Si accettano caramelle dagli sconosciuti - IV
di
Molly B
genere
dominazione
“Tu hai un problema, e io sono la tua soluzione” sussurra. Mi sono appena svegliata tra le sue braccia. Lo osservo perplessa ed assonnata, persa nel calore del suo corpo nudo contro il mio.
“Un problema?”
“Esatto. I dettagli poi. È ora di colazione, gattina.”
“Miao.”
Un paio d’ore più tardi passeggiamo pigramente. Ho acquistato delle scarpe basse, adatte a Venezia, e un vestitino in lana. È chiuso da una fila di grossi bottoni sul davanti, e copre appena il bordo delle mie autoreggenti, ma è molto caldo. Tornati nel suo appartamento il tempo di cambiarmi, mi ha allungato una scatoletta piuttosto voluminosa da tenere in borsa.
“Parte della soluzione” ha detto. Non so se essere curiosa o preoccupata.
Fino a metà pomeriggio, ci raccontiamo. Troviamo insperate affinità e prevedibili distanze. Più volte, mentre parlo, mi afferra per i capelli e stringendomi a lui o facendomi arretrare contro un muro. Mi bacia con passione, con desiderio. Gli mordo le labbra e lui mi sussurra oscenità all’orecchio. Mi spinge contro il suo bacino per farmi sentire la sua eccitazione, o mi stringe il seno da sopra il cappotto. I passanti bisbigliano, tra la disapprovazione e l’invidia. Ma non mi permette di spingere oltre il gioco. E’ eccitante e snervante.
Sono ormai stanca di camminare quando torna alle sue prime parole del mattino.
“Il tuo problema, è che non sai lasciarti guardare” mi dice, lungo le Fondamente Nove. “Distogli sempre lo sguardo, e anche nei gesti trasmetti chiusura. Quasi volessi passare inosservata. Devi imparare a lasciarti guardare.”
Ha intuito, ma le sue parole mi feriscono un poco.
“E tu saresti la soluzione.”
“Oh sì…”
Mi regala il suo sorriso lascivo, alla Hannibal Lecter, e mi trascina tra le calli. In quest’area sono ancora più strette e deserte che altrove. Siamo avvolti dalla penombra, in una calle che da una modesta piazzetta si tuffa in acqua. Affiancati, ci passiamo appena.
“Ci sono due cose che devi imparare. La prima, è accettare che qualcuno possa vederti” bisbiglia, la sua guancia contro la mia. “Lascerai che ti dimostri quanto è eccitante, gattina?”
Annuisco, per quanto incerta. Quest’uomo mi affascina, lo conosco da meno di un giorno eppure è irresistibile. Sa dire esattamente quel che voglio sentire. Ma cosa vuol fare?
“Bene… Appoggiati meglio al muro. Gambe aperte, mani dietro la schiena.”
Lo assecondo guardinga. Scivola sotto il mio vestito con una mano, rapido, e cerca e trova la mia figa. Sussulto.
“Già eccitata? Ti scaldi per poco…” mi canzona. Di certo nota il violento rossore che mi colora il viso. “Resta immobile.”
Osservo un punto indistinto alle sue spalle, mentre slaccia lento i bottoni del mio vestito, facendolo aprire del tutto. Trattengo a stento la voglia di coprirmi. La vergogna lotta contro l’eccitazione, ma quando torna con le sue dita alla mia figa, scostando il perizoma, boccheggio. Rumori, in una calle vicina, mi distraggono e mi preoccupano.
“Ma…” tento di protestare. Se arrivasse qualcuno, non riuscirei certo a coprirmi!
“Muta. Non azzardarti a parlare” mi gela, senza per questo smettere di masturbarmi. Il pollice compie lenti movimenti circolari sul clitoride, due dita affondano in me. Mi piace da impazzire. Lentamente, l’eccitazione vince la vergogna. Il mio bacino va sempre più incontro alla sua mano. Il piacere monta e il mio respiro si fa più corto. Credo sia proprio per questo che lui si ferma, e scosta le dita. Lo guardo con una supplica negli occhi, ma incontro solo il suo sguardo serio. Nemmeno ci provo, a pregarlo di continuare.
“Te l’ho già detto ieri in treno. Devi imparare a meritarti quel che vuoi. In ginocchio”.
Porto le mani al vestito, per chiudere istintivamente almeno un paio di bottoni. Oh, mossa decisamente sbagliata. Me ne accorgo quando afferra i miei polsi, scostandoli bruscamente.
Dovrei scusarmi? Non ne sono mai stata capace. Torna con la mano tra le mie gambe, prima che io possa decidere se parlare o inginocchiarmi come mi ha chiesto. Ma non è certo per riprendere il movimento di prima.
“Non mi piace chi tiene il piede in due scarpe. Deciditi: o prendi i tuoi stracci e te ne torni a casa, o lasci che io ti mostri quanto può piacerti essere troia. La recita da ragazzetta pudica, falla a chi non si accorge che hai la figa che cola.”
“Ma… se arrivasse qualcuno…” sono praticamente nuda!
“T’importa più di quel che pensa uno sconosciuto, che del tuo piacere?”
“No… ma…”
“Ma niente. Dovessero vederti, non ti sfioreranno con un dito. Credi che ti metterei in pericolo?”
“No, hai ragione.”
“Allora, vuoi andartene?” Lo chiede sfiorandomi appena da sopra il perizoma. Fa arricciare il tessuto tra le labbra, e lo tira appena verso l’alto. Sento un brivido di piacere, la chiara risposta del mio corpo alla sua domanda.
“No. Ti prego” mi arrendo.
“Brava gattina. Facciamo però in modo che tu possa ricordarti bene, di non prendere sciocche iniziative…”
Mentre parla mi afferra il clitoride tra pollice ed indice, da sopra il pizzo. E stringe fortissimo. Mi piego su me stessa senza riuscire a trattenere un gemito di dolore. Mi aggrappo a lui per non cadere. Lascia la presa quasi subito, ma una ragnatela di dolore si è già dipanata in tutto il corpo. Sento il clitoride pulsare impazzito.
“Ora da brava, in ginocchio… a gambe ben aperte. Poggia le ginocchia sulle mie scarpe.”
Appena mi sistemo, si apre il pesante cappotto. Mi trovo con il viso all’altezza dell’evidente rigonfiamento nei suoi pantaloni. Mi rendo conto che, in quel luogo e in quella posizione, sono più coperta di quanto credevo. La scarsa luce del tramonto, i lembi aperti del suo lungo cappotto, il muro alle mie spalle e quello alle sue della stretta calle in cui ci troviamo, mi fanno sentire meno esposta del previsto. Si apre i pantaloni, e li abbassa lento assieme ai boxer. Porto le mani alle sue cosce, per evitare che cadano. Osservo il cazzo, duro e svettante, mordendomi il labbro inferiore.
“Sai cosa fare” sussurra.
A differenza di quanto mi aspettavo, non mi sfiora nemmeno. Si appoggia al muro alle sue spalle, e mi lascia il piacere di strofinarmici contro a lungo, gustandomi la sensazione della sua pelle calda e tesa sul mio viso. Lo lecco piano, partendo dallo scroto pesante. Gli faccio sentire appena i miei denti, mentre uno alla volta accolgo in bocca e succhio appena i coglioni. Il suo profumo, speziato, mi riempie le narici.
Con la lingua morbida risalgo, fino alla punta già umida. Compio lente volute, alzando per brevissimi istanti lo sguardo verso di lui che mi scruta, attento a ogni mio movimento. Stringendo le labbra, scendo lasciandomelo scivolare in bocca per una buona metà. Quando risalgo, è lucido della mia saliva. Lo percorro con la guancia, lasciandogli sentire il mio fiato caldo ed eccitato.
E’ ora di fare sul serio. Lo riaccolgo in bocca, succhiando mentre mi abbasso fino alla base. Ripeto un movimento che farò mille volte, regalandogli con la lingua dei rapidi colpetti sul glande alternati ad una più vellutata e lenta coccola. Non voglio che riesca a prevedere troppo le sensazioni...
Aumento il ritmo e con esso la profondità e la velocità. Mi sforzo di mantenere aperta la gola, mentre assecondo con tutto il corpo il movimento della testa. Mi rendo conto che, dopo il forte e doloroso pizzico, il clitoride è incredibilmente sensibile. Ondeggiare appena il bacino, con le gambe aperte, lo fa strusciare sul perizoma quanto basta a farmi colare. Tengo a fatica le mani sulle sue gambe, sempre più tese, resistendo alla voglia di toccarmi. Arrivo con la bocca fino alla base. Sento gli occhi lacrimare per lo sforzo, mentre i suoi coglioni gonfi mi sbattono contro il viso. Gli sfugge un gemito, basso e gutturale. Dentro di me esulto. Per aumentare la sensazione del mio movimento, spinge il suo bacino contro di me assecondando il mio ritmo. Con la coda dell’occhio vedo una sua mano ondeggiare vicino al mio capo, ma non mi sfiora. Stringo le labbra più che posso, non smetto un attimo di succhiarlo. Non voglio altro che sentirlo venire.
Pochi colpi e mi accontenta, con un lamento di piacere, costringendomi a deglutire per non soffocare. Nemmeno ci penso, a staccarmi. Lo osservo dal basso per attimi che mi sembrano infiniti. Sono eccitata e soddisfatta. Lui ha il viso segnato dal piacere, in un misto di distacco ed appagamento che mi affascina una volta di più.
“Non hai idea di quanto vorrei portarti a casa e scoparti fino a domani” sussurra poi, mentre mi aiuta a coprirmi di nuovo, “ma hai ancora una cosa da imparare… apri la scatoletta che ti ho dato.”
****
Ho impiegato parecchio a scrivere questo capitolo, più degli altri. Spero vi piaccia. Come sempre, grazie in anticipo per commenti e consigli.
“Un problema?”
“Esatto. I dettagli poi. È ora di colazione, gattina.”
“Miao.”
Un paio d’ore più tardi passeggiamo pigramente. Ho acquistato delle scarpe basse, adatte a Venezia, e un vestitino in lana. È chiuso da una fila di grossi bottoni sul davanti, e copre appena il bordo delle mie autoreggenti, ma è molto caldo. Tornati nel suo appartamento il tempo di cambiarmi, mi ha allungato una scatoletta piuttosto voluminosa da tenere in borsa.
“Parte della soluzione” ha detto. Non so se essere curiosa o preoccupata.
Fino a metà pomeriggio, ci raccontiamo. Troviamo insperate affinità e prevedibili distanze. Più volte, mentre parlo, mi afferra per i capelli e stringendomi a lui o facendomi arretrare contro un muro. Mi bacia con passione, con desiderio. Gli mordo le labbra e lui mi sussurra oscenità all’orecchio. Mi spinge contro il suo bacino per farmi sentire la sua eccitazione, o mi stringe il seno da sopra il cappotto. I passanti bisbigliano, tra la disapprovazione e l’invidia. Ma non mi permette di spingere oltre il gioco. E’ eccitante e snervante.
Sono ormai stanca di camminare quando torna alle sue prime parole del mattino.
“Il tuo problema, è che non sai lasciarti guardare” mi dice, lungo le Fondamente Nove. “Distogli sempre lo sguardo, e anche nei gesti trasmetti chiusura. Quasi volessi passare inosservata. Devi imparare a lasciarti guardare.”
Ha intuito, ma le sue parole mi feriscono un poco.
“E tu saresti la soluzione.”
“Oh sì…”
Mi regala il suo sorriso lascivo, alla Hannibal Lecter, e mi trascina tra le calli. In quest’area sono ancora più strette e deserte che altrove. Siamo avvolti dalla penombra, in una calle che da una modesta piazzetta si tuffa in acqua. Affiancati, ci passiamo appena.
“Ci sono due cose che devi imparare. La prima, è accettare che qualcuno possa vederti” bisbiglia, la sua guancia contro la mia. “Lascerai che ti dimostri quanto è eccitante, gattina?”
Annuisco, per quanto incerta. Quest’uomo mi affascina, lo conosco da meno di un giorno eppure è irresistibile. Sa dire esattamente quel che voglio sentire. Ma cosa vuol fare?
“Bene… Appoggiati meglio al muro. Gambe aperte, mani dietro la schiena.”
Lo assecondo guardinga. Scivola sotto il mio vestito con una mano, rapido, e cerca e trova la mia figa. Sussulto.
“Già eccitata? Ti scaldi per poco…” mi canzona. Di certo nota il violento rossore che mi colora il viso. “Resta immobile.”
Osservo un punto indistinto alle sue spalle, mentre slaccia lento i bottoni del mio vestito, facendolo aprire del tutto. Trattengo a stento la voglia di coprirmi. La vergogna lotta contro l’eccitazione, ma quando torna con le sue dita alla mia figa, scostando il perizoma, boccheggio. Rumori, in una calle vicina, mi distraggono e mi preoccupano.
“Ma…” tento di protestare. Se arrivasse qualcuno, non riuscirei certo a coprirmi!
“Muta. Non azzardarti a parlare” mi gela, senza per questo smettere di masturbarmi. Il pollice compie lenti movimenti circolari sul clitoride, due dita affondano in me. Mi piace da impazzire. Lentamente, l’eccitazione vince la vergogna. Il mio bacino va sempre più incontro alla sua mano. Il piacere monta e il mio respiro si fa più corto. Credo sia proprio per questo che lui si ferma, e scosta le dita. Lo guardo con una supplica negli occhi, ma incontro solo il suo sguardo serio. Nemmeno ci provo, a pregarlo di continuare.
“Te l’ho già detto ieri in treno. Devi imparare a meritarti quel che vuoi. In ginocchio”.
Porto le mani al vestito, per chiudere istintivamente almeno un paio di bottoni. Oh, mossa decisamente sbagliata. Me ne accorgo quando afferra i miei polsi, scostandoli bruscamente.
Dovrei scusarmi? Non ne sono mai stata capace. Torna con la mano tra le mie gambe, prima che io possa decidere se parlare o inginocchiarmi come mi ha chiesto. Ma non è certo per riprendere il movimento di prima.
“Non mi piace chi tiene il piede in due scarpe. Deciditi: o prendi i tuoi stracci e te ne torni a casa, o lasci che io ti mostri quanto può piacerti essere troia. La recita da ragazzetta pudica, falla a chi non si accorge che hai la figa che cola.”
“Ma… se arrivasse qualcuno…” sono praticamente nuda!
“T’importa più di quel che pensa uno sconosciuto, che del tuo piacere?”
“No… ma…”
“Ma niente. Dovessero vederti, non ti sfioreranno con un dito. Credi che ti metterei in pericolo?”
“No, hai ragione.”
“Allora, vuoi andartene?” Lo chiede sfiorandomi appena da sopra il perizoma. Fa arricciare il tessuto tra le labbra, e lo tira appena verso l’alto. Sento un brivido di piacere, la chiara risposta del mio corpo alla sua domanda.
“No. Ti prego” mi arrendo.
“Brava gattina. Facciamo però in modo che tu possa ricordarti bene, di non prendere sciocche iniziative…”
Mentre parla mi afferra il clitoride tra pollice ed indice, da sopra il pizzo. E stringe fortissimo. Mi piego su me stessa senza riuscire a trattenere un gemito di dolore. Mi aggrappo a lui per non cadere. Lascia la presa quasi subito, ma una ragnatela di dolore si è già dipanata in tutto il corpo. Sento il clitoride pulsare impazzito.
“Ora da brava, in ginocchio… a gambe ben aperte. Poggia le ginocchia sulle mie scarpe.”
Appena mi sistemo, si apre il pesante cappotto. Mi trovo con il viso all’altezza dell’evidente rigonfiamento nei suoi pantaloni. Mi rendo conto che, in quel luogo e in quella posizione, sono più coperta di quanto credevo. La scarsa luce del tramonto, i lembi aperti del suo lungo cappotto, il muro alle mie spalle e quello alle sue della stretta calle in cui ci troviamo, mi fanno sentire meno esposta del previsto. Si apre i pantaloni, e li abbassa lento assieme ai boxer. Porto le mani alle sue cosce, per evitare che cadano. Osservo il cazzo, duro e svettante, mordendomi il labbro inferiore.
“Sai cosa fare” sussurra.
A differenza di quanto mi aspettavo, non mi sfiora nemmeno. Si appoggia al muro alle sue spalle, e mi lascia il piacere di strofinarmici contro a lungo, gustandomi la sensazione della sua pelle calda e tesa sul mio viso. Lo lecco piano, partendo dallo scroto pesante. Gli faccio sentire appena i miei denti, mentre uno alla volta accolgo in bocca e succhio appena i coglioni. Il suo profumo, speziato, mi riempie le narici.
Con la lingua morbida risalgo, fino alla punta già umida. Compio lente volute, alzando per brevissimi istanti lo sguardo verso di lui che mi scruta, attento a ogni mio movimento. Stringendo le labbra, scendo lasciandomelo scivolare in bocca per una buona metà. Quando risalgo, è lucido della mia saliva. Lo percorro con la guancia, lasciandogli sentire il mio fiato caldo ed eccitato.
E’ ora di fare sul serio. Lo riaccolgo in bocca, succhiando mentre mi abbasso fino alla base. Ripeto un movimento che farò mille volte, regalandogli con la lingua dei rapidi colpetti sul glande alternati ad una più vellutata e lenta coccola. Non voglio che riesca a prevedere troppo le sensazioni...
Aumento il ritmo e con esso la profondità e la velocità. Mi sforzo di mantenere aperta la gola, mentre assecondo con tutto il corpo il movimento della testa. Mi rendo conto che, dopo il forte e doloroso pizzico, il clitoride è incredibilmente sensibile. Ondeggiare appena il bacino, con le gambe aperte, lo fa strusciare sul perizoma quanto basta a farmi colare. Tengo a fatica le mani sulle sue gambe, sempre più tese, resistendo alla voglia di toccarmi. Arrivo con la bocca fino alla base. Sento gli occhi lacrimare per lo sforzo, mentre i suoi coglioni gonfi mi sbattono contro il viso. Gli sfugge un gemito, basso e gutturale. Dentro di me esulto. Per aumentare la sensazione del mio movimento, spinge il suo bacino contro di me assecondando il mio ritmo. Con la coda dell’occhio vedo una sua mano ondeggiare vicino al mio capo, ma non mi sfiora. Stringo le labbra più che posso, non smetto un attimo di succhiarlo. Non voglio altro che sentirlo venire.
Pochi colpi e mi accontenta, con un lamento di piacere, costringendomi a deglutire per non soffocare. Nemmeno ci penso, a staccarmi. Lo osservo dal basso per attimi che mi sembrano infiniti. Sono eccitata e soddisfatta. Lui ha il viso segnato dal piacere, in un misto di distacco ed appagamento che mi affascina una volta di più.
“Non hai idea di quanto vorrei portarti a casa e scoparti fino a domani” sussurra poi, mentre mi aiuta a coprirmi di nuovo, “ma hai ancora una cosa da imparare… apri la scatoletta che ti ho dato.”
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Ho impiegato parecchio a scrivere questo capitolo, più degli altri. Spero vi piaccia. Come sempre, grazie in anticipo per commenti e consigli.
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