La vacanza di Ariadne
di
Diagoras
genere
etero
L’aereo sarebbe partito con due ore esatte di ritardo.
Ariadne aveva appena ascoltato l’annuncio lanciato dall’altoparlante e, sospirando rassegnata, si diresse verso la sala d’aspetto antistante l’imbarco del suo volo, sedendosi su una poltroncina che guardava sulle piste.
Il Venizelos, l’aeroporto di Atene, in quei giorni era affollatissimo di passeggeri in arrivo ed in partenza, soprattutto di turisti che giungevano in Grecia per visitare la capitale o che erano in transito in attesa dei voli per le isole.
E proprio quel traffico eccezionale era stata la causa di una serie di ritardi a catena, fra i quali era incappato anche l’aereo dell’Olimpic Airways che doveva portare Ariadne a Milano.
Il dover partecipare per forza a quel benedetto congresso non l’aveva certamente entusiasmata, anche perché la decisione, presa dalla società per la quale lei lavorava, le era stata comunicata all’ultimo istante: la collega che sarebbe dovuta partire si era improvvisamente ammalata ed Ariadne era stata scelta per sostituirla.
Annoiata, la ragazza guardò un grande aereo decollare maestoso sulla pista.
Venticinque anni, capelli lunghi e biondi, occhi azzurri in un viso di una gradevolezza ed armonia straordinarie, Ariadne non passava di certo inosservata.
Le sue origini slave (la madre era polacca) le avevano portato capelli ed occhi chiari, mentre, da parte del padre, greco di Santorini, aveva ereditato la carnagione scura.
Questo contrasto, unito alla sua incredibile bellezza, la rendeva così piena di fascino da calamitare gli sguardi compiaciuti della maggior parte delle persone.
Quel giorno, poi, la ragazza indossava una maglietta azzurra, aderente ed elastica, che le fasciava divinamente il seno generoso; pantaloni di cotone chiaro, così attillati da sembrare una seconda pelle, evidenziavano il suo sedere perfetto e le lunghe e snelle gambe, ulteriormente slanciate dai tacchi alti dei sandali d’argento che portava ai piedi.
Come al solito, Ariadne aveva ricevuto già molti sguardi di ammirazione da parte degli uomini che passavano in continuazione nelle sale dell’aeroporto, sguardi che la spogliavano con gli occhi, che sognavano di vederla nuda, che desideravano di portarsela a letto.
Ma anche le occhiate che alcune donne le lanciavano erano inequivocabili: invidia per le sue splendide forme, per i suoi lucenti e vaporosi capelli, per il seno provocante e tonico, o, come molto spesso capitava, puro e semplice desiderio sessuale, la voglia malcelata di fare l’amore con lei.
Il tutto non turbava minimamente Ariadne: anzi, il più delle volte si sentiva lusingata da tali attenzioni, tanto da eccitarsi al pensiero di essere così desiderata.
Ariadne viveva la sua sessualità in modo solare e totale, non ponendo mai alcun limite o pregiudizio alle situazioni che le capitavano: la cosa fondamentale, per lei, era il raggiungimento del piacere, l’eccitazione che lo precedeva, sia quella che lei provava, sia quella che lei riusciva ad accendere negli altri.
Non avendo alcun freno inibitore, Ariadne non faceva certo distinzioni di sesso: andava a letto indifferentemente con uomini e donne, purchè facessero scattare in lei la libidine più estrema.
Il poter essere giudicata una troia o una lesbica non la sfiorava nemmeno.
Amava fare sesso, sempre e dovunque, senza limiti e condizionamenti.
Le piaceva tanto succhiare un cazzo, sentirselo fremente e bollente nel corpo, quanto adorava leccare una fica, aperta e bagnata di dolci umori…
Un altro aereo decollò rombando davanti ai suoi occhi.
L’attesa sarebbe stata ancora lunga.
Un uomo si era andato a sedere a due poltroncine da lei e, fingendo di leggere il giornale, la osservava con sguardo lascivo e interessato.
Un lieve sorriso si allargò sulle morbide labbra di Ariadne.
L’uomo che la guardava di nascosto, sognando di certo di scoparsela, era un tipo assolutamente insignificante, e che lei non avrebbe mai potuto prendere nemmeno in considerazione.
Nemmeno per sbaglio.
E poi, dopo Henry…
Con la mente Ariadne tornò a pochi giorni prima, a quell’albergo a Trianda, sull’isola di Rodi.
Avrebbe dovuto passare il fine settimana al mare con Barbara, la sua collega d’ufficio, nonché una delle sue varie amanti, ma, all’ultimo istante, la madre di Barbara non si era sentita bene, e così la sua amica aveva dovuto rinunciare alla breve vacanza.
Ariadne, però, anche se contrariata per il fastidioso contrattempo, era ugualmente partita per Rodi, ed era lì che aveva incontrato Henry.
Gli occhi fissi sulla pista di decollo, la ragazza accavallò le gambe, incrociò le braccia sul seno e prese a ripercorrere mentalmente quella notte straordinaria passata con quello splendido ragazzo…
Aveva incontrato Henry per la prima volta il sabato mattina, mentre lei si avviava a fare l’ennesimo bagno in mare.
Henry passeggiava sulla spiaggia e si era fermato, sorridendole, per lasciarle il passo.
Ariadne aveva subito avvertito il ben noto brivido d’eccitazione, foriero di nuove avventure, non appena lo aveva guardato: alto e straordinariamente muscoloso, i capelli cortissimi, quasi rasati, un orecchino al lobo dell’orecchio destro, occhi neri e profondi, labbra carnose e sensuali, la pelle scurissima e attraente come solo quella degli africani può essere.
Lei si era gettata in acqua con noncuranza, aveva fatto poche bracciate, e poi si era voltata a guardarlo: il ragazzo era rimasto fermo sulla spiaggia e la osservava divertito, un sorriso impertinente e malizioso a distendergli le labbra.
Ariadne si era sentita rimescolare tutta, quel ben noto e sensuale languore ad irradiarsi dallo stomaco al ventre; e quando lui infine aveva ripreso la sua passeggiata, andandosene via e voltandole le spalle, gli occhi della ragazza avevano ammirato il suo corpo, imponente ma allo stesso tempo asciutto, i muscoli scolpiti che guizzavano al ritmo della sua camminata.
Malgrado l’acqua del mare fosse fredda, Ariadne aveva avvertito una improvvisa e calda vampata di desiderio al solo guardare quel ragazzo di colore.
Erano quasi le due del pomeriggio di quello stesso giorno quando lo aveva rivisto.
Ariadne se ne stava sdraiata sul lettino, crogiolandosi ai raggi del sole, a farsi asciugare dal caldo la pelle ancora umida dopo l’ultimo bagno, e valutando distrattamente la coppia che occupava l’ombrellone accanto al suo.
Con i due, evidentemente marito e moglie, sulla quarantina, tedeschi, non si era scambiata nemmeno una parola, ma aveva notato gli sguardi che l’uomo le lanciava in continuazione, sguardi così manifestamente lascivi ed espliciti da imbarazzare chiunque si fosse trovato oggetto di quegli occhi.
Ma, certamente, non Ariadne.
L’uomo (discretamente bello ed in forma, con una spruzzata di grigio sulle tempie, particolare che lo rendeva notevolmente più affascinante) ad un certo momento aveva prima sfiorato le labbra della moglie con le sue, posandovi sopra un lieve bacio a stampo, e poi aveva confabulato, a voce bassissima, con lei, una donna molto bella, formosa e decisamente sexy, abbronzantissima e con un caschetto di capelli neri che la faceva apparire molto più giovane di quanto realmente non fosse.
Ariadne, malgrado lei non parlasse il tedesco, aveva intuito l’argomento di discussione tra i due e, divertita per la piega che stava prendendo la giornata, era rimasta immobile ad aspettare gli eventi.
Era chiaro come il marito stesse cercando di convincere la moglie ad abbordare quella splendida ragazza, con l’intento evidente di portarsela nel loro letto: e, dall’espressione della donna, si capiva come anche lei si sentisse eccitata all’idea di fare del sesso con una sconosciuta, e che quella non era di certo la prima occasione che i due si davano da fare in tal senso.
Ariadne si era ritrovata a pensare che, se i due si fossero decisi a compiere il primo passo, lei avrebbe accettato, e senza alcuna esitazione, di fare del sesso con loro: l’uomo non le dispiaceva per nulla, ma era la donna che più l’intrigava e stimolava il suo desiderio, perchè dimostrava di avere una pelle così levigata e perfetta che sarebbe stato semplicemente splendido percorrerla con le labbra e con la lingua…
Ad Ariadne era accaduto molte altre volte di venirsi a ritrovare in letti matrimoniali, a fare la terza con coppie che cercavano sempre nuove esperienze ed emozioni.
Aveva passato tante notti di follia, nelle quali il sesso era stato esplorato in tutti i suoi fantastici aspetti: e mai era rimasta delusa da tali esperienze, perché l’essere preda contemporaneamente di un uomo e di una donna la portava a raggiungere orgasmi indimenticabili.
Ma, quel giorno, il posare nuovamente gli occhi su Henry, su quel suo corpo da favola, le fece dimenticare all’istante la coppia che era sua vicina di ombrellone.
Il ragazzo di colore si era diretto al bar dell’albergo, bar che si trovava al limitare della spiaggia, ed Ariadne aveva sentito subito l’impellente esigenza di andare a bere qualcosa, in modo da avvicinarlo e di fare la sua conoscenza.
Nascosta dietro gli occhiali da sole, Ariadne studiò attentamente il ragazzo dalla pelle scura come la notte e che sorseggiava tranquillamente una birra a pochi metri da lei: le spalle larghe, i bicipiti sviluppati, i pettorali esplosivi che chiedevano solamente di essere percorsi dalla sua lingua e dalle sue mani… il ventre piatto, dagli addominali scolpiti in maniera sublime, le natiche sode e le lunghe gambe. E la pelle, di quel colore così scuro che l’eccitava al solo pensiero di toccarla, di accarezzarla e di baciarla…
Tutto, in Henry, l’attirava in maniera inesorabile, come una calamita attrae il ferro.
E poi… e poi c’erano i pantaloncini del costume che, a stento, trattenevano il pene del ragazzo: anche se certamente non in erezione, gli occhi di Ariadne intuivano come, sotto la leggera stoffa, si celasse un cazzo di dimensioni a dir poco fantastiche.
Henry, d’altro canto, e quasi in muta risposta alle voglie di Ariadne, non faceva nulla per dissimulare tutto il suo interesse per quella splendida ragazza.
Si voltava a guardarla con insistenza e, evidentemente, cercava soltanto un pretesto qualsiasi per attaccare discorso con lei.
Ma Ariadne, quando un uomo o una donna le piacevano, non si faceva alcuno scrupolo ad essere lei stessa a fare la prima mossa.
E anche quel giorno, levandosi gli occhiali da sole e guardando il ragazzo dritto negli occhi, non ebbe alcuna difficoltà ad entrare in confidenza con lui.
Ariadne, interrompendo il corso di quei suoi ricordi, tornò per un momento alla sala d’attesa dell’aeroporto, gettando un’occhiata all’orologio: mancava ancora più di un’ora al decollo del suo aereo.
Il tizio, quello che prima la guardava di nascosto con occhi bramosi e lascivi, si era allontanato, sicuramente deluso dal suo atteggiamento distratto ed assente, un atteggiamento che mostrava in modo esplicito come a lei non interessasse minimamente di lui.
Aveva ancora molto tempo prima che chiamassero il suo volo.
Completamente rilassata, la ragazza tornò a perdersi in quei meravigliosi ricordi.
Quella sera stessa, la sera del giorno in cui l’aveva incontrato, Ariadne era andata a letto con Henry, e di quell’esperienza assolutamente sconvolgente avrebbe portato, nella mente e nel corpo, un ricordo indelebile.
Dopo una passeggiata sulla spiaggia, durante la quale Henry l’aveva baciata, e dopo una rapida visita alla discoteca dell’albergo, Ariadne si era fatta accompagnare da lui nella sua stanza, invitando il ragazzo ad entrare e a passare ancora un pò di tempo con lei.
Lui le aveva raccontato di essere nigeriano, e di essere prossimo alla laurea in ingegneria all’università di Atene. Si manteneva agli studi facendo lavori umili e mal retribuiti al Pireo, ma la sua ambizione gli rendeva facile sopportare quei disagi e quelle difficoltà.
Presto, con la laurea in tasca, avrebbe potuto trovare un lavoro degno delle sue aspettative, e che lo avrebbe ripagato di tutti i sacrifici che aveva fatto in quegli anni.
Anche lui era a Rodi per un breve week-end e, con un amico, non potendo permettersi di alloggiare in un albergo, si erano accampati in tenda nel camping che si trovava a non più di cinquecento metri dall’albergo di Ariadne.
Non solo Ariadne, ma anche Henry, entrambi sapevano perfettamente come sarebbe finita la serata, ma si divertivano immensamente a fingere di non saperlo.
La camera d’albergo di Ariadne non era particolarmente ampia, ma, in compenso, il letto ad una piazza e mezzo era comodo e confortevole.
Con un brivido d’eccitazione, Ariadne aprì la porta della stanza e fece accomodare il ragazzo che, senza nemmeno dire una parola, una volta chiusa la porta, l’afferrò alla vita, attirandola a se, ed iniziando a perlustrarle la bocca con la sua lingua.
Ariadne si abbandonò grata a quel bacio, sentendosi già umida d’eccitazione fra le cosce.
Assaporò deliziata le labbra carnose del ragazzo, accesa nei sensi da tutto quello che immaginava sarebbe seguito a quel primo contatto fra loro.
Sentiva le braccia muscolose di Henry cingerle la vita, e le sue grandi mani passarle leggere sulla schiena; e lei era già pronta a perdersi in lui, in quel mare di pelle nera, pelle che Ariadne trovava fantastica e diabolicamente erotica.
Si baciarono a lungo, con sempre maggiore frenesia, fin quando Henry le fece scivolare delicatamente le spalline del vestito, liberandole i seni perfetti, cingendoli a coppa con le sue larghe e vigorose mani, pizzicandole amorevolmente i capezzoli subito eretti e carezzando la pelle vellutata di lei.
Ben presto l’estivo vestito leggero della ragazza scivolò a terra, e lei, liberandosene, lo scalciò lontano, sempre avvinta allo statuario corpo di Henry.
Ora Ariadne era rimasta con indosso il solo perizoma nero e le scarpe, anch’esse nere e con il tacco esageratamente alto, scarpe che si era dovuta togliere per la passeggiata sulla spiaggia, e che aveva infilato ai piedi solamente quando si erano affacciati nella discoteca dell’albergo.
Henry la scostò da sé e restò ad ammirarla per quasi un intero minuto: e quello sguardo, penetrante e sensuale, così carico di desiderio e d’ammirazione, aveva dato il colpo definitivo alla decisione iniziale della ragazza di non bruciare le tappe di quella nottata, ma di godersi lentamente ogni istante con Henry ed ogni centimetro del suo fantastico corpo.
Ad Ariadne era sempre piaciuto condurre il gioco, prendere l’iniziativa, essere lei a dare l’input sessuale al suo o alla sua partner: ma con quel gigante di colore, nero come l’ebano, si rese immediatamente conto che la preda sarebbe stata lei, e lui il cacciatore.
E questo sentirsi in balia di quell’uomo, sapere che lui avrebbe fatto di lei quello che più desiderava, questa sensazione di quasi impotenza, per lei di fatto sconosciuta, la eccitò terribilmente, tanto da sentirsi la fica già grondante di copiose e profumate secrezioni.
Le mani della ragazza presero a sbottonare la camicia dell’uomo, lentamente, voluttuosamente, con una sensualità inimmaginabile; e, mentre faceva scorrere la camicia lungo le braccia di Henry, lei lo fissava negli occhi, quasi sfidandolo a chi fra i due sarebbe riuscito a dare maggior piacere all’altro.
Percorse in punta di dita i suoi pettorali, i muscoli delle spalle e gli addominali, sentendo la pelle di Henry bollente, così erotizzante ed inebriante.
Con le mani percorse lungamente quella massa di muscoli neri, gli disegnò il contorno del viso, sfiorò quella labbra che la facevano impazzire al solo vederle, infilò un dito tra esse, lasciando che lui lo succhiasse con delicatezza.
Poi le dita di Ariadne si concentrarono sulla cintura dei pantaloni, la allentarono, slacciarono i bottoni dei calzoni di cotone blu che lui indossava, facendoli poi scivolare lungo le cosce muscolose.
E quando gli occhi della ragazza si fissarono sugli slip, che a stento riuscivano a contenere quel cazzo in piena erezione, un nuovo e stupendo brivido d’eccitazione la travolse.
Trascinò Henry verso il letto, lo fece sdraiare, gli tolse le scarpe e gli sfilò i pantaloni arrotolati alle caviglie.
E quando le mani di Ariadne s’infilarono con decisione sotto l’elastico degli slip, liberando Henry da quell’ultimo e ormai inutile indumento, un gemito, quasi un grido a stento trattenuto, uscì dalle labbra di lei: quello che i suoi occhi vedevano era un sogno, un sogno dal quale non avrebbe mai voluto risvegliarsi.
Henry, completamente nudo e allungato sul letto, la sua pelle scurissima, i muscoli scolpiti e guizzanti, un sorriso su quelle labbra magnifiche, aveva intrecciato le mani dietro la testa e le mostrava tutta la sua prorompente virilità.
Ariadne, quasi senza fiato, osservava un cazzo di dimensioni fuori del comune, lungo e largo, svettante e turgido; quasi con timore la ragazza, in ginocchio sul letto, allungò la mano, impugnando quel palo di carne nera.
Una scossa di elettricità erotica le percorse il palmo della mano a quel semplice contatto: le dita si serrarono sull’asta e, adagio, lei tirò in giù la pelle, esponendo un’enorme cappella marrone scuro.
Affascinata, Ariadne lasciò che la mano scivolasse ad abbracciare lo scroto, soppesando i testicoli, sicuramente rigonfi di sperma, sperma che lei avrebbe presto fatto schizzare.
La sua mano prese a masturbare lentamente il magnifico cazzo di Henry.
Ariadne vedeva le sue dita più chiare, dalle lunghe unghie dipinte di azzurro, contrastare in modo fantastico con la pelle nera di quel cazzo da favola.
Era come ipnotizzata dal movimento della sua mano, che scivolava lieve, ma insistente, su quella verga straordinaria.
Con consumata esperienza, Ariadne portò la sega, e più volte, quasi al limite massimo della sopportazione maschile, fermandosi sempre in tempo, strappando sospiri di piacere e di frustrazione a Henry che, continuamente al limite dell’eiaculazione, la guardava penetrarsi la fica con l’altra mano.
Ma Ariadne voleva quel cazzo in bocca, tra le labbra, sotto la sua lingua infernale.
Chinando la testa, gli occhi fissi in quelli di lui, i biondi capelli ad incorniciarle il viso perfetto, Ariadne appoggiò le labbra alla scura cappella, le socchiuse, e se la lasciò scivolare in bocca, assaporando quel sapore di maschio che sempre la inebriava.
Il cazzo le scivolava magnificamente tra le labbra, riempiendole la bocca, quasi soffocandola, nel tentativo si succhiarne ogni centimetro di lunghezza; era un’esperienza nuova per Ariadne, perché non le era mai capitato di tenere in bocca una verga di quelle dimensioni inimmaginabili.
Ed anche quel colore così scuro la eccitava oltre ogni limite di sopportazione.
Prolungò il pompino il più a lungo possibile, ritardando l’esplosione di Henry con abili movimenti della mano, pregustando il sapore dello sperma di quel cazzo magnifico.
Ariadne stava leccando la cappella di Henry, quando lo sentì sospirare sempre più eccitato, le sue mani spingerle sulla nuca, nel tentativo di riempirle la bocca il più possibile della sua erezione.
Visto lo stato di eccitazione che la divorava, lei si sfilò a fatica quel palo di carne dalle labbra e appoggiò la lingua alla scura cappella: con rapidi movimenti della mano lo masturbò per qualche istante, fino a che il primo fiotto di seme, bianco, denso e caldo, le colpì il viso, bagnandole le guance arrossate dal piacere e le labbra socchiuse e frementi.
Sconvolta dal piacere si sentì inondata da quel fiume di sperma bollente...
Dopo averlo ripulito accuratamente con la lingua, Ariadne, lavorando ancora di bocca e di mano, aveva rapidamente restituito al cazzo di Henry tutto il suo turgore.
Passando la lingua, un’ultima volta, dalle palle alla cappella, si sollevò da lui, sdraiandosi sul letto, le gambe spalancate, la fica depilata fradicia e ardente.
Il ragazzo le fu sopra in un attimo e quel cazzo gigantesco la penetrò in un sol colpo.
Le gambe allacciate sulla schiena di Henry, Ariadne si sentì completamente riempita da quella verga straordinaria e dalle spinte possenti del ragazzo di colore che la stava scopando.
Gli orgasmi, intensi e devastanti, la proiettarono in quella dimensione in cui nulla più esisteva, se non il suo corpo ed il piacere dilagante.
Svuotata di ogni energia, lasciò che Henry, ancora terribilmente eccitato, uscisse da lei, le leccasse la fica per lunghi e straordinari minuti, scendesse con la bocca lungo le cosce e le gambe, fino a succhiarle, una ad una, le dita dei piedi, lo smalto azzurro lucido della saliva di lui.
E poi Henry la voltò, la rigirò sulla pancia, scostandole i capelli dalla nuca e carezzandole a lungo la schiena; Ariadne, ad occhi chiusi, si godeva quel massaggio, eccitandosi ancora di più quando la punta del cazzo di Henry le sfiorava la pelle delle natiche.
Sapeva dove lui voleva arrivare, e godeva straordinariamente per quell’attesa che sembrava infinita.
Si sentiva una troia, come poche volte le era capitato nella vita.
Ed era una sensazione sublime: sentirsi una puttana, l’ultima delle troie, pronta a tutto, disposta a qualsiasi cosa pur di sentirsi il culo aperto da quell’enorme cazzo di colore.
E Ariadne attese.
Aspettò fremendo che fosse Henry a decidere quando fosse giunto il momento d’incularla.
Le mani del ragazzo la esplorarono a lungo, lisciarono la sua pelle morbida e perfetta, scorrendo lungo la schiena, massaggiandole le vertebre, insinuandosi nel solco fra le natiche, natiche che Ariadne cercava di divaricare il più possibile.
E poi le dita di Henry iniziarono finalmente a stuzzicarle l’ano, con movimenti circolari, lenti e suadenti; la ragazza avvertì, in un languore che le si irradiava in tutto il corpo, che i suoi tessuti cedevano inesorabilmente, rilassandosi a quel delicato contatto.
Poi Henry si alzò dal letto e, dal tavolo poco distante, prese il contenitore dell’olio per il corpo, olio con il quale Ariadne si ungeva ogni sera la pelle.
Lei aveva voltato la testa, e non si perdeva un solo movimento del ragazzo.
Henry tornò sul letto, in ginocchio dietro di lei, e si versò un gran quantitativo di olio nel palmo della sua grande mano.
Gli occhi fissi in quelli di lei, portò la mano al cazzo, percorrendolo per tutta la lunghezza e ungendolo completamente.
La scura pelle del suo uccello brillava lucida nella luce soffusa della camera.
Poi, con le dita ancora unte, umettò accuratamente il culo di Ariadne, penetrandola prima con un dito, poi con due.
Ariadne era fuori di sé per l’eccitazione, e lo incitava a non ritardare oltre quello che lei desiderava ardentemente.
- Dai… inculami… non ce la faccio più… mettimelo tutto dentro… sfondami il culo… ti prego… -
E la cappella si accostò a quel buco impaziente, indugiò ancora un attimo, e poi si fece strada, centimetro dopo centimetro, impossessandosi del culo aperto di Ariadne.
Dolore e piacere. Bruciore e appagamento. Spasimi e benessere.
Le reazioni fisiche di Ariadne, inizialmente furono devastanti e contrastanti.
Quell’alternanza di piacere sessuale e fastidio fisico la lasciò senza fiato.
La scura cappella del ragazzo entrava in lei, lentamente, ma inesorabilmente.
Le sue pareti finalmente cedettero, agevolando la penetrazione.
L’olio attutiva meravigliosamente l’attrito, ed il cazzo di Henry si fece strada in quel culo da favola.
Ariadne, il viso affondato nel cuscino, immaginava quel cazzo gigantesco entrarle nel corpo, quel palo scuro e bollente infilarsi per intero nel suo culo oscenamente dilatato...
Lui spinse fino a che le palle toccarono le natiche di Ariadne, impalandola fino in fondo, strappandole urla sempre meno di dolore e sempre più di piacere, di un piacere così travolgente da spingerla verso un’inimmaginabile follia erotica mai neppure concepita nella più erotica delle fantasie…
Ariadne si riscosse da quel sogno ad occhi aperti.
L’altoparlante ora stava chiamando il suo volo per l’imbarco.
La ragazza si alzò, dirigendosi verso l’hostess che controllava i biglietti.
Il ricordo di Henry l’aveva fatta bagnare ancora una volta: sentiva le sottili mutandine intrise dagli umori della sua eccitazione.
Porse il biglietto all’hostess e si avviò verso l’aereo, verso quel congresso a Milano che le avrebbe riservato la sorpresa di una nuova e inattesa notte di sesso, una meravigliosa avventura assolutamente inaspettata.
Avremo di sicuro tempo per riparlarne.
Fine
diagorasrodos@libero.it
Ariadne aveva appena ascoltato l’annuncio lanciato dall’altoparlante e, sospirando rassegnata, si diresse verso la sala d’aspetto antistante l’imbarco del suo volo, sedendosi su una poltroncina che guardava sulle piste.
Il Venizelos, l’aeroporto di Atene, in quei giorni era affollatissimo di passeggeri in arrivo ed in partenza, soprattutto di turisti che giungevano in Grecia per visitare la capitale o che erano in transito in attesa dei voli per le isole.
E proprio quel traffico eccezionale era stata la causa di una serie di ritardi a catena, fra i quali era incappato anche l’aereo dell’Olimpic Airways che doveva portare Ariadne a Milano.
Il dover partecipare per forza a quel benedetto congresso non l’aveva certamente entusiasmata, anche perché la decisione, presa dalla società per la quale lei lavorava, le era stata comunicata all’ultimo istante: la collega che sarebbe dovuta partire si era improvvisamente ammalata ed Ariadne era stata scelta per sostituirla.
Annoiata, la ragazza guardò un grande aereo decollare maestoso sulla pista.
Venticinque anni, capelli lunghi e biondi, occhi azzurri in un viso di una gradevolezza ed armonia straordinarie, Ariadne non passava di certo inosservata.
Le sue origini slave (la madre era polacca) le avevano portato capelli ed occhi chiari, mentre, da parte del padre, greco di Santorini, aveva ereditato la carnagione scura.
Questo contrasto, unito alla sua incredibile bellezza, la rendeva così piena di fascino da calamitare gli sguardi compiaciuti della maggior parte delle persone.
Quel giorno, poi, la ragazza indossava una maglietta azzurra, aderente ed elastica, che le fasciava divinamente il seno generoso; pantaloni di cotone chiaro, così attillati da sembrare una seconda pelle, evidenziavano il suo sedere perfetto e le lunghe e snelle gambe, ulteriormente slanciate dai tacchi alti dei sandali d’argento che portava ai piedi.
Come al solito, Ariadne aveva ricevuto già molti sguardi di ammirazione da parte degli uomini che passavano in continuazione nelle sale dell’aeroporto, sguardi che la spogliavano con gli occhi, che sognavano di vederla nuda, che desideravano di portarsela a letto.
Ma anche le occhiate che alcune donne le lanciavano erano inequivocabili: invidia per le sue splendide forme, per i suoi lucenti e vaporosi capelli, per il seno provocante e tonico, o, come molto spesso capitava, puro e semplice desiderio sessuale, la voglia malcelata di fare l’amore con lei.
Il tutto non turbava minimamente Ariadne: anzi, il più delle volte si sentiva lusingata da tali attenzioni, tanto da eccitarsi al pensiero di essere così desiderata.
Ariadne viveva la sua sessualità in modo solare e totale, non ponendo mai alcun limite o pregiudizio alle situazioni che le capitavano: la cosa fondamentale, per lei, era il raggiungimento del piacere, l’eccitazione che lo precedeva, sia quella che lei provava, sia quella che lei riusciva ad accendere negli altri.
Non avendo alcun freno inibitore, Ariadne non faceva certo distinzioni di sesso: andava a letto indifferentemente con uomini e donne, purchè facessero scattare in lei la libidine più estrema.
Il poter essere giudicata una troia o una lesbica non la sfiorava nemmeno.
Amava fare sesso, sempre e dovunque, senza limiti e condizionamenti.
Le piaceva tanto succhiare un cazzo, sentirselo fremente e bollente nel corpo, quanto adorava leccare una fica, aperta e bagnata di dolci umori…
Un altro aereo decollò rombando davanti ai suoi occhi.
L’attesa sarebbe stata ancora lunga.
Un uomo si era andato a sedere a due poltroncine da lei e, fingendo di leggere il giornale, la osservava con sguardo lascivo e interessato.
Un lieve sorriso si allargò sulle morbide labbra di Ariadne.
L’uomo che la guardava di nascosto, sognando di certo di scoparsela, era un tipo assolutamente insignificante, e che lei non avrebbe mai potuto prendere nemmeno in considerazione.
Nemmeno per sbaglio.
E poi, dopo Henry…
Con la mente Ariadne tornò a pochi giorni prima, a quell’albergo a Trianda, sull’isola di Rodi.
Avrebbe dovuto passare il fine settimana al mare con Barbara, la sua collega d’ufficio, nonché una delle sue varie amanti, ma, all’ultimo istante, la madre di Barbara non si era sentita bene, e così la sua amica aveva dovuto rinunciare alla breve vacanza.
Ariadne, però, anche se contrariata per il fastidioso contrattempo, era ugualmente partita per Rodi, ed era lì che aveva incontrato Henry.
Gli occhi fissi sulla pista di decollo, la ragazza accavallò le gambe, incrociò le braccia sul seno e prese a ripercorrere mentalmente quella notte straordinaria passata con quello splendido ragazzo…
Aveva incontrato Henry per la prima volta il sabato mattina, mentre lei si avviava a fare l’ennesimo bagno in mare.
Henry passeggiava sulla spiaggia e si era fermato, sorridendole, per lasciarle il passo.
Ariadne aveva subito avvertito il ben noto brivido d’eccitazione, foriero di nuove avventure, non appena lo aveva guardato: alto e straordinariamente muscoloso, i capelli cortissimi, quasi rasati, un orecchino al lobo dell’orecchio destro, occhi neri e profondi, labbra carnose e sensuali, la pelle scurissima e attraente come solo quella degli africani può essere.
Lei si era gettata in acqua con noncuranza, aveva fatto poche bracciate, e poi si era voltata a guardarlo: il ragazzo era rimasto fermo sulla spiaggia e la osservava divertito, un sorriso impertinente e malizioso a distendergli le labbra.
Ariadne si era sentita rimescolare tutta, quel ben noto e sensuale languore ad irradiarsi dallo stomaco al ventre; e quando lui infine aveva ripreso la sua passeggiata, andandosene via e voltandole le spalle, gli occhi della ragazza avevano ammirato il suo corpo, imponente ma allo stesso tempo asciutto, i muscoli scolpiti che guizzavano al ritmo della sua camminata.
Malgrado l’acqua del mare fosse fredda, Ariadne aveva avvertito una improvvisa e calda vampata di desiderio al solo guardare quel ragazzo di colore.
Erano quasi le due del pomeriggio di quello stesso giorno quando lo aveva rivisto.
Ariadne se ne stava sdraiata sul lettino, crogiolandosi ai raggi del sole, a farsi asciugare dal caldo la pelle ancora umida dopo l’ultimo bagno, e valutando distrattamente la coppia che occupava l’ombrellone accanto al suo.
Con i due, evidentemente marito e moglie, sulla quarantina, tedeschi, non si era scambiata nemmeno una parola, ma aveva notato gli sguardi che l’uomo le lanciava in continuazione, sguardi così manifestamente lascivi ed espliciti da imbarazzare chiunque si fosse trovato oggetto di quegli occhi.
Ma, certamente, non Ariadne.
L’uomo (discretamente bello ed in forma, con una spruzzata di grigio sulle tempie, particolare che lo rendeva notevolmente più affascinante) ad un certo momento aveva prima sfiorato le labbra della moglie con le sue, posandovi sopra un lieve bacio a stampo, e poi aveva confabulato, a voce bassissima, con lei, una donna molto bella, formosa e decisamente sexy, abbronzantissima e con un caschetto di capelli neri che la faceva apparire molto più giovane di quanto realmente non fosse.
Ariadne, malgrado lei non parlasse il tedesco, aveva intuito l’argomento di discussione tra i due e, divertita per la piega che stava prendendo la giornata, era rimasta immobile ad aspettare gli eventi.
Era chiaro come il marito stesse cercando di convincere la moglie ad abbordare quella splendida ragazza, con l’intento evidente di portarsela nel loro letto: e, dall’espressione della donna, si capiva come anche lei si sentisse eccitata all’idea di fare del sesso con una sconosciuta, e che quella non era di certo la prima occasione che i due si davano da fare in tal senso.
Ariadne si era ritrovata a pensare che, se i due si fossero decisi a compiere il primo passo, lei avrebbe accettato, e senza alcuna esitazione, di fare del sesso con loro: l’uomo non le dispiaceva per nulla, ma era la donna che più l’intrigava e stimolava il suo desiderio, perchè dimostrava di avere una pelle così levigata e perfetta che sarebbe stato semplicemente splendido percorrerla con le labbra e con la lingua…
Ad Ariadne era accaduto molte altre volte di venirsi a ritrovare in letti matrimoniali, a fare la terza con coppie che cercavano sempre nuove esperienze ed emozioni.
Aveva passato tante notti di follia, nelle quali il sesso era stato esplorato in tutti i suoi fantastici aspetti: e mai era rimasta delusa da tali esperienze, perché l’essere preda contemporaneamente di un uomo e di una donna la portava a raggiungere orgasmi indimenticabili.
Ma, quel giorno, il posare nuovamente gli occhi su Henry, su quel suo corpo da favola, le fece dimenticare all’istante la coppia che era sua vicina di ombrellone.
Il ragazzo di colore si era diretto al bar dell’albergo, bar che si trovava al limitare della spiaggia, ed Ariadne aveva sentito subito l’impellente esigenza di andare a bere qualcosa, in modo da avvicinarlo e di fare la sua conoscenza.
Nascosta dietro gli occhiali da sole, Ariadne studiò attentamente il ragazzo dalla pelle scura come la notte e che sorseggiava tranquillamente una birra a pochi metri da lei: le spalle larghe, i bicipiti sviluppati, i pettorali esplosivi che chiedevano solamente di essere percorsi dalla sua lingua e dalle sue mani… il ventre piatto, dagli addominali scolpiti in maniera sublime, le natiche sode e le lunghe gambe. E la pelle, di quel colore così scuro che l’eccitava al solo pensiero di toccarla, di accarezzarla e di baciarla…
Tutto, in Henry, l’attirava in maniera inesorabile, come una calamita attrae il ferro.
E poi… e poi c’erano i pantaloncini del costume che, a stento, trattenevano il pene del ragazzo: anche se certamente non in erezione, gli occhi di Ariadne intuivano come, sotto la leggera stoffa, si celasse un cazzo di dimensioni a dir poco fantastiche.
Henry, d’altro canto, e quasi in muta risposta alle voglie di Ariadne, non faceva nulla per dissimulare tutto il suo interesse per quella splendida ragazza.
Si voltava a guardarla con insistenza e, evidentemente, cercava soltanto un pretesto qualsiasi per attaccare discorso con lei.
Ma Ariadne, quando un uomo o una donna le piacevano, non si faceva alcuno scrupolo ad essere lei stessa a fare la prima mossa.
E anche quel giorno, levandosi gli occhiali da sole e guardando il ragazzo dritto negli occhi, non ebbe alcuna difficoltà ad entrare in confidenza con lui.
Ariadne, interrompendo il corso di quei suoi ricordi, tornò per un momento alla sala d’attesa dell’aeroporto, gettando un’occhiata all’orologio: mancava ancora più di un’ora al decollo del suo aereo.
Il tizio, quello che prima la guardava di nascosto con occhi bramosi e lascivi, si era allontanato, sicuramente deluso dal suo atteggiamento distratto ed assente, un atteggiamento che mostrava in modo esplicito come a lei non interessasse minimamente di lui.
Aveva ancora molto tempo prima che chiamassero il suo volo.
Completamente rilassata, la ragazza tornò a perdersi in quei meravigliosi ricordi.
Quella sera stessa, la sera del giorno in cui l’aveva incontrato, Ariadne era andata a letto con Henry, e di quell’esperienza assolutamente sconvolgente avrebbe portato, nella mente e nel corpo, un ricordo indelebile.
Dopo una passeggiata sulla spiaggia, durante la quale Henry l’aveva baciata, e dopo una rapida visita alla discoteca dell’albergo, Ariadne si era fatta accompagnare da lui nella sua stanza, invitando il ragazzo ad entrare e a passare ancora un pò di tempo con lei.
Lui le aveva raccontato di essere nigeriano, e di essere prossimo alla laurea in ingegneria all’università di Atene. Si manteneva agli studi facendo lavori umili e mal retribuiti al Pireo, ma la sua ambizione gli rendeva facile sopportare quei disagi e quelle difficoltà.
Presto, con la laurea in tasca, avrebbe potuto trovare un lavoro degno delle sue aspettative, e che lo avrebbe ripagato di tutti i sacrifici che aveva fatto in quegli anni.
Anche lui era a Rodi per un breve week-end e, con un amico, non potendo permettersi di alloggiare in un albergo, si erano accampati in tenda nel camping che si trovava a non più di cinquecento metri dall’albergo di Ariadne.
Non solo Ariadne, ma anche Henry, entrambi sapevano perfettamente come sarebbe finita la serata, ma si divertivano immensamente a fingere di non saperlo.
La camera d’albergo di Ariadne non era particolarmente ampia, ma, in compenso, il letto ad una piazza e mezzo era comodo e confortevole.
Con un brivido d’eccitazione, Ariadne aprì la porta della stanza e fece accomodare il ragazzo che, senza nemmeno dire una parola, una volta chiusa la porta, l’afferrò alla vita, attirandola a se, ed iniziando a perlustrarle la bocca con la sua lingua.
Ariadne si abbandonò grata a quel bacio, sentendosi già umida d’eccitazione fra le cosce.
Assaporò deliziata le labbra carnose del ragazzo, accesa nei sensi da tutto quello che immaginava sarebbe seguito a quel primo contatto fra loro.
Sentiva le braccia muscolose di Henry cingerle la vita, e le sue grandi mani passarle leggere sulla schiena; e lei era già pronta a perdersi in lui, in quel mare di pelle nera, pelle che Ariadne trovava fantastica e diabolicamente erotica.
Si baciarono a lungo, con sempre maggiore frenesia, fin quando Henry le fece scivolare delicatamente le spalline del vestito, liberandole i seni perfetti, cingendoli a coppa con le sue larghe e vigorose mani, pizzicandole amorevolmente i capezzoli subito eretti e carezzando la pelle vellutata di lei.
Ben presto l’estivo vestito leggero della ragazza scivolò a terra, e lei, liberandosene, lo scalciò lontano, sempre avvinta allo statuario corpo di Henry.
Ora Ariadne era rimasta con indosso il solo perizoma nero e le scarpe, anch’esse nere e con il tacco esageratamente alto, scarpe che si era dovuta togliere per la passeggiata sulla spiaggia, e che aveva infilato ai piedi solamente quando si erano affacciati nella discoteca dell’albergo.
Henry la scostò da sé e restò ad ammirarla per quasi un intero minuto: e quello sguardo, penetrante e sensuale, così carico di desiderio e d’ammirazione, aveva dato il colpo definitivo alla decisione iniziale della ragazza di non bruciare le tappe di quella nottata, ma di godersi lentamente ogni istante con Henry ed ogni centimetro del suo fantastico corpo.
Ad Ariadne era sempre piaciuto condurre il gioco, prendere l’iniziativa, essere lei a dare l’input sessuale al suo o alla sua partner: ma con quel gigante di colore, nero come l’ebano, si rese immediatamente conto che la preda sarebbe stata lei, e lui il cacciatore.
E questo sentirsi in balia di quell’uomo, sapere che lui avrebbe fatto di lei quello che più desiderava, questa sensazione di quasi impotenza, per lei di fatto sconosciuta, la eccitò terribilmente, tanto da sentirsi la fica già grondante di copiose e profumate secrezioni.
Le mani della ragazza presero a sbottonare la camicia dell’uomo, lentamente, voluttuosamente, con una sensualità inimmaginabile; e, mentre faceva scorrere la camicia lungo le braccia di Henry, lei lo fissava negli occhi, quasi sfidandolo a chi fra i due sarebbe riuscito a dare maggior piacere all’altro.
Percorse in punta di dita i suoi pettorali, i muscoli delle spalle e gli addominali, sentendo la pelle di Henry bollente, così erotizzante ed inebriante.
Con le mani percorse lungamente quella massa di muscoli neri, gli disegnò il contorno del viso, sfiorò quella labbra che la facevano impazzire al solo vederle, infilò un dito tra esse, lasciando che lui lo succhiasse con delicatezza.
Poi le dita di Ariadne si concentrarono sulla cintura dei pantaloni, la allentarono, slacciarono i bottoni dei calzoni di cotone blu che lui indossava, facendoli poi scivolare lungo le cosce muscolose.
E quando gli occhi della ragazza si fissarono sugli slip, che a stento riuscivano a contenere quel cazzo in piena erezione, un nuovo e stupendo brivido d’eccitazione la travolse.
Trascinò Henry verso il letto, lo fece sdraiare, gli tolse le scarpe e gli sfilò i pantaloni arrotolati alle caviglie.
E quando le mani di Ariadne s’infilarono con decisione sotto l’elastico degli slip, liberando Henry da quell’ultimo e ormai inutile indumento, un gemito, quasi un grido a stento trattenuto, uscì dalle labbra di lei: quello che i suoi occhi vedevano era un sogno, un sogno dal quale non avrebbe mai voluto risvegliarsi.
Henry, completamente nudo e allungato sul letto, la sua pelle scurissima, i muscoli scolpiti e guizzanti, un sorriso su quelle labbra magnifiche, aveva intrecciato le mani dietro la testa e le mostrava tutta la sua prorompente virilità.
Ariadne, quasi senza fiato, osservava un cazzo di dimensioni fuori del comune, lungo e largo, svettante e turgido; quasi con timore la ragazza, in ginocchio sul letto, allungò la mano, impugnando quel palo di carne nera.
Una scossa di elettricità erotica le percorse il palmo della mano a quel semplice contatto: le dita si serrarono sull’asta e, adagio, lei tirò in giù la pelle, esponendo un’enorme cappella marrone scuro.
Affascinata, Ariadne lasciò che la mano scivolasse ad abbracciare lo scroto, soppesando i testicoli, sicuramente rigonfi di sperma, sperma che lei avrebbe presto fatto schizzare.
La sua mano prese a masturbare lentamente il magnifico cazzo di Henry.
Ariadne vedeva le sue dita più chiare, dalle lunghe unghie dipinte di azzurro, contrastare in modo fantastico con la pelle nera di quel cazzo da favola.
Era come ipnotizzata dal movimento della sua mano, che scivolava lieve, ma insistente, su quella verga straordinaria.
Con consumata esperienza, Ariadne portò la sega, e più volte, quasi al limite massimo della sopportazione maschile, fermandosi sempre in tempo, strappando sospiri di piacere e di frustrazione a Henry che, continuamente al limite dell’eiaculazione, la guardava penetrarsi la fica con l’altra mano.
Ma Ariadne voleva quel cazzo in bocca, tra le labbra, sotto la sua lingua infernale.
Chinando la testa, gli occhi fissi in quelli di lui, i biondi capelli ad incorniciarle il viso perfetto, Ariadne appoggiò le labbra alla scura cappella, le socchiuse, e se la lasciò scivolare in bocca, assaporando quel sapore di maschio che sempre la inebriava.
Il cazzo le scivolava magnificamente tra le labbra, riempiendole la bocca, quasi soffocandola, nel tentativo si succhiarne ogni centimetro di lunghezza; era un’esperienza nuova per Ariadne, perché non le era mai capitato di tenere in bocca una verga di quelle dimensioni inimmaginabili.
Ed anche quel colore così scuro la eccitava oltre ogni limite di sopportazione.
Prolungò il pompino il più a lungo possibile, ritardando l’esplosione di Henry con abili movimenti della mano, pregustando il sapore dello sperma di quel cazzo magnifico.
Ariadne stava leccando la cappella di Henry, quando lo sentì sospirare sempre più eccitato, le sue mani spingerle sulla nuca, nel tentativo di riempirle la bocca il più possibile della sua erezione.
Visto lo stato di eccitazione che la divorava, lei si sfilò a fatica quel palo di carne dalle labbra e appoggiò la lingua alla scura cappella: con rapidi movimenti della mano lo masturbò per qualche istante, fino a che il primo fiotto di seme, bianco, denso e caldo, le colpì il viso, bagnandole le guance arrossate dal piacere e le labbra socchiuse e frementi.
Sconvolta dal piacere si sentì inondata da quel fiume di sperma bollente...
Dopo averlo ripulito accuratamente con la lingua, Ariadne, lavorando ancora di bocca e di mano, aveva rapidamente restituito al cazzo di Henry tutto il suo turgore.
Passando la lingua, un’ultima volta, dalle palle alla cappella, si sollevò da lui, sdraiandosi sul letto, le gambe spalancate, la fica depilata fradicia e ardente.
Il ragazzo le fu sopra in un attimo e quel cazzo gigantesco la penetrò in un sol colpo.
Le gambe allacciate sulla schiena di Henry, Ariadne si sentì completamente riempita da quella verga straordinaria e dalle spinte possenti del ragazzo di colore che la stava scopando.
Gli orgasmi, intensi e devastanti, la proiettarono in quella dimensione in cui nulla più esisteva, se non il suo corpo ed il piacere dilagante.
Svuotata di ogni energia, lasciò che Henry, ancora terribilmente eccitato, uscisse da lei, le leccasse la fica per lunghi e straordinari minuti, scendesse con la bocca lungo le cosce e le gambe, fino a succhiarle, una ad una, le dita dei piedi, lo smalto azzurro lucido della saliva di lui.
E poi Henry la voltò, la rigirò sulla pancia, scostandole i capelli dalla nuca e carezzandole a lungo la schiena; Ariadne, ad occhi chiusi, si godeva quel massaggio, eccitandosi ancora di più quando la punta del cazzo di Henry le sfiorava la pelle delle natiche.
Sapeva dove lui voleva arrivare, e godeva straordinariamente per quell’attesa che sembrava infinita.
Si sentiva una troia, come poche volte le era capitato nella vita.
Ed era una sensazione sublime: sentirsi una puttana, l’ultima delle troie, pronta a tutto, disposta a qualsiasi cosa pur di sentirsi il culo aperto da quell’enorme cazzo di colore.
E Ariadne attese.
Aspettò fremendo che fosse Henry a decidere quando fosse giunto il momento d’incularla.
Le mani del ragazzo la esplorarono a lungo, lisciarono la sua pelle morbida e perfetta, scorrendo lungo la schiena, massaggiandole le vertebre, insinuandosi nel solco fra le natiche, natiche che Ariadne cercava di divaricare il più possibile.
E poi le dita di Henry iniziarono finalmente a stuzzicarle l’ano, con movimenti circolari, lenti e suadenti; la ragazza avvertì, in un languore che le si irradiava in tutto il corpo, che i suoi tessuti cedevano inesorabilmente, rilassandosi a quel delicato contatto.
Poi Henry si alzò dal letto e, dal tavolo poco distante, prese il contenitore dell’olio per il corpo, olio con il quale Ariadne si ungeva ogni sera la pelle.
Lei aveva voltato la testa, e non si perdeva un solo movimento del ragazzo.
Henry tornò sul letto, in ginocchio dietro di lei, e si versò un gran quantitativo di olio nel palmo della sua grande mano.
Gli occhi fissi in quelli di lei, portò la mano al cazzo, percorrendolo per tutta la lunghezza e ungendolo completamente.
La scura pelle del suo uccello brillava lucida nella luce soffusa della camera.
Poi, con le dita ancora unte, umettò accuratamente il culo di Ariadne, penetrandola prima con un dito, poi con due.
Ariadne era fuori di sé per l’eccitazione, e lo incitava a non ritardare oltre quello che lei desiderava ardentemente.
- Dai… inculami… non ce la faccio più… mettimelo tutto dentro… sfondami il culo… ti prego… -
E la cappella si accostò a quel buco impaziente, indugiò ancora un attimo, e poi si fece strada, centimetro dopo centimetro, impossessandosi del culo aperto di Ariadne.
Dolore e piacere. Bruciore e appagamento. Spasimi e benessere.
Le reazioni fisiche di Ariadne, inizialmente furono devastanti e contrastanti.
Quell’alternanza di piacere sessuale e fastidio fisico la lasciò senza fiato.
La scura cappella del ragazzo entrava in lei, lentamente, ma inesorabilmente.
Le sue pareti finalmente cedettero, agevolando la penetrazione.
L’olio attutiva meravigliosamente l’attrito, ed il cazzo di Henry si fece strada in quel culo da favola.
Ariadne, il viso affondato nel cuscino, immaginava quel cazzo gigantesco entrarle nel corpo, quel palo scuro e bollente infilarsi per intero nel suo culo oscenamente dilatato...
Lui spinse fino a che le palle toccarono le natiche di Ariadne, impalandola fino in fondo, strappandole urla sempre meno di dolore e sempre più di piacere, di un piacere così travolgente da spingerla verso un’inimmaginabile follia erotica mai neppure concepita nella più erotica delle fantasie…
Ariadne si riscosse da quel sogno ad occhi aperti.
L’altoparlante ora stava chiamando il suo volo per l’imbarco.
La ragazza si alzò, dirigendosi verso l’hostess che controllava i biglietti.
Il ricordo di Henry l’aveva fatta bagnare ancora una volta: sentiva le sottili mutandine intrise dagli umori della sua eccitazione.
Porse il biglietto all’hostess e si avviò verso l’aereo, verso quel congresso a Milano che le avrebbe riservato la sorpresa di una nuova e inattesa notte di sesso, una meravigliosa avventura assolutamente inaspettata.
Avremo di sicuro tempo per riparlarne.
Fine
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