La vetrata (cap.1 di 2)

di
genere
voyeur

Aveva avuto inizio tutto come ogni volta.
In questo non si erano mai verificati cambiamenti o variazioni.
La procedura era immutabile.

Una volta al mese, di solito verso la metà, mi recavo all'ufficio postale che si trovava di fronte alla stazione Theselon di Atene, in Viale Ermu, l’ampio e trafficato viale che la costeggia sul lato orientale.
Parcheggiavo quindi l'auto con estrema attenzione, inserivo le monete nel parchimetro (una semplice multa per divieto di sosta, che mi fosse stata appioppata da un vigile eccessivamente zelante, si sarebbe potuta rivelare un rischio troppo grave da correre) e, come una qualunque altra persona, entravo con noncuranza e disinvoltura nell'enorme ufficio postale, uno tra i più grandi e affollati della capitale greca.
Una volta all’interno, con la piccola chiave in mano, mi dirigevo verso la casella numero 754 del fermoposta, facevo scattare la serratura, e quindi controllavo se, nel piccolo vano metallico, si trovasse della corrispondenza che mi fosse stata inviata.
Il più delle volte la casella postale risultava vuota, ma quando invece vi trovavo una busta, questo voleva significare che per me iniziava il lavoro.

E quella mattina, per mia fortuna, la busta c'era.
Il mio periodo di inattività era durato troppo a lungo.
Afferrai il piccolo plico, me lo feci scivolare in tasca, richiusi con cura lo sportello e, cercando di non dare nell’occhio, me ne andai rapidamente dall’ufficio postale.
Risalii quindi in macchina, accesi l’autoradio e, in compagnia della musica pop di una stazione internazionale, aprii la busta.
Questa conteneva, come d’abitudine, una chiave ed un foglio.
Spiegai quest'ultimo e lessi le poche parole che vi erano scritte con il computer: Banca Nazionale di Grecia, agenzia 16 di Atene, Viale Akadimias, cassetta di sicurezza n°301.
Gettai il foglio di carta e la chiave sul sedile accanto al mio, misi in moto e lentamente mi staccai dal marciapiede.

Il funzionario di banca girò la sua chiave, io ruotai la mia e sfilai la cassetta di sicurezza dal suo alloggiamento; mentre l'uomo si allontanava per evidenti ragioni di privacy, portai la cassetta sul tavolo che era lì vicino e l’aprii.
Estrassi la spessa busta marrone che conteneva le istruzioni ed i soldi per il lavoro che avrei dovuto eseguire, e contai attentamente le mazzette di banconote, accuratamente impilate.
Erano cinquantamila dollari, la cifra che mi era versata come acconto sul mio compenso.
Altri cinquantamila dollari li avrei trovati, e con le stesse modalità, a lavoro ultimato.
In questo genere di attività nessuno si sognava di barare: io portavo a termine con scrupolo e professionalità il mio lavoro, e loro mi pagavano puntualmente e senza storie.
Non c’erano mai stati problemi e non si erano verificati mai intoppi.
Tutto, sempre, filava via liscio come l’olio.

Aprii la valigetta vuota che avevo portato con me, vi trasferii i soldi e la busta marrone, chiusi la cassetta e richiamai il funzionario.
Insieme la rimettemmo al suo posto.
Salutai l’uomo educatamente ed uscii dalla banca.
Mi sentivo bene ed in perfetta forma.
Ora, dopo due mesi d’inattività, avevo finalmente un nuovo contratto.

A casa, con il televisore acceso su uno dei canali che trasmettevano notizie ventiquattrore su ventiquattro, aprii la busta marrone che avevo trovato nella cassetta di sicurezza e iniziai a studiare chi dovevo uccidere questa volta.

Essere un killer di professione aveva degli indubbi vantaggi.
Uno di questi era che lavoravi da solo, senza dover affidare a terzi compiti che, se non eseguiti alla perfezione, ti potevano condurre verso il disastro.
Se sbagliavi in qualcosa era colpa solamente tua.
E solo con te stesso te la potevi andare a prendere.
Per me, carattere solitario per natura, era un lavoro perfetto, e che mi permetteva di guadagnare grosse cifre con una fatica, in definitiva, molto limitata.
I rischi erano enormi, è evidente.
Ma non si può pretendere tutto dalla vita.
I fogli che tenevo in mano, e che mi dicevano chi avrei dovuto questa volta tenere nel centro del mirino e rispedire al Creatore, erano, come al solito, stringati ed esaurienti.

Tassos Mavridis, un ricco finanziere di dubbia fama, politicamente scomodo e con le mani in pasta in quasi tutto ciò che c'era d’illegale ad Atene a quei tempi, ampiamente compromesso anche nel giro della droga e della mafia russa: sarebbe stato lui il mio prossimo bersaglio.
Aveva evidentemente pestato una merda più grossa di lui, ed ora gli schizzi gli sarebbero arrivati fino alle orecchie.
Era un uomo molto conosciuto, spesso sulle prime pagine dei giornali, ma studiai ugualmente la foto che era contenuta nella busta: una cinquantina d’anni ben portati, alto e discretamente robusto, capelli brizzolati, aveva un’indiscussa fama da play-boy negli ambienti della vita notturna di Atene.
Nella busta non c'erano altre istruzioni, solo un foglietto con il tempo massimo per la sua esecuzione: trenta giorni.
Non erano pochi, ma non erano nemmeno tanti.
Dovevo subito darmi da fare, e senza perdere tempo.
Si potevano verificare imprevisti o contrattempi, e bisognava sempre prevedere tutto.
Meticolosamente.

Il giorno successivo mi misi in azione, secondo un copione ampiamente collaudato.
Com’era mia abitudine, non lasciavo mai nulla al caso, ed i giorni che precedevano l’esecuzione vera e propria divenivano convulsi e frenetici.
Indagini, appostamenti, pedinamenti.
Tutto era finalizzato alla perfetta riuscita del mio lavoro.
Sono sempre stato scrupoloso ed efficiente.
Ed orgoglioso di esserlo.
Insomma, e senza tirarla tanto per le lunghe, alla fine delle mie fatiche, anche quella volta il piano per arrivare ad uccidere il mio bersaglio fu pronto sin nei minimi dettagli.
Il momento di passare all’azione era finalmente arrivato.

Era dunque per questa ragione, per il solo fatto che ero un professionista della morte, che ora mi ritrovavo lì, nascosto e appostato su quella scogliera, alta ed impervia.
Di fronte a me, al di là di una piccola baia, sorgeva la villa nella quale Tassos Mavridis avrebbe trovato la morte..
Nelle indagini che avevo svolto durante le tre settimane precedenti, avevo scoperto che il mio bersaglio passava tutti i venerdì notte in quella casa, con la sua amante venticinquenne, una ragazza russa di nome Irina.
Non che avesse solo questa di amante il buon Tassos, figuriamoci: i soldi ed il potere gli davano la possibilità di pescare a piene mani fra le donne che vivevano in quel mondo, dove il lusso e la bellezza erano caratteristiche fondamentali ed imprescindibili.
Attricette, accompagnatrici, prostitute d’alto bordo.
A Tassos Mavridis era sufficiente schioccare le dita per averle tutte ai suoi piedi.
Fra le tante, però, Irina, la ragazza russa, era di gran lunga la sua favorita.
E sarebbe stata proprio lei l'ultima persona che avrebbe visto Tassos Mavridis vivo.

La casa era abbarbicata alla parete rocciosa della scogliera di fronte a quella dove io pazientemente attendevo.
Alla bassa villa a due piani si arrivava per una sterrata che scendeva dalla sovrastante strada litoranea che, serpeggiando lungo la costa in un’infinita serie di curve, conduceva fino a Salonicco.
La stretta baia su cui la villa si affacciava era veramente di dimensioni ridottissime: una piccola spiaggia di non più di settanta metri di lunghezza per venti di profondità.
La mia posizione, che avevo scelto con molta cura, era ottimale: nascosto tra le rocce, e per di più al buio vista l'ora della sera, avevo di fronte a me, a non più di ottanta metri, l'ampia vetrata del salone della casa, che si apriva su un largo terrazzo sorretto da piloni in cemento.
La sommità della scogliera era ad una ventina di metri sopra la mia testa, e vedevo la piccola spiaggia sottostante una cinquantina di metri più in basso.

Con tutte le luci accese, il salone della villa mi appariva come il grande schermo panoramico di un cinema, sul quale la figura slanciata della ragazza russa si muoveva agilmente avanti e indietro.
Devo ammettere che Tassos Mavridis aveva un gusto eccellente in fatto di donne: Irina era alta, bionda e con tutte le curve al posto giusto.
Si muoveva con grazia ed eleganza nell'ampio salotto, preparandosi un drink e armeggiando intorno allo stereo.
La visuale era perfetta e mi sarebbe stato impossibile mancare il bersaglio.
Il tiro sarebbe stato di una facilità disarmante.

Accostai di nuovo il binocolo agli occhi e Irina mi sembrò a non più di due o tre metri: ora si era seduta sul divano, intenta a passarsi uno smalto rosso sulle unghie dei piedi.
La ragazza indossava una minigonna bianca ed una maglietta scollata gialla, e lo spettacolo delle sue gambe, snelle, abbronzate e tornite, mi aiutava a passare il tempo in modo estremamente piacevole.
Imbracciai il fucile, un Vaime MK2, un vero e proprio gioiello, e guardando nel mirino telescopico Bushnell controllai ancora una volta che la visuale fosse perfetta, e che nessun problema ostacolasse il compito che dovevo portare a termine.
Irina era lì, vicinissima e bellissima.
Se avessi premuto il grilletto, la ragazza non si sarebbe nemmeno accorta di morire.
Come non se ne sarebbe accorto Tassos.

Era passata un'altra ora, quando le luci di due auto illuminarono finalmente la sterrata, scendendo dalla litoranea velocemente verso la casa.
L’auto di Tassos Mavridis era seguita da quella della sua scorta personale, alcuni gorilla raccattati nei più luridi bassifondi del Pireo.
Mentre la BMW di Tassos Mavridis spariva dietro l’edificio, l’altra auto fece manovra, per poi risalire lungo la sterrata: il lavoro delle guardie del corpo di Mavridis per quella sera era terminato.
Dopo un paio di minuti che la BMW era scomparsa dietro la villa, vidi Irina alzarsi dal divano posto di fronte alla vetrata, e dirigersi ancheggiando verso il retro del salone; riapparve poco dopo, in compagnia di un uomo con indosso un impeccabile vestito blu.
Tassos Mavridis era arrivato puntuale al suo appuntamento con la morte.
Il reticolo del mirino era già centrato sulla fronte dell'uomo che stava chiacchierando con la ragazza, in piedi davanti al divano.
Il momento e la prospettiva erano ideali.
Era inutile e rischioso attendere oltre.
Calcolai la direzione del vento e l’eventuale incidenza dello stesso sul colpo, aumentai lievemente la pressione sul grilletto, espirai piano il fiato, svuotando completamente i polmoni, e... e proprio in quell’istante Tassos si spostò, dandomi la schiena.
Avrei potuto sparare ugualmente, colpirlo alla nuca ed ucciderlo in un baleno, ma avevo sempre colpito il bersaglio in piena fronte, e anche quella volta non avrei fatto eccezioni: ne facevo un punto di orgoglio personale portare a termine gli incarichi nel modo più preciso e professionale che potessi.
E poi, in certi ambienti, se inizia a girare la voce che magari non hai più la mano ferma come un tempo, i contratti si volatilizzano molto rapidamente: di persone come me che uccidono a pagamento ce ne sono molte di più di quanto non si possa immaginare.
Sembra incredibile a dirsi, ma esiste una sorta di concorrenza anche fra noi cecchini.

Tornando a riempirmi i polmoni dell’aria salmastra che soffiava dal mare, vidi il mio bersaglio uscire dal salone e, dopo pochi secondi, la luce di una delle camere del piano superiore si accese.
Contrariato, appoggiai il fucile accanto a me, e ripresi in mano il binocolo.
Irina era rimasta di sotto e trafficava davanti al mobile-bar.
La temperatura si andava abbassando notevolmente e l'umidità del mare mi penetrava in modo fastidioso nelle ossa; iniziai a sentire il desiderio di fumare, ma sapevo di non poterlo fare, perchè anche il rosso della brace di una sigaretta poteva tradirmi e rivelare la mia posizione.
Attesi pazientemente che mi si ripresentasse il momento opportuno per sparare.

- continua -

diagorasrodos@libero.it
scritto il
2011-05-28
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