ICO “Tribute” - Una falena e una lanterna
di
Alba6990
genere
sentimentali
Ico prese la ragazza per mano. Dovevano trovare una via d’uscita. C’era solo un unico problema: non c’era!
Lei, aveva constatato, non aveva una grande forza fisica. Probabilmente aveva anche i muscoli delle gambe mezzi atrofizzati a causa del suo isolamento.
Quindi sarebbe stato impossibile farle fare quella scalata infinita verso i grandi finestroni, visto che nel mezzo della salita vi era una catena arrugginita su cui arrampicarsi.
E anche se fosse stato possibile...buttarsi giù dalla torre era un’idea tanto folle quanto cretina.
L’unica via poteva essere attraverso gli altari in pietra accanto a loro, ma non avevano la spada con loro. Sarebbe stato impossibile spingerli via, erano troppo pesanti. E poi funzionavano solo grazie alla magia legata alle rune!
“Ico.” disse tutto a un tratto la ragazza.
Lui si sorprese non poco! Come faceva a sapere il suo nome?! Lui non sapeva nemmeno come si chiamasse lei! Il tempo per i convenevoli aveva deciso di ritardarlo in un momento più adatto, dove magari non vi fosse il rischio che un mostro d’ombra uscisse dal muro!
Ma ad interessarlo ancora di più di questa questione, per lui alla fine abbastanza trascurabile, era il fatto che lei stesse indicano con la mano gli altari in pietra.
Effettivamente non aveva pensato a sfruttare la ragazza, per così dire! Lei, sicuramente, conosceva il castello meglio di lui, vi era rinchiusa da più tempo, magari sapeva alcuni segreti che avrebbero potuto tornargli utili!
Ico si diresse agli altari, mano nella mano, la ragazza al seguito che si faceva trascinare docilmente come un aquilone al vento.
Fece per parlare, ma accadde qualcosa di abbastanza imprevisto: lei si mise al centro dei quattro pilastri e dalle sue mani fuoriuscirono quelli che sembravano dei fulmini abbaglianti di luce. Ritrasse subito le mani, come se l’emettere quell’energia gliele avesse scottate, e se le portò in grembo, massaggiandosele. Nel frattempo, i fulmini assumevano la forma di un cerchio di luce folgorante, che si espanse nella pietra. Come era accaduto per la spada, gli idoli si illuminarono, gli occhi dei visi decorativi divennero quasi vivi, la pietra verde acqua brillò e gli altari si spostarono in modo ordinato.
“Come ci sei riuscita?” chiese Ico colpito.
Ma lei non rispose. Si limitò ad osservarlo calma. Lui le prese di nuovo la mano, occhi negli occhi.
Si diressero fuori.
Si trovavano su un ponte di pietra sul mare. Purtroppo, non conduceva all’esterno come Ico sperava, ma ad un’altra struttura del castello.
Lasciò la sua mano per una frazione di secondo e lei camminò con calma e allo stesso tempo decisione, verso un divano in pietra situato alla loro sinistra.
Era strano quel divano, sembrava essere fatto della stessa pietra verde acqua degli altari. Sembrava lampeggiare sotto la luce solare.
Lei si mise in piedi davanti ad un lato, guardando Ico con la stessa aria calma di prima.
Forse era stanca. Anche lui era un po’ stanco. Non da dormire, ma da sedersi un momento. In fondo, la sua giornata, non era cominciata nel migliore dei modi!
E quel divano sembrava una sorta di porto sicuro, un punto in cui potersi salvare dai pericoli della fortezza.
Quando si sedette, la ragazza seguì il suo esempio. I loro corpi rivolti quasi l’uno verso l’altro, le loro mani non si lasciavano.
Rimasero seduti così per un po’.
Lei chiuse leggermente gli occhi, come se si stesse assopendo.
Era bellissima. La sua pelle luminosa nascondeva qualsiasi tipo di imperfezione. Il profilo del suo viso poteva essere il disegno di un artista.
I capelli scompigliati e spettinati si facevano cullare dal vento, coprendole metà faccia.
Ma la cosa che rapiva di più il piccolo Ico era la sua mano. Una mano leggera, bianca, fine. La sua pelle aveva la stessa consistenza della seta morbida. Pareva una mano graziosamente spettrale. Poteva essere tranquillamente un meraviglioso fantasma.
Aveva l’aspetto di un fantasma, ma non gli faceva paura, orrore o ribrezzo. Lo incantava come una falena davanti ad una lanterna, nel buio nero e freddo della notte.
L’unico segno che dava a intendere che fosse viva, che fosse reale, era il battito del suo cuore.
Ico lo sentiva chiaramente attraverso la mano, come se si fosse trovato proprio lì nel suo palmo.
Un battito lento, calmo e ipnotico come i suoi sguardi.
Ico aveva il suo cuore tra le mani. Lo teneva stretto a sé per non lasciarlo andare.
Lei sembrava un connubio di mistero, di tristezza, di rassegnazione. Eppure, quella luce che veniva da dentro di lei la rendeva la creatura più straordinaria su cui avesse mai posato lo sguardo.
Lo portava a domandarsi chi fosse, da dove venisse, da dove venissero i suoi poteri, il perché del suo isolamento.
Ma allo stesso tempo, sapeva che non poteva chiederle niente di tutto questo.
L’incantesimo si sarebbe spezzato.
Il destino li aveva fatti incontrare, ne era sicuro.
Era stato il destino a farlo fuggire dalla sua tomba fredda e buia incastonata nel muro.
Era stato il destino a mantenere viva quella così bella luce della ragazza.
Era il destino che aveva fatto incontrare la falena e la lanterna.
Era ora di andare. Dovevano comunque muoversi.
La ragazza sembrò percepire le sue intenzioni attraverso il palmo della mano. Si stropicciò gli occhi semi assonati con la mano libera e si alzò insieme a lui.
Con il bastone da un lato e la ragazza dall’altro, Ico cominciò ad attraversare il ponte.
Il frastuono delle onde era assordante.
I piedini nudi e silenziosi seguivano il ciabattare.
E poi un altro rumore. Più forte. Più vicino. Sotto di loro.
Erano proprio in mezzo al ponte quando quella frazione di pavimento crollò.
Continua
Lei, aveva constatato, non aveva una grande forza fisica. Probabilmente aveva anche i muscoli delle gambe mezzi atrofizzati a causa del suo isolamento.
Quindi sarebbe stato impossibile farle fare quella scalata infinita verso i grandi finestroni, visto che nel mezzo della salita vi era una catena arrugginita su cui arrampicarsi.
E anche se fosse stato possibile...buttarsi giù dalla torre era un’idea tanto folle quanto cretina.
L’unica via poteva essere attraverso gli altari in pietra accanto a loro, ma non avevano la spada con loro. Sarebbe stato impossibile spingerli via, erano troppo pesanti. E poi funzionavano solo grazie alla magia legata alle rune!
“Ico.” disse tutto a un tratto la ragazza.
Lui si sorprese non poco! Come faceva a sapere il suo nome?! Lui non sapeva nemmeno come si chiamasse lei! Il tempo per i convenevoli aveva deciso di ritardarlo in un momento più adatto, dove magari non vi fosse il rischio che un mostro d’ombra uscisse dal muro!
Ma ad interessarlo ancora di più di questa questione, per lui alla fine abbastanza trascurabile, era il fatto che lei stesse indicano con la mano gli altari in pietra.
Effettivamente non aveva pensato a sfruttare la ragazza, per così dire! Lei, sicuramente, conosceva il castello meglio di lui, vi era rinchiusa da più tempo, magari sapeva alcuni segreti che avrebbero potuto tornargli utili!
Ico si diresse agli altari, mano nella mano, la ragazza al seguito che si faceva trascinare docilmente come un aquilone al vento.
Fece per parlare, ma accadde qualcosa di abbastanza imprevisto: lei si mise al centro dei quattro pilastri e dalle sue mani fuoriuscirono quelli che sembravano dei fulmini abbaglianti di luce. Ritrasse subito le mani, come se l’emettere quell’energia gliele avesse scottate, e se le portò in grembo, massaggiandosele. Nel frattempo, i fulmini assumevano la forma di un cerchio di luce folgorante, che si espanse nella pietra. Come era accaduto per la spada, gli idoli si illuminarono, gli occhi dei visi decorativi divennero quasi vivi, la pietra verde acqua brillò e gli altari si spostarono in modo ordinato.
“Come ci sei riuscita?” chiese Ico colpito.
Ma lei non rispose. Si limitò ad osservarlo calma. Lui le prese di nuovo la mano, occhi negli occhi.
Si diressero fuori.
Si trovavano su un ponte di pietra sul mare. Purtroppo, non conduceva all’esterno come Ico sperava, ma ad un’altra struttura del castello.
Lasciò la sua mano per una frazione di secondo e lei camminò con calma e allo stesso tempo decisione, verso un divano in pietra situato alla loro sinistra.
Era strano quel divano, sembrava essere fatto della stessa pietra verde acqua degli altari. Sembrava lampeggiare sotto la luce solare.
Lei si mise in piedi davanti ad un lato, guardando Ico con la stessa aria calma di prima.
Forse era stanca. Anche lui era un po’ stanco. Non da dormire, ma da sedersi un momento. In fondo, la sua giornata, non era cominciata nel migliore dei modi!
E quel divano sembrava una sorta di porto sicuro, un punto in cui potersi salvare dai pericoli della fortezza.
Quando si sedette, la ragazza seguì il suo esempio. I loro corpi rivolti quasi l’uno verso l’altro, le loro mani non si lasciavano.
Rimasero seduti così per un po’.
Lei chiuse leggermente gli occhi, come se si stesse assopendo.
Era bellissima. La sua pelle luminosa nascondeva qualsiasi tipo di imperfezione. Il profilo del suo viso poteva essere il disegno di un artista.
I capelli scompigliati e spettinati si facevano cullare dal vento, coprendole metà faccia.
Ma la cosa che rapiva di più il piccolo Ico era la sua mano. Una mano leggera, bianca, fine. La sua pelle aveva la stessa consistenza della seta morbida. Pareva una mano graziosamente spettrale. Poteva essere tranquillamente un meraviglioso fantasma.
Aveva l’aspetto di un fantasma, ma non gli faceva paura, orrore o ribrezzo. Lo incantava come una falena davanti ad una lanterna, nel buio nero e freddo della notte.
L’unico segno che dava a intendere che fosse viva, che fosse reale, era il battito del suo cuore.
Ico lo sentiva chiaramente attraverso la mano, come se si fosse trovato proprio lì nel suo palmo.
Un battito lento, calmo e ipnotico come i suoi sguardi.
Ico aveva il suo cuore tra le mani. Lo teneva stretto a sé per non lasciarlo andare.
Lei sembrava un connubio di mistero, di tristezza, di rassegnazione. Eppure, quella luce che veniva da dentro di lei la rendeva la creatura più straordinaria su cui avesse mai posato lo sguardo.
Lo portava a domandarsi chi fosse, da dove venisse, da dove venissero i suoi poteri, il perché del suo isolamento.
Ma allo stesso tempo, sapeva che non poteva chiederle niente di tutto questo.
L’incantesimo si sarebbe spezzato.
Il destino li aveva fatti incontrare, ne era sicuro.
Era stato il destino a farlo fuggire dalla sua tomba fredda e buia incastonata nel muro.
Era stato il destino a mantenere viva quella così bella luce della ragazza.
Era il destino che aveva fatto incontrare la falena e la lanterna.
Era ora di andare. Dovevano comunque muoversi.
La ragazza sembrò percepire le sue intenzioni attraverso il palmo della mano. Si stropicciò gli occhi semi assonati con la mano libera e si alzò insieme a lui.
Con il bastone da un lato e la ragazza dall’altro, Ico cominciò ad attraversare il ponte.
Il frastuono delle onde era assordante.
I piedini nudi e silenziosi seguivano il ciabattare.
E poi un altro rumore. Più forte. Più vicino. Sotto di loro.
Erano proprio in mezzo al ponte quando quella frazione di pavimento crollò.
Continua
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
ICO “Tribute” - Una falena e una lanternaracconto sucessivo
Storie di mostri - Il serpente
Commenti dei lettori al racconto erotico