La prima volta in cui mi portasti a casa
di
Aletheia
genere
masturbazione
Aveva visto nuvole senza confini avvolgere le montagne in lontananza, una sciarpa evanescente dotata di vita propria.
Aveva sentito il mosaico di foglie marroni e gialle appesantite dalla pioggia, lamentarsi in densa disapprovazione sotto i piedi.
Il freddo le era entrato nelle ossa: la distanza da ciò che amava le aveva stampato un bacio in fronte e aveva accolto il gelo nel cuore, come si fa con un vecchio amico.
Aveva tenuto per mano i suoi demoni e tutti insieme ci eravamo riempiti gli occhi di verde e natura: mi piace immaginare che anche loro amassero le cose belle, come quel cappuccino caldo nella tazzina dorata, in quell'improbabile rifugio nel folto del bosco, il tronco cavo pieno d'edera e gioielli da cui avevo raccolto l'anello che pensavo di darle, i funghi cresciuti in quel cerchio in cui lei avrebbe voluto - ma io le avevo impedito - di entrare, la ragnatela ghiacciata che pendeva dal cespuglio...
Dopotutto, pur essendo demoni, erano comunque fatti di lei.
Era tornata a casa e, senza saperlo, mi aveva portato con sé.
Indossata una camicia da notte, aveva deciso di accoccolarsi sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa.
Tremava al contatto con le lenzuola, ma non c'era voluto molto per iniziare a godere del suo stesso tepore crescente: la pelle si scaldava, in quello stato a metà tra la distensione e il fastidio, quando sembra che le dita e la pelle brucino.
Pur essendo nudo io non sentivo mai freddo, ma mi coricai comunque con lei.
Il sonno aveva poi dato il suo contributo.
Aveva chiuso gli occhi ed io la guardavo respirare profondamente: tanto in fondo doveva strisciare l'aria, per raggiungerla al di là dei sogni?
Mi avvicinai un poco, il mio respiro le solleticava la pelle: il volto sereno, le guance rilassate, le labbra socchiuse e luccicanti di saliva, i capelli raccolti in una treccia che teneva in una mano.
Doveva essere solo un attimo, ma si era svegliata dopo due ore: rabbrividiva, le coperte tutte spostate di lato, la camicia da notte alzata sopra la vita.
Mi ero incantato a guardarla mentre le sue guance si coloravano, i suoi respiri si tramutavano in deboli gemiti e le mutandine s'inumidivano sotto il tocco leggero dei miei polpastrelli.
All'inizio non pensavo di svegliarla, ma mentre mi leccavo le dita per assaggiare il suo sapore filtrato dal cotone, ho inavvertitamente espresso un desiderio e lei aveva aperto gli occhi.
Si era guardata le gambe nude e lessi in lei, in un attimo, incredulità e comprensione insieme.
La sua mano destra, come un segugio perfettamente addestrato, le aveva portato le risposte che cercava: nel calore della sua intimità era bagnata, tanto che persino il letto sotto si lei recava traccia del sogno che l'aveva fatta eccitare, ma di cui purtroppo non aveva memoria.
Si doveva essere mossa - si disse - al punto da scoprirsi tutta; doveva aver divaricato appena le gambe e probabilmente essersi strofinata sulla stoffa degli slip.
Avrei davvero voluto ricordarle cos'avevo fatto, di persona, superare il sogno: volevo infilarle le sue stesse dita dentro, guidandola con la mia mano e indugiare poi dietro di lei sfruttando la sua copiosa eccitazione per prepararla...
Avrei voluto farla mia subito...
D'istinto mi portai una mano attorno al sesso ed iniziai ad accarezzarmi...
E lei, Dio, lei non spostò la sua.
Chiuse gli occhi e iniziò a muovere le dita al di sopra degli slip, formando piccoli cerchi con cui circondava il punto su cui avevo lavorato con tanta pazienza.
Si morse il labbro inferiore, si abbassò le mutandine: la vista della zona di pelle che non aveva mai visto il sole a contrasto con quella della sua mano, più abbronzata, mi tolse il fiato.
La vidi penetrarsi con due dita, cullata dal rivolo che le sorgeva dentro: con la mano libera le scoprii una spalla, dove le posai un bacio leggero, seguito da un morso delicato ma deciso.
Non poteva vedermi, ma avrebbe sentito l'eccitazione crescere...
Le dita riemersero.
Con l'altra mano si scoprì i seni tirando su la camicia da notte quel tanto che serviva: bagnò i capezzoli con il suo piacere e poi rituffò la mano tra le cosce.
Ne presi uno tra le labbra: succhiavo, ci passavo sopra la lingua, i denti scorrevano piano sulla pelle tenera e delicata.
Lei gemeva, muoveva veloci le dita ed io, raccolta un po' della sua eccitazione, muovevo e stringevo la mia mano attorno a me: mi sforzavo di non cedere alla voglia di essere davvero dentro di lei, sapevo che potevo perdere il controllo, ma poi sarebbe stato un casino...
M'inginocchiai cavalcioni su di lei, continuando a toccarmi sempre più.
Le stavo sopra, chinato addosso, il peso concentrato s'una mano, accanto al suo collo e sulle ginocchia, uno tra le sue cosce e l'altro all'esterno del suo corpo.
Pericolosamente vicino alla posizione giusta per infilarmi tra le sue gambe, la punta bagnata del mio sesso le sfiorava la mano: sarebbe bastato così poco...
Aveva iniziato a trattenere il respiro e a muovere il bacino, accompagnando movimenti decisi delle dita, le guance sempre più rosse.
Mi alzai spostando il peso sulle cosce e mi spinsi un po' più in là.
Lei percepì qualcosa, iniziò a strusciarsi sul mio ginocchio, allargando le gambe fino ad accogliere il tocco nell'intimo: mi bagnò con il frutto del nostro erotismo sinergico e lo stimolo, che arrivava a stuzzicare anche il retro, la fece avvicinare all'orlo del baratro.
Le passai la mano libera attorno collo, stringendo appena. Sospirò come se le piacesse.
Strinsi ancora e me lo confermò con un gemito più forte: chissà cos'altro le faceva perdere la testa?
Le presi un fianco, proprio all'attaccatura delle cosce, stringendola salda a me: a tratti temevo i farle male, ma quando compresi che a lei non dispiaceva mi lasciai andare.
Il suo respiro, sempre più intenso e frequente, venne spezzato da un sussurro "Sto venendo..."
E anche se sapevo che lo aveva detto come riflesso del piacere che stava dandosi da sola, usai quella frase come se fosse stata rivolta a me: intensificai di poco il ritmo della mano attorno al mio sesso, ormai al limite.
"Sto venendo..." Disse ancora e mentre s'inarcava sotto di me, facendomi sentire come la sua voce modulava i gemiti dell'orgasmo, le venni addosso serrando la mano sul suo fianco, alzando la voce in ansiti di liberazione animale.
Tremavamo entrambi.
Lei ancora scossa da brividi profondi, respirava abbandonata sotto di me.
Io mi sforzavo di non crollarle addosso mentre guardavo il mio seme sparso su di lei scomparire, schizzo dopo schizzo, ogni piccola goccia, ogni singola macchia, come se non l'avesse mai ricoperta.
"Tornerò... E la prossima volta magari sarà diverso..."
Ma lei non mi sentì.
Fuori si era fatta sera, era ora di andare.
"Buonanotte, Hazel Grace..."
Aveva sentito il mosaico di foglie marroni e gialle appesantite dalla pioggia, lamentarsi in densa disapprovazione sotto i piedi.
Il freddo le era entrato nelle ossa: la distanza da ciò che amava le aveva stampato un bacio in fronte e aveva accolto il gelo nel cuore, come si fa con un vecchio amico.
Aveva tenuto per mano i suoi demoni e tutti insieme ci eravamo riempiti gli occhi di verde e natura: mi piace immaginare che anche loro amassero le cose belle, come quel cappuccino caldo nella tazzina dorata, in quell'improbabile rifugio nel folto del bosco, il tronco cavo pieno d'edera e gioielli da cui avevo raccolto l'anello che pensavo di darle, i funghi cresciuti in quel cerchio in cui lei avrebbe voluto - ma io le avevo impedito - di entrare, la ragnatela ghiacciata che pendeva dal cespuglio...
Dopotutto, pur essendo demoni, erano comunque fatti di lei.
Era tornata a casa e, senza saperlo, mi aveva portato con sé.
Indossata una camicia da notte, aveva deciso di accoccolarsi sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa.
Tremava al contatto con le lenzuola, ma non c'era voluto molto per iniziare a godere del suo stesso tepore crescente: la pelle si scaldava, in quello stato a metà tra la distensione e il fastidio, quando sembra che le dita e la pelle brucino.
Pur essendo nudo io non sentivo mai freddo, ma mi coricai comunque con lei.
Il sonno aveva poi dato il suo contributo.
Aveva chiuso gli occhi ed io la guardavo respirare profondamente: tanto in fondo doveva strisciare l'aria, per raggiungerla al di là dei sogni?
Mi avvicinai un poco, il mio respiro le solleticava la pelle: il volto sereno, le guance rilassate, le labbra socchiuse e luccicanti di saliva, i capelli raccolti in una treccia che teneva in una mano.
Doveva essere solo un attimo, ma si era svegliata dopo due ore: rabbrividiva, le coperte tutte spostate di lato, la camicia da notte alzata sopra la vita.
Mi ero incantato a guardarla mentre le sue guance si coloravano, i suoi respiri si tramutavano in deboli gemiti e le mutandine s'inumidivano sotto il tocco leggero dei miei polpastrelli.
All'inizio non pensavo di svegliarla, ma mentre mi leccavo le dita per assaggiare il suo sapore filtrato dal cotone, ho inavvertitamente espresso un desiderio e lei aveva aperto gli occhi.
Si era guardata le gambe nude e lessi in lei, in un attimo, incredulità e comprensione insieme.
La sua mano destra, come un segugio perfettamente addestrato, le aveva portato le risposte che cercava: nel calore della sua intimità era bagnata, tanto che persino il letto sotto si lei recava traccia del sogno che l'aveva fatta eccitare, ma di cui purtroppo non aveva memoria.
Si doveva essere mossa - si disse - al punto da scoprirsi tutta; doveva aver divaricato appena le gambe e probabilmente essersi strofinata sulla stoffa degli slip.
Avrei davvero voluto ricordarle cos'avevo fatto, di persona, superare il sogno: volevo infilarle le sue stesse dita dentro, guidandola con la mia mano e indugiare poi dietro di lei sfruttando la sua copiosa eccitazione per prepararla...
Avrei voluto farla mia subito...
D'istinto mi portai una mano attorno al sesso ed iniziai ad accarezzarmi...
E lei, Dio, lei non spostò la sua.
Chiuse gli occhi e iniziò a muovere le dita al di sopra degli slip, formando piccoli cerchi con cui circondava il punto su cui avevo lavorato con tanta pazienza.
Si morse il labbro inferiore, si abbassò le mutandine: la vista della zona di pelle che non aveva mai visto il sole a contrasto con quella della sua mano, più abbronzata, mi tolse il fiato.
La vidi penetrarsi con due dita, cullata dal rivolo che le sorgeva dentro: con la mano libera le scoprii una spalla, dove le posai un bacio leggero, seguito da un morso delicato ma deciso.
Non poteva vedermi, ma avrebbe sentito l'eccitazione crescere...
Le dita riemersero.
Con l'altra mano si scoprì i seni tirando su la camicia da notte quel tanto che serviva: bagnò i capezzoli con il suo piacere e poi rituffò la mano tra le cosce.
Ne presi uno tra le labbra: succhiavo, ci passavo sopra la lingua, i denti scorrevano piano sulla pelle tenera e delicata.
Lei gemeva, muoveva veloci le dita ed io, raccolta un po' della sua eccitazione, muovevo e stringevo la mia mano attorno a me: mi sforzavo di non cedere alla voglia di essere davvero dentro di lei, sapevo che potevo perdere il controllo, ma poi sarebbe stato un casino...
M'inginocchiai cavalcioni su di lei, continuando a toccarmi sempre più.
Le stavo sopra, chinato addosso, il peso concentrato s'una mano, accanto al suo collo e sulle ginocchia, uno tra le sue cosce e l'altro all'esterno del suo corpo.
Pericolosamente vicino alla posizione giusta per infilarmi tra le sue gambe, la punta bagnata del mio sesso le sfiorava la mano: sarebbe bastato così poco...
Aveva iniziato a trattenere il respiro e a muovere il bacino, accompagnando movimenti decisi delle dita, le guance sempre più rosse.
Mi alzai spostando il peso sulle cosce e mi spinsi un po' più in là.
Lei percepì qualcosa, iniziò a strusciarsi sul mio ginocchio, allargando le gambe fino ad accogliere il tocco nell'intimo: mi bagnò con il frutto del nostro erotismo sinergico e lo stimolo, che arrivava a stuzzicare anche il retro, la fece avvicinare all'orlo del baratro.
Le passai la mano libera attorno collo, stringendo appena. Sospirò come se le piacesse.
Strinsi ancora e me lo confermò con un gemito più forte: chissà cos'altro le faceva perdere la testa?
Le presi un fianco, proprio all'attaccatura delle cosce, stringendola salda a me: a tratti temevo i farle male, ma quando compresi che a lei non dispiaceva mi lasciai andare.
Il suo respiro, sempre più intenso e frequente, venne spezzato da un sussurro "Sto venendo..."
E anche se sapevo che lo aveva detto come riflesso del piacere che stava dandosi da sola, usai quella frase come se fosse stata rivolta a me: intensificai di poco il ritmo della mano attorno al mio sesso, ormai al limite.
"Sto venendo..." Disse ancora e mentre s'inarcava sotto di me, facendomi sentire come la sua voce modulava i gemiti dell'orgasmo, le venni addosso serrando la mano sul suo fianco, alzando la voce in ansiti di liberazione animale.
Tremavamo entrambi.
Lei ancora scossa da brividi profondi, respirava abbandonata sotto di me.
Io mi sforzavo di non crollarle addosso mentre guardavo il mio seme sparso su di lei scomparire, schizzo dopo schizzo, ogni piccola goccia, ogni singola macchia, come se non l'avesse mai ricoperta.
"Tornerò... E la prossima volta magari sarà diverso..."
Ma lei non mi sentì.
Fuori si era fatta sera, era ora di andare.
"Buonanotte, Hazel Grace..."
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Per ora, rifugiati nel mio sguardo.racconto sucessivo
Fate attenzione questa notte
Commenti dei lettori al racconto erotico