Gaia - Come una farfalla

di
genere
prime esperienze

Gli occhi al soffitto cercando tra le ombre della semioscurità della stanza, qualcosa...o qualcuno che non poteva essere lì.
La camera dell’hotel non era lussuosa, al più confortevole, un bel letto comodo, lenzuola pulite e profumate di bucato e quel delizioso tepore che le permetteva di assaporarne il tutto attraverso la sua nudità.
Adorava stare nuda in quelle camere d’albergo, quando era fuori casa, le ricordava il suo offrirsi alle mani , agli occhi di lui.
Le mani che indugiando pigramente percorrevano la sua pelle, chiudendo gli occhi e cercando di immaginare che fossero le sue, rallentando, premendo, cercando di replicarne il tocco e l’intensità.
Aveva preso l’abitudine di toccarsi, di darsi piacere da sola tutte le sere immaginando e ripercorrendo con la memoria i loro momenti insieme.
Pur ad occhi spalancati ora lo vedeva comunque sovrastarla, mentre la usava, mentre la penetrava, leccava, accarezzava, ed allora inarcava la schiena aprendo di più le gambe per meglio offrirsi a lui, gemendo e respirando rumorosamente.
Nel corridoio o dalle pareti contigue pessimamente insonorizzate, probabilmente l’avrebbero sentita, ma questo ormai non le creava alcun imbarazzo, una parte di lei voleva essere sentita, lui lo avrebbe voluto, ne avrebbe sorriso compiaciuto, mentre si mordeva il labbro di desiderio, cercando di trattenersi prima di prenderla ancora.
Le dita affondate nell’umidità della fica, le gocce del piacere che lambivano il solco del culo… e il ricordo...della sua prima volta insieme.

Una camera d’hotel, no, non come questa, quello era il genere d’albergo dove le persone si recano per una cosa sola, dove il concierge non ti guarda neppure in faccia, riceve i documenti e consegna la chiave meccanicamente, quasi meno vedesse meglio è.
Erano già stati lì precedentemente, ma questa volta sarebbe stato diverso, e si sentiva un po’ nervosa per questo, timorosa forse di non essere all’altezza; precedentemente in una stanza come quella lui aveva iniziato a violarle il culo con un plug, non grandissimo a dire il vero, ma lei aveva boccheggiato quando era entrato, aveva cercato di sottrarsi, ma lui non le aveva comunque dato scampo ed alla fine lo aveva tenuto ben saldo dentro di sé nonostante una piccola perdita di sangue.
In cuor suo si era sentita un po’ inadeguata, si chiedeva come facessero ragazze dell’età di sua figlia a fare sesso anale senza troppi problemi, mentre lei era divorata dal dubbio di non farcela.
Paura del dolore, paura di deluderlo e nel contempo quella eccitazione feroce, ventrale, il desiderio di essere li per lui, di darsi in quello che nessun altro uomo aveva avuto prima.
Era strana per lei quella eccitazione, non aveva nulla di normale, nulla di provato prima, era come se avesse gli ormoni in giostra come una ragazzina in fregola e nel contempo la calma malizia matura dei suoi anni .
Lui la desiderava, la faceva sentire desiderata si questo non vi erano dubbi, anche se a tratti credeva che entrambi per parte loro stentassero a credere nell’intensità del desiderio di l’uno per l’altra.
Due ragazzini infoiati alle soglie dei cinquanta, ma non poteva essere così semplicisticamente spiegato il desiderio, era come se si fossero aspettati per tutto quel tempo, come se tutte le loro esperienze li avessero condotti a incontrarsi per caso, ma non era affatto per caso se erano finiti a letto insieme; il loro desiderio era maturato come un frutto al sole d’agosto, dolce, aspro ed invasivo nel contempo.
Dopo anni di vita coniugale che l’avevano portata ad una sorta di serena rassegnazione nei confronti della vita si erano trovati.
Le mura anonime di quel Motel li avevano accolti con le loro insicurezze ed il desiderio di darsi ed essere accettati più ancora che prendersi.
Quel giorno particolare lui era venuto a prenderla al luogo convenuto per l’appuntamento, avevano fatto qualche passo a piedi mano nella mano come due fidanzatini, ma solo un osservatore attento si sarebbe reso conto che in quello sfiorarsi non c’era una tempesta ormonale adolescenziale, ogni loro tocco era sesso, facevano l’amore camminando fianco a fianco sfiorandosi impercettibilmente pur sopra i vestiti pesanti di quell’inverno inclemente.
I loro sguardi si incontravano di quando in quando, mentre i loro pensieri avrebbero turbato la decenza di ben più d’uno degli astanti.
Paradossalmente il loro casto e noncurante camminare era in realtà una sorta di amplesso consumato sotto gli occhi del mondo, consapevolezza che in loro alimentava una sorta di crescente eccitazione.
Erano saliti in auto per raggiungere il motel e neppure in quell’occasione avevano mutato il loro atteggiamento, avrebbero potuto tranquillamente voltare in qualche stradina poco battuta e consumare qualcosa di quel desiderio bruciante, ma nulla, ed in quella loro apparente tranquillità avevano raggiunto la loro alcova.
Erano entrati e come la volta precedente, si erano spogliati completamente fin da subito per finire sul letto.
A guardarli si capiva il loro cercarsi, avevano calmato parte del desiderio gettandosi con le bocche l’uno sull’altra senza discriminare nessuna parte del corpo, come un assetato che avendo a disposizione dell’ottimo vino ne ingolla un paio di piccoli sorsi, per placarsi quel tanto che serve per assaporare con la dovuta perizia e lentezza il resto del calice.
Alla fine lui l’aveva presa, o meglio, si erano presi; le era venuto dentro, mentre entrambi si erano piantati i polpastrelli nella carne stringendo le dita fino quasi a sbiancarne le nocche.
Erano rimasti per quasi un ora dopo uniti in quell’abbraccio, le gambe incrociate, pelle contro pelle, rotolando sul letto l’uno sopra l’altro di tanto in tanto , oppure sul fianco, quasi timorosi di spezzare quel cerchio formato dalle loro braccia, oppure semplicemente troppo gelosi del conforto di quella loro intimità.
In quella stanza d’albergo nuda e sola su quel letto, ricordava il calore delle sue labbra su di se, sui seni, il suo imbarazza ai fiotti caldi che le solcavano le cosce per ogni sua attenzione, e lui incurante e divertito che continuava a liquefarla carezza dopo carezza, sino a che non l’aveva girata sulla pancia.
Aveva baciato dapprima la sua nuca e il collo, che aveva offerto come una ragazzina, cosa che in quel momento la fece sorridere, poi era sceso tra le scapole in una teoria interminabile di tocchi gentili ed umidi sulla colonna vertebrale e fianchi.
Sapeva cosa sarebbe successo, non aveva scampo, non si era data scampo, se necessario l’avrebbe stuprata, perché era quello che lei le aveva offerto, e in un certo senso quello che stava pretendendo da sé stessa e da lui per essere sua.
Aveva leccato con abbondante saliva il solco dapprima e poi si era fatto largo con le mani per aprirla e intrufolare la lingua sulla rosellina, caldi fiotti fluivano tra le cosce mentre divisa tra la paura e l’eccitazione aspettava l’inevitabile.
Lentamente le prese le braccia per i polsi e le aprì sul materasso , sistemando prima il viso di fianco sottraendolo al cuscino su cui era appoggiato e spingendolo successivamente sotto la pancia.
Qualcosa di viscoso e tiepido colò tra le chiappe, il lubrificante probabilmente...e poi cominciò.
Sentì la sua pelle, quella calda pelle che aderendo alla sua la faceva trasalire di intimo calore coprirle la schiena e i glutei, i piedi di lui posizionarsi all’interno della caviglie sfiorandole i malleoli, iniziare a far leva per divaricarle le gambe.
Ebbe un piccolo ripensamento che soffocò prontamente, poi cominciò ad avvertire la pressione del suo glande contro il culo, che premeva per farsi strada.
Trattenne il respiro pur con la bocca aperta, i seni schiacciati sul materasso, la carne che spingeva per essere accolta, cercò di rilassarsi per facilitare il compito, si era preparata...allenata per questo.
Lui spingeva lento e deciso, la sua pelle non cedeva come avrebbe voluto, qualcosa la rendeva tesa, forse le stesse paure di sempre, al contempo desiderava continuasse, divenire sua.
La cappella entrò facendosi strada forse un po’ troppo rapidamente, copri la bocca sul materasso, mentre il dolore cresceva insieme al sottile panico di non poterlo gestire e la consapevolezza annunciata che lui sarebbe andato sino in fondo comunque, uno stupro anale concordato, consenziente era ancora uno stupro?
Il suo dono doveva essere completo, e lei gli aveva chiesto espressamente di andare in fondo e non fermarsi finché non avesse finito, voleva...doveva essere sua, sebbene ora quella scelta vacillasse.
Meccanicamente cercò di richiudere le gambe, prontamente trattenute da quelle di lui, il movimento fece sì di farlo calare su di lei con maggiore decisione e veemenza.
Gaia ora si dibatteva sul materasso aperta come una farfalla che sbatte le ali mentre uno spillone la fissa al cartone.
Urlò alla fine mentre il suo sacco scrotale le toccava le natiche, provò a muoversi, a ritrarsi, mentre lui ormai era del tutto dentro, ma il peso la inchiodava distesa.
Poi iniziò a muoversi, a scoparle il culo, le braccia bloccate da quelle di lui, le gambe bloccate allo stesso modo mentre la prendeva e il dolore che cresceva.
La paura si fece strada in lei, voleva chiedergli di smettere e nel contempo aveva un altro timore: quello di non farcela a dargli quanto promesso.
Temeva che se si fosse lamentata troppo lui avrebbe smesso e temeva che dopo non avrebbe più avuto il coraggio di riprovare o la determinazione di lui.
Alla fine si risolse, e fece l’unica cosa che pensò darle sollievo lamentandosi mentre lui la cavalcava, paradossalmente la sua paura del dolore di non farcela cresceva insieme alla sua percezione del piacere, dell’eccitazione di lui.
Fu quel bacio tra le scapole durante il suo stupro anale a cambiare la sua prospettiva, non ad azzerare il dolore, ma a far sua una nuova eccitazione a condividere quella del suo amante aguzzino.
Iniziò a provare piacere crescente insieme al dolore, smise di cercare di serrare le gambe lasciando dapprima che lui la tenesse aperta e poi sforzandosi di farlo lei stessa, si lasciò andare gemendo e urlando senza controllo scoprendo che l’eccitazione di lui nel penetrarla non era affatto diminuita.
La sborrata nel culo non fu una liberazione, ma una sorta di traguardo agognato, fu solo in quel momento che si rese conto del volume delle sue urla e gemiti e di quanto acute fossero alcune di esse.
Di nuovo il raziocinio si fece strisciante tra i suoi pensieri, sentendosi quasi in colpa ad aver indotto lui a stuprarla, di nuovo paradossalmente la sua preoccupazione fu per lui ; girò la testa per guardarlo, per cercare i suoi occhi...lo trovò, la stava guardando con una domanda negli occhi ancora pieni di desiderio.
Quel pomeriggio lui la prese ancora altre due volte, sempre analmente, sempre vigorosamente … dolorosamente eppure mai come allora si era sentita desiderata e desiderabile...e ricettrice di una nuova dolcezza.

Nella solitudine della sua camera esplose in un altro orgasmo, sentendolo vicino a lei.
scritto il
2018-02-04
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