Cena di lavoro a tre - come unire l'utile al dilettevole

di
genere
trio

Quando il capo ti chiede un favore non puoi rifiutare, neppure se si tratta di accompagnare a cena i due noiosi titolari di un’azienda cliente. Mi preparo quindi in fretta: doccia, phon, trucco leggero ma curato. Opto per un vestito con scollo a cuore, stretto in vita e con una vaporosa gonna al ginocchio. Se cena noiosa deve essere, voglio almeno sentirmi bella. I tacchi alti sono l’ovvio.

Arrivo al ristorante in anticipo, ma li trovo già ad attendermi. Stefano e Carlo sono cugini, si nota: sono entrambi alti e mori, con gli occhi profondi e la voce calda. Carlo ha qualche anno in più di Stefano, ed è appena brizzolato. Le poche volte che li ho contattati, telefonicamente, mi hanno trasmesso una antipatica sensazione di pedanteria. Devo quindi sforzarmi non poco per ricambiare il loro sorriso, avvicinandomi.
“Ben arrivata, Molly!” mi saluta Carlo.
“Grazie ingegnere, spero non mi abbiate dovuta attendere molto” rispondo, compassata. Noto un sopracciglio alzarsi. Disappunto?
“Affatto” taglia corto, invitandomi ad entrare.

Apprezzo il buon gusto del mio capo: l’atmosfera è rilassata, ma di livello. Non è un ristorante dove potrei andare spesso. Nonostante le mie pessime aspettative, la conversazione scorre lenta facendosi sempre più piacevole. Abbandono quasi subito il mio tono distaccato, scoprendo due uomini ricchi di interessi, di hobby e di cultura. Passiamo senza che me ne accorga dallo sport alla letteratura, evitiamo a piè pari la politica e ci rifugiamo nell’arte. Quando manca solo il dolce mi scopro affascinata dal loro savoir-faire, da quella capacità di incuriosire ed attirare la mia attenzione che pochi uomini hanno.

Come succede che io accetti il loro invito a proseguire la serata altrove? Che io salga con loro in auto, e che finga di credere alla scusa del “abbiamo dimenticato una cosa in camera”? Che io l’assecondi spudorata, salendo nella stanza d’albergo con loro? Succede e basta, senza spiegazione alcuna.
Spesso si sottovaluta il potere di parole scelte con cura, di complimenti ben dosati, di sorrisi e sguardi calibrati. Sedurre è un gioco sottile, di quelli che riescono in un paio d’ore al massimo o non riusciranno mai, ed io sono decisamente sedotta.

La camera è grande, la illuminiamo solo con una fioca lampada distante da noi. Nessuno parla, non più.

È proprio Stefano ad abbracciarmi per primo, sfiorandomi il collo candido con le labbra per poi risalire e baciarmi. Sa di buono, riconosco il suo sapore sotto al whisky con cui ha chiuso la cena. Alle mie spalle, Carlo mi percorre con le mani. Gioca da sopra il vestito, seguendo la mia forma a clessidra dalle spalle fino al culo, prima di aprire i lembi di stoffa e mettere in mostra la mia schiena.
Il vestito scivola a terra, l’intimo lo segue, le scarpe restano al loro posto. Mi tengono tra di loro riempiendomi di morbide carezze, attirandomi contro i loro corpi, nuda ed indifesa ai loro lenti assalti. Voglio sentirli; li spoglio. Tolta la camicia a Stefano mi volto, offrendogli le spalle da mordere, e faccio lo stesso con Carlo. Premo con il culo tondo contro i pantaloni di Stefano mentre apro e abbasso quelli di Carlo, per poi ancora voltarmi e replicare. Il rigonfiamento sotto i loro boxer mi regala una desiderata conferma.

È Carlo ad avventarsi per primo sui miei seni, stringendoli da dietro e bloccandomi con la schiena contro il suo petto. Mi supera in altezza, come il cugino, nonostante i tacchi. Mentre Stefano si inginocchia davanti a me le dita di Carlo si serrano sui miei capezzoli, iniziando ritmicamente a stringerli. Sospiro di piacere.
Allargo le gambe quanto basta per concedere a Stefano la visione della mia figa imperlata di piacere. Con le dita tira le grandi labbra, facendole aprire e mettendola ancora più in risalto. Si avvicina col viso, con la bocca: sento il suo respiro caldo. Mi sfugge un gemito sommesso, mentre Carlo non dà tregua al mio seno.
“Lo vuoi vero? Dì che lo vuoi, ammettilo, chiedilo” mi incita Stefano.
“Sempre così distante, al telefono. Siamo da due giorni nella tua azienda e a stento ci hai salutato. Ora dillo, che lo vuoi” incalza Carlo.
“Sì… vi prego, sì… lo voglio. Non credevo che…ahhhh!” non riesco a finire la frase. Stefano si è gettato tra le mie gambe, afferrandomi il clitoride tra le labbra e Carlo ha preso a strofinare i miei capezzoli, già più che sensibili, tra i polpastrelli. Posso solo gettare la testa indietro e gemere, per la loro soddisfazione.
Stefano non sembra avere intenzione di fermarsi, aggiunge anzi le dita e mi penetra con quelle mentre la lingua continua il suo incessante lavoro. Carlo, dal canto suo, mi tiene stretta a lui divertendosi col mio seno. Ci gioca in modo simmetrico, facendomi provare le stesse sensazioni da entrambi, dettaglio che adoro. Mi strappa un miagolio più acuto quando stringe e tira forte entrambi i capezzoli, trasmettendomi per un attimo una scossa di dolore che rende le successive sensazioni ancora più intense.
“Ti piace eh? Lo sapevo…” mormora con la voce calda al mio orecchio.

Mi sento un lago tra le gambe, e Stefano può solo notarlo. Lo sento aumentare il ritmo, allargandomi le labbra con l’altra mano per avere un accesso ancora migliore a me. Cambia, affonda in me con la lingua stuzzicandomi fuori coi polpastrelli. Mi sento morire di piacere, è irresistibile.
Le gambe si tendono, e Carlo deve tenermi ancora più stretta perché non mi inarchi allontanandomi da lui. Porta una mano al mio ventre, per assicurarsi che il mio culo resti schiacciato contro il suo cazzo gonfio, e con l’altra mi abbraccia trattenendomi per una spalla. In risposta mi aggrappo ai suoi fianchi; sono tutta un gemito.
“La puttanella sta venendo, non è più tanto altezzosa” mi schernisce Carlo, rivolto al cugino. È il colpo di grazia sentirmi chiamare così. Vengo, con Stefano che beve avido il mio piacere, scossa dai tremiti, con le sue dita che non accennano a fermarsi nonostante io tenti di chiudere freneticamente le gambe, mentre Carlo silenzia le mie urla con un lungo bacio.

Quando i brividi si diradano, Stefano mi attira a sé sottraendomi al cugino. Ha la bocca lucida dei miei umori, che gli rubo lasciva. Sentire il mio sapore mi eccita ancora di più.

Levo i tacchi e mi inginocchio davanti a loro, che capiscono subito le mie intenzioni. Tolto l’ultimo lembo di stoffa rimasto, posso finalmente ammirare i loro cazzi vogliosi. Mi ci dedico, con una mano ciascuno, e prendo a baciarli alternativamente. Prima solo una leccata alle cappelle gonfie, poi aumento lasciandomeli scivolare sempre di più in bocca, chiudendo le labbra ogni volta più vicina alla base. Il mio continuo passare dall’uno all’altro, senza mai fermare le mani, ha l’effetto sperato: sento ben presto rochi gemiti di apprezzamento.

Non voglio certo farli venire subito, così rallento un poco. Se ne accorgono.
“Gioca, la troietta” mormora Stefano a Carlo, “si diverte. Diamole un buon motivo per ricordarsi la serata”.
Si allontanano, costringendomi a rinunciare ai loro cazzi. La figa si stringe in una intensa contrazione, sperando.

Stefano mi invita ad alzarmi e mi fa stendere sul letto. Mi alza le gambe, prendendole per le caviglie e divaricandole, finché non le trattengo io stessa. Mi ritrovo a gambe spalancate, con la figa aperta e sollevata, alla loro mercé. Mi sento inerme, è eccitante da morire.
Nonostante la posizione, si concentrano entrambi sui miei seni. Sono talmente affiatati che sospetto non sia la prima volta assieme per loro. Leccano, succhiano, stringono e mordono. Mi addento le labbra, vogliosa.
“Non ti trattenere… facci sentire quanto ti piace” mi incita Carlo. “Non c’è suono migliore del gemito di una donna eccitata”.
La mia voglia sale, la loro anche. Ho i capezzoli gonfi e sempre più sensibili, ogni loro sfiorarmi mi strappa lamenti di piacere. La mia figa reclama, pulsa, sento un brivido lungo la schiena quando vi spostano la loro attenzione…

“Guardala, sta colando” sbotta Stefano.
“Ha voglia, la puttanella. Appena la sfiori geme” ribatte Carlo, come se non esistessi, sfiorandomi il clitoride ed ottenendo effettivamente un mio gemito.
“Vorrà essere scopata” ipotizza Stefano. Vorrei urlare loro di farlo, e subito, ma mi trattengo… non devo attendere molto.

Quasi vengo istantaneamente, quando Carlo mi penetra in un sol colpo fino in fondo. Resto senza fiato giusto il tempo avere in regalo una seconda spinta, poi con mio disappunto esce. Il sorriso asimmetrico che mi rivolge mi eccita e mi preoccupa al tempo stesso. Stefano richiama la mia attenzione, afferrandomi per le cosce. Entra lento in me, fissandomi e strappandomi un lungo sibilo di piacere. Ma dopo un colpo secco e forte, esce anche lui. La sensazione di vuoto mi assale.

Il gioco è sfinente. Mi penetrano a turno, rapidi e secchi, eccitanti e dannatamente bravi. Non mi regalano più di due o tre colpi a testa, e nel tempo in cui si scambiano mi sento morire di voglia. Mi fanno bagnare e contorcere dal desiderio. Mi trovo a imprecare a bassa voce, e a gemere senza ritegno, ad ogni loro assalto. Vanno avanti così per non so quante volte, aumentando il mio piacere senza portarmi all’orgasmo. Mi trattengo a stento dall’allungare una mano e masturbarmi, piantandomi le unghie nelle caviglie.

“Vi prego. Vi prego. Scopatemi” lo imploro, stordita dal bisogno di godere. Non si fanno pregare ulteriormente.
Carlo mi prende per le spalle, mi ruota nel letto. Mi ritrovo con la testa oltre il bordo del materasso. Il suo cazzo mi sfiora le labbra, visto capovolto è ancora più eccitante. Lo lascio entrare, è coperto dei miei umori. Lo lecco, lo percorro con la saliva. Non posso vedere Stefano così. Non lo sento. Lo voglio. Eccolo, due mani mi afferrano. Il cazzo di Carlo affonda ancora di più, si abbassa fino a trovare il giusto angolo. Stefano preme, le mie gambe si piegano di più, la figa si apre ancora. Succhio Carlo, lo stringo tra la lingua e il palato. Qualcosa mi sfiora la figa, è il cazzo di Stefano? Carlo smette di lasciarmi fare, si muove lui. Sì è il cazzo di Stefano. Oddio ti prego scopami. Carlo affonda nella mia bocca per poi risalire, senza mai uscire del tutto. Le labbra della figa si aprono, Stefano affonda piano. Stringo la bocca intorno a Carlo, percorro la cappella con la lunga e lo assecondo ad ogni affondo. Stefano è del tutto dentro di me, non si muove. Carlo imposta un ritmo lento e costante, adoro il suo cazzo. Stefano lo imita con sincronia quasi perfetta. La mia figa trema quando finalmente quel palo scorre senza abbandonarla. Carlo scivola ogni volta più in profondità, potessi usare le braccia cercherei di gestirlo. Stefano aumenta e i miei muscoli si stringono attorno a lui. Non so più su chi concentrarmi, sul piacere della scopata o su Carlo che temo di non riuscire a sopportare. Colo tra le gambe e mi esce saliva dalle labbra. Nessuno dei due si ferma. Mi inarco cercando di schiacciare di più la testa contro il materasso. Carlo si tiene alle mie caviglie, come Stefano alle mie cosce: chissà che visione hanno da lì. Devo essere oscena, aperta e gocciolante. Un tremito al basso ventre, un gemito roco. Di chi? Non posso saperlo. I muscoli della figa si stringono. Stefano aumenta. Carlo mi arriva in gola, stento a respirare ma tengo le labbra serrate sul suo cazzo. Un dito, non può che essere Stefano, a schiacciare il mio clitoride pulsante. Non posso muovere la testa di un millimetro, dipendo totalmente da Carlo per il respiro. E da Stefano per l’orgasmo. Non sono mai stata così persa. Un’altra fitta di piacere. Mi inarco. Sì ti prego! Ancora di più. Non mi arriva ossigeno. Stefano insiste, i suoi colpi secchi mi fanno sussultare. Li sento gemere entrambi. Sono al limite. Siamo al limite. I polmoni bruciano. La figa trema.

Carlo mi libera un attimo prima che io goda, ma non riesco a riprendere fiato: l’istinto di urlare e far sentire loro tutto il mio piacere è troppo forte. Sono appena consapevole degli schizzi di entrambi che mi ricoprono il corpo.



Poco dopo, lavata, stesi sul letto. Stefano a baciarmi sensuale, giocando coi miei seni, mentre un dito di Carlo si intrufola tra le mie natiche. La serata sarà lunga.


***
Come sempre, spero in un commento da chi mi legge!
scritto il
2018-05-30
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