Scomposta
di
Malena N
genere
trio
Mi sento piacevolmente agitata.
Il pomeriggio scorre lento e senza fretta mentre, seduta e scomposta, guardo la mia amica Stefania.
A che cosa hai dato vita nemmeno lo sai.
O forse lo sai dal momento in cui sei stato unico spettatore del nostro cedere l’una all’altra.
Più la osservo, più mi rendo conto che qualcosa fra me e lei è cambiato, glielo vedo negli occhi che non mi guardano più allo stesso modo di prima.
Il corpo, ben adagiato sulla seduta larga, è apparentemente fermo ma dentro fremo come sempre.
Il mio essere sfuggente di natura, è l’unica realtà che riconosco in questo momento.
Il fatto che poi lo sia prima di tutto, nei confronti di me stessa e non di questa situazione, è l’aspetto forse più rilevante e, proprio per questo, da evitare di sana pianta.
Stefania è seduta vicino a me, ha il gomito ben piantato nel bracciolo del divano, il dorso della mano piccola e delicata le regge il viso un po’ stravolto dalla bottiglia di Fiano di Avellino che ha accompagnato il nostro pranzo.
Un bicchiere ed era già andata, due davvero troppi per lei, tanto che le ho riconosciuto subito in volto, pensieri che sono inevitabilmente anche miei e che, ormai, ci attraversano la mente da giorni. Rispetto a me lei fa finta di essere tranquilla, ostenta il suo parlare flemmatico senza preoccuparsi del fatto che non sembra per niente convinta di ciò che sta dicendo. Si comporta come se nulla fosse successo, come se non avessimo mai scoperto di piacerci davvero durante il gioco che in un primo momento era stato messo su per te. Sfugge alla verità dei fatti, come se non avessimo mai provato attrazione reciproca mentre facevamo le puttane con te e per te. Avevamo sempre scherzato sull’argomento, fatto battute. Ma cazzo, quando l’ho avuta di fronte mezza nuda ho sentito che tutto era, tranne che un gioco.
Ora parla e io l’ascolto in superficie, nello stesso tempo in cui mi perdo negli abissi della sua calda voce.
Tanto è tutta scena, non interessano nè a me nè a lei le sue chiacchiere confuse.
Cerco piuttosto di scavare a fondo, di scrutare oltre il suo sguardo. Di trovare segni evidenti di una voglia che è la mia stessa voglia.
Il filo che ci unisce è palesemente ad alta tensione sessuale e chissà quanto cazzo ti diverti a muoverlo a tuo piacimento.
Le imposte sono chiuse, il salone sarebbe completamente buio se non fosse per i raggi di luce che arrivano dalla cucina.
Lo sforzo che faccio nel prestarle attenzione è, secondo me, più che visibile. Il mio corpo lancia segnali inequivocabili, gli occhi ricadono continuamente su dettagli fisici a me ben noti, nonostante siano nascosti dai vestiti. Se mi concentro su ciò che è stato fra noi, l’afrore che ho ispirato quando ho affondato il viso fra le sue cosce, mi ritorna al naso prepotente.
Adesso, però, presa com’è dai suoi contorti giri di parole vuote, fa finta di non accorgersi.
E io l’accordo.
Cerco di seguirla lo stesso, di non perdermi, di rimanere ben piantata dove sono senza partire nuovamente per il lungo viaggio di piacere che in testa a me è già ricominciato.
Tanto lo so che cosa sta per dirmi, si trattiene dal vomitarmelo addosso solo perché sa che a tratti mi infastidisce maledettamente la curiosità che ha per te.
Mi aspetto che da un momento all’altro lo faccia. Che mi chieda di te con la sua ingenua malizia, che ritorni su noi, su me e lei, sull’irriverente incontro che abbiamo avuto e sulla sporca chat con te che ne è seguita.
E pensare che tutto è nato così, dai nostri discorsi malati. È da lì che tutto ha preso forma nella mia testa fino a confondersi e confondermi.
E ora che ci sono dentro fino al collo, ora che l’ho avuta nuda di fronte e addosso, non vedo altra possibilità per me che darmi pace andando ancora più oltre e concretizzando la dannata fantasia di avervi insieme.
I picchi di profondità che sto toccando e il precipizio da cui inevitabilmente mi sto facendo risucchiare, pur sapendo di non avere protezioni, mi rendono fottutamente turbolenta e sento di non avere scampo.
Per questo mi pervade ancora l’inspiegabile voglia di scappare.
È consuetudine ormai che il primo istinto, quando mi trovo da sola con Stefania, sia quello di scappare da me, da lei, da te e soprattutto dalla perversione di trovarmi fra te e lei.
Perché questi cazzo di pensieri malati, incrociati, intrecciati, mi tolgono l’aria, mi fanno annaspare. Questo essere sconcio e a tratti così indefinito, mi induce a ragionare solo di pancia e non so fare altro che assecondarmi.
Nella mia testa, il tuo corpo si confonde col suo, sono divisa tra la voglia che ho di scoparti, la voglia che ho di scoparla e quella che ho di scoparvi!
Guardarmi dentro è un lavoro sporco che mai mi conviene! Intanto lei mi guarda le tette e a nasconderlo al mondo non ci pensa nemmeno.
È troppo vicina e quando ride delle cose che lei stessa dice, si avvicina pericolosamente sfiorandomi la pelle. Vedo oltre le stoffe che la coprono, il pensiero della sua nudità a contatto con la mia ritorna sempre più frequente e non mi dá tregua. L’idea di noi tre insieme batte forte in testa, a me, come a lei, porca puttana! E per quanto mi sforzi di lasciarla andare, in testa rimane.
Ora continua a parlare senza quasi mai distogliere lo sguardo dal mio. È bella e mi piace. Solo che mi ingelosisce il pensiero di ciò che sta pensando e di ciò che sta per dire. Ancora di più mi fa impazzire quello che pensa di te e che invece non dice. Perché ormai c’è dentro pure lei e pure lei ci vuole.
“Quindi? Ci siamo divertite no? Lo rifacciamo?”
Sapevo l’avrebbe detto.
Che sensazione strana. Si attorcigliano le viscere scoprendo che le si accende il viso appena ti nomina.
Eppure non volevo sentirle dire altro da quando ha messo il suo fottuto piede in casa mia. Vorrei tanto chiederle se nomina te per portare a letto me, o se usa me per farsi scopare da te.
“Che dici? Lui che ha detto, ci sta ancora?”
Continua. Che sensazione assurda.
Una morsa mi stringe lo stomaco ricordando che ti viene il cazzo duro appena la nomino.
Eppure non vorrei fare altro che assecondarti e fare quello che abbiamo già fatto. Perché in fondo sai bene quanto mi ha fatto godere essere in balìa di lei con i tuoi occhi addosso.
Perché anche se perdo la testa quando mostri interesse per lei, saperti eccitato al pensiero di noi mi fa bagnare oscenamente e sguaiatamente mi masturbo.
Sorrido ricambiando gli sguardi di intesa di Stefania, seduta e scomposta mi godo la festa.
Sta dicendo che potremmo provocarti ancora di più di quello che abbiamo già fatto, ma ancora di più, ora, le sue parole mi arrivano ovattate.
Quando dice che potremmo farlo dal vivo, io tu e lei in una stanza d’albergo, le metterei le mani alla gola e stringerei forte forte fino a toglierle il respiro. Poi però struscerei languidamente il mio corpo sul suo e le ridarei fiato solo per rifarglielo dire.
La fica sbatte nelle mutande fradicie ripensando alla sua bocca sulla mia pelle.
Continuiamo a studiarci nella penombra di una stanza che fa da sfondo al pensiero sconcio di ciò che è stato. Perchè ci siamo sfiorate, toccate, baciate. In un gioco sporco che ci ha portate dove ora siamo
Ed è a questo che sto pensando mentre mi è vicina, a quello che abbiamo fatto e ci siamo fatte. A come abbiamo iniziato per provocare te e a quanto poi ci è piaciuto a prescindere da te.
Le ho abbassato le mutande e leccato la fica. Ne ho ispirato l’odore, ne ho assaggiato il sapore. Il sapore di una fica che non era la mia ma che come la mia voleva attenzione.
E nei suoi occhi ora rileggo la stessa voglia, la stessa frenesia.
La sua lingua sulle mie tette ha leccato abilmente i capezzoli duri sporcandoli di saliva e di eccitazione.
Un eccitazione che era pure la mia e che come la mia voleva solo essere sfogata.
Ci siamo messe le mani addosso, le dita dentro, le lingue in bocca. Cominciando col provocare te e finendo col godere di noi.
E quel cazzo duro e pronto che ci hai fatto vedere lo abbiamo desiderato in ogni buco.
Quel corpo nudo e fiero che ci hai mostrato è ancora fra noi, adesso, anche se siamo sole.
E questa voce calda del cazzo che ha ora, l’ha usata per dirti cose sconce, davanti a me.
E gliele ho fatte dire solo per essere poi più sconcia di lei.
Stefania mi guarda, è sfatta e un po’ brilla.
I sorrisi maliziosi che si susseguono sempre più parlano ormai al posto delle parole che ha esaurito.
Poi ricomincia la nenia delle domande, lei chiede a me, io chiedo a te.
Lo rifaresti?
Io tu e lei in una camera d’albergo?
A farti succhiare il cazzo da tutte e due che prima di scoparci, vogliamo scoparci te?
Il tuo cazzo dalla mia bocca alla sua, dalla sua alla mia. Saliva. La mia, la sua, la tua.
Dal vivo, di fronte ai nostri corpi nudi e al mio culo voglioso, che pretenderebbe da te e da lei, cazzo e lingua tutti per me.
Nella confusione più totale divido il mio osceno piacere fra te e lei.
E mi confonde guardarla e scoprire che mi rispoglierei ora, partendo da lei anche se tu non ci sei.
Scomposta. Sul divano vicino a Stefania, ho solo voglia di godere. Lei mi sfiora il braccio, lo accarezza. Finalmente tace.
Un brivido risale lungo la schiena, la mente viaggia ancora.
Me lo devi mettere nel culo in quella stanza d’albergo e lei ci deve necessariamente essere. Mi deve guardare come mi sta guardando ora. Le devo ansimare in bocca e spingere le tette addosso, mentre mi scopi forte e forte urlo che mi piace. Deve sentire come godo quando prendo il tuo cazzo in ogni buco, deve raccogliere fra le mie cosce tutta l’eccitazione.
Deve capire che sono io la tua puttana e se lei vuole può fare la mia. Perché ora su questo divano, la vorrei a mia disposizione.
Deve guardaci bene, come mi sta guardando ora. Deve guardarci attentamente come tu hai guardato noi quando nude e crude ci siamo toccate e leccate regalandoti i nostri orgasmi.
Scopro la spalla giocherellando con la manica della maglietta che indosso, la fica è gonfia, continua a sbattere, mi sento molle.
Stefania, scomposta come me e più di me, me lo richiede
“Lo rifacciamo!?”
Il pomeriggio scorre lento e senza fretta mentre, seduta e scomposta, guardo la mia amica Stefania.
A che cosa hai dato vita nemmeno lo sai.
O forse lo sai dal momento in cui sei stato unico spettatore del nostro cedere l’una all’altra.
Più la osservo, più mi rendo conto che qualcosa fra me e lei è cambiato, glielo vedo negli occhi che non mi guardano più allo stesso modo di prima.
Il corpo, ben adagiato sulla seduta larga, è apparentemente fermo ma dentro fremo come sempre.
Il mio essere sfuggente di natura, è l’unica realtà che riconosco in questo momento.
Il fatto che poi lo sia prima di tutto, nei confronti di me stessa e non di questa situazione, è l’aspetto forse più rilevante e, proprio per questo, da evitare di sana pianta.
Stefania è seduta vicino a me, ha il gomito ben piantato nel bracciolo del divano, il dorso della mano piccola e delicata le regge il viso un po’ stravolto dalla bottiglia di Fiano di Avellino che ha accompagnato il nostro pranzo.
Un bicchiere ed era già andata, due davvero troppi per lei, tanto che le ho riconosciuto subito in volto, pensieri che sono inevitabilmente anche miei e che, ormai, ci attraversano la mente da giorni. Rispetto a me lei fa finta di essere tranquilla, ostenta il suo parlare flemmatico senza preoccuparsi del fatto che non sembra per niente convinta di ciò che sta dicendo. Si comporta come se nulla fosse successo, come se non avessimo mai scoperto di piacerci davvero durante il gioco che in un primo momento era stato messo su per te. Sfugge alla verità dei fatti, come se non avessimo mai provato attrazione reciproca mentre facevamo le puttane con te e per te. Avevamo sempre scherzato sull’argomento, fatto battute. Ma cazzo, quando l’ho avuta di fronte mezza nuda ho sentito che tutto era, tranne che un gioco.
Ora parla e io l’ascolto in superficie, nello stesso tempo in cui mi perdo negli abissi della sua calda voce.
Tanto è tutta scena, non interessano nè a me nè a lei le sue chiacchiere confuse.
Cerco piuttosto di scavare a fondo, di scrutare oltre il suo sguardo. Di trovare segni evidenti di una voglia che è la mia stessa voglia.
Il filo che ci unisce è palesemente ad alta tensione sessuale e chissà quanto cazzo ti diverti a muoverlo a tuo piacimento.
Le imposte sono chiuse, il salone sarebbe completamente buio se non fosse per i raggi di luce che arrivano dalla cucina.
Lo sforzo che faccio nel prestarle attenzione è, secondo me, più che visibile. Il mio corpo lancia segnali inequivocabili, gli occhi ricadono continuamente su dettagli fisici a me ben noti, nonostante siano nascosti dai vestiti. Se mi concentro su ciò che è stato fra noi, l’afrore che ho ispirato quando ho affondato il viso fra le sue cosce, mi ritorna al naso prepotente.
Adesso, però, presa com’è dai suoi contorti giri di parole vuote, fa finta di non accorgersi.
E io l’accordo.
Cerco di seguirla lo stesso, di non perdermi, di rimanere ben piantata dove sono senza partire nuovamente per il lungo viaggio di piacere che in testa a me è già ricominciato.
Tanto lo so che cosa sta per dirmi, si trattiene dal vomitarmelo addosso solo perché sa che a tratti mi infastidisce maledettamente la curiosità che ha per te.
Mi aspetto che da un momento all’altro lo faccia. Che mi chieda di te con la sua ingenua malizia, che ritorni su noi, su me e lei, sull’irriverente incontro che abbiamo avuto e sulla sporca chat con te che ne è seguita.
E pensare che tutto è nato così, dai nostri discorsi malati. È da lì che tutto ha preso forma nella mia testa fino a confondersi e confondermi.
E ora che ci sono dentro fino al collo, ora che l’ho avuta nuda di fronte e addosso, non vedo altra possibilità per me che darmi pace andando ancora più oltre e concretizzando la dannata fantasia di avervi insieme.
I picchi di profondità che sto toccando e il precipizio da cui inevitabilmente mi sto facendo risucchiare, pur sapendo di non avere protezioni, mi rendono fottutamente turbolenta e sento di non avere scampo.
Per questo mi pervade ancora l’inspiegabile voglia di scappare.
È consuetudine ormai che il primo istinto, quando mi trovo da sola con Stefania, sia quello di scappare da me, da lei, da te e soprattutto dalla perversione di trovarmi fra te e lei.
Perché questi cazzo di pensieri malati, incrociati, intrecciati, mi tolgono l’aria, mi fanno annaspare. Questo essere sconcio e a tratti così indefinito, mi induce a ragionare solo di pancia e non so fare altro che assecondarmi.
Nella mia testa, il tuo corpo si confonde col suo, sono divisa tra la voglia che ho di scoparti, la voglia che ho di scoparla e quella che ho di scoparvi!
Guardarmi dentro è un lavoro sporco che mai mi conviene! Intanto lei mi guarda le tette e a nasconderlo al mondo non ci pensa nemmeno.
È troppo vicina e quando ride delle cose che lei stessa dice, si avvicina pericolosamente sfiorandomi la pelle. Vedo oltre le stoffe che la coprono, il pensiero della sua nudità a contatto con la mia ritorna sempre più frequente e non mi dá tregua. L’idea di noi tre insieme batte forte in testa, a me, come a lei, porca puttana! E per quanto mi sforzi di lasciarla andare, in testa rimane.
Ora continua a parlare senza quasi mai distogliere lo sguardo dal mio. È bella e mi piace. Solo che mi ingelosisce il pensiero di ciò che sta pensando e di ciò che sta per dire. Ancora di più mi fa impazzire quello che pensa di te e che invece non dice. Perché ormai c’è dentro pure lei e pure lei ci vuole.
“Quindi? Ci siamo divertite no? Lo rifacciamo?”
Sapevo l’avrebbe detto.
Che sensazione strana. Si attorcigliano le viscere scoprendo che le si accende il viso appena ti nomina.
Eppure non volevo sentirle dire altro da quando ha messo il suo fottuto piede in casa mia. Vorrei tanto chiederle se nomina te per portare a letto me, o se usa me per farsi scopare da te.
“Che dici? Lui che ha detto, ci sta ancora?”
Continua. Che sensazione assurda.
Una morsa mi stringe lo stomaco ricordando che ti viene il cazzo duro appena la nomino.
Eppure non vorrei fare altro che assecondarti e fare quello che abbiamo già fatto. Perché in fondo sai bene quanto mi ha fatto godere essere in balìa di lei con i tuoi occhi addosso.
Perché anche se perdo la testa quando mostri interesse per lei, saperti eccitato al pensiero di noi mi fa bagnare oscenamente e sguaiatamente mi masturbo.
Sorrido ricambiando gli sguardi di intesa di Stefania, seduta e scomposta mi godo la festa.
Sta dicendo che potremmo provocarti ancora di più di quello che abbiamo già fatto, ma ancora di più, ora, le sue parole mi arrivano ovattate.
Quando dice che potremmo farlo dal vivo, io tu e lei in una stanza d’albergo, le metterei le mani alla gola e stringerei forte forte fino a toglierle il respiro. Poi però struscerei languidamente il mio corpo sul suo e le ridarei fiato solo per rifarglielo dire.
La fica sbatte nelle mutande fradicie ripensando alla sua bocca sulla mia pelle.
Continuiamo a studiarci nella penombra di una stanza che fa da sfondo al pensiero sconcio di ciò che è stato. Perchè ci siamo sfiorate, toccate, baciate. In un gioco sporco che ci ha portate dove ora siamo
Ed è a questo che sto pensando mentre mi è vicina, a quello che abbiamo fatto e ci siamo fatte. A come abbiamo iniziato per provocare te e a quanto poi ci è piaciuto a prescindere da te.
Le ho abbassato le mutande e leccato la fica. Ne ho ispirato l’odore, ne ho assaggiato il sapore. Il sapore di una fica che non era la mia ma che come la mia voleva attenzione.
E nei suoi occhi ora rileggo la stessa voglia, la stessa frenesia.
La sua lingua sulle mie tette ha leccato abilmente i capezzoli duri sporcandoli di saliva e di eccitazione.
Un eccitazione che era pure la mia e che come la mia voleva solo essere sfogata.
Ci siamo messe le mani addosso, le dita dentro, le lingue in bocca. Cominciando col provocare te e finendo col godere di noi.
E quel cazzo duro e pronto che ci hai fatto vedere lo abbiamo desiderato in ogni buco.
Quel corpo nudo e fiero che ci hai mostrato è ancora fra noi, adesso, anche se siamo sole.
E questa voce calda del cazzo che ha ora, l’ha usata per dirti cose sconce, davanti a me.
E gliele ho fatte dire solo per essere poi più sconcia di lei.
Stefania mi guarda, è sfatta e un po’ brilla.
I sorrisi maliziosi che si susseguono sempre più parlano ormai al posto delle parole che ha esaurito.
Poi ricomincia la nenia delle domande, lei chiede a me, io chiedo a te.
Lo rifaresti?
Io tu e lei in una camera d’albergo?
A farti succhiare il cazzo da tutte e due che prima di scoparci, vogliamo scoparci te?
Il tuo cazzo dalla mia bocca alla sua, dalla sua alla mia. Saliva. La mia, la sua, la tua.
Dal vivo, di fronte ai nostri corpi nudi e al mio culo voglioso, che pretenderebbe da te e da lei, cazzo e lingua tutti per me.
Nella confusione più totale divido il mio osceno piacere fra te e lei.
E mi confonde guardarla e scoprire che mi rispoglierei ora, partendo da lei anche se tu non ci sei.
Scomposta. Sul divano vicino a Stefania, ho solo voglia di godere. Lei mi sfiora il braccio, lo accarezza. Finalmente tace.
Un brivido risale lungo la schiena, la mente viaggia ancora.
Me lo devi mettere nel culo in quella stanza d’albergo e lei ci deve necessariamente essere. Mi deve guardare come mi sta guardando ora. Le devo ansimare in bocca e spingere le tette addosso, mentre mi scopi forte e forte urlo che mi piace. Deve sentire come godo quando prendo il tuo cazzo in ogni buco, deve raccogliere fra le mie cosce tutta l’eccitazione.
Deve capire che sono io la tua puttana e se lei vuole può fare la mia. Perché ora su questo divano, la vorrei a mia disposizione.
Deve guardaci bene, come mi sta guardando ora. Deve guardarci attentamente come tu hai guardato noi quando nude e crude ci siamo toccate e leccate regalandoti i nostri orgasmi.
Scopro la spalla giocherellando con la manica della maglietta che indosso, la fica è gonfia, continua a sbattere, mi sento molle.
Stefania, scomposta come me e più di me, me lo richiede
“Lo rifacciamo!?”
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