Degustando

di
genere
etero

Il salone è bellissimo e ogni volta che ci metto piede, m’incanta sempre di più.
Sarà per gli arredi classici e lussuosi. Per le finestre alte da cui si possono vedere il Vesuvio e il magico Golfo.
Sarà l’atmosfera accogliente, saranno le luci calde. Sarà la situazione. Sarò io, la mia irrequietezza, forse. Ma in una parte indefinita del corpo, giù, in profondità, la sensazione che oggi ti vedrò, non mi dà pace. So che verrai. Mi avvicino al primo banco di degustazione. Meran. I bianchi dell’Alto Adige e i loro profumi presentati, ad arte, da due signorine bionde in tailleur a cui sicuramente sorriderai malizioso. E di rimando, sempre maliziosamente, loro abbasseranno gli occhi divertite e imbarazzate dal tuo atteggiamento da figlio di puttana.
Già mi stanno sul cazzo.
Mi faccio versare un Pinot Bianco riserva mentre la loro vocina impostata e squillante ripete la lezioncina a memoria.
Mi incuriosisce molto questo vino e poi dovevo pur iniziare da qualcosa.
C'è già molta gente, ormai l'anteprima della manifestazione fa gola a tutti quanto la manifestazione stessa. Addetti al settore e non.
Cammino guardandomi intorno. Incrocio di continuo persone che conosco e che saluto senza neanche fermarmi per una chiacchiera di circostanza. È che ho la testa piena di cose e, invece di rilassarmi, sono persa nelle mie infinite paranoie, come sempre. Intanto, vagando senza meta, mi avvicino all'ingresso sorseggiando il vino che nel frattempo ha rivelato tutto il suo complesso bouquet.
Lo mando giù e rifletto su quanto sia inutile chiederselo ancora. E poi per cosa.
Tanto a che serve farsi le finte domande del caso e darsi le dovute e inopportune risposte.
È inutile. Almeno ora.
Che senso ha porsi quesiti all'apparenza irrisolvibili ma che poi trovano soluzione veloce nelle mie mutande fradicie.
È inutile, cazzo. Inutile.
Quando poi tutto ciò che voglio è così chiaro. E di certo non per l'alcol che già scorre nelle vene.
Eppure penso e ripenso fino a lasciarmi risucchiare dalla profonda e pericolosa voragine delle verità che già conosco.
È proprio da me.
Analizzare e ipotizzare fino allo sfinimento e poi mandare tutto a puttane quando mi sarai vicino.
Gli occhi sono fissi sulla porta.
È che fremo. È che scalcio. È che sono fra la gente e vesto gli abiti di una donna per bene quando vorrei solo vederti qui e accoglierti nuda sussurrandoti in bocca la voglia che ho di scoparti. Tanto non mi passa. E non mi passa perché più ti scopo e più voglio scoparti.
E cazzo! D' improvviso tutto quello che più mi fotte, è proprio qui, davanti a me.
Sei appena arrivato e sei insieme a due colleghi. Lo sapevo.
Ti guardo avanzare nella mia direzione mentre varchi l'imponente porta del salone di questo albergo extra lusso. Sicuro di te come nessuno. Sicuro di te come sicura ero io di incontrarti qui.
Poi mi chiedi perché non mi accontento. Tutte le volte che tiriamo in mezzo il discorso, mi chiedi perché non esco con il rappresentante giovane e audace che non si stanca mai di farmi il filo.
Devo dirtelo ora? In questo momento? Davanti ai tuoi amici? È per la faccia. Guardalo, è lì. È per la sua faccia, che non è la tua.
Perchè per bruciare di passione come voglio bruciare devi guardarmi come stai facendo ora.
E sei così bastardo che mi passi vicino salutandomi appena, come se non mi fossi mai saltato addosso. Come se non conoscessi ogni centimetro di questa pelle. Come fossi una delle tante signorine con cui stasera avrai a che fare. Ma lo sai vero che nessuna delle signorine presenti qui, sarebbe capace di succhiarti il cazzo con la mia stessa devozione?
Io, invece, mando giù l’ultimo goccio di questo sorprendente Pinot e sfoggio il mio sorriso migliore. In realtà con le mani sarei già sul collo del tuo maglione beige per spostarlo e respirarti addosso. Ti sfili il giubbotto di pelle nera.
In realtà ti avrei già abbracciato calorosamente e così forte tanto da spingerti i capezzoli duri sul petto.
E poi mi chiedi perché il mio è un pensiero fisso.
Tutte le volte che parliamo e discutiamo, mi chiedi perché non provo a toccarmi pensando a un altro.
Devo dirtelo ora? Adesso? Fra tutta questa gente? Guardalo, è lì. È perchè il suo corpo non è il tuo corpo.
Perchè per aprire le cosce, infilarmi due dita dentro e fottermi come una mignotta, devo pensare a queste spalle larghe. Alla tua vita stretta e al tuo culo insolente e sodo che continuo a guardare.
Tanto lo sai che mi piace quando fai lo stronzo. Quando non mi dai niente e, inevitabilmente, mi spingi a prendere tutto.
La serata prende finalmente la piega che più mi piace. Ci incrociamo di continuo e di continuo, fra la folla, non perdo occasione per sbatterti in faccia la mia irriverenza. Osservo ogni tua mossa, ogni sorriso che dispensi e che non è per me.
Ogni volta che mi guardi mi scopri a guardarti e la lingua che mi passo continuamente sulle labbra ti dice cosa sta frullando in questa fottuta testa.
Sono passata al rosso e mi raggiungi al banco dove sto bevendo, accompagnando il vino con un buonissimo erborinato. Ti ho seguito con lo sguardo, ora mi sei dietro.
Ti avvicini all'orecchio facendomi sentire in pieno il peso del tuo corpo sul mio.
Mi strusci il cazzo addosso e sento che è duro, sul culo.
"E' buono? Me lo consigli?"
La tua voce è bassa, suadente. Il tono mi inchioda. Annuisco con un leggero movimento del capo. Mi giro verso il signore incravattato che mi è a fianco e la voglia di dirti cosa sporche, prende il sopravvento.
Tu continui.
“Che bei capelli, stai bene. Hai cambiato colore?”
Sono fradicia e gonfia e tu parli e parli e ancora nelle mie orecchie. Ho caldo, mi sento fuori controllo. Rimarrei così ma ti sfuggo perchè la fottuta smania di farmelo mettere nel culo, mi assale.
Per questo me lo hai appoggiato dietro. Ti fai riempire il calice e raggiungi Antonio. Chissà cosa gli avrai detto di me. Che sono una delle tante che ogni tanto ti scopi? Che sono una tua cara, vecchia e saggia amica?
Sono io che mi avvicino al tuo orecchio, ora.
"Voglio il tuo cazzo”
Non parlo, sussurro.
E non potevo sussurrarti altro perché altro non voglio.
Sorridi e compiaciuto continui a conversare con il tuo collega un po’ stranito.
Adoro quando cerchi a tutti i costi di tenere in pugno la situazione. Quando non ti scomponi e mi ignori come se all’orecchio non ti avessi mai detto che muoio dalla voglia di abbassarti i pantaloni e prendertelo in bocca.
Quando fai finta di chiacchierare come se nulla fosse e invece in testa stai solo trovando il modo per svuotarmi la tua eccitazione in gola.
Una sigaretta è la tua scusa ufficiale. Una sigaretta che poi ti sei accorto di non avere e che sei dovuto andare a comprare.
E giriamo l’angolo velocemente, ridendo, quasi correndo.
Entriamo in macchina e mi tolgo la giacca mentre tu, furioso, liberi finalmente il tuo cazzo svettante in perfetta erezione. Scendo giù fra le tue cosce e con la mano sulla nuca e fra i capelli, mi spingi fino a prenderlo tutto e tutto d’un fiato.
Lo lecco, ispirando l’odore del tuo sesso umido poi lo ingoio e mi trattieni alzando il bacino perché possa riempirmi tutta la bocca.
È tutto veloce, tutto accelerato.
Con la mano lo caccio fuori, ti guardo.
È che devo dirtelo, dirtelo ancora.
“Mo vuó metter o pesc mmocc?”
Ti sento ansimare, mi riporti giù senza grazia. Succhio con veemenza godendo di ogni venatura. Il cazzo è più gonfio, il cazzo pulsa, sbatte.
Abbassi leggermente la testa indietro, nel sedile. Respiri, affanni. Esplodi in un orgasmo copioso e violento e io ingoio. Ingoio la tua eccitazione, il tuo piacere, il tuo seme denso e caldo. Fino all’ultima goccia, fino alla fine.
Ti ricomponi in fretta, usciamo subito.
Ed è proprio così che ti volevo, ora e velocemente. Senza aspettare. Clandestinamente nel cesso del lussuoso albergo o scomodamente nella macchina giù a succhiarti il cazzo. Subito, immediatamente. Da quando ti ho visto e da prima ancora.
E ora andiamo, rientriamo.
Guardalo, è lì.
Devo dirtelo ora? Ancora?
scritto il
2019-11-30
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