Non è questa la migliore
di
VB1977
genere
pissing
Non si può dire che io sia un paladino dell’idratazione.
Ma un giorno accadde che, giunto al lavoro, di fronte alla pendola, realizzai di essere senza badge, portafogli e chiavetta per i distributori automatici. Complice la sonnolenza delle cinque del mattino, avevo indossato dei pantaloni puliti prendendoli dall’armadio, e messo a lavare quelli del giorno precedente, senza però vuotarne le tasche.
Non ci furono problemi per la timbratura. Mi bastò avvisare l’ufficio personale.
Il problema vero lo scoprii successivamente, quando, prima delle nove, terminai la mia bottiglietta d’acqua da mezzo litro, portata da casa.
L’azienda per cui lavoravo era molto grande ed aveva un archivio importante. Nonostante ciò, ci lavoravo da solo ed era tutto sommato un lavoro tranquillo. La sera qualcuno faceva il giro degli uffici con un carrello, raccogliendo i documenti da archiviare. La mattina arrivavo presto ed archiviavo i documenti. Ero costretto a farlo a quell’ora perché durante le ore d’ufficio, in archivio c’era un certo viavai di persone, alla ricerca di documenti vari.
Eppure, cosa che non mi era dispiaciuta affatto fino a quel giorno, con loro avevo un rapporto molto limitato, ridotto ai minimi termini ed esclusivamente basato sul lavoro. Nulla quindi che mi permettesse di farmi avanti e chiedere a qualcuno che mi portasse una bottiglietta d’acqua. Tra l’altro la macchinetta del caffè è sempre una valida scusa per prendere una pausa. Ma senza la chiavetta, né i soldi, quel giorno fui costretto a tirare dritto fino a mezzogiorno, quando mi resi conto di non potermi neanche gustare il solito panino, che, senza acqua e con la gola secca, fu duro da mandare giù e quasi mi soffocò in un’occasione. Il prosciutto crudo che avevo messo dentro poi, non fece altro che accentuare la mia sete.
Quando uscii, avevo la bocca secca e una sete da morire.
Passai dall’ufficio personale per avvisare dell’uscita, invidiando le ragazze che avevano sulla loro scrivania bevande varie.
Presi la macchina, intenzionato a parcheggiare solo quando fossi giunto di fronte al mio frigorifero.
Non avevo altro in mente, se non arrivare a casa il prima possibile.
Ma poi la vidi.
Seduta al tavolino esterno del bar, rilassata di fronte ad una bottiglia di cola, ma soprattutto sola.
Era raro per me poterci chiacchierare in solitudine, non ero molto abile a tirarla fuori dal gruppo. Mi piaceva e lo sapeva, ma si divertiva a fare la preziosa e giocare con me senza concedersi. Non volli comunque perdere l’occasione, pur sapendo che avrebbe potuto divertirsi a mie spese.
Parcheggiai a pochi passi dal bar, scesi e le andai incontro, sorridendo: “Buongiorno! Come mai da sola?”
“Di solito la gente lavora di giorno,” fu la risposta “e ora, con l’Estate, qualcuno va in ferie…”
Voltai lo sguardo sulla bottiglietta da mezzo litro di cola. Era meno della metà.
Tornai a guardarla negli occhi verdi. Non erano solo gli occhi a piacermi, ma anche il suo naso all’insù, ricoperto di lentiggini, che le dava sempre un’aria dispettosa. Per non parlare poi della forma delle sue labbra. C’era chi diceva che era una stronza da campionato mondiale, ma a me aveva sempre dato l’impressione di non essere una che gode nel prevaricare gli altri, quanto una che si diverte a fare dispetti, ma in modo innocente.
“Posso chiederti un favore?” domandai. “Posso averne un sorso? Non bevo nulla da stamattina presto…”
Mi sorrise, prese la bottiglia e me la porse. Quando feci per prenderla, ritrasse la mano, poi, in un attimo, la bevve tutta.
“No” rispose con un sorriso beffardo. “È finita. Mi dispiace...”
La guardai deluso: “Non volevo scroccare,” dissi “ma sono senza soldi…”
“Potrei avere una soluzione allora…” mi disse alzandosi. “Vieni con me.”
Andò dritta per una cinquantina di metri, fino a raggiungere un porticato, ed il portone che conduceva alle scale del palazzo dove lei abitava.
Mi fece attendere fuori dal portone mentre lei entrò, chiudendoselo alle spalle.
Ne uscì dopo poco tempo.
Troppo poco perché potesse essere salita in casa, sia con l’ascensore, sia a piedi.
Aveva ancora la bottiglietta in mano, ma era quasi piena.
Il liquido all’interno era giallastro, con la schiuma bianca in cima.
In un’altra situazione avrei anche potuto confonderlo con la birra, ma era ovvio cosa fosse. Non avendo avuto materialmente il tempo per salire in casa, pensai che forse aveva trovavo un angolo, all’interno dello stabile vicino al portone d’ingresso, dove accucciarsi per farla, o più semplicemente, l’aveva fatta subito dietro il portone, con il rischio di venire colta da qualcuno che entrava o usciva.
Mi porse la bottiglia, con un sorriso divertito.
Afferrandola, la sentii umida. Il liquido all’interno era caldo. Anche la sua mano era umida. Immaginai che il getto non fosse stato preciso, almeno non all’inizio.
La stappai.
“Ma hai capito cos’è?” domandò con una certa insicurezza nella voce.
“Dimmi solo se è tua.”
“È mia.” confermò. “Appena fatta. Ma guarda che volevo solo scherzare…”
Portai la bottiglia alla bocca e cominciai a bere la sua urina. Sentii immediatamente la sapidità, l’acidità, l’intenso sapore amarognolo ed il calore riempire la mia bocca e scendere fino in gola. L’intensa sete, provata fino a quel momento, mi aiutò non poco ad ingoiare tutto senza respirare. Ma non fu la sete la motivazione principale per la quale feci quel gesto.
Quando terminai, presi un grosso respiro e le restituii la bottiglia vuota.
Mi fissava sorpresa. “Ti è piaciuta?” domandò.
Guardai i suoi occhi: “Sai cosa l’ha resa davvero buona?”
“No, cosa?”
“La consapevolezza che fosse tua,” risposi. “Sapere che era la tua urina me l’ha fatta desiderare prima di arrivare ad assaggiarla. Lo sai quanto mi piaci. Cosa devo fare per fartelo capire?”
“Sei un porcellino!” commentò con un sorriso divertito. “Non credevo lo fossi. E ti dico che questa scoperta mi affascina. Non posso crederci che ti sia piaciuta davvero…”
“Sì che mi è piaciuta,”confermai, “però questa non è comunque la migliore.”
La sorpresi. Fu quindi colta da un moto di gelosia che la indispettì: “Ah no?”
“No, decisamente.”
“E allora quale sarebbe la migliore?” domandò con tono risentito.
“Quella che mi darai la prossima volta.”
Spuntò nuovamente il sorriso sulle sue labbra: “E scommetto che vorresti bere direttamente dalla fonte, vero?”
Allargai le braccia: “La fonte è privata… Dipende tutto dalla proprietaria. Pensi che mi concederà il permesso di accedervi?”
Mi restituì uno sguardo compiaciuto: “Direi davvero che ci sono buone probabilità…”. E facendomi l’occhiolino, afferrò la bottiglietta dalle mie mani, per poi sparire nuovamente dietro il portone.
Ma un giorno accadde che, giunto al lavoro, di fronte alla pendola, realizzai di essere senza badge, portafogli e chiavetta per i distributori automatici. Complice la sonnolenza delle cinque del mattino, avevo indossato dei pantaloni puliti prendendoli dall’armadio, e messo a lavare quelli del giorno precedente, senza però vuotarne le tasche.
Non ci furono problemi per la timbratura. Mi bastò avvisare l’ufficio personale.
Il problema vero lo scoprii successivamente, quando, prima delle nove, terminai la mia bottiglietta d’acqua da mezzo litro, portata da casa.
L’azienda per cui lavoravo era molto grande ed aveva un archivio importante. Nonostante ciò, ci lavoravo da solo ed era tutto sommato un lavoro tranquillo. La sera qualcuno faceva il giro degli uffici con un carrello, raccogliendo i documenti da archiviare. La mattina arrivavo presto ed archiviavo i documenti. Ero costretto a farlo a quell’ora perché durante le ore d’ufficio, in archivio c’era un certo viavai di persone, alla ricerca di documenti vari.
Eppure, cosa che non mi era dispiaciuta affatto fino a quel giorno, con loro avevo un rapporto molto limitato, ridotto ai minimi termini ed esclusivamente basato sul lavoro. Nulla quindi che mi permettesse di farmi avanti e chiedere a qualcuno che mi portasse una bottiglietta d’acqua. Tra l’altro la macchinetta del caffè è sempre una valida scusa per prendere una pausa. Ma senza la chiavetta, né i soldi, quel giorno fui costretto a tirare dritto fino a mezzogiorno, quando mi resi conto di non potermi neanche gustare il solito panino, che, senza acqua e con la gola secca, fu duro da mandare giù e quasi mi soffocò in un’occasione. Il prosciutto crudo che avevo messo dentro poi, non fece altro che accentuare la mia sete.
Quando uscii, avevo la bocca secca e una sete da morire.
Passai dall’ufficio personale per avvisare dell’uscita, invidiando le ragazze che avevano sulla loro scrivania bevande varie.
Presi la macchina, intenzionato a parcheggiare solo quando fossi giunto di fronte al mio frigorifero.
Non avevo altro in mente, se non arrivare a casa il prima possibile.
Ma poi la vidi.
Seduta al tavolino esterno del bar, rilassata di fronte ad una bottiglia di cola, ma soprattutto sola.
Era raro per me poterci chiacchierare in solitudine, non ero molto abile a tirarla fuori dal gruppo. Mi piaceva e lo sapeva, ma si divertiva a fare la preziosa e giocare con me senza concedersi. Non volli comunque perdere l’occasione, pur sapendo che avrebbe potuto divertirsi a mie spese.
Parcheggiai a pochi passi dal bar, scesi e le andai incontro, sorridendo: “Buongiorno! Come mai da sola?”
“Di solito la gente lavora di giorno,” fu la risposta “e ora, con l’Estate, qualcuno va in ferie…”
Voltai lo sguardo sulla bottiglietta da mezzo litro di cola. Era meno della metà.
Tornai a guardarla negli occhi verdi. Non erano solo gli occhi a piacermi, ma anche il suo naso all’insù, ricoperto di lentiggini, che le dava sempre un’aria dispettosa. Per non parlare poi della forma delle sue labbra. C’era chi diceva che era una stronza da campionato mondiale, ma a me aveva sempre dato l’impressione di non essere una che gode nel prevaricare gli altri, quanto una che si diverte a fare dispetti, ma in modo innocente.
“Posso chiederti un favore?” domandai. “Posso averne un sorso? Non bevo nulla da stamattina presto…”
Mi sorrise, prese la bottiglia e me la porse. Quando feci per prenderla, ritrasse la mano, poi, in un attimo, la bevve tutta.
“No” rispose con un sorriso beffardo. “È finita. Mi dispiace...”
La guardai deluso: “Non volevo scroccare,” dissi “ma sono senza soldi…”
“Potrei avere una soluzione allora…” mi disse alzandosi. “Vieni con me.”
Andò dritta per una cinquantina di metri, fino a raggiungere un porticato, ed il portone che conduceva alle scale del palazzo dove lei abitava.
Mi fece attendere fuori dal portone mentre lei entrò, chiudendoselo alle spalle.
Ne uscì dopo poco tempo.
Troppo poco perché potesse essere salita in casa, sia con l’ascensore, sia a piedi.
Aveva ancora la bottiglietta in mano, ma era quasi piena.
Il liquido all’interno era giallastro, con la schiuma bianca in cima.
In un’altra situazione avrei anche potuto confonderlo con la birra, ma era ovvio cosa fosse. Non avendo avuto materialmente il tempo per salire in casa, pensai che forse aveva trovavo un angolo, all’interno dello stabile vicino al portone d’ingresso, dove accucciarsi per farla, o più semplicemente, l’aveva fatta subito dietro il portone, con il rischio di venire colta da qualcuno che entrava o usciva.
Mi porse la bottiglia, con un sorriso divertito.
Afferrandola, la sentii umida. Il liquido all’interno era caldo. Anche la sua mano era umida. Immaginai che il getto non fosse stato preciso, almeno non all’inizio.
La stappai.
“Ma hai capito cos’è?” domandò con una certa insicurezza nella voce.
“Dimmi solo se è tua.”
“È mia.” confermò. “Appena fatta. Ma guarda che volevo solo scherzare…”
Portai la bottiglia alla bocca e cominciai a bere la sua urina. Sentii immediatamente la sapidità, l’acidità, l’intenso sapore amarognolo ed il calore riempire la mia bocca e scendere fino in gola. L’intensa sete, provata fino a quel momento, mi aiutò non poco ad ingoiare tutto senza respirare. Ma non fu la sete la motivazione principale per la quale feci quel gesto.
Quando terminai, presi un grosso respiro e le restituii la bottiglia vuota.
Mi fissava sorpresa. “Ti è piaciuta?” domandò.
Guardai i suoi occhi: “Sai cosa l’ha resa davvero buona?”
“No, cosa?”
“La consapevolezza che fosse tua,” risposi. “Sapere che era la tua urina me l’ha fatta desiderare prima di arrivare ad assaggiarla. Lo sai quanto mi piaci. Cosa devo fare per fartelo capire?”
“Sei un porcellino!” commentò con un sorriso divertito. “Non credevo lo fossi. E ti dico che questa scoperta mi affascina. Non posso crederci che ti sia piaciuta davvero…”
“Sì che mi è piaciuta,”confermai, “però questa non è comunque la migliore.”
La sorpresi. Fu quindi colta da un moto di gelosia che la indispettì: “Ah no?”
“No, decisamente.”
“E allora quale sarebbe la migliore?” domandò con tono risentito.
“Quella che mi darai la prossima volta.”
Spuntò nuovamente il sorriso sulle sue labbra: “E scommetto che vorresti bere direttamente dalla fonte, vero?”
Allargai le braccia: “La fonte è privata… Dipende tutto dalla proprietaria. Pensi che mi concederà il permesso di accedervi?”
Mi restituì uno sguardo compiaciuto: “Direi davvero che ci sono buone probabilità…”. E facendomi l’occhiolino, afferrò la bottiglietta dalle mie mani, per poi sparire nuovamente dietro il portone.
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