle navi durante i temporali, ma Castore poteva vedere molte cose che io non potevo. Quindi se diceva di averli visti, era così.
I fratelli gemelli, Castore e Polluce erano nati dall'unione fra Leda e Zeus. I fratelli si amavano l'un l'altro a tal punto che Polluce fu distrutto quando Castore morì e gli dei lo riunirono a Castore nei cieli.Possono ancora essere visti là nelle notti stellate, sono la costellazione dei Gemelli, i fratelli gemelli il cui amore era più forte della morte.
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