Quizàs.
di
Tibet
genere
pulp
A me piace molto questo racconto ma certo non posso pretendere che piaccia anche a voi, mi basterebbe che lo leggeste con partecipazione, non è erotico, è vita.
Pur essendo un racconto di fantasia, i posti descritti esistono veramente.
Vi dico solo che se non è successo non è detto che non poteva succedere.
Chi scrive lo sa, chi legge deve saperlo, in ogni parola di un autore c'è qualcosa di lui, a volte qualcosa di sostanziale a volte un minuscolo frammento.
Stranamente pur non essendo erotico è uno dei miei racconti maggiormente copiati e spacciato per proprio da altri autori in vari siti erotici.
Fatemi un regalo e leggetelo.
Quizàs...
Terminato il ciclo delle missioni e prima di riprendere il successivo, sostavamo a Tegucigalpa.
Hotel Golden Tulip della KLM, classe media, niente lusso.
Sei uomini, la squadra.
Segnati, provati, lo evidenziavano le profonde occhiaie, gli occhi sempre vigili, il bisogno di bere per stordirsi e il bisogno di donne, un bisogno inestinguibile come se chi ti scopavi fosse sempre l'ultima donna della tua vita.
La donna usata come droga.
Poche parole fra noi uomini e quelle scorrevano a fatica, eppure avevamo il bisogno di stare assieme, spalleggiarsi a vicenda, darsi protezione come durante una missione.
Le donne.
Sessioni infinite di sesso, ore, pomeriggi, notti, due, tre alla volta, donne ramazzate fra le venditrici del piacere a buon mercato, la camera spesso priva di corrente elettrica che diventava un forno, il loro sudore e il mio, l'odore del loro sesso e il mio, il bere e lo scopare per stordirsi, poi ricordo la madre e la figlia assieme, la donna quasi sfiorita che mostrava l'unica strada percorribile alla ragazzina della quale aveva appena venduta la verginità per il corrispettivo di 200 dollari in lempira honduran.
Mentre ero sopra a quella quasi bambina la madre le insegnava come fingere.
Le insegnava come sopravvivere.
Le sue lacrime salate lungo le gote, quelle le ricordo.
Non ricordo il suo viso, è una macchia chiaroscura nella mia coscienza.
La base operativa era in Honduras da dove partivamo.
E la destinazione era il Nicaragua, il povero Nicaragua martoriato, travagliato e saccheggiato che sfidava l'insensibilità e il cinismo degli ultimi anni ottanta, la gente stranamente, per quanto la morte fosse una compagna quotidiana, non era priva dell'allegria del vivere.
Perché mi chiedo ancora oggi a distanza di molti anni, gente dall’aspetto così benevolo, affettuosa d'istinto con chiunque, perché questi volti dai tratti gioiosi, ingenui, delicati, sopportarono tanto orrore per tanto tempo?
L'orrore!
E come convivere con l'orrore senza esserne coinvolti?
Io subivo la cosa senza farmi domande, le domande tornano ora e vogliono risposte e io non so darle.
Quello era un periodo particolare.
Un paese sventrato da un terremoto devastante, da uragani a ripetizione e da una guerra.
Una guerra?
Si, "una guerra di bassa intensità " come la definivano gli americani.
Il Nicaragua per sfortuna sua è situato nel cosiddetto "cortile di casa dello zio Sam", la zona di influenza americana.
Centroamerica, Sudamerica, ci sono paesi impossibilitati a crescere, legati a doppio filo agli interessi statunitensi, volutamente impastoiati nella miseria, volutamente senza futuro.
Veniamo alle missioni.
Le missioni?
Terrorismo allo stato puro.
Venivamo trasportati in elicottero di notte, sbarcati.
Una volta era un villaggio da mettere a ferro e fuoco, uccidere, distruggere, creare panico.
Un'altra, l'imboscata su di una strada per colpire chiunque passasse senza distinzione.
Altra volta ancora, ricerca di informazioni e allora rapimenti torture, intimidazioni, violenze senza fine, uccisioni.
Da che parte eravamo?
Ma dalla parte dei buoni certamente! Dei Contras!
Con i Contras e i loro sponsor, gli yankee, i salvatori del mondo, in quel caso specifico l'imperialismo camuffato da democrazia.
I cattivi?
I Sandinisti e i loro simpatizzanti, i campesinos, i preti, gli intellettuali, i poveri del mondo, quelli che volevano avere una opportunità dalla vita, quelli che volevano vivere di speranza, gli illusi, i perdenti.
Quelli che...
Perché?
Perché con i Contras?
Semplice!
Perché loro pagavano e gli altri no, bei dollari nuovi, fruscianti, che odoravano di santità.
L'inizio.
Il portiere dell'albergo, un furbo ruffiano.
"Hai uno che ti aspetta là in fondo...".
Guardo.
Non lo conosco, pantaloni kaki, camicia di sintetico, che vuole? Chi è?
Mentre mi avvicino, si alza.
Alto. Robusto, sui sessanta.
Guardo i suoi occhi e capisco.
E' un uomo del grande gioco, ex Vietnam?
Forse ha conosciuto la sua parte d'inferno, sfiorandolo o attraversandolo abbastanza in fretta da poterci ridere sopra, io invece, dopo esserci sceso, all'inferno ci sono rimasto.
E' uno del mestiere, sbrigativo.
Mentre beviamo Bavaria ghiacciata, parla.
Ha una figlia.
Una sola.
La rivuole ad ogni costo, ma c'è un problemino.
Lei non vuole tornare.
Sta in Nicaragua con i sandinisti, con i "nostri" cattivi.
Aspetto a rispondere, voglio sentire tutta la storia.
Lo yankee mi dice.
Riportamela, la voglio a casa.
E' tutta una questione di prezzo, mister ed e' comunque difficile, se non vuole tornare può succedere di tutto, può anche morire.
Meglio morta che con "loro", mi fredda.
Ti conosco, sei il migliore e sei onesto.
Onesto? Che vuol dire?
Il mondo è pieno di onesti, solo che saremmo nei guai se dovessimo dimostrarlo e contarci.
Soldi, parla di soldi amico e ti seguo.
La ragazza sta in un campo di addestramento sandinista vicino a Tasbapauni, sulla Laguna de Perlas, dieci miglia risalendo il corso del Kurinwas.
Non conosco il posto, è a nord di Bluefields?
Si.
Conosco la Isla del Maiz, Korn Islands, non è proprio di fronte?
Quanti sono nel campo?
Come faccio a riconoscerla?
E' navigabile il fiume? La laguna?
Non sa, le ultime informazioni che ha ottenuto da Langley dicono qualche decina.
Lei è bionda rossa, non ci saranno molte bionde, no?
No, dall'imbocco della laguna bisogna usare un gommone a motore.
Per il contratto con i Contras, non devo preoccuparmi.
Penso e non dico.
Certo che il destino ti ha inculato per bene povero coglione!
Fai la guerra a tua figlia e piuttosto di vederla con i rossi la preferisci morta.
Gli dico.
Fammici pensare sopra, hai un dossier?
Mi porge una cartelletta, pochi fogli, una foto della ragazza, lentigginosa, carina, una mappa, una foto del campo presa dall’alto.
Domani.
Gli dico, vieni domani.
Ecco i fatti.
Perché girare intorno al problema?
Fu una catastrofe, militarmente parlando, fu una catastrofe.
Inizia tutto dal piccolo porto dell'isola del Mais.
Sei extranjeros, sei gringos su di un battello per la pesca d'altura, più un marinaio e lo skipper.
E quella sensazione.
Quella maledetta sensazione.
Che ci sia qualcosa che non conosci e che non riuscirai a gestire.
La Laguna de Perlas è un paradiso, un posto che sembra il capolavoro del creatore ma solo quando non arrivano gli uragani e allora diventa l'inferno in terra.
Saliamo sul gommone quella notte dopo che il battello ci porta alla imboccatura della laguna, sei uomini in tuta mimetica scura e il marinaio che deve sbarcarci a tre miglia a valle dal campo, ritornare al battello e venirci a riprendere a missione compiuta.
L'idea era creare un diversivo, entrare nel campo prendere la ragazza e filarcela.
La difficoltà?
Donde està la mujeres con el pelo color rubio dorado?
La muchacha gringa?
Dove sta?
Dove?
Allo spuntare del sole sto osservando il campo, un attimo prima è sopito nel sonno e l'attimo successivo e' fervente di vita, un formicaio umano, gente che va di qua e di là.
Che lunga la giornata! dodici ore di luce soffusa, schermata dalle fronde tropicali degli alberi, di caldo, di umidità estrema, di sudore, il tormento di stare fermi sotto l'opera di tortura di ogni schifosa specie di insetti, la pochezza della razione K, l'acqua della borraccia resa schifosa dalle compresse di disinfettante.
Poi verso sera una figurina laggiù lontano si toglie il copricapo e libera uno fulgore biondo rosso.
E' lei!
La seguo con gli occhi, segno mentalmente l’ubicazione della sua tenda da campo.
Ma constato che sono troppi e troppo ben disposti gli occupanti del campo, troppo professionali, non sono reclute in addestramento, sono truppe addestrate in riposo.
E' un suicidio, non è fattibile.
La notte il collegamento via radio con Thompson, il padre e la sua condanna.
"Uccidila... cazzo... mi capisci? Uccidila... se non riesci a prenderla... questo riuscirai a farlo, no?".
Uomo, sei accecato dall'odio!
Nessuno e' schiavo dell'ideologia quanto voi americani! Vi ottenebra la ragione!
"Uccidila... ripeto... uccidila... hai fatto un contratto con me... fallo o non lavorerai più con noi!".
La coscienza, la coscienza sa azzannare, affonda i denti e fa male.
Dove era stata la coscienza fino ad allora? Dove era negli anni precedenti?
Dormiva la coscienza, era drogata dai tranquillanti, dall'alcol, dalle donne!
La colpa.
Mia la colpa, non dissi nulla della vera situazione ai compagni, delle scarse probabilità di successo.
Mia la decisione, la volontà di non ucciderla, lo scrupolo, il ripiego sull'intervento.
Mio l'errore, quattro all'altro lato del campo, allargati a raggio, la manovra diversiva, l'attacco con le granate lanciate dagli M 203, le lunghe litanie simili a rosari di morte degli M16, la risposta sgranata, a singhiozzo, dei kalashnikov, le sfiammate del fosforo bianco, gli incendi.
Noi due, incaricati della ragazza, svelti a raggiungerla nella sua tenda, una iniezione di ketamina e ritorno, il veloce ripiego verso il gommone dopo aver raggiunto il punto di ritrovo concordato.
Ma nulla va per il verso giusto.
L'imprevisto che si avvera, il timore che prende corpo.
Non sono certo in addestramento in quel campo, in breve organizzano la difesa e poi il contrattacco, sono cubani, che ironia della sorte!
Vecchi professionisti compagni/avversari dell'Angola, smaliziati, esperti, alleati dei Sandinisti in quel frangente.
Kiornak, il mio compagno di innumerevoli missioni tagliato in due da una raffica di mitragliatore, gli altri quattro uccisi o feriti e poi chissà.
Quizàs.
Mai saputo, mai più rivisti.
Mio il rimorso.
Vi chiedo perdono a tutti voi vecchi amici, a volte di notte vi rivedo uno per uno, ricordo i vostri difetti e li minimizzo, ricordo i vostri pregi e li esalto.
Io con la ragazza sulla spalla che arranco, non pesa molto, quarantacinque forse, ma alla lunga ti sfianca, l'ansare ti brucia i polmoni.
La chiusura della via di fuga lungo il fiume.
Costretto mi inoltro sempre più nell'interno, verso nord sempre più, fino a non sentire più gli inseguitori.
Mi fermo a terra, sfinito.
Esamino la ragazza.
Che brutta bestia la ketamina! E' istantanea o quasi ma a volte causa delle conseguenze spiacevoli.
Come in questo caso, lei sta viaggiando in pieno tunnel, suda, la frequenza cardiaca alterata al massimo, il respiro troppo frequente al limite dell'iperventilazione.
E cosciente sarà ancora peggio, visioni e stato di pre-morte, dissociazione, incapacità motoria e quanto altro.
Guai, guai grossi.
Cerco dell'acqua, trovo una pozza e riempio la borraccia aggiungendo tre compresse di katadyn e cerco di farla bere.
Ora devo cercare di raggiungere il Rio Grande.
Quattro giorni ci metto, quattro giorni d'inferno.
Il trasportarla durante tutte le ore di luce, mezz'ora di marcia resa difficoltosa da ogni genere di ostacoli e mezz'ora di riposo, poi passare la notte distesi sul telo impermeabile e lei che non si riprende, sembra una bambola di stoffa inanimata, una bambina diventata vecchia in un istante, la pelle grigia e incartapecorita.
La sera sciolgo delle compresse di carne liofilizzata e cerco di nutrirla, non deglutisce, è assente, nelle orbite le pupille sono rovesciate all'indietro e il suo respiro è un rantolo.
Ha bisogno di un medico.
Subito.
Quella sera raggiungo l'estuario del Rio Grande, un acquitrino melmoso, so di villaggi di pescatori, devo trovarne uno e convincerlo a portarci all’Isola del Mais.
E quella sera lei muore.
Mi accorgo che ha smesso di respirare, con frenesia le apro la camicia e appoggio le mani sotto lo sterno, premo forte, una due tre volte, sosta, una due tre volte, sosta, per un tempo infinito.
Ma lei è in viaggio, ha intrapreso un viaggio senza ritorno.
Vomito anche l'anima piegato in due.
Povera ragazza.
Vittima degli egoismi di uomini, il mio e di tuo padre.
Ma mia la colpa.
Devo dirlo?
Si.
La dose di ketamina nella siringa preconfezionata era per uomini di 80-100 chili.
Lei ne pesava la metà.
Non lo avevo previsto.
Quella maledetta sensazione.
Come finì?
Thompson pagò l'intero ingaggio e girai tutto sui conti bancari dei morti.
Era qualcosa di diverso dall'uomo di un mese prima, forse qualcosa in lui era morto con la figlia.
Dei mesi dopo mi chiese di recuperare il suo corpo per riportarlo alla madre a Thedford, Nebraska, per seppellirla nel loro cimitero al margine della Nebraska National Forest, la foresta che la ragazza amava tanto.
E io?
Andai a ritrovare la madre puttana e la figlia puttana, convinsi a suon di dollari la madre a darmi in esclusiva la figlia, con lei vissi parte della mia vita e tacitai la mia coscienza, la addormentai usando loro, l'alcol e qualche volta la ketamina.
Ancora mi chiedo se non avessi accettato quell'incarico, se non avessi sbagliato, se quella ragazza fosse ora viva...
Sarebbe forse felice? Madre? Sposa?
Quizàs.
Chissà.
Pur essendo un racconto di fantasia, i posti descritti esistono veramente.
Vi dico solo che se non è successo non è detto che non poteva succedere.
Chi scrive lo sa, chi legge deve saperlo, in ogni parola di un autore c'è qualcosa di lui, a volte qualcosa di sostanziale a volte un minuscolo frammento.
Stranamente pur non essendo erotico è uno dei miei racconti maggiormente copiati e spacciato per proprio da altri autori in vari siti erotici.
Fatemi un regalo e leggetelo.
Quizàs...
Terminato il ciclo delle missioni e prima di riprendere il successivo, sostavamo a Tegucigalpa.
Hotel Golden Tulip della KLM, classe media, niente lusso.
Sei uomini, la squadra.
Segnati, provati, lo evidenziavano le profonde occhiaie, gli occhi sempre vigili, il bisogno di bere per stordirsi e il bisogno di donne, un bisogno inestinguibile come se chi ti scopavi fosse sempre l'ultima donna della tua vita.
La donna usata come droga.
Poche parole fra noi uomini e quelle scorrevano a fatica, eppure avevamo il bisogno di stare assieme, spalleggiarsi a vicenda, darsi protezione come durante una missione.
Le donne.
Sessioni infinite di sesso, ore, pomeriggi, notti, due, tre alla volta, donne ramazzate fra le venditrici del piacere a buon mercato, la camera spesso priva di corrente elettrica che diventava un forno, il loro sudore e il mio, l'odore del loro sesso e il mio, il bere e lo scopare per stordirsi, poi ricordo la madre e la figlia assieme, la donna quasi sfiorita che mostrava l'unica strada percorribile alla ragazzina della quale aveva appena venduta la verginità per il corrispettivo di 200 dollari in lempira honduran.
Mentre ero sopra a quella quasi bambina la madre le insegnava come fingere.
Le insegnava come sopravvivere.
Le sue lacrime salate lungo le gote, quelle le ricordo.
Non ricordo il suo viso, è una macchia chiaroscura nella mia coscienza.
La base operativa era in Honduras da dove partivamo.
E la destinazione era il Nicaragua, il povero Nicaragua martoriato, travagliato e saccheggiato che sfidava l'insensibilità e il cinismo degli ultimi anni ottanta, la gente stranamente, per quanto la morte fosse una compagna quotidiana, non era priva dell'allegria del vivere.
Perché mi chiedo ancora oggi a distanza di molti anni, gente dall’aspetto così benevolo, affettuosa d'istinto con chiunque, perché questi volti dai tratti gioiosi, ingenui, delicati, sopportarono tanto orrore per tanto tempo?
L'orrore!
E come convivere con l'orrore senza esserne coinvolti?
Io subivo la cosa senza farmi domande, le domande tornano ora e vogliono risposte e io non so darle.
Quello era un periodo particolare.
Un paese sventrato da un terremoto devastante, da uragani a ripetizione e da una guerra.
Una guerra?
Si, "una guerra di bassa intensità " come la definivano gli americani.
Il Nicaragua per sfortuna sua è situato nel cosiddetto "cortile di casa dello zio Sam", la zona di influenza americana.
Centroamerica, Sudamerica, ci sono paesi impossibilitati a crescere, legati a doppio filo agli interessi statunitensi, volutamente impastoiati nella miseria, volutamente senza futuro.
Veniamo alle missioni.
Le missioni?
Terrorismo allo stato puro.
Venivamo trasportati in elicottero di notte, sbarcati.
Una volta era un villaggio da mettere a ferro e fuoco, uccidere, distruggere, creare panico.
Un'altra, l'imboscata su di una strada per colpire chiunque passasse senza distinzione.
Altra volta ancora, ricerca di informazioni e allora rapimenti torture, intimidazioni, violenze senza fine, uccisioni.
Da che parte eravamo?
Ma dalla parte dei buoni certamente! Dei Contras!
Con i Contras e i loro sponsor, gli yankee, i salvatori del mondo, in quel caso specifico l'imperialismo camuffato da democrazia.
I cattivi?
I Sandinisti e i loro simpatizzanti, i campesinos, i preti, gli intellettuali, i poveri del mondo, quelli che volevano avere una opportunità dalla vita, quelli che volevano vivere di speranza, gli illusi, i perdenti.
Quelli che...
Perché?
Perché con i Contras?
Semplice!
Perché loro pagavano e gli altri no, bei dollari nuovi, fruscianti, che odoravano di santità.
L'inizio.
Il portiere dell'albergo, un furbo ruffiano.
"Hai uno che ti aspetta là in fondo...".
Guardo.
Non lo conosco, pantaloni kaki, camicia di sintetico, che vuole? Chi è?
Mentre mi avvicino, si alza.
Alto. Robusto, sui sessanta.
Guardo i suoi occhi e capisco.
E' un uomo del grande gioco, ex Vietnam?
Forse ha conosciuto la sua parte d'inferno, sfiorandolo o attraversandolo abbastanza in fretta da poterci ridere sopra, io invece, dopo esserci sceso, all'inferno ci sono rimasto.
E' uno del mestiere, sbrigativo.
Mentre beviamo Bavaria ghiacciata, parla.
Ha una figlia.
Una sola.
La rivuole ad ogni costo, ma c'è un problemino.
Lei non vuole tornare.
Sta in Nicaragua con i sandinisti, con i "nostri" cattivi.
Aspetto a rispondere, voglio sentire tutta la storia.
Lo yankee mi dice.
Riportamela, la voglio a casa.
E' tutta una questione di prezzo, mister ed e' comunque difficile, se non vuole tornare può succedere di tutto, può anche morire.
Meglio morta che con "loro", mi fredda.
Ti conosco, sei il migliore e sei onesto.
Onesto? Che vuol dire?
Il mondo è pieno di onesti, solo che saremmo nei guai se dovessimo dimostrarlo e contarci.
Soldi, parla di soldi amico e ti seguo.
La ragazza sta in un campo di addestramento sandinista vicino a Tasbapauni, sulla Laguna de Perlas, dieci miglia risalendo il corso del Kurinwas.
Non conosco il posto, è a nord di Bluefields?
Si.
Conosco la Isla del Maiz, Korn Islands, non è proprio di fronte?
Quanti sono nel campo?
Come faccio a riconoscerla?
E' navigabile il fiume? La laguna?
Non sa, le ultime informazioni che ha ottenuto da Langley dicono qualche decina.
Lei è bionda rossa, non ci saranno molte bionde, no?
No, dall'imbocco della laguna bisogna usare un gommone a motore.
Per il contratto con i Contras, non devo preoccuparmi.
Penso e non dico.
Certo che il destino ti ha inculato per bene povero coglione!
Fai la guerra a tua figlia e piuttosto di vederla con i rossi la preferisci morta.
Gli dico.
Fammici pensare sopra, hai un dossier?
Mi porge una cartelletta, pochi fogli, una foto della ragazza, lentigginosa, carina, una mappa, una foto del campo presa dall’alto.
Domani.
Gli dico, vieni domani.
Ecco i fatti.
Perché girare intorno al problema?
Fu una catastrofe, militarmente parlando, fu una catastrofe.
Inizia tutto dal piccolo porto dell'isola del Mais.
Sei extranjeros, sei gringos su di un battello per la pesca d'altura, più un marinaio e lo skipper.
E quella sensazione.
Quella maledetta sensazione.
Che ci sia qualcosa che non conosci e che non riuscirai a gestire.
La Laguna de Perlas è un paradiso, un posto che sembra il capolavoro del creatore ma solo quando non arrivano gli uragani e allora diventa l'inferno in terra.
Saliamo sul gommone quella notte dopo che il battello ci porta alla imboccatura della laguna, sei uomini in tuta mimetica scura e il marinaio che deve sbarcarci a tre miglia a valle dal campo, ritornare al battello e venirci a riprendere a missione compiuta.
L'idea era creare un diversivo, entrare nel campo prendere la ragazza e filarcela.
La difficoltà?
Donde està la mujeres con el pelo color rubio dorado?
La muchacha gringa?
Dove sta?
Dove?
Allo spuntare del sole sto osservando il campo, un attimo prima è sopito nel sonno e l'attimo successivo e' fervente di vita, un formicaio umano, gente che va di qua e di là.
Che lunga la giornata! dodici ore di luce soffusa, schermata dalle fronde tropicali degli alberi, di caldo, di umidità estrema, di sudore, il tormento di stare fermi sotto l'opera di tortura di ogni schifosa specie di insetti, la pochezza della razione K, l'acqua della borraccia resa schifosa dalle compresse di disinfettante.
Poi verso sera una figurina laggiù lontano si toglie il copricapo e libera uno fulgore biondo rosso.
E' lei!
La seguo con gli occhi, segno mentalmente l’ubicazione della sua tenda da campo.
Ma constato che sono troppi e troppo ben disposti gli occupanti del campo, troppo professionali, non sono reclute in addestramento, sono truppe addestrate in riposo.
E' un suicidio, non è fattibile.
La notte il collegamento via radio con Thompson, il padre e la sua condanna.
"Uccidila... cazzo... mi capisci? Uccidila... se non riesci a prenderla... questo riuscirai a farlo, no?".
Uomo, sei accecato dall'odio!
Nessuno e' schiavo dell'ideologia quanto voi americani! Vi ottenebra la ragione!
"Uccidila... ripeto... uccidila... hai fatto un contratto con me... fallo o non lavorerai più con noi!".
La coscienza, la coscienza sa azzannare, affonda i denti e fa male.
Dove era stata la coscienza fino ad allora? Dove era negli anni precedenti?
Dormiva la coscienza, era drogata dai tranquillanti, dall'alcol, dalle donne!
La colpa.
Mia la colpa, non dissi nulla della vera situazione ai compagni, delle scarse probabilità di successo.
Mia la decisione, la volontà di non ucciderla, lo scrupolo, il ripiego sull'intervento.
Mio l'errore, quattro all'altro lato del campo, allargati a raggio, la manovra diversiva, l'attacco con le granate lanciate dagli M 203, le lunghe litanie simili a rosari di morte degli M16, la risposta sgranata, a singhiozzo, dei kalashnikov, le sfiammate del fosforo bianco, gli incendi.
Noi due, incaricati della ragazza, svelti a raggiungerla nella sua tenda, una iniezione di ketamina e ritorno, il veloce ripiego verso il gommone dopo aver raggiunto il punto di ritrovo concordato.
Ma nulla va per il verso giusto.
L'imprevisto che si avvera, il timore che prende corpo.
Non sono certo in addestramento in quel campo, in breve organizzano la difesa e poi il contrattacco, sono cubani, che ironia della sorte!
Vecchi professionisti compagni/avversari dell'Angola, smaliziati, esperti, alleati dei Sandinisti in quel frangente.
Kiornak, il mio compagno di innumerevoli missioni tagliato in due da una raffica di mitragliatore, gli altri quattro uccisi o feriti e poi chissà.
Quizàs.
Mai saputo, mai più rivisti.
Mio il rimorso.
Vi chiedo perdono a tutti voi vecchi amici, a volte di notte vi rivedo uno per uno, ricordo i vostri difetti e li minimizzo, ricordo i vostri pregi e li esalto.
Io con la ragazza sulla spalla che arranco, non pesa molto, quarantacinque forse, ma alla lunga ti sfianca, l'ansare ti brucia i polmoni.
La chiusura della via di fuga lungo il fiume.
Costretto mi inoltro sempre più nell'interno, verso nord sempre più, fino a non sentire più gli inseguitori.
Mi fermo a terra, sfinito.
Esamino la ragazza.
Che brutta bestia la ketamina! E' istantanea o quasi ma a volte causa delle conseguenze spiacevoli.
Come in questo caso, lei sta viaggiando in pieno tunnel, suda, la frequenza cardiaca alterata al massimo, il respiro troppo frequente al limite dell'iperventilazione.
E cosciente sarà ancora peggio, visioni e stato di pre-morte, dissociazione, incapacità motoria e quanto altro.
Guai, guai grossi.
Cerco dell'acqua, trovo una pozza e riempio la borraccia aggiungendo tre compresse di katadyn e cerco di farla bere.
Ora devo cercare di raggiungere il Rio Grande.
Quattro giorni ci metto, quattro giorni d'inferno.
Il trasportarla durante tutte le ore di luce, mezz'ora di marcia resa difficoltosa da ogni genere di ostacoli e mezz'ora di riposo, poi passare la notte distesi sul telo impermeabile e lei che non si riprende, sembra una bambola di stoffa inanimata, una bambina diventata vecchia in un istante, la pelle grigia e incartapecorita.
La sera sciolgo delle compresse di carne liofilizzata e cerco di nutrirla, non deglutisce, è assente, nelle orbite le pupille sono rovesciate all'indietro e il suo respiro è un rantolo.
Ha bisogno di un medico.
Subito.
Quella sera raggiungo l'estuario del Rio Grande, un acquitrino melmoso, so di villaggi di pescatori, devo trovarne uno e convincerlo a portarci all’Isola del Mais.
E quella sera lei muore.
Mi accorgo che ha smesso di respirare, con frenesia le apro la camicia e appoggio le mani sotto lo sterno, premo forte, una due tre volte, sosta, una due tre volte, sosta, per un tempo infinito.
Ma lei è in viaggio, ha intrapreso un viaggio senza ritorno.
Vomito anche l'anima piegato in due.
Povera ragazza.
Vittima degli egoismi di uomini, il mio e di tuo padre.
Ma mia la colpa.
Devo dirlo?
Si.
La dose di ketamina nella siringa preconfezionata era per uomini di 80-100 chili.
Lei ne pesava la metà.
Non lo avevo previsto.
Quella maledetta sensazione.
Come finì?
Thompson pagò l'intero ingaggio e girai tutto sui conti bancari dei morti.
Era qualcosa di diverso dall'uomo di un mese prima, forse qualcosa in lui era morto con la figlia.
Dei mesi dopo mi chiese di recuperare il suo corpo per riportarlo alla madre a Thedford, Nebraska, per seppellirla nel loro cimitero al margine della Nebraska National Forest, la foresta che la ragazza amava tanto.
E io?
Andai a ritrovare la madre puttana e la figlia puttana, convinsi a suon di dollari la madre a darmi in esclusiva la figlia, con lei vissi parte della mia vita e tacitai la mia coscienza, la addormentai usando loro, l'alcol e qualche volta la ketamina.
Ancora mi chiedo se non avessi accettato quell'incarico, se non avessi sbagliato, se quella ragazza fosse ora viva...
Sarebbe forse felice? Madre? Sposa?
Quizàs.
Chissà.
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