Mia - Un sussurro laggiù
di
Alba6990
genere
prime esperienze
Istituto Linguistico Giacomo Larvali.
Si tratta di un liceo situato in un campus di discrete dimensioni, dentro al quale hanno sede altri due edifici: il Liceo Scientifico Golgi e il il Liceo Classico Pascoli.
Tutti e tre i complessi sono uguali tra loro, tranne che per il nome e per l’aspetto del bar all’ingresso di ogni istituto.
Il campus, dal nome ignoto, almeno per Mia, ospita in totale circa 4.000 studenti.
E Mia li sta vedendo passare uno a uno dal grosso cancellone che funge da ingresso al campus. Sembra essere quasi ipnotizzata dall’affluenza e da come ogni scuola, il cui ingresso si affaccia su un lungo porticato, inghiotta mano a mano gli adolescenti che passano.
Ormai, riesce a distinguere alla perfezione chi è del Linguistico, chi è dello Scientifico e chi è del Classico. Questo è dovuto non solo al fatto che Mia sia una delle ragazze più popolari della scuola e, di conseguenza, conosce buona parte delle persone che frequentano il campus, ma anche per una sorta di istinto.
Non è il modo di vestire, di acconciarsi i capelli o qualcosa di visibile all’occhio, ma è come se osservando le persone, ne assorbisse informazioni. Questo non solo con i suoi coetanei, facenti parte del campus, ma con qualsiasi persona.
Mia si sente come una spugna capace di assorbire emozioni e sensazioni di chi le sta attorno, arrivando a percepire dolore, contentezza, tristezza, gioia...
Quello che percepisce ora è un miscuglio di sfumature di scocciatura: scocciatura di chi non aveva voglia di alzarsi alle sei per essere a scuola puntuale, di chi non ha voglia di essere interrogato, di chi non ha studiato per il compito in classe, di chi se la vuole balzare (ergo, chi vuole bigiare la scuola), di chi ha fame ma non ha tempo di prendersi una brioche al bar...
“Te dovresti fare uno studio.”
Mia viene colta di sorpresa, anche se stava aspettando già da dieci minuti una frase pronunciata da lei.
Lei è la sua più cara amica. La conosce dall’iperuranio di Platone, come dice Lei. Lo dice sempre con una sorta di malizia, come se sapesse qualcosa che lei non sa.
Ed eccola lì, che cammina verso di lei, con un’aria che più svogliata di così si muore, con i suoi occhiali da sole e un’aula che uccide.
“Come cazzo fai a essere già così osservatrice di mattina non lo so proprio. Sembri mia madre, porca puttana.”
“Non riesco a farne a meno. Sai come sono fatta.”
“Sì, sì, assorbi la merda degli altri col solo sguardo. Manco fossi Superman.”
“Superman non spara raggi laser?”
“Non cagare il cazzo. Hai capito. Sono le otto di mattina, non fare la stronza, devo ancora mettere in piedi i neuroni.”
Mia osserva la sua amica mentre si siede sul muretto di cemento accanto a lei.
È una giornata di autunno, l’aria è abbastanza fredda nonostante ci sia il sole, ma la sua amica sembra non curarsene: stivali di pelle, parigine, gonnellina scozzese e canottiera nera.
La invidia da morire. Quella grandissima stronza è ancora con un’abbronzatura che manco le pelli più terroniche.
“Te non hai freddo? Copriti! Ci saranno 15 gradi!”
“Ma se sto sudando! Ho già i capelli che mi fanno da pelliccia!”
La sua amica si scosta i capelli da davanti al seno per fargli prendere un po’ d’aria.
Un raggio di sole le illumina i lunghi capelli dorati, lanciando quasi un riflesso sui passanti che, prontamente, si girano per ammirarla.
Mia sente invidia, gelosia e ammirazione da parte delle ragazze.
Sente un principio di erezione nei ragazzi.
“Vuoi far impazzire la gente già di mattina?”
Lei la guarda in silenzio da dietro gli occhiali da sole per qualche secondo. Mia non può vedere i suoi occhi, ma percepisce benissimo.
“Ma hai presente che cazzo mi frega di questi cazzoni che passano? Qua, a parte te e...” conta sottovoce sulle dita delle mani “...nove persone, mi stanno tutti sul cazzo.”
“Quanti ‘cazzo’ hai detto in una frase?”
“Lapsus Freudiano, vuol dire che ne ho bisogno.”
Si mettono a ridere entrambe. Alla sua amica quasi cascano gli occhiali da sole che, prontamente, mette subito a posto.
“Senti, Mia...” esordisce Lei dopo essersi alzata in piedi e aver destato altre occhiate sulle sue gambe lunghe e affusolate...o per quel gioco di vedo non vedo dei glutei sodi che non si vedono, ma si percepiscono: “...io direi che potremmo benissimo balzarcela, oggi, ma sento che accadrà qualcosa di importante, quindi io direi di alzare il culo ed entrare.”
Senza aspettare una sua risposta, si incammina sotto il portico, verso l’Istituto Linguistico.
Mia la osserva da dietro. La confidenza che ha nel camminare, il menefreghismo nei confronti di chi la giudica, la sicurezza nell’atteggiamento. Vorrebbe tanto avere lei queste sue qualità.
Vorrebbe tanto essere come lei.
Lei è la ragazza più popolare di tutto il Campus. Tutti sanno chi è, tutti vogliono conoscerla, tutti vogliono scoparsela, tutti vogliono essere lei, tutti la amano e tutti la odiano.
E a lei non frega assolutamente nulla!
Vive la sua vita come vuole, quando vuole e perché lo vuole. Non è influenzabile. Non si lascia trascinare dalla massa.
È un lupo solitario.
Mia, al contrario, è ben diversa.
Si guarda. Le unghie finte non fanno di certo per lei, così come quel modo di vestire troppo colorato e alla moda.
Il suo zaino della Eastpack è costellato di autografi da parte delle sue amiche.
Ogni lettera tatuata in modo indelebile è una stronzata bella e buona.
Mia lo sa.
Ma fa finta di niente per sopravvivere.
Lei non si sente affatto un lupo. È una pecora.
Una pecora che decide di rincorrere una lupa.
“Che intendevi con il fatto che secondo te oggi accade qualcosa di importante?” Chiede alla sua amica una volta raggiunta.
Lei non risponde, continua a camminare.
“Dài, adesso sono curiosa! Te e le tue frasi criptiche!”
“Mia, sto morendo di sonno. Se indossi gli occhiali da sole non è per fare la figa, ma per coprire i miei occhi a tapparella. Non avrò voglia di discorsi troppo elaborati finché non mi sarò presa il mio cappuccino.”
Mia si ferma improvvisamente.
Una fitta al ventre improvvisa.
Ma che cos’è? È tutta la mattina che non sta benissimo.
“Senti, scusa, non è che avresti un OKI?”
“Niente OKI. Vai a prenderlo da quella farmacia ambulante che è la tua amica Silvia. Sono sicura che oltre ai lassativi per stare magra avrà anche quello. Cos’hai?”
“Mal di pancia strano.”
“Devi andare al cesso?”
“Che finezza...”
“Sempre e comunque. Ale! Un cappuccino!” La sua amica quasi urla al ragazzo dietro al bancone del bar che hanno appena raggiunto.
Lui le sfoggia un caloroso saluto e si mette subito all’opera.
“Allora: devi andare in bagno?”
“No, non è quello. Non lo so.”
...Mia...
Un sussurro.
Si gira di colpo verso il corridoio che porta verso le scale.
E lo vede.
Laggiù, in piedi.
O almeno, crede sia in piedi.
Non tocca nemmeno terra.
Che diavolo ci fa lì?
Non lo vede da ormai tanti anni.
Ha l’aria amichevole come al solito, ma sembra strano.
“C’è qualcuno.” dice la sua amica mentre, ferma immobile davanti al bancone, aspetta il suo cappuccino.
Mia la osserva.
Ha la pelle d’oca.
Lo sguardo fisso verso l’alto.
Sembra un’antenna che sta cercando di captare un segnale.
Mia si gira di nuovo.
Lui è ancora laggiù.
Nessuno lo vede.
Nessuno lo sente.
Lo vede solo lei.
Lo sente solo lei.
La sua amica forse l’ha percepito, ma non del tutto.
Quella visione aspetta Mia.
“Amoooo!”
“Ed è qui che finisce la magia.” dice la sua amica con aria scocciata, tornata sulla Terra. Il suo cappuccino è arrivato.
Mia distoglie lo sguardo dall’essere, cercando di riprendere contatto con la realtà è cercando di sembrare il più normale possibile.
Il suo gruppo di amiche è arrivato.
Le cosiddette amiche.
Le classiche “mean girls” della situazione.
Le classiche ragazze che tutti conoscono.
Le classiche pettegole.
Le classiche ragazze tutta apparenza e zero cervello.
O zero personalità.
Mia fa parte di loro, ormai.
Per sopravvivere.
“Miaaa!” Con la voce da gallina, Silvia la saluta schioccandole due fin troppo appiccicosi baci sulle guance.
Mia sente un’odore intensissimo di Big Babol provenire dalla bocca color prugna della ragazza. Il suono del masticare la infastidisce, così come l’odore forte della cicca e della saliva mescolate insieme.
Tra un movimento di mascella e l’altro, Silvia comincia già a spettegolare su Tizio che si è lasciato con Tizia, perché quella puttana di Tizia si è lasciata scopare da Tipo e quindi Tizio, per ripicca, si è scopato la sorella di Tizia.
Mia cerca di seguire quel poco di filo logico che contiene il discorso.
...Mia...
Di nuovo il sussurro.
Lui è ancora laggiù.
La aspetta.
La chiama.
Lei si chiede nuovamente cosa ci faccia qui.
Perché si è fatto vedere ora?
Perché lei lo sta vedendo?
Perché il mal di pancia è aumentato al sentire quella voce chiamare il suo nome?
La voce di Silvia aumenta di volume. Non è lei, ma le sue orecchie. Silvia continua a masticare la cicca, cercando di fare un pallone ogni cinque secondi e facendola schioccare sul palato. Agita le mani con una nail art palesemente pacchiana su delle unghie palesemente finte.
Le sue sopracciglia disegnate a regola d’arte cominciano a muoversi drasticamente sul suo viso coperto di fondotinta e da quattro chili di trucco, sembrando due gabbiani che volano in un cielo sporco e opaco.
Tipa è andata a ballare e ha visto Coso farsi Tale, ma Tale non voleva smollarla e ha fatto una scenata davanti a Coso e Tipa l’ha detto alla Suaamica che l’ha detto a tutti e quindi Tale è una frigida del cazzo perché non ha fatto una pompa a Coso.
Il suono della voce da oca di Silvia diventa più alto, supera di gran lunga i decibel sopportabili dal suo povero orecchio.
...Mia...
Le voci attorno a loro si intensificano.
Mia sente un baccano assordante.
Troppe voci tutte assieme.
E riesce perfettamente a distinguerle.
Giulia parla con Giusy del nuovo tronista di “Uomini e Donne”, Marco racconta a Pietro di quanto Giada sia una facile che gliel’ha data la sera prima su un piatto d’argento, Paola sta per avere una crisi di pianto perché non ha studiato Socrate per Filosofia e tra cinque minuti ha la verifica, quattro studentesse del primo anno vogliono una un cappuccino, una una brioche vegana, una un caffè con latte di soia e una un ginseng, Ale il barista parla con Luca il barista della serata all’Alcatraz di sabato...
Troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci...
Mia.
La cicca di Silvia.
*POP*
Passi sul pavimento.
*TIP TAP*
Un motorino che arriva.
*VROOOOM*
*POP*
Un messaggio su un cellulare.
*PLING*
*TIP TAP*
Stoviglie nel lavello.
*CRASH*
*POP*
*TIP TAP*
*PLING*
La sua amiche che si gusta il cappuccino.
*SLURP*
*POP*
*PLING*.
Suoni.
Troppi suoni.
Troppe voci.
Troppi suoni troppe voci troppi suoni troppe voci troppi suoni troppe voci troppi sionij troppe voolci troppppi suoni ttoppe voci
“Ehi stronza! Mi stai cagando?!”
*POP*
Silvia quasi le urla addosso.
La puzza della sua cicca e del suo profumo dozzinale sono troppo intensi.
Mia è sull’orlo di una crisi.
Lui è là!
La sua vera amica ha appena finito di bere: “Stronza lo dici a qualcun altro.”
“Oh, ma ciao! Che cazzo vuoi?! Solo perché pensi di essere la più figa non significa che puoi aprire quella bocca a sproposito, zia!”
“Puoi stare zitta? Mi fai venire i nervi. E li stai facendo venire anche a Mia.”
“Io parlo quanto cazzo voglio! Ma vedi te sta puttana dimmmmeeeerdaaaa!”
*POP*
“Tu prova ancora ad aprire la bocca e a fare un altro POP che ti giro la faccia con una sberla!”
Mia assiste all’amica che la difende contro la tiranna.
Fa di tutto per ascoltare e compiacere la tiranna, ma sta male.
Non capisce più niente.
Il mal di pancia è insostenibile.
È sull’orlo delle lacrime.
Le manca il fiato.
Lui è laggiù.
La guarda fisso.
Sorride.
MA PERCHÉ CAZZO È LÌ?!
MIA!!!
Lo urla e non lo sente nessuno.
Per un attimo Mia non l’ha percepito come il suo nome, ma come un atto di proprietà.
La sua amica sta per arrivare alle mani, quando si ferma di colpo.
Annusa l’aria come un cane.
Punta il naso al basso ventre di Mia: “Sangue.”
Mia abbassa gli occhi. I suoi jeans sono completamente macchiati di rosso.
Continua
Si tratta di un liceo situato in un campus di discrete dimensioni, dentro al quale hanno sede altri due edifici: il Liceo Scientifico Golgi e il il Liceo Classico Pascoli.
Tutti e tre i complessi sono uguali tra loro, tranne che per il nome e per l’aspetto del bar all’ingresso di ogni istituto.
Il campus, dal nome ignoto, almeno per Mia, ospita in totale circa 4.000 studenti.
E Mia li sta vedendo passare uno a uno dal grosso cancellone che funge da ingresso al campus. Sembra essere quasi ipnotizzata dall’affluenza e da come ogni scuola, il cui ingresso si affaccia su un lungo porticato, inghiotta mano a mano gli adolescenti che passano.
Ormai, riesce a distinguere alla perfezione chi è del Linguistico, chi è dello Scientifico e chi è del Classico. Questo è dovuto non solo al fatto che Mia sia una delle ragazze più popolari della scuola e, di conseguenza, conosce buona parte delle persone che frequentano il campus, ma anche per una sorta di istinto.
Non è il modo di vestire, di acconciarsi i capelli o qualcosa di visibile all’occhio, ma è come se osservando le persone, ne assorbisse informazioni. Questo non solo con i suoi coetanei, facenti parte del campus, ma con qualsiasi persona.
Mia si sente come una spugna capace di assorbire emozioni e sensazioni di chi le sta attorno, arrivando a percepire dolore, contentezza, tristezza, gioia...
Quello che percepisce ora è un miscuglio di sfumature di scocciatura: scocciatura di chi non aveva voglia di alzarsi alle sei per essere a scuola puntuale, di chi non ha voglia di essere interrogato, di chi non ha studiato per il compito in classe, di chi se la vuole balzare (ergo, chi vuole bigiare la scuola), di chi ha fame ma non ha tempo di prendersi una brioche al bar...
“Te dovresti fare uno studio.”
Mia viene colta di sorpresa, anche se stava aspettando già da dieci minuti una frase pronunciata da lei.
Lei è la sua più cara amica. La conosce dall’iperuranio di Platone, come dice Lei. Lo dice sempre con una sorta di malizia, come se sapesse qualcosa che lei non sa.
Ed eccola lì, che cammina verso di lei, con un’aria che più svogliata di così si muore, con i suoi occhiali da sole e un’aula che uccide.
“Come cazzo fai a essere già così osservatrice di mattina non lo so proprio. Sembri mia madre, porca puttana.”
“Non riesco a farne a meno. Sai come sono fatta.”
“Sì, sì, assorbi la merda degli altri col solo sguardo. Manco fossi Superman.”
“Superman non spara raggi laser?”
“Non cagare il cazzo. Hai capito. Sono le otto di mattina, non fare la stronza, devo ancora mettere in piedi i neuroni.”
Mia osserva la sua amica mentre si siede sul muretto di cemento accanto a lei.
È una giornata di autunno, l’aria è abbastanza fredda nonostante ci sia il sole, ma la sua amica sembra non curarsene: stivali di pelle, parigine, gonnellina scozzese e canottiera nera.
La invidia da morire. Quella grandissima stronza è ancora con un’abbronzatura che manco le pelli più terroniche.
“Te non hai freddo? Copriti! Ci saranno 15 gradi!”
“Ma se sto sudando! Ho già i capelli che mi fanno da pelliccia!”
La sua amica si scosta i capelli da davanti al seno per fargli prendere un po’ d’aria.
Un raggio di sole le illumina i lunghi capelli dorati, lanciando quasi un riflesso sui passanti che, prontamente, si girano per ammirarla.
Mia sente invidia, gelosia e ammirazione da parte delle ragazze.
Sente un principio di erezione nei ragazzi.
“Vuoi far impazzire la gente già di mattina?”
Lei la guarda in silenzio da dietro gli occhiali da sole per qualche secondo. Mia non può vedere i suoi occhi, ma percepisce benissimo.
“Ma hai presente che cazzo mi frega di questi cazzoni che passano? Qua, a parte te e...” conta sottovoce sulle dita delle mani “...nove persone, mi stanno tutti sul cazzo.”
“Quanti ‘cazzo’ hai detto in una frase?”
“Lapsus Freudiano, vuol dire che ne ho bisogno.”
Si mettono a ridere entrambe. Alla sua amica quasi cascano gli occhiali da sole che, prontamente, mette subito a posto.
“Senti, Mia...” esordisce Lei dopo essersi alzata in piedi e aver destato altre occhiate sulle sue gambe lunghe e affusolate...o per quel gioco di vedo non vedo dei glutei sodi che non si vedono, ma si percepiscono: “...io direi che potremmo benissimo balzarcela, oggi, ma sento che accadrà qualcosa di importante, quindi io direi di alzare il culo ed entrare.”
Senza aspettare una sua risposta, si incammina sotto il portico, verso l’Istituto Linguistico.
Mia la osserva da dietro. La confidenza che ha nel camminare, il menefreghismo nei confronti di chi la giudica, la sicurezza nell’atteggiamento. Vorrebbe tanto avere lei queste sue qualità.
Vorrebbe tanto essere come lei.
Lei è la ragazza più popolare di tutto il Campus. Tutti sanno chi è, tutti vogliono conoscerla, tutti vogliono scoparsela, tutti vogliono essere lei, tutti la amano e tutti la odiano.
E a lei non frega assolutamente nulla!
Vive la sua vita come vuole, quando vuole e perché lo vuole. Non è influenzabile. Non si lascia trascinare dalla massa.
È un lupo solitario.
Mia, al contrario, è ben diversa.
Si guarda. Le unghie finte non fanno di certo per lei, così come quel modo di vestire troppo colorato e alla moda.
Il suo zaino della Eastpack è costellato di autografi da parte delle sue amiche.
Ogni lettera tatuata in modo indelebile è una stronzata bella e buona.
Mia lo sa.
Ma fa finta di niente per sopravvivere.
Lei non si sente affatto un lupo. È una pecora.
Una pecora che decide di rincorrere una lupa.
“Che intendevi con il fatto che secondo te oggi accade qualcosa di importante?” Chiede alla sua amica una volta raggiunta.
Lei non risponde, continua a camminare.
“Dài, adesso sono curiosa! Te e le tue frasi criptiche!”
“Mia, sto morendo di sonno. Se indossi gli occhiali da sole non è per fare la figa, ma per coprire i miei occhi a tapparella. Non avrò voglia di discorsi troppo elaborati finché non mi sarò presa il mio cappuccino.”
Mia si ferma improvvisamente.
Una fitta al ventre improvvisa.
Ma che cos’è? È tutta la mattina che non sta benissimo.
“Senti, scusa, non è che avresti un OKI?”
“Niente OKI. Vai a prenderlo da quella farmacia ambulante che è la tua amica Silvia. Sono sicura che oltre ai lassativi per stare magra avrà anche quello. Cos’hai?”
“Mal di pancia strano.”
“Devi andare al cesso?”
“Che finezza...”
“Sempre e comunque. Ale! Un cappuccino!” La sua amica quasi urla al ragazzo dietro al bancone del bar che hanno appena raggiunto.
Lui le sfoggia un caloroso saluto e si mette subito all’opera.
“Allora: devi andare in bagno?”
“No, non è quello. Non lo so.”
...Mia...
Un sussurro.
Si gira di colpo verso il corridoio che porta verso le scale.
E lo vede.
Laggiù, in piedi.
O almeno, crede sia in piedi.
Non tocca nemmeno terra.
Che diavolo ci fa lì?
Non lo vede da ormai tanti anni.
Ha l’aria amichevole come al solito, ma sembra strano.
“C’è qualcuno.” dice la sua amica mentre, ferma immobile davanti al bancone, aspetta il suo cappuccino.
Mia la osserva.
Ha la pelle d’oca.
Lo sguardo fisso verso l’alto.
Sembra un’antenna che sta cercando di captare un segnale.
Mia si gira di nuovo.
Lui è ancora laggiù.
Nessuno lo vede.
Nessuno lo sente.
Lo vede solo lei.
Lo sente solo lei.
La sua amica forse l’ha percepito, ma non del tutto.
Quella visione aspetta Mia.
“Amoooo!”
“Ed è qui che finisce la magia.” dice la sua amica con aria scocciata, tornata sulla Terra. Il suo cappuccino è arrivato.
Mia distoglie lo sguardo dall’essere, cercando di riprendere contatto con la realtà è cercando di sembrare il più normale possibile.
Il suo gruppo di amiche è arrivato.
Le cosiddette amiche.
Le classiche “mean girls” della situazione.
Le classiche ragazze che tutti conoscono.
Le classiche pettegole.
Le classiche ragazze tutta apparenza e zero cervello.
O zero personalità.
Mia fa parte di loro, ormai.
Per sopravvivere.
“Miaaa!” Con la voce da gallina, Silvia la saluta schioccandole due fin troppo appiccicosi baci sulle guance.
Mia sente un’odore intensissimo di Big Babol provenire dalla bocca color prugna della ragazza. Il suono del masticare la infastidisce, così come l’odore forte della cicca e della saliva mescolate insieme.
Tra un movimento di mascella e l’altro, Silvia comincia già a spettegolare su Tizio che si è lasciato con Tizia, perché quella puttana di Tizia si è lasciata scopare da Tipo e quindi Tizio, per ripicca, si è scopato la sorella di Tizia.
Mia cerca di seguire quel poco di filo logico che contiene il discorso.
...Mia...
Di nuovo il sussurro.
Lui è ancora laggiù.
La aspetta.
La chiama.
Lei si chiede nuovamente cosa ci faccia qui.
Perché si è fatto vedere ora?
Perché lei lo sta vedendo?
Perché il mal di pancia è aumentato al sentire quella voce chiamare il suo nome?
La voce di Silvia aumenta di volume. Non è lei, ma le sue orecchie. Silvia continua a masticare la cicca, cercando di fare un pallone ogni cinque secondi e facendola schioccare sul palato. Agita le mani con una nail art palesemente pacchiana su delle unghie palesemente finte.
Le sue sopracciglia disegnate a regola d’arte cominciano a muoversi drasticamente sul suo viso coperto di fondotinta e da quattro chili di trucco, sembrando due gabbiani che volano in un cielo sporco e opaco.
Tipa è andata a ballare e ha visto Coso farsi Tale, ma Tale non voleva smollarla e ha fatto una scenata davanti a Coso e Tipa l’ha detto alla Suaamica che l’ha detto a tutti e quindi Tale è una frigida del cazzo perché non ha fatto una pompa a Coso.
Il suono della voce da oca di Silvia diventa più alto, supera di gran lunga i decibel sopportabili dal suo povero orecchio.
...Mia...
Le voci attorno a loro si intensificano.
Mia sente un baccano assordante.
Troppe voci tutte assieme.
E riesce perfettamente a distinguerle.
Giulia parla con Giusy del nuovo tronista di “Uomini e Donne”, Marco racconta a Pietro di quanto Giada sia una facile che gliel’ha data la sera prima su un piatto d’argento, Paola sta per avere una crisi di pianto perché non ha studiato Socrate per Filosofia e tra cinque minuti ha la verifica, quattro studentesse del primo anno vogliono una un cappuccino, una una brioche vegana, una un caffè con latte di soia e una un ginseng, Ale il barista parla con Luca il barista della serata all’Alcatraz di sabato...
Troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci troppe voci...
Mia.
La cicca di Silvia.
*POP*
Passi sul pavimento.
*TIP TAP*
Un motorino che arriva.
*VROOOOM*
*POP*
Un messaggio su un cellulare.
*PLING*
*TIP TAP*
Stoviglie nel lavello.
*CRASH*
*POP*
*TIP TAP*
*PLING*
La sua amiche che si gusta il cappuccino.
*SLURP*
*POP*
*PLING*.
Suoni.
Troppi suoni.
Troppe voci.
Troppi suoni troppe voci troppi suoni troppe voci troppi suoni troppe voci troppi sionij troppe voolci troppppi suoni ttoppe voci
“Ehi stronza! Mi stai cagando?!”
*POP*
Silvia quasi le urla addosso.
La puzza della sua cicca e del suo profumo dozzinale sono troppo intensi.
Mia è sull’orlo di una crisi.
Lui è là!
La sua vera amica ha appena finito di bere: “Stronza lo dici a qualcun altro.”
“Oh, ma ciao! Che cazzo vuoi?! Solo perché pensi di essere la più figa non significa che puoi aprire quella bocca a sproposito, zia!”
“Puoi stare zitta? Mi fai venire i nervi. E li stai facendo venire anche a Mia.”
“Io parlo quanto cazzo voglio! Ma vedi te sta puttana dimmmmeeeerdaaaa!”
*POP*
“Tu prova ancora ad aprire la bocca e a fare un altro POP che ti giro la faccia con una sberla!”
Mia assiste all’amica che la difende contro la tiranna.
Fa di tutto per ascoltare e compiacere la tiranna, ma sta male.
Non capisce più niente.
Il mal di pancia è insostenibile.
È sull’orlo delle lacrime.
Le manca il fiato.
Lui è laggiù.
La guarda fisso.
Sorride.
MA PERCHÉ CAZZO È LÌ?!
MIA!!!
Lo urla e non lo sente nessuno.
Per un attimo Mia non l’ha percepito come il suo nome, ma come un atto di proprietà.
La sua amica sta per arrivare alle mani, quando si ferma di colpo.
Annusa l’aria come un cane.
Punta il naso al basso ventre di Mia: “Sangue.”
Mia abbassa gli occhi. I suoi jeans sono completamente macchiati di rosso.
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