La vetrata (cap.2 di 2)

di
genere
voyeur

Dopo una ventina di minuti, Tassos Mavridis rientrò nel salone.
Si era evidentemente fatto una doccia, ed ora indossava un largo accappatoio azzurro stretto in vita dalla cintura.
Si accomodò sul divano e la ragazza, subito premurosa, gli porse un bicchiere pieno di un qualche liquore.
Provai un’acuta fitta di desiderio per quel drink, per tutti i drinks a cui avevo rinunciato negli anni se volevo mantenere le mie mani ferme e letali.
Ripresi l'arma, la puntai, ed il mirino tornò sulla fronte dell'uomo.
Volevo farla finita rapidamente.
Volevo tornarmene a casa.
Ma, ancora una volta, la fortuna, d’improvviso, mi girò le spalle: ora il mirino inquadrava la schiena della ragazza che si era messa in piedi davanti all'uomo.
Imprecai tra i denti, sperando che lei si spostasse al più presto.
Invece vidi Irina sfilarsi lentamente la maglietta gialla e mostrarsi a Tassos; poi si voltò verso la vetrata, mostrando anche a me il suo seno perfetto, sodo e voluminoso, dai grandi capezzoli rosa.
Girata inconsapevolmente verso di me, la osservai sfilarsi, con gesti sensuali ed accattivanti, la minigonna, fino a liberarsene, facendola scivolare eroticamente lungo le gambe slanciate.
Ora Irina era nuda, a parte un minuscolo perizoma nero che la rendeva ancora più bella ed eccitante.
Lentamente la donna tornò a girarsi verso l'uomo, e le forme del suo strepitoso fondoschiena riempirono il mio mirino.
Era veramente una ragazza straordinariamente affascinante.
Tassos Mavridis si concedeva solo il meglio dalla vita.
La ragazza si sedette accanto a lui e con la mano destra prese a slacciargli la cintura dell'accappatoio.

Era la situazione perfetta per agire.
In quel momento avrei potuto colpire l'uomo con estrema facilità, essendo lui immobile e completamente esposto al mio tiro; ma, con mia grande sorpresa, e contrariamente alle mie ferree e consolidate abitudini, mi ritrovai ad indugiare ancora, attratto dalla torbida atmosfera che si andava creando su quel maledetto divano.
Non mi era mai capitato di colpire un bersaglio mentre stava per iniziare a fare l’amore.

Irina prese ad accarezzare sensualmente il petto dell'uomo, poi fece scivolare la mano, dalle lunghe unghie smaltate di rosso, verso il basso: gli afferrò il cazzo, stringendolo nel suo pugno e scappellandolo completamente.
Iniziò quindi a masturbarlo lentamente, portandolo in breve tempo ad avere una completa erezione.
Tassos era comodamente abbandonato e si godeva le carezze di Irina che, con un movimento improvviso, si chinò e gli prese il cazzo in bocca.
Vedevo nel mirino telescopico la testa della ragazza andare in su ed in giù, l’asta scivolare dentro e fuori le sue labbra, la lingua leccare maliziosa i testicoli, la bocca succhiare avidamente la cappella.
Era un pompino di un erotismo eccelso e in pochi attimi mi ritrovai eccitato come se quella bocca fosse all'opera su di me.
Ebbi il pensiero fugace di sparare in quel momento, di ucciderlo mentre lei lo stava succhiando; ma il pensiero passò rapido come era venuto, e mi apprestai a vivere fino in fondo quella strana ed insolita esperienza da guardone.
Avrei trovato lo stesso l’attimo adatto per sparare, ma prima volevo godermi il più a lungo possibile lo spettacolo di quella fantastica ragazza.

Il mio bersaglio aveva ancora in mano il suo drink e fissava la sua amante con sguardo beffardo, gli occhi del padrone sulla sua schiava, sulla sua puttana, quasi fosse insensibile al piacere che lei gli stava certamente regalando.
Poi Irina si rialzò, gli tolse di mano il bicchiere e, sfilandosi il minuscolo perizoma, gli salì sulle gambe, impalandosi sul cazzo eretto, ed iniziando a scoparlo.
Si, perchè dal mio lontano punto d’osservazione, avevo la netta sensazione che fosse lei a scoparlo.
Vedevo la schiena della ragazza, liscia e tesa, con i capelli biondi che si muovevano al ritmo del movimento che lei imprimeva all’amplesso; vedevo, quando lei si sollevava, la base del cazzo di Tassos apparire tra le sue natiche.
Immaginavo i gemiti, i mugolii, i sospiri di Irina.
Reali o simulati che fossero.
Stavo assistendo ad uno straordinario film muto, un’eccitante sequenza di immagini erotiche, in cui la bellezza di Irina era il colore e la forma, la fotografia della sensualità nella sua massima espressione.

Evidentemente "sua signoria", dopo un tempo decisamente lungo, si degnò di venire, perchè lei si sollevò con eleganza dal suo cazzo, per mettersi seduta per terra, sul morbido ed enorme tappeto persiano che ricopriva il pavimento.
Eccitato da quello che i miei occhi avevano visto, mi riscossi, e tornai con la mente al motivo che mi aveva condotto su quella ripida scogliera.
Quello sarebbe stato l’ennesimo momento perfetto per sparare.
Lui, ancora seduto, si era acceso una sigaretta e fumava assorto in chissà quali pensieri; lei era quasi distesa sul tappeto, fuori dalla traiettoria del mio proiettile.
In un secondo tutto sarebbe finito.
Ma ancora una volta indugiai, mettendo come scusa a me stesso che, visto lo stato di eccitazione in cui mi ero venuto a ritrovare, la mia mano potesse non essere così ferma, e che potessi mancare il colpo, con tutto quello che ne sarebbe conseguito.
Staccai l'occhio dal mirino e presi a respirare con regolarità, cercando di svuotare la mente da quello che avevo visto, concentrandomi esclusivamente sul mio obiettivo.
Quando ripresi l'arma e accostai di nuovo l'occhio al mirino, la situazione nel salone non era cambiata di molto, a parte il fatto che Irina, ora completamente sdraiata ai piedi dell'uomo, teneva tra le mani, e carezzava con le dita, un fallo di gomma, grosso, lungo, nero o blu scuro.

Il mio cuore dette un colpo e seppi per certo che ancora una volta avrei ritardato il momento dell'esecuzione.
Irina si era messa il fallo tra i seni, e lo faceva scivolare con gesti sensuali, in modo che la punta arrivasse con regolarità alle sue labbra e la sua lingua, guizzando, potesse leccarla.
Quindi, con gesto naturale e carico di desiderio animale, se lo mise in bocca, iniziando a succhiarlo, mentre con la mano libera si accarezzava tra le gambe ora spalancate.
Tassos guardava, sempre con il suo sorriso beffardo stampato sul volto, il cazzo moscio tra le gambe; non si eccitava nemmeno a quello spettacolo, lo stronzo.
Quando l'eccitazione della ragazza ebbe una visibile impennata, Irina si portò il lungo fallo scuro sulla sua fica, ve lo appoggiò indugiando per qualche secondo, e poi lo spinse dentro con un unico movimento.
La ragazza iniziò a dimenarsi sul tappeto, non so se fingendo per compiacere il suo padrone o se effettivamente eccitata e vogliosa di raggiungere l'orgasmo.
Fosse quello che fosse, a me faceva impazzire di desiderio.
Si penetrò per lunghi minuti, sempre più veloce, sempre più a fondo, fino al momento in cui s’inarcò e godette.

Mentre la ragazza giaceva abbandonata sul tappeto, ancora sconvolta dall’orgasmo, l'uomo si alzò dal divano, andò al cassetto di un lungo e basso mobile lì vicino, e prese un qualcosa che non mi riusciva di capire cosa fosse.
Anche Irina ora si era alzata e lo guardava.
Lui le disse qualche parola; la ragazza annuì, si girò e, appoggiandosi con le mani al tavolo, protese le sue splendide natiche in fuori, offrendole al suo amante.
Tassos le si avvicinò, ora con il cazzo duro e teso, stringendo in mano un lungo frustino di cuoio.
Il padrone voleva frustare la sua schiava, percuotere la sua personale puttana.
Voleva segnare con i colpi la morbida pelle della ragazza.
Era evidentemente quello il suo obiettivo, sin da quando era arrivato alla villa: usare la violenza per eccitarsi, e ribadire in quel modo il suo dominio totale su Irina.
Mi riscossi da quello strano torpore che mi aveva assalito; ne avevo viste tante e tante ne avevo fatte, ma la frusta sulle delicate carni di una donna ancora mi mancava.
Improvvisamente sentii la mano ferma, la vista più acuta del solito, la rabbia salirmi in petto.

Nel mio lavoro non c'era mai nulla di personale.
Le mie vittime erano solo un bersaglio: non le odiavo, mai, e non avevo nessuna ragione per avercela con loro.
Le uccidevo, è vero, ma sempre con distacco e, credo, anche con rispetto.
Non era mio compito giudicarle: ero l'esecutore di una sentenza pronunciata da un qualche oscuro tribunale, il killer che la notificava e poi eseguiva la condanna.
La mia pallottola era la parola "fine" ad un film che non avevo mai visto.
Ma questa volta era diverso.
Quell'uomo, ora che aveva la frusta in mano, lo volevo veramente uccidere.

Tassos Mavridis aveva alzato la frusta e stava per dare inizio al suo spettacolo.
Irina attendeva i colpi, come tante altre volte aveva sicuramente già fatto in passato.
Buttai fuori l'aria dai polmoni, il mio dito si serrò sul grilletto imprimendo una pressione maggiore, il mirino centrato sulla testa dello stronzo.
Irina aspettava la prima frustata sulle natiche.
Sapeva che il dolore, quello vero, sarebbe venuto più tardi, quando i colpi si sarebbero aggiunti ai colpi.
L'uomo, rosso in volto, di certo ansimava e sbuffava, eccitato dalla violenza imminente; procurarle dolore, sentirla gridare, vederla piangere per le frustate e l'umiliazione, erano le sole cose che lo facevano godere veramente.
Irina chiuse gli occhi e aspettò, rassegnata a quel suo ruolo di vittima.
Il braccio si sollevò e la frusta mi apparve in tutta la sua lunga oscenità.
Nel mirino, il volto di Tassos era una maschera di bramosia e di perversione, e nei suoi occhi leggevo con chiarezza la ferocia e la malvagità che lo animavano.
La mente azzerata di ogni sensazione, tirai delicatamente il grilletto…

Il rumore dello schiocco della frusta le sembrò forse diverso, e Irina si meravigliò di non sentirsi colpita.
Si voltò sorpresa e vide Tassos, con un buco nel centro della fronte, la nuca spappolata, sangue e cervello schizzati via e andati a macchiare il divano sul quale poco prima erano stati seduti, piegarsi lentamente sulle ginocchia.
L'uomo cadde a terra, sul morbido tappeto, con la frusta ancora stretta saldamente nel pugno.

L'autostrada scorreva sotto i miei fari.
Guidavo con attenzione e rispettando con scrupolo il limite di velocità, per evitare multe e controlli, decisamente inopportuni in quel momento.
Avevo incrociato, poco prima, due auto della polizia che correvano in senso inverso, a sirene spiegate.
Irina aveva dato l'allarme.
Desideravo solo arrivare a casa, bere un caffè e mettermi sotto la doccia, per togliermi la tensione dai muscoli e l’umidità dalle ossa.
Il mio contratto era stato onorato, ma questa volta non tutto era ancora concluso.

Il parcheggio del grande ipermercato sulla circonvallazione esterna di Atene era affollato.
Auto e furgoni andavano e venivano senza un attimo di tregua.
Ero fermo, in doppia fila, ad una trentina di metri dall'utilitaria bianca che avevo spesso pedinato negli ultimi venti giorni.
Attendevo, perfettamente rilassato, con gli occhi fissi sull'uscita del grande magazzino.
Poi finalmente la vidi.
Vidi i suoi morbidi capelli biondi, la sua figura slanciata e le lunghe gambe fasciate dai jeans.
Irina, spingendo il carrello con alcune buste dentro, si avvicinò alla sua auto, posizionò il carrello vicino al portellone posteriore e si voltò per aprirlo.
Inserii la marcia e la mia Mercedes schizzò in avanti, colpendo il carrello della ragazza, rovesciandolo e disseminando sull'asfalto barattoli e scatole, buste e pacchetti.
Bloccai l'auto pochi metri oltre quel disastro e scesi.
Irina si era voltata e guardava quel caos, visibilmente spaventata per l’accaduto.
Mi avvicinai a lei e, profondendomi in scuse, l'aiutai a rimettere insieme la sua spesa; le caricai in macchina tutte le buste e le richiusi il portellone.
Poi le dissi, guardando i suoi immensi occhi azzurri: - Sono veramente mortificato. Le posso offrire qualcosa da bere? E' il minimo che possa fare per farmi perdonare. -

Irina mi guardò con attenzione.
In pochi istanti esaminò con occhio esperto l'abito blu che indossavo, gettò un'occhiata alla mia Mercedes, valutò il Rolex d'oro che avevo al polso e poi, aprendosi in un sorriso, rispose: - Perchè no. Un caffè e proprio quello
che mi ci vuole dopo questo spavento. E poi lei mi ispira fiducia. -
Mi tese la mano.
- Piacere, mi chiamo Irina. -
Stringendole la mano e presentandomi con il nome di copertura che abitualmente usavo, pensai a tutto quello che sapevo di lei.
E a tutto quello che le avevo visto fare in quel salotto.
Alla sua sensualità e alla sua carica erotica, delle quali ero rimasto affascinato a tal punto da desiderare di averla tutta per me.
E il primo passo era stato fatto.
Gli altri sarebbero stati ancora più semplici.

La presi sottobraccio ed insieme ci avviammo alla ricerca di un bar.

Fine

diagorasrodos@libero.it
scritto il
2011-05-29
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