Cadorna, stazione di Cadorna (capitolo 10)

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dominazione

10. Nuda



Era stata puntualissima e già questo deponeva a suo favore. Quando il campanello di casa suonò, aprii il cancello, socchiusi la porta e mi misi comodo in poltrona ad aspettare. Un minuto dopo sentii la cancellata dell’ascensore che si chiudeva, quindi il suono di un tacco che si posava sulle piastrelle dell’ingresso. Passarono solo pochi secondi da quando sentii anche lo scatto della porta che si chiudeva e il cauto avanzare di quei tacchi. Quando finalmente la sua figura prese possesso dello spazio vuoto nel vano della porta, l’unico movimento che feci fu quello di portarmi alla bocca il bicchiere di cognac che mi ero servito. Un breve sorso, poi, posatolo di nuovo sul bracciolo, rimasi immobile a osservarla. Era bella e affascinante come me la ricordavo, anche se questa volta lo sguardo non era così sicuro come quella sera nella metro. Il vestitino che indossava, poi, era perfetto: semplice ma sexy, con quella leggerezza estiva che permetteva agli occhi di disegnare la forma del corpo in controluce. E poi, ad aggiungere la ciliegina, le scarpe che per prime avevano attirato il mio sguardo quella sera.

Imbarazzata, incerta, persino un po’ paurosa, la donna dopo avere mosso un solo passo all’interno della stanza si era fatta immobile. In quel lungo minuto che seguì, mentre nessuno dei due osava spezzare il silenzio, l’unico suono che si amplificava era quello della vecchia pendola nell’angolo della sala. Mentre lei non sapeva cosa fare, io aspettavo…



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Era interdetta. Dal momento in cui aveva varcato la soglia del salone e aveva visto l’uomo seduto nella poltrona, immobile se non per il gesto di bere quello che sembrò essere del cognac o del whisky, Silvia non sapeva come comportarsi. Nelle fantasie che l’avevano accompagnata fino a quella casa, si era immaginata un’evoluzione diversa dei fatti: presa, braccata, denudata non appena avesse fatto un passo oltre la soglia. Invece era lì, ferma in quel salone, davanti a quell’uomo il cui sguardo profondo sembrava entrare nel profondo della sua anima.

“Buon…” provò a rompere il ghiaccio, ma l’indice che si posò sulle labbra dell’uomo le mozzò il resto della parola in gola.

Passò un minuto buono, che sembrò infinito, scandito dal ritmo lento e antico del vecchio orologio alla sua sinistra. Provò a muovere un passo verso l’uomo, ma ancora una volta un gesto fermo della mano le impose di fermarsi. “E ora cosa faccio”? si chiese Silvia, sempre più angosciata da questa impasse assolutamente imprevista. “Non posso parlare, non posso muovermi, cosa cavolo vuole”? si tormentò.

Poi, mentre cercava una soluzione, si ricordò di quella frase: “Mi sto chiedendo come saresti vestita solo di queste scarpe”. Inghiottì un po’ di saliva, fece un respiro profondo. “Del resto sapevi che quando saresti venuta qui sarebbe stato per essere scopata no? O pensavi che ti avrebbe invitata per una partita a carte” si arrese. Con la mano abbandonò la borsetta per terra al suo fianco. Poi, lentamente, con gesti che le costavano una fatica immane, gli occhi piantati in quelli dell’uomo, cominciò, dall’alto verso il basso, a sbottonare uno a uno i bottoni del vestito. Le mani tremanti per il nervoso ma anche per un’eccitazione crescente, Silvia sciolse tutti e sei i bottoni poi, afferrati i lembi del vestito, lo aprì lentamente, mettendo in mostra il suo corpo, ora protetto solo da mutandine e reggiseno. La pelle sudata, i capezzoli duri sotto il reggiseno, la pelle d’oca che le regalò un tremito improvviso, Silvia fece cadere il vestito.

L’uomo era rimasto immobile, come se quello fosse uno spettacolo che lo lasciava del tutto indifferente, ma i suoi occhi non seppero nascondere un guizzo quando le mani di Silvia si piegarono dietro la schiena per liberare i fermagli del reggiseno. Dopo un attimo che le parve durare un’eternità, Silvia scrollò le spalline e con un gesto pudico fece scivolare a terra anche il reggiseno.

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Aveva capito cosa volessi, e fu davvero difficile riuscire a mantenere il viso impassibile, mentre le sue mani armeggiavano con i bottoni e svelavano ai miei occhi sempre più del suo corpo. Il vestito scivolò a terra, lei fu scossa da un brivido, il mio corpo reagì: sentivo il cazzo premere sotto la stoffa dei pantaloni e il respiro aumentare. Aveva buon gusto nel vestire, il completo intimo che indossava me lo confermò, mentre lentamente le sue mani sparirono dietro la schiena e andarono a sciogliere il reggiseno. Quando anche il pezzo di stoffa raggiunse il vestito ai suoi piedi, le sue mani salirono a coprire i seni in un gesto di istintiva pudicizia. Bastò però scorrere in modo quasi impercettibile la testa per far sì che le mani andassero a posarsi lungo i fianchi.

I seni, una terza misura abbondante, ondeggiavano lievemente al ritmo di un respiro sempre più affannoso. Sodi, alla francese, con i capezzoli che puntavano leggermente verso l’alto, resistevano con lode alla lotta con la forza di gravità. I capezzoli, lunghi, grossi, appuntiti, risaltavano sulla pelle bianca. Immaginai mille modi di dolci (e meno dolci) torture a quelli che ritenevo tra i punti più desiderabili di una donna, mentre i pollici si infilavano ai lati delle mutandine e lentamente iniziarono a liberare anche l’ultimo ostacolo che ancora si frapponeva tra il suo corpo e i miei occhi. Apparve una strisciolina bruna di pelo, ben curata, all’altezza del monte di Venere, quindi due labbra rigonfie e, lo potevo vedere anche a quella distanza, bagnate di piacere. Con un movimento che mi stupì piacevolmente, la donna calò le mutandine fino alle caviglie, mantenendo le gambe perfettamente dritte e piegando verso di me il busto, cosa che mi permise di apprezzare ancor di più il seno. Arrivata all’altezza delle caviglie, sollevò prima una, poi l’altra gamba, gettò gli slippini da un lato e si rialzò. Maestosa.

“Vi eravate chiesto come sarei stata vestita solo delle mie scarpe. Spero che la visione sia di Vostro gradimento” disse mentre mi fissava fiera negli occhi.

Mi alzai e lentamente mi portai davanti a lei. A pochi centimetri dal suo viso l’eccitazione era ancora più palpabile, quei capezzoli ferrei mi facevano voglia di chinarmi verso di lei, prenderne uno in bocca e mordere fino a sentirla gridare. Mi chinai e raccolsi vestito, mutandine e reggiseno. “Sei eccitata come una cagna” le sussurrai guardandola negli occhi, mentre mi portavo gli slip al naso. Aveva un buon odore.

Feci un passo indietro. “Girati. Piano” ordinai. Lentamente voltò su se stessa in un 360° che mi permise di apprezzare un culo ben proporzionato, sodo, probabilmente frutto di costanti esercizi in palestra. Quando il suo sguardo tornò a incrociare il mio, allungai la mano sinistra, strinsi forte il capezzolo destro e indietreggiando la trascinai con me verso il centro della sala.

scritto il
2019-07-05
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