Fantasy Italiano

di
genere
pulp

Priscilla Vigo, dama dell'Imperivm e maga del collegio urbinate, sedeva sul divano del salotto privato, nella sua residenza nobiliare di Capo Spartivento, quella lingua di terra che divide in due rami il lago Lariano.
La sala non aveva finestre, ma era illuminata da un alto braciere in ferro battuto, i cui bagliori si riflettevano, come onde del lago, sul lucido pavimento di marmo. Il divano era largo abbastanza perchè tre persone si potessero sedere, ben imbottito e in pelle nera, rifinita con screziature di color turchese. A destra il portone a due battenti, semicircolare, tutto bugnato, vibrava percosso da fuori, lasciando passare, per il momento, solo le grida.

" .. Le vostre accuse: Congiura contro il Re ! Spionaggio ! Commercio e Dimestichezza con la Fata del bosco ! Pratica della stregoneria da parte di voi stessa ! Nel nome della Limniade Laria, che dalla vostra magia ci protegge: aprite, o dovremo abbattere noi la porta ! "

Priscilla beveva del vino da una coppa di diaspro, era un ottimo Brachetto e non aveva intenzione di lasciarlo a quei fomentati che le avevano invaso la casa. Non era imponente, anzi minuta; con i capelli neri tagliati corti, quella camicia dall’ampio bavero aperto davanti al limite della scollatura e i pantaloni aderenti da equitazione, avrebbe potuto sembrare un efebo, non fosse stato per la finezza dei lineamenti. Gli occhi avevano quell'azzurro lattiginoso tipico della nobiltà imperiale, in cui il sangue avernale si mischiava con quello degli uomini mortali.

Gli sbirri dell'inquisitore avevano portato delle asce ed iniziavano ad abbattere il portone.
Lei si mise invece a fissare intenta la cima del braciere, orlata da un paralume rosso.
In un minuto la porta fu schiantata, quelli entrarono feroci e allo stesso tempo impauriti, stringendo daghe a lama triangolare.
Entrò poi l'inquisitore, un bell'uomo i cui capelli si indovinavano ricci sotto il cappello a tricorno. Portava con se un bastone di frassino dal pomello d'argento, che la Limniade in persona gli aveva donato perchè il male non lo potesse toccare.
Ma non ce ne fu bisogno, perchè la stanza era vuota. La strega che doveva catturare, della cui presenza si era assicurato prima di farne circondare la casa, era scomparsa da una sala senza uscite.

Priscilla sedeva sul divano del suo salotto privato, sempre lo stesso. La sola differenza in tutta la stanza era il paralume, verde invece che rosso. Si alzò e andò ad aprire il portone, chiuso a chiave dall'interno. Uscì su di un lungo balcone balaustrato, dal quale, attraverso gli archi a sesto acuto, poteva vedere dall'alto le case, le mura, e oltre le mura il colle Montagnolo e le altre colline più basse che cingono a meridione la città di Ancona.
Respirò l'aria di casa, era da molto che mancava.
In fondo alla balconata un bambinello con la divisa della servitù la fissava, non aveva mai visto aprirsi quella porta.
Lei gli concesse un sorriso.

" Jè ciuchì, vai dal maestro di palazzo. Digli che Donna Priscilla è qui."



Il Paolicchi stava prendendo un accidente rinchiuso in una cantina fredda della guarnigione imperiale a Balze, ultimo paese prima della sorgente del Tevere e del valico di confine col regno Eridano. Un posto così sperduto che non avevano neppure una prigione vera.

Paolicchi Marcello, detto Il Fagiano, il nome che usava nella lega di palla fiorentina, giù a casa sua in Tuscia. Lo chiamavano così per la sua capacità di spuntare dal nulla nel mezzo della mischia, prendere palla e saltare senza rincorsa, elevandosi sopra gli avversari e tirando in porta.
I Bianchi di Firenze avevano vinto due trofei di seguito grazie a lui, le ragazzotte bene, figlie degli artigiani delle Corporazioni, se lo litigavano a unghiate, i Rossi avevano provato una volta a comprarlo e due a rompergli le gambe per strada. Campava bene insomma.

Erano i sogni che lo avevano fregato, le aspirazioni, le fantasie ispirate dai romanzi cortesi. Voleva qualcosa di più, l’avventura vera, il pericolo, diventare un cavaliere errante o almeno un soldato di fortuna. Così, già che doveva allenarsi, aveva fatto anche esercizio con lo spadone, fino a conoscere tutte le guardie e le ruote.
Quando gli era parso di esser pronto aveva comprato una bella arma ed era partito per Roma a vedere se potesse rimediare qualche impiego da mercenario, o nella gladiatura.
Ma non aveva voluto partire a mani vuote, visto che intendeva passare per il Bosco, e da li scendere il Tevere in battello, aveva investito tutti i suoi risparmi in una partita di buon Chianti da vendere ai Fauni. Buono, era serio, non intendeva imbrogliare.. certo.. sapeva di averlo pagato la metà di quel che normalmente valeva.. ma pensava che il Buggiani gli avesse fatto un favore, e poi, via, chi poteva pensare che quelli fossero degli intenditori ?

E invece, prima tutti sorridenti, lo avevano invitato in un loro prato fuori dalla strada riservata ai mortali, poi avevano assaggiato il vino e sentito il prezzo.. gaoh, senza dire una parola avevano preso dei bastoni e gli avevano dato un fracco di legnate.
Lui a prendere le busse c’era abituato da tempo, ma quelli continuavano, a un certo punto aveva preso lui lo spadone e s’era messo a far le ruote per tenerli a distanza, non intendeva ammazzare della gente, non si poteva incolparlo se i più insistenti avevano finito per tagliarsi. Poi un sibilo e una botta terribile proprio sul coppino, le loro maledette fionde, era rimasto tramortito e quando si era svegliato era fuori dal bosco in mano ai legionari, che gli imputavano un sacco di reati di cui si riteneva innocente.

Non aveva più nulla tranne i vestiti e una tosse insistente, seduto su quella poca paglia non ancora fradicia che era riuscito a raccogliere dal pavimento.
Bella fine per un aspirante cavaliere.

Sentì sferragliare la serratura della porta, pensava fosse il guardiano, entrarono invece il Legato in persona e una matrona avvolta in un peplon candido, aderente, del tutto fuori moda.
Aveva due cofane di ricci neri ai lati della testa, naso appena troppo aquilino, fatta bene comunque.

“ A Faggià. Stai messo male “
La voce era leggermente stridula, non in maniera fastidiosa.

Il Fagiano avrebbe anche risposto, ma proprio in quell’attimo gli prese un accesso di tosse catarrosa.

“ Vada pure e chiuda la porta. Qui è affare mio. “

Il comandante della guarnigione salutò di scatto, neanche fosse davanti a un generale, e li lasciò soli.

La signora si avvicinava e lo fissava come se fosse un nuovo tipo di animale.

“ Puoi chiamarmi Camèna. “

Si rese conto che coi postumi della sassata in testa non riusciva neppure ad alzarsi, brutta figura, fu lei a mettersi sulle ginocchia e abbracciarlo da dietro, gli appoggiò la guancia sulla spalla, e questo, anche con tutta la sua situazione e malattia, non lo lasciava indifferente.

“ Ssss.. taci e stai tranquillo ..”

Sentiva un calore, poi si mise a tremare e a tossire peggio di prima, come se la febbre che già covava fosse uscita tutta in un botto.

“ Mi servi in salute… “

Era tornato anche il dolore dietro la testa e non riusciva più a muovere il collo, aveva forse fatto infezione ? Tutti i suoi malanni, che normalmente sarebbero andati avanti per giorni o settimane, stavano compiendo tutto il loro corso in pochi minuti.

“ Guarirai. Riavrai la tua spada.. “

Sospirò, i polmoni si erano liberati, ma non riusciva a tenere gli occhi aperti, lei continuava a cullarlo mentre gli parlava nell’orecchio, e lui non resisteva più al sonno.

“ Perché bisognerà scortare una dama e ci vuole un cavaliere. “

Sentì uno strappo e la testa leggera, come recisa dal corpo, ma non aveva paura, sapeva di sognare. E cadeva indietro in un torrente o qualcosa del genere, e l’acqua lo portava via.

Qualche tempo dopo, il Legato del campo, che non riusciva più a trattenere la curiosità, aprì nuovamente la porta, solo per controllare che fosse tutto a posto, e la cantina risultò vuota.
Più rassegnato che stupito ispezionò in silenzio, a passi lenti.
Dove si trovavano il prigioniero e la matrona, non rimaneva altro che una pozzanghera di acqua limpida.



ferrus_manus@hotmail.com
scritto il
2018-10-07
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