Storie di mostri - Il collezionista

di
genere
pulp

Amedeo si aggiustò la cravatta al grande specchio della sua camera.
Quella cravatta era un regalo di suo padre, passato a miglior vita circa tre anni prima. E Amedeo la portava con grande orgoglio.
Nella sua vita, aveva ricevuto pochi reali gesti di affetto da parte del padre, ma sicuramente aveva ricevuto grandi lezioni.
D’altronde, la loro era una famiglia di grandi imprenditori e il buon nome andava rispettato con la massima cura.
Amedeo era cresciuto nella bambagia, per così dire. Non aveva mai ricevuto un no come risposta e qualora trovasse qualcuno incapace di dire subito di sì, lui sapeva come giostrarsi per rigirare la situazione a suo vantaggio.
Era dotato di un grande carisma, sin da piccolo. Una qualità indubbiamente ereditata dal padre.
Come il suo fascino. Ma d’altronde, quale uomo ricco e potente è privo di fascino?
Pure un vecchio bavoso impotente desta fascino se ha il portafoglio gonfio.
Uomini e donne ti fanno la corte in continuazione se hai quella cosa che tutti bramano. Ed è qualcosa di decisamente più soddisfacente del sesso o di un orgasmo.
Il Potere.
Quando il mondo ti guarda dal basso. Quando ti amano e ti temono allo stesso tempo.
Quando ti assumono come modello perfetto.
Quando risuona l’esclamazione: “Quanto vorrei essere come lui o lei.”
Quella sensazione, diventa una sorta di scarica di adrenalina, di puro piacere che ti scorre nelle vene.
E quando hai i soldi e la capacità per poterli controllare, allora hai il Potere.
Non c’è niente che non si possa comprare, era solito dire suo padre.
E Amedeo si era portato quell’insegnamento come un santino.
“Signore?” Battista aveva bussato alla porta della camera.
Era molto affezionato a quel maggiordomo. Lo aveva praticamente cresciuto e aveva l’aria del tipico maggiordomo inglese che si può vedere in qualsiasi film o serie tv.
Fin da piccolo, aveva trovato davvero curioso il suo nome: si chiamava esattamente come il maggiordomo che lavora per Paperone nei suoi fumetti.
Amedeo era sempre stato un grande fan di Paperino e della sua famiglia e aveva riso per settimane al suono di quel nome.
Anche il modo in cui era stato assunto era molto simile a quello del Battista “originale”: aveva preparato un pasto succulento per suo padre, quando lavorava come cuoco, con i pochissimi ingredienti presenti nella dispensa.
“Entra pure, Battista. Potresti darmi un parere sul mio aspetto.” disse Amedeo con un sorriso rivolto alla porta.
Battista “reale” entrò nella stanza: “Sta molto bene, signore.”
“Oh, andiamo, Battista! Mi conosci da vent’anni e ancora mi dai del lei!” esclamò lui con una risata. Va bene avere il Potere, ma aveva comunque un cuore.
“Lo faccio in segno di rispetto, signore.” rispose lui con sorriso.
Aveva un sorriso capace di scaldare chiunque. Ad Amedeo ricordava molto il nonno che non aveva mai avuto il piacere di conoscere. Era morto quando ancora era troppo piccolo anche solo per ricordare. Un ictus.
Battista aveva preso le sue parti.
“E va bene. So che non posso convertirti all’informalità. Almeno, da buon amico, dammi un parere sulla cravatta che indosso.”
“Se posso permettermi, signore, credo che per l’occasione sarebbe meglio indossasse un papillon.”
“Andiamo, Battista. Ancora che cerchi di mettermi quel fiocchetto da cameriere al collo? Sono irremovibile sul papillon quanto te sul darmi del tu, amico mio.”
“Lo so bene, signore. Ma ci provo comunque.” replicò Battista con un sorriso bonario. “Comunque, credo sia meglio una cravatta dal colore basico più scuro. Senza fantasie.” Battista si diresse verso il cassetto dedicato alle cravatte, con un’andatura quasi regale.
“Qualcosa del genere, signore. Che ne dite?” propose una cravatta blu scuro, porgendola all’uomo di fronte a lui con delicatezza.
“Sapevo di poter contare su un tuo consiglio.” disse lui girandosi nuovamente verso lo specchio.
“Effettivamente questa non mi convinceva, molto. Comunque sei entrato per un motivo, non di certo perché avessi intuito che avevo bisogno di suggerimenti sulle cravatte.”
“Sì, signore. Volevo informarvi che i suoi ospiti sono tutti arrivati e hanno cominciato a godersi la festa.”
“Molto bene. Scenderò immediatamente.” e si aggiustò la cravatta prescelta.
“Ah e volevo anche informarvi, signore, che la signorina Caterina è arrivata.”
Amedeo sorrise davanti al suo riflesso.
“Arrivo. Ottima scelta, Battista.” concluse dandosi un’ultima occhiata soddisfatta.

“Amedeo!” esclamò la ragazza vendendogli incontro dal soggiorno formale. Quando la vide, gli brillarono gli occhi.
“Sorellina!” esclamò lui prendendola tra le braccia e stringendola a sé.
Caterina era sempre stata una sorta di scricciolo quando la abbracciava, aveva sempre paura di romperla.
“Attento! Mi rovini il vestito!” rise lei.
“Ah beh mi scusi, signorina, se ho osato abbracciare mia sorella che non vedo da mesi!” risero entrambi.
Amedeo era platonicamente innamorato di lei. Per carità, non aveva mai pensato a lei in una maniera sessuale, ma la trovava davvero bellissima. Una di quelle bellezze che ricordano la Svezia, con la pelle di porcellana, gli occhi azzurri come il cielo è i capelli quasi bianchi talmente erano biondi. Slanciata e aggraziata come una gazzella, aveva le gambe lunghissime.
Più volte, nel tempo, aveva attirato lo sguardo di altri uomini, creando in lui una gelosia fraterna molto forte.
Nessun poteva toccare il suo Bucaneve.
Era questo il suo soprannome, da quando erano piccoli. Gli era sempre parsa un fiore stupendo e delicato, ma allo stesso tempo forte e fiero che si erge e fiorisce anche nelle situazioni più difficili.
“Ho visto che la tua linea di abbigliamento sta andando a gonfie vele!”
“Sono i vantaggi di una fashion blogger con i mezzi giusti!”
Si ricordava bene questa sua passione per la moda. Caterina aveva cominciato con delle foto dei suoi outfit su Instagram, per poi aprire un blog su Internet.
In poco più di un anno aveva fatto un successo abnorme. Gente che condivideva i suoi articoli, le sue foto, che complimentava i disegni dei suoi vestiti.
E adesso eccola qua. Con il sogno di lanciare una sua linea realizzato.
“Questo è uno dei tuoi, vero?” chiese Amedeo toccando il suo vestito. Un abito a sirena color blu elettrico, con ricamata lungo il visto quella che sembrava una ghirlanda di fiori luccicanti dello stesso colore.
“Allora sei ben informato sui miei lavori!” rispose lei con un sorriso scherzoso.
“E come non potrei? Ti va se beviamo qualcosa?” disse lui dirigendosi verso il bar, mentre gli altri invitati lo fermavano ad ogni passo per stringergli la mano.

Tra gli invitati, ve n’era uno in particolare abbastanza sgradito. Così sgradito che non era stata richiesta la sua presenza. Si trattava di Luigi.
Luigi era un lontano cugino di Amedeo e Caterina, sesso dipendente.
La sua dipendenza lo aveva portato ad intraprendere un vero e proprio percorso di disintossicazione. I soldi che possedeva, li aveva gettati in rapporti con prostitute di ogni sorta: escort, ragazze prese dalla strada, camgirl e chiunque accettasse i suoi soldi.
Più volte era stato arrestato per atti osceni in luogo pubblico e ancora più spesso era stato preso a schiaffi dalle studentesse che prendevano la metro. Sembrava non rendersi conto che appoggiare la propria erezione sulle natiche di una ragazza ignara non fosse un metodo di abbordaggio valido.
Luigi era anche dipendente dai siti pornografici. Nel suo computer si potevano trovare innumerevoli cartelle contendenti video e immagini a contenuto sessuale e quasi sempre era impegnato a masturbarsi davanti alla tastiera.
Persone come Luigi potevano essere un grande imbarazzo per una famiglia dal nome così importante come la loro.
Ma Amedeo gli voleva comunque bene. Più volte, da piccoli, si erano ritrovati a giocare nell’immenso giardino di casa o a lanciare scherzi fanciulleschi alle insegnanti a scuola. Secondo Amedeo ogni essere umano aveva dei difetti, alcuni più complessi e marcati di altri, ma comunque difetti. E i difetti si potevano correggere, in qualche modo.
Con i suoi soldi, soprattutto.
Perciò aveva pagato lui i vari aiuto psicologico per Luigi. E negli anni era migliorato molto! Certo, ogni tanto c’era una ricaduta, ma si stava riprendendo.
Amedeo, però, non era a conoscenza di un’altra fissazione di Luigi. Il suo Bucaneve.
Luigi aveva sempre ricercato un surrogato di Caterina, anche nella scelta delle donne da importunare o di quelle con cui avere un rapporto sessuale. Persino le donne dei suoi porno somigliavano a lei.
E quando Luigi la vide al bar, intenta a ridere come una ragazzina alle battute del suo adorato fratello, accarezzata dalla seta del suo vestito, il corpo che gridava di essere guardato, adorato, al centro delle fantasie di chiunque nella stanza, lui non resistette.
Senza un minimo di contegno, abbassò la zip dei suoi pantaloni di velluto, infilò una mano ed estrasse il membro già duro.
Fu indisturbato nella sua masturbazione per pochi secondi, prima che una donna urlò facendo cadere il bicchiere di champagne che si stava gustando.
Amedeo e Caterina si voltarono per capire cosa stesse succedendo e lo spettacolo li sconvolse.
La rabbia ribollì nelle vene di Amedeo come lava incandescente, notando dove si poggiava lo sguardo di suo cugino: sua sorella.
Come osava?! Dopo tutti gli aiuti che gli aveva dato, le possibilità che gli aveva concesso e i soldi che gli aveva fornito, quel mentecatto lo ripagava facendosi una sega sulla sorella!
“Ma sei impazzito?!”
“Cate...andiamo in bagno!” da come biascicava, Luigi doveva essere anche ubriaco marcio. Ci mancava solo l’alcolismo tra i suoi handicap!
Amedeo non chiamò nemmeno la sicurezza. Ci pensò lui a prenderlo per il colletto della camicia, trascinarlo fuori e gonfiarlo di botte.
“Mia sorella?! Tu sei malato di mente! Lurido stronzo!” esclamò mollandogli un pugno sullo zigomo destro.
“Dopo tutto quello che ho fatto! Il bene che ti ho voluto, tu ti fai una sega sulla mia sorellina?!” Amedeo era una furia, nonostante il povero Luigi fosse strapazzato a terra e incapace di capire da dove arrivassero i colpi, lui lo stava riempiendo di calci.
“Amedeo! Andiamo, basta! Così lo ammazzi!” a parlare era stato Carl, un amico di Amedeo proveniente dall’Inghilterra.
Finalmente, lasciò stare il moribondo, sistemandosi il vestito e la cravatta scelta con tanta cura da Battista. Carl era sempre stato una sorta di mediatore delle lotte tra familiari. Secondo lui la famiglia era la cosa più importante e alcun litigio poteva sfasciarla. Insegnamento che Amedeo, ricordò, aveva ricevuto anche da suo padre.
Il pensiero del padre che osservava dall’alto, lo calmò: “Mi dispiace per questo putiferio, Carl, ma quando si tratta di mia sorella...”
“...tu vedi rosso, lo so.” rispose con un marcato accento londinese.
“Ma si tratta comunque di tuo cugino. E poi, questa festa è troppo bella per essere rovinata dalla sua dipendenza.” sentenziò spalancando il braccio, con cui teneva in mano un bicchiere di bourbon, verso la magione.
“Inoltre, vorrei ricordarti che tra pochi minuti sarà il momento di partecipare all’asta.” disse sfilando un orologio da taschino e controllando l’ora.
Amedeo sembrò quasi sollevarsi.
L’asta. Il momento preferito delle sue feste.
“Certamente, amico mio. Comincia a raggiungere i nostri amici al piano inferiore, io vado a vedere come sta Caterina, a rassicurare gli ospiti e poi arrivo.”

Caterina stava fumando una sigaretta sulla balconata che dava sul parco.
Le era sempre piaciuto andare lì, era come un luogo di pace per i suoi pensieri.
Le piaceva anche perché la vista le offriva uno spettacolo naturale degno di nota: la luna piena alta nel cielo, gli alberi che parevano raggiungere quell’alba di perla allungandosi con i rami. La luce bianca e pura che illuminava il paesaggio e il lago, rendendolo una distesa luccicante di diamanti. Il bubolare di un gufo lontano.
Quel paesaggio le ricordava tanto la sua poesia preferita: “L’assiuolo” di Pascoli.
Caterina la trovava una poesia magnifica. La musicalità nelle sue strofe, l’aurea lugubre che emanava e allo stesso tempo così affascinante, l’interrogativo del poeta sul destino e sul mistero che incombe sull’uomo. E poi le onomatopee le erano sempre piaciute tra le figure retoriche.
Cominciò a recitarla, tra una boccata e l’altra: “Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano meglio a vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...”
Caterina portò la sigaretta alla bocca, la poggiò tra le labbra, aspirò il suo veleno e poi continuò: “Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,” poco le importava che stesse osservando un lago e non il mare “sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un singulto,
com’eco di un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...”
Il gufo fece il suo verso. Il suo bubolare lontano nell’oscurità. Caterina riusciva ad immaginarlo in mezzo agli alberi: quesì suoi occhi grandi, enormi, curiosi e profondi. In quel momento ai confini della realtà, pensò che lei stessa poteva essere quel gufo. Dagli occhi grandi, enormi, curiosi e profondi. Capaci di vedere ogni cosa, di percepire ogni cosa.
Eppure non era riuscita mai a capire come mai a suo fratello piacessero tanto queste aste segrete che organizzava con altri uomini. Non riusciva mai a comprendere come mai fosse così contento di parteciparvi.
Chissà che cosa comprava con quei soldi.
Caterina guardò verso le colline, mentre lanciava nel vento un altro sbuffo di fumo dalle sue labbra: “Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinnii d’invisibili porte
che forse non s’aprono più?)”
Caterina rimase in silenzio un momento. Mancava solo un verso.
Eppure, per qualche motivo, faceva fatica ad uscire. Si bloccò.
D’un tratto, quella facciata di ostentata ricchezza, di sorrisi cordiali, strette di mano, le sembrò tutto una farsa.
Si sentì come congelata, la sigaretta continuava a bruciare e la cenere rimaneva immobile, non cadeva.
Le sembrò che non era Luigi ad essere malato, ma quelli che stavano dentro casa sua a festeggiare.
Era irrazionale, non riusciva a spiegarsi questa sensazione così improvvisa.
Sesto senso, forse.
O forse erano gli occhi del gufo.
Le lacrime cominciarono a traboccare, a rigarle le guance candide silenziosamente.

“...e c’era quel pianto di morte...
...chiù...”

Proprio mentre Caterina sentenziava quella condanna a morte, l’asta era arrivata alla fine.
Amedeo era seduto ad una poltrona, dietro ad un vetro, il calice pieno di champagne frizzante.
Accomodato in quel morbido velluto, aveva snobbato tutti i possibili acquisti della serata. Non c’era niente che gli interessava. Pochi prodotti gli mancavano per completare la sua collezione e nessuno di quelli sfilati fino a quel momento aveva destato il suo interesse.
Gli altri partecipanti si trovavano in stanze adiacenti, dietro a vetri oscurati, con la vista in prima fila.
“L’ultimo articolo.” disse la voce femminile computerizzata.
“Come sempre, lasciamo il meglio alla fine. Proveniente dall’India, parla inglese ed è garantita al cento per cento.”
Venne portato al centro della stanza, sotto i faretti, l’articolo in questione.
Amedeo sorrise, cominciò a sentire il principio di un’erezione: era perfetta per la sua collezione.
La ragazza al centro della stanza barcollava leggermente, probabilmente ci erano andati pesanti per tenerla buona.
Una bellezza orientale degna di nota. La carnagione era scura al punto giusto. Era importante che non fosse troppo scura, perché una ragazza di colore già la possedeva.
I capelli erano dello stesso nero intenso della sua giacca, perfettamente pettinati e curati per l’asta e destare l’attenzione degli acquirenti.
“Partiamo da una base d’asta di centomila euro.” proclamò la voce computerizzata.
“Centomila, centocinquanta...centocinquantamila.” qualcuno dei partecipanti aveva lanciato un’offerta.
Amedeo aspettò. La sua strategia consisteva nel far scannare gli altri per farli arrivare al limite, per poi intervenire lui con un’offerta che nessuno di loro avrebbe potuto raggiungere.
La ragazza barcollava sui suoi tacchi a spillo luccicanti.
“Duecento...duecentomila...due e cinquanta...” Amedeo teneva gli occhi fissi sul suo acquisto. I capezzoli erano immensi. Predette che si sarebbe divertito molto a tirarli.
“Due e cinquanta...” la voce computerizzata aveva detto l’ultima offerta per la seconda volta.
Amedeo trovò strano che nessun altro lanciasse un’offerta. Ma venne rincuorato subito dopo: “Trecento, trecentomila euro...”
Il sedere tondo e piccolo della ragazza gli donò una vista particolarmente piacevole. Sodo e color cioccolato al latte.
“Tre e cinquanta...” un’altra offerta per quel fiore coperto da una folta peluria scura. Amedeo pensò che doveva solo depilarla per bene. Non gli piacevano i peli, ma quella ragazza aveva decisamente molto potenziale per i suoi giochi.
“Quattro...quattro e cinquanta...”
Amedeo sapeva che erano arrivati alla soglia delle loro possibilità. Aveva sperperato i loro soldi per gli articoli precedenti, mentre lui si era concesso il meglio per la fine.
Sorseggiò un goccio di champagne, sentendo le bollicine scorrergli lungo l’esofago.
Premette il bottone accanto alla sua poltrona per segnalare la sua offerta: “Cinquecento...cinquecentomila...”
Amedeo guardò il suo acquisto soddisfatto. Nessun altro si sarebbe spinto oltre, avevano già speso parecchi dei loro soldi.
Osservò il ventre della ragazza. Piatto e tonico. Se lo immaginò con un bel pancione, simbolo che lei sarebbe stata ancora di più di sua proprietà.
Sentì un formicolio ai testicoli, al pensiero di quello che le avrebbe fatto una volta portata nel suo cottage.
“Cinquecentomila...” Amedeo aveva un unico difetto: era troppo perverso per i gusti delle donne che lo circondavano.
Non poteva dominarle, fustigarle, sodomizzarle, punirle a suo piacimento. Nessuna donna era all’altezza di un rapporto del genere, perché troppo impaurite o troppo stupide per comprendere l’immenso piacere di qualcosa di simile.
E così, ogni donna era solo un passatempo, un semplice scarico di stress e del contenuto del suo scroto. Niente di particolarmente soddisfacente.
Le SUE donne, invece...rappresentavano la perfezione. La sottomissione per eccellenza. Donne che non avevano più niente e nessuno tranne che lui. Alcune erano persino diventate dipendenti dai suoi giochi, dai suoi trattamenti, dalle sue perversioni.
Le collezionava nel suo cottage: bionde, more, rosse, italiane, straniere, scure, chiare, meticce, seno piccolo, seno grosso...ogni dettaglio del loro corpo rappresentava un nuovo acquisto nella sua collezione di schiave.
“Cinquecentomila...venduta.”
La ragazza sembrò guardare proprio lui, con quel suo sguardo smarrito, simile a quello di un cerbiatto davanti ai fari di una macchina in corsa.
Amedeo portò in alto il calice e brindò alla ragazza, mentre questa veniva scortata fuori.
“Vi ringraziamo per aver partecipato. Potete ritirare personalmente nella sala adiacente i vostri acquisti.” concluse la voce computerizzata.
Suo padre aveva proprio ragione: non c’è niente che non si possa comprare.
scritto il
2018-10-30
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