Passione ed Ossessione - 4° ed ultima parte
di
Istanbul
genere
sentimentali
Amber si alzò lentamente. Aveva un’aria distesa, occhi socchiusi ed un sorrisetto che rappresentava pienamente il suo stato di pieno relax. Era veramente molto bella: il fascino della ragazza americana.
Scherzai ancora con lei punzecchiandole i fianchi e la pancia. Mi disse, sfuggendo ma mantenendo la medesima espressione serena: “Eh no, adesso è il mio turno”. Il tono era di quelli allettanti. Non stavo più nella pelle, volevo essere sua.
Amber si alzò e attraversò la stanza, ancora completamente nuda. La vidi armeggiare nella valigia, impiegò qualche minuto per estrarre quanto stava cercando. Tornò con delle manette con il pelo viola, classiche per il bondage e una piuma dello stesso colore. Le poggiò a terra e, senza rialzarsi, si avvicinò e mi tolse le scarpe. Era in ginocchio, di fronte a me. Le sue mani carezzavano le mie cosce, ancora coperte delle calze di nylon. Dopo alcuni secondi di dolci carezza alle gambe, si allungò verso di me e mi bacio. Mi prese le mani e mi fece alzare in piedi, quindi le fece scorrere lentamente sui miei fianchi, fino alla schiena. Sentii la lampo abbassarsi, il vestito mi cadde ai piedi dopo averlo sfilato dalle maniche.
“Stenditi sul letto, piccola” mi sussurrò, tra un bacio e l’altro.
Obbedii. Ero distesa supina, gambe e braccia allargate su indicazioni di Amber. Mi ammanettò al letto, prima un braccio poi l’altro. Ero già semi prigioniera e vulnerabile. Pian piano, fui denudata anche dalle collant e dalle mutandine. Altre due serrature, scattarono attorno alle mie caviglie. Ora ero davvero sua.
“Ti ho promesso godimento, Elena. Sei pronta a volare tra estasi, tortura e piacere sessuale?” domandò mantenendo intatto quel tono alquanto provocatorio.
Stavo già ansimando, ero bagnatissima. Qualsiasi arnese, avrebbe fatto su e giù senza alcuna difficoltà.
Non iniziò da lì, bensì dal mio viso, solleticandomi dolcemente con la piuma. Il mio collo fu subito messo alla prova, quindi scese verso le mie ascelle. Si soffermò su quel punto, denotando una certa maestria. Mi fece impazzire dalle risate. Poi fu la volta del mio basso ventre e anche lì, la mia resistenza fu vinta e riscoppiai a ridere. Avevo l’eccitazione a mille. E lei lo sapeva. Sapeva dove andare a colpire per mandarmi in paradiso. Fu quando la piuma iniziò a stimolare la mia zona del piacere, che mi arresi ad un orgasmo tutto nuovo. Quel paradisiaco sfiorare i miei punti sensibili, mi scaraventò in un turbine di sensazioni che oserei definire estreme. O forse no. Non avevo la minima idea di cosa stesse progettando: al solo pensiero, mi sentivo infervorata.
“Mmm… come siamo calde, eh tesoro?” Amber non aveva smarrito quel suo fantastico tono stuzzicante.
Io ansimai e sorrisi, guardandola negli occhi.
“Certo, però, che se strilli così…” continuò, alzandosi dal letto e dirigendosi nuovamente verso il suo bagaglio “…potremmo attirare l’attenzione. Sai, l’altra notte udivo nitidamente il folle inveirsi a vicenda della coppia della stanza a fianco” spiegò, mentre si stava dando da fare con qualcosa, qualcosa che assomigliava ad un fazzoletto.
“Amber, no, ti prego…” le chiesi “…non coprirmi la bocca… mio mette a disagio…”.
“Piccola, scusami. Non preoccuparti, solamente cerca di limitare i tuoi acuti” mi disse, ammiccandomi.
E mi bendò gli occhi, con la classica mascherina in dotazione sui voli aerei.
Si fece buio. Non riuscivo nemmeno a sbirciare da sotto. Cazzo, dovevo ammetterlo. Sapeva alla grande come farmi bagnare, indovinando il tempismo perfetto per qualsiasi cosa. Ed ora ero lì, fremevo dalla voglia di conoscere il mio destino. Improvvisamente, un brivido. Delle unghie, che risalivano il mio interno coscia. Lentamente. Sensualmente. Tentai invano di contrarre i muscoli. Poi, come un fulmine a ciel sereno, qualcosa di lungo e rigido mi penetrò. A fondo, parecchio a fondo. Probabilmente, aveva raggiunto il mio punto G. Percepivo qualcos’altro all’altezza del mio clitoride.
“Sei pronta Elena? Buon divertimento!” furono le parole di Amber.
Non riuscii a formulare una risposta, che il vibratore si accese, scagliandomi inesorabilmente in visibilio.
Il mio lieve ansimare, mutò in vero e proprio affanno. Affanno sessuale. Forti versi di puro godimento, riempivano la stanza. Percepivo la forte stimolazione interna. Il mio punto G era in fiamme. Contemporaneamente, un appendice secondaria si lavorava delicatamente il mio clitoride. La sinergia creata dal quel contrasto di stimolazioni era assoluta. Ma mi dovetti ricredere subito dopo, quando Amber aggiunse il solletico ai piedi. Potevo prevederlo, ma in quel momento era del tutto inaspettato.
Fu indescrivibile. Pochi secondi passarono prima che un altro orgasmo accompagnò i miei ululati di gioia.
Amber non si fermò. Continuò a solleticarmi i piedi mentre il ‘rabbit’ mi scopava senza remora.
Ero stremata, respiravo a fatica ma godevo incredibilmente. Il mio corpo diede l’impressione di non essere mai pago. Un grido accolse il mio terzo orgasmo. Ed un quarto, un quinto ed infine un sesto. Venni scopata e solleticata per più di mezz’ora, prima che la mia aguzzina interruppe il trattamento.
Mi slegò e liberò dalla benda. Ci misi qualche minuto per smettere di ridere, una risata divenuta isterica dopo i primi minuti. Il respiro si stava regolarizzando. Ero madida di sudore. Era veramente mancato pochissimo che me la feci addosso.
“Amber…tu… tu sei pazza…” le dissi sbigottita.
“Ti avevo promesso piacere assoluto Ele” mi rispose pacata.
“È stato… indescrivibile! Certo, ma…” feci una pausa “forse era il caso di fermarsi prima…” le dissi, non molto convinta.
“Scusami se ho esagerato, davvero” abbassò lo sguardo “ma tu sei così, così bella e…” distolse lo sguardo da me “mi dispiace, ho passato il limite!” concluse poi, visibilmente amareggiata.
“Ehi ehi, è ok… un po’ estremo forse…” dissi sorridendole “…ma non avevo mai provato nulla di simile!” confessai infine.
Ci abbracciammo, rimanendo a lungo avvinghiate, nella nostra nudità.
Mi rivestii, cercando di ricompormi al meglio. Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio. Fui soddisfatta del mio lavoro. Dopo esserci salutate, ripercorsi il corridoio, fino a giungere alla mia stanza. Feci per entrare cautamente, quando vidi la luce accesa. Dom era tornato. Era sdraiato a letto con un libro in mano. Nel vedermi, quasi si sorprese, probabilmente catturato dalla lettura.
“Ah, eccoti qui!” esclamò. “Bentornata. Dov’eri finita?” domandò con un sorriso.
“Ah beh, scusami Dom. Eravamo al bar, poi Amber si è rovesciata accidentalmente il cocktail sul vestito. L’ho accompagnata in camera e siamo rimaste a chiacchierare fino a poco fa” dissi guardando il cellulare. “Però, quasi due ore!” proseguii, fingendomi sorpresa. Alzai lo sguardo. Dom mi stava osservando. Il sorriso di poc’anzi era scomparso. Aveva un’espressione neutra, distaccata.
“Dev’essere stato interessante” mi disse. E tornò alla sua lettura.
“E tu? Com’è andata la partita?” gli chiesi, con l’intento di cambiare discorso.
“Era quasi fatta, fino a quando un certo portoghese ci ha rovinato la festa” rispose alquanto seccato.
“Mi dispiace… che leggi di bello?”
“Un romanzo di genere thriller-poliziesco. Parla di un uomo che scopre la sua donna a tradirlo”.
Trasalii. Uno strano senso di angoscia mi pervase. Mille dubbi mi assalirono.
“E lo scopre quasi per caso” fece ancora, alzando lo sguardo verso di me. La luce che colsi nei suoi occhi mi fece rabbrividire.
“Sto leggendo proprio ora la parte in cui lui, pregno d’odio, medita la sua vendetta”.
Un altro brivido mi percorse la schiena. Ad un tratto, avvertivo una sgradevole sensazione di pericolo imminente. Cercai di razionalizzare. Dovevo calmarmi, in fondo era solo un libro.
Mi alzai, diretta alla mia valigia. Tolsi le scarpe e mi sfilai i collant. Riattraversai la stanza a piedi nudi. Avevo una gran sete, ci mancherebbe. Strillare e ansimare per tre quarti d’ora, non avevano certo favorito il mio apparato fonatorio, né tantomeno le mie vie aree. Versai un bicchiere d’acqua e lo bevvi tutto d’un fiato. Ebbi come l’impressione di percepirne un retrogusto dolciastro. Non ci badai e ne bevvi un secondo.
“Però, è proprio forte! Sai Ele, in questo punto viene narrato il modus operandi. Pare che, durante un momento di intimità, lui l’abbia drogata, iniettando del sonnifero in un drink”.
Fui presa dallo sgomento. Non poteva essere vero! Improvvisamente mi sentii strana, come presa da un eccessiva stanchezza. La stanza mi stava girando attorno.
“…sembra che i sintomi di questo sonnifero siano un’improvvisa spossatezza…”
No, non puoi averlo fatto Dom! pensai disperatamente.
“…annebbiamento della vista…”.
Ombre! Vedevo sempre più ombre che luci.
“…alterazione dell’udito…”.
La sua voce era tutt’altro che nitida. Sembrava rimbombasse, come in un tunnel.
Mi aggrappai al letto, tentando in ogni modo di rimanere in piedi, di mantenere coscienza.
Infine, il buio.
Mi ridestai un po’ frastornata. Sentivo la testa pesante, un macigno. Mi pareva di stare attraversando i postumi di una sbronza colossale. Percepivo il rumore dell’acqua. Dove mi trovavo? Mi sforzai di metter a fuoco quanto potevo, attorno e me. Ero sdraiata. In cima ad una torretta. Era una piscina olimpionica per i tuffi. Ma dove mi trovavo?
Feci per alzarmi ma qualcosa me lo impediva. Ero legata! Con le braccia dietro la schiena. Caviglie e polsi stretti da alcuni lacci. Mi avevano, inoltre, assicurato una kettlebell di 5 kg. Fui presa da panico. Cercai di guardarmi attorno, per quanto possibile, in quella posizione. D’un tratto, un fascio di luce mi travolse.
“Molto bene! La signorina si è svegliata!” esordì l’individuo con la torcia. Mi gelò il sangue. Era Dom!
“Che significa Dom? Non è divertente! Cazzo, liberami!” sbottai, dimenandomi.
“Cosa significa, mi chiedi? Dunque, come spiegarlo brevemente… ah sì, sei una puttana bugiarda!”
Il tono che usava era pacato, distaccato. Non vi era una punta di odio o rabbia. Era completamente di ghiaccio.
“Vedi” continuò “quale esperto di situazioni come questa, ho pensato bene di munirmi di alcune precauzioni. Io ti amavo, Elena, ma non significa che mi sia mai fidato di te” disse ancora, freddo come non mai. E prese ad armeggiare sul cellulare, facendo partire un audio. Sentii la mia voce, ansimante. Sentii quella di Amber. Aveva registrato tutta la nostra avventura sessuale. Ricordai come la incitavo, come mi faceva godere. Il modo in cui la feci strillare io. Le risate per il solletico. All’udire di tutto quello, ritornai con la mente a quei momenti. Poi lo spense, facendo tornare il silenzio in quell’ambiente.
“Dove siamo?” chiesi tremante.
“Qui? Ah, già, certo. È un locale adiacente all’hotel. Come vedi, è una struttura dotata di piscina olimpionica ed una a doppio uso, nuoto e tuffi. Noi ora ci troviamo proprio sopra di essa, in cima al trampolino, a 3 metri di altezza circa. La sua profondità è di 3,70 metri. Perfettamente in linea con le normative”.
Fui terrorizzata da quel suo tono placido. Mi aveva presentato il locale come un qualunque agente immobiliare farebbe con dei potenziali clienti.
“Perché…perché siamo qui?”.
Si voltò verso di me, inclinando la testa di lato.
“Amore mio, siamo qui per farti fare un bel tuffetto… o meglio, l’ultimo tuffo!”.
“Aspetta…”. Cercai di parlare per prendere tempo, ancora non sapevo per cosa ma dovevo tentare.
“Non ti sei mai fidato di me…”.
“Che cosa?”.
“L’hai detto tu prima…dimmi cosa non so…cosa mi hai fatto in questi quattro mesi?” gli chiesi sconvolta.
“Mai sentito parlare di cimici microspia? Oggigiorno li puoi trovare su Internet e sono facilissimi da usare”.
“Dove? Dove li avevo?” chiesi impaziente.
“Ogni tua borsetta ne aveva uno. Voi donne non la lasciate mai.” Rispose con una punta di soddisfazione.
Ero costernata. Chi avevo avuto al mio fianco finora? Dov’era quel bravo ragazzo, gentile e divertente di cui mi ero innamorata? Non potevo crederci!
“Quindi…” iniziai, in preda allo sgomento “mi hai controllato tutto questo tempo? Sapevi cosa dicevo, a chi lo dicevo e perché? Dom, perché…?”. Gli rivolsi uno sguardo supplichevole.
“Beh, come si dice, a ragion veduta! Ti porto in vacanza per una settimana sulle montagne più belle che ci siano, e tu, la prima sera, fai sesso con una donna? Eh, no, cara mia, non ci siamo!”. Fece una pausa, quindi comparve un sorrisetto bizzarro sul suo volto. “Almeno potevi chiamarmi, mi sarebbe piaciuto fare una cosa a tre!”. Sogghignò, avvicinandosi a me. “Oppure la volevi tutta per te, eh?” sibilò.
“Bastardo! Ti odio! Sei un viscido sociopatico” urlai.
Come un fulmine, mi colpì con un violento manrovescio in pieno volto. Sentii le lacrime scorrermi sul viso. Lacrime di rabbia, di tristezza, di dolore. Mi sentivo tremendamente in colpa per il mio momento di debolezza, ma quello che lui mi stava facendo da mesi era imperdonabile.
Lo guardai. Stava lì, in piedi, ansimante per l’adrenalina.
“Sei patetica! Vieni a giudicare me dopo quello che hai fatto, dopo quello che ho passato! Che abbiamo passato! Fosti proprio tu a ridarmi la felicità. E allora perché? Perché mi hai fatto rivivere quell’incubo?”
Cercai di sostenere il suo sguardo, quando i miei occhi vennero attirati da qualcosa. Giù, a terra, oltre il trampolino, vidi una porta leggermente dischiusa. Tentati di ricordare se anche prima lo fosse. Tornai ad osservarlo, dovevo temporeggiare. Ancora. Non avevo scelta.
“Non posso credere che tu abbia intenzione di farlo davvero. Non tu. Riflettici, cerca di ragionare. Questo posto sarà pieno di telecamere. Come pensi di potertela cavare?”.
Scoppiò in una fragorosa risata.
“Sul serio? Non dimentichi nulla? Com’è andata a finire con la mia ex? Cos’ho fatto subito dopo?
Trasalii, al ricordo del corso intensivo che aveva frequentato, incentrato su dispositivi di sorveglianza e attrezzature simili. Il suo interesse divenne maniacale.
“Dal tuo sguardo e dal tuo silenzio, capisco che ti è venuto in mente. E prima che tu me lo chieda, sì, ho manomesso tutte le videocamere di sorveglianza” proseguì fiero.
“Mi dispiace” disse ancora, controllando l’orologio “ma è giunto il momento del tuo bagnetto, l’ultimo per la precisione” concluse. E si avvicinò minacciosamente.
“No, no! Aspetta, ti prego!! No!!” strillai in preda al terrore. Ma invano.
“Fermo!” esclamò una terza persona. Non fui in grado di vederla ma la riconobbi. Amber! Tornai ad avere una speranza.
“Non farlo!” lo intimò “non ce la puoi fare! Ho registrato tutto quello che hai detto e l’ho già spedito a mio padre. È un poliziotto, tra poco avrai tutti addosso. Fermati, finché sei in tempo” gli disse infine, mentre si avvicinava lentamente. La sua voce era ferma, decisa. Ostentava sicurezza. E senza il minimo rumore, ci era arrivata alle spalle. Fui quasi sorpresa da tanta intraprendenza.
“Non ti avvicinare, puttana! Un altro passo e spalsh… la piccola Elena farà un bel tuffetto!” inveì lui.
“Non farlo!” gli ripeté lei.
Dom non rispose. Ansante di rabbia, si girò verso di me.
“Ti ho amata davvero”. La sua voce sembrò un sussurro. Il suono di un addio.
Con un movimento fulmineo, mi spinse con i piedi, fino a quando il terreno non venne a mancare. Caddi in piscina, trascinata sul fondo dal peso della kettlebell.
“Noooo!! Elenaaaa!!!” strillai, vedendola sparire sott’acqua.
Lui mi si parò davanti con sguardo minaccioso.
“Che intenzioni hai ora, eh? Salverai la tua nuova amichetta o tenterai di bloccare il cattivo?” domandò divertito. Guardai ripetutamente lui e la piscina. Vedevo Elena a malapena. Dovevo fare presto.
Feci uno scatto per tuffarmi. Lui si aspettò questa mossa, mi si parò davanti e mi spinse via.
“Che fai?! Cazzo, annegherà! Vuoi questo?!” gli urlai, in preda al terrore. Ogni secondo era prezioso.
D’un tratto, un’irruzione di uomini in divisa ebbe luogo. Dom, mi scavalcò per tentare la fuga. Gli agenti avrebbero pensato a lui. Io dovevo salvare Elena. Era ormai sott’acqua da quasi due minuti. Mi tuffai e la vidi sul fondo. Era ancora viva. La vidi dimenarsi come poteva. Poi iniziarono gli spasmi. No, non c’era tempo. Stava iniziando ad espellere l’aria rimanente, stava annegando. Triplicai gli sforzi per raggiungerla. Cercai disperatamente la sua bocca per trasferirle un po’ di ossigeno, dovevo darle autonomia per avere il tempo di liberarla. Un lieve cenno del capo, mi confermò che ce l’avevo fatta. Appena in tempo. Riemersi per riprendere fiato, quindi tornai giù. Fui sollevata nel vedere che solamente un semplice nodo la teneva aggrappata a quella zavorra. Lo sciolsi. Quindi iniziai la risalita in superficie, trascinando Elena per le corde che la tenevano legata. E finalmente, fummo fuori!
Elena incominciò a tossire, ansimando pesantemente alla ricerca di aria.
“Va tutto bene! Va tutto bene! È finita! È finita, Elena. Sei fuori dall’acqua! Respira! Bei respiri profondi! Così brava! Brava la mia Elenuccia!”
La sorressi come potevo. Una volta uscite dall’acqua, fummo soccorse dagli agenti e trasportate in ospedale dall’ambulanza dei paramedici.
Il mattino successivo, ci dimisero, dopo una notte in cui i medici preferirono tenerci in osservazione.
Elena stava bene. La vidi abbastanza tranquilla, nonostante la disavventura e il grande spavento.
Se avessi tardato anche di un solo minuto… Fui grata di questo.
“Dove te ne vai??” mi chiese Elena, sbigottita.
“Vedi, non ho fatto a tempo a parlartene, ma il 4 Gennaio ho un volo per Washington. Me ne torno negli USA. Ho trovato una buona opportunità lavorativa. Credo sia la cosa migliore” le spiegai io.
“Ma…e la nostra amicizia?”
“Noi resteremo amiche, a distanza certo, ma ci sentiremo tutti i giorni, ok?”
“No, non è ok. Cazzo, Amber!” esclamò. Non potei non notare i suoi occhi lucidi. Non sono un mostro. Pure a me venne un nodo alla gola.
“Elena… ascoltami…”
“No!” mi apostrofò, voltandosi dall’altra parte.
“Ehi, ti prego…”
Si voltò. Il volto rigato dalle lacrime. Mi si gettò al petto. La strinsi a me, in un abbraccio lungo, triste, un abbraccio che sapeva di addio.
“Mi mancherai stronzetta americana…” mi disse, singhiozzando Elena.
Sorrisi e le baciai la fronte. Quindi incontrai il suo sguardo. Quei pochi secondi valsero più di mille conversazioni. Era il nostro ultimo giorno assieme.
“Attenzione prego: ultima chiamata per il volo XY12345 destinazione Washington DC. I signori passeggeri, sono pregati di recarsi all’imbarco”.
‘Cazzo! Cazzo!’ pensai tra me ‘Devo farcela! Devo!’
Arrivai al mio posto. Sedile 14G, lato corridoio. Non vidi nessuno al 14H, deducendo pertanto che il mio vicino di viaggio doveva ancora arrivare. Sistemai il trolley nella cappelliera e mi accomodai.
‘Finalmente ci siamo. Un nuovo capitolo sta per terminare ed un altro per iniziare’ dissi tra me.
Decisi di leggere. Feci per aprire la borsa, quando sentii una voce alle mie spalle.
“Mi scusi, credo che il 14H sia mio. Le dispiacerebbe farmi passare?”
Sussultai e mi voltai di colpo. Ero incredula. Elena!
“Ma che…che ci fai qui…?” chiesi ancora disorientata.
“Beh ecco, come spiegarlo brevemente…mmm… sì ok. Vengo in America con te!” esclamò lei tutta su di giri.
“Ma…” feci appena in tempo a dire.
“Lo so, lo so. Penserai che sono pazza, avventata, ma ehi…la verità è che… Amber, l’ho capito quando ci siamo salutate… il vuoto che ho provato quando ti ho vista salire su quel taxi…”
Ci fu una pausa, un momento che parve un’eternità. Il mio sguardo trasmetteva impazienza.
“Amber… io ti amo! Ok, l’ho detto. Sembrerà folle ma vedi…”
Non la lascia terminare. Le mie labbra piombarono sulle sue. La trassi a me e la baciai. La strinsi. Non potevo crederci. Aveva fatto una pazzia. Aveva deciso di stravolgere la sua vita… per me!
Quell’improvvisa ondata di emozioni non mi diede scampo. Lacrime di gioia presero a scendere sul mio viso.
“Ma insomma! Pensavo di farti felice, ed invece piangi?” scherzò Elena, facendomi sorridere a mia volta.
“Sei… sei una pazza furiosa, piccola mia. Forse per questo che ti amo anch’io!” le confessai.
Un altro lunghissimo bacio condensò quel momento, forse il più felice della mia vita.
“Signorine, per favore, allacciare la cintura prego” ci interruppe improvvisamente una hostess.
“Certo, certo… naturalmente…ci scusi…” bofonchiammo impacciate.
Scoppiammo a ridere divertite.
“Toglimi una curiosità: com’è che hai il posto vicino al mio? È una straordinaria coincidenza, non trovi?” le chiesi con un sorriso sospettoso.
“In effetti” iniziò lei, voltandosi verso il fondo dell’aereo. Seguii il suo sguardo e vidi un signore di mezza età, di origini orientali, rispondere sorridendo al cenno che Elena gli fece con la mano. La osservai, iniziando a capire.
“Quel signore era seduto qui, prima che arrivassi tu. Sapevo che era il tuo posto e lui ha gentilmente accettato di scambiarlo con il mio” spiegò.
“E come lo sapevi?” domandai.
“Con la scusa di volerti fare una sorpresa, ho chiesto dove fossi seduta, prima, durante il deposito bagagli. Non hanno saputo dire di no a questo faccino” disse, facendomi gli occhi dolci. Sorrisi ancora, quindi tornai a guardarla.
“Che c’è?” mi chiese.
“Nulla… vorrei solo scusarmi”
“Di cosa?”
“Di non averlo capito prima... se non fosse per te, ti avrei persa per sempre!”
Scherzai ancora con lei punzecchiandole i fianchi e la pancia. Mi disse, sfuggendo ma mantenendo la medesima espressione serena: “Eh no, adesso è il mio turno”. Il tono era di quelli allettanti. Non stavo più nella pelle, volevo essere sua.
Amber si alzò e attraversò la stanza, ancora completamente nuda. La vidi armeggiare nella valigia, impiegò qualche minuto per estrarre quanto stava cercando. Tornò con delle manette con il pelo viola, classiche per il bondage e una piuma dello stesso colore. Le poggiò a terra e, senza rialzarsi, si avvicinò e mi tolse le scarpe. Era in ginocchio, di fronte a me. Le sue mani carezzavano le mie cosce, ancora coperte delle calze di nylon. Dopo alcuni secondi di dolci carezza alle gambe, si allungò verso di me e mi bacio. Mi prese le mani e mi fece alzare in piedi, quindi le fece scorrere lentamente sui miei fianchi, fino alla schiena. Sentii la lampo abbassarsi, il vestito mi cadde ai piedi dopo averlo sfilato dalle maniche.
“Stenditi sul letto, piccola” mi sussurrò, tra un bacio e l’altro.
Obbedii. Ero distesa supina, gambe e braccia allargate su indicazioni di Amber. Mi ammanettò al letto, prima un braccio poi l’altro. Ero già semi prigioniera e vulnerabile. Pian piano, fui denudata anche dalle collant e dalle mutandine. Altre due serrature, scattarono attorno alle mie caviglie. Ora ero davvero sua.
“Ti ho promesso godimento, Elena. Sei pronta a volare tra estasi, tortura e piacere sessuale?” domandò mantenendo intatto quel tono alquanto provocatorio.
Stavo già ansimando, ero bagnatissima. Qualsiasi arnese, avrebbe fatto su e giù senza alcuna difficoltà.
Non iniziò da lì, bensì dal mio viso, solleticandomi dolcemente con la piuma. Il mio collo fu subito messo alla prova, quindi scese verso le mie ascelle. Si soffermò su quel punto, denotando una certa maestria. Mi fece impazzire dalle risate. Poi fu la volta del mio basso ventre e anche lì, la mia resistenza fu vinta e riscoppiai a ridere. Avevo l’eccitazione a mille. E lei lo sapeva. Sapeva dove andare a colpire per mandarmi in paradiso. Fu quando la piuma iniziò a stimolare la mia zona del piacere, che mi arresi ad un orgasmo tutto nuovo. Quel paradisiaco sfiorare i miei punti sensibili, mi scaraventò in un turbine di sensazioni che oserei definire estreme. O forse no. Non avevo la minima idea di cosa stesse progettando: al solo pensiero, mi sentivo infervorata.
“Mmm… come siamo calde, eh tesoro?” Amber non aveva smarrito quel suo fantastico tono stuzzicante.
Io ansimai e sorrisi, guardandola negli occhi.
“Certo, però, che se strilli così…” continuò, alzandosi dal letto e dirigendosi nuovamente verso il suo bagaglio “…potremmo attirare l’attenzione. Sai, l’altra notte udivo nitidamente il folle inveirsi a vicenda della coppia della stanza a fianco” spiegò, mentre si stava dando da fare con qualcosa, qualcosa che assomigliava ad un fazzoletto.
“Amber, no, ti prego…” le chiesi “…non coprirmi la bocca… mio mette a disagio…”.
“Piccola, scusami. Non preoccuparti, solamente cerca di limitare i tuoi acuti” mi disse, ammiccandomi.
E mi bendò gli occhi, con la classica mascherina in dotazione sui voli aerei.
Si fece buio. Non riuscivo nemmeno a sbirciare da sotto. Cazzo, dovevo ammetterlo. Sapeva alla grande come farmi bagnare, indovinando il tempismo perfetto per qualsiasi cosa. Ed ora ero lì, fremevo dalla voglia di conoscere il mio destino. Improvvisamente, un brivido. Delle unghie, che risalivano il mio interno coscia. Lentamente. Sensualmente. Tentai invano di contrarre i muscoli. Poi, come un fulmine a ciel sereno, qualcosa di lungo e rigido mi penetrò. A fondo, parecchio a fondo. Probabilmente, aveva raggiunto il mio punto G. Percepivo qualcos’altro all’altezza del mio clitoride.
“Sei pronta Elena? Buon divertimento!” furono le parole di Amber.
Non riuscii a formulare una risposta, che il vibratore si accese, scagliandomi inesorabilmente in visibilio.
Il mio lieve ansimare, mutò in vero e proprio affanno. Affanno sessuale. Forti versi di puro godimento, riempivano la stanza. Percepivo la forte stimolazione interna. Il mio punto G era in fiamme. Contemporaneamente, un appendice secondaria si lavorava delicatamente il mio clitoride. La sinergia creata dal quel contrasto di stimolazioni era assoluta. Ma mi dovetti ricredere subito dopo, quando Amber aggiunse il solletico ai piedi. Potevo prevederlo, ma in quel momento era del tutto inaspettato.
Fu indescrivibile. Pochi secondi passarono prima che un altro orgasmo accompagnò i miei ululati di gioia.
Amber non si fermò. Continuò a solleticarmi i piedi mentre il ‘rabbit’ mi scopava senza remora.
Ero stremata, respiravo a fatica ma godevo incredibilmente. Il mio corpo diede l’impressione di non essere mai pago. Un grido accolse il mio terzo orgasmo. Ed un quarto, un quinto ed infine un sesto. Venni scopata e solleticata per più di mezz’ora, prima che la mia aguzzina interruppe il trattamento.
Mi slegò e liberò dalla benda. Ci misi qualche minuto per smettere di ridere, una risata divenuta isterica dopo i primi minuti. Il respiro si stava regolarizzando. Ero madida di sudore. Era veramente mancato pochissimo che me la feci addosso.
“Amber…tu… tu sei pazza…” le dissi sbigottita.
“Ti avevo promesso piacere assoluto Ele” mi rispose pacata.
“È stato… indescrivibile! Certo, ma…” feci una pausa “forse era il caso di fermarsi prima…” le dissi, non molto convinta.
“Scusami se ho esagerato, davvero” abbassò lo sguardo “ma tu sei così, così bella e…” distolse lo sguardo da me “mi dispiace, ho passato il limite!” concluse poi, visibilmente amareggiata.
“Ehi ehi, è ok… un po’ estremo forse…” dissi sorridendole “…ma non avevo mai provato nulla di simile!” confessai infine.
Ci abbracciammo, rimanendo a lungo avvinghiate, nella nostra nudità.
Mi rivestii, cercando di ricompormi al meglio. Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio. Fui soddisfatta del mio lavoro. Dopo esserci salutate, ripercorsi il corridoio, fino a giungere alla mia stanza. Feci per entrare cautamente, quando vidi la luce accesa. Dom era tornato. Era sdraiato a letto con un libro in mano. Nel vedermi, quasi si sorprese, probabilmente catturato dalla lettura.
“Ah, eccoti qui!” esclamò. “Bentornata. Dov’eri finita?” domandò con un sorriso.
“Ah beh, scusami Dom. Eravamo al bar, poi Amber si è rovesciata accidentalmente il cocktail sul vestito. L’ho accompagnata in camera e siamo rimaste a chiacchierare fino a poco fa” dissi guardando il cellulare. “Però, quasi due ore!” proseguii, fingendomi sorpresa. Alzai lo sguardo. Dom mi stava osservando. Il sorriso di poc’anzi era scomparso. Aveva un’espressione neutra, distaccata.
“Dev’essere stato interessante” mi disse. E tornò alla sua lettura.
“E tu? Com’è andata la partita?” gli chiesi, con l’intento di cambiare discorso.
“Era quasi fatta, fino a quando un certo portoghese ci ha rovinato la festa” rispose alquanto seccato.
“Mi dispiace… che leggi di bello?”
“Un romanzo di genere thriller-poliziesco. Parla di un uomo che scopre la sua donna a tradirlo”.
Trasalii. Uno strano senso di angoscia mi pervase. Mille dubbi mi assalirono.
“E lo scopre quasi per caso” fece ancora, alzando lo sguardo verso di me. La luce che colsi nei suoi occhi mi fece rabbrividire.
“Sto leggendo proprio ora la parte in cui lui, pregno d’odio, medita la sua vendetta”.
Un altro brivido mi percorse la schiena. Ad un tratto, avvertivo una sgradevole sensazione di pericolo imminente. Cercai di razionalizzare. Dovevo calmarmi, in fondo era solo un libro.
Mi alzai, diretta alla mia valigia. Tolsi le scarpe e mi sfilai i collant. Riattraversai la stanza a piedi nudi. Avevo una gran sete, ci mancherebbe. Strillare e ansimare per tre quarti d’ora, non avevano certo favorito il mio apparato fonatorio, né tantomeno le mie vie aree. Versai un bicchiere d’acqua e lo bevvi tutto d’un fiato. Ebbi come l’impressione di percepirne un retrogusto dolciastro. Non ci badai e ne bevvi un secondo.
“Però, è proprio forte! Sai Ele, in questo punto viene narrato il modus operandi. Pare che, durante un momento di intimità, lui l’abbia drogata, iniettando del sonnifero in un drink”.
Fui presa dallo sgomento. Non poteva essere vero! Improvvisamente mi sentii strana, come presa da un eccessiva stanchezza. La stanza mi stava girando attorno.
“…sembra che i sintomi di questo sonnifero siano un’improvvisa spossatezza…”
No, non puoi averlo fatto Dom! pensai disperatamente.
“…annebbiamento della vista…”.
Ombre! Vedevo sempre più ombre che luci.
“…alterazione dell’udito…”.
La sua voce era tutt’altro che nitida. Sembrava rimbombasse, come in un tunnel.
Mi aggrappai al letto, tentando in ogni modo di rimanere in piedi, di mantenere coscienza.
Infine, il buio.
Mi ridestai un po’ frastornata. Sentivo la testa pesante, un macigno. Mi pareva di stare attraversando i postumi di una sbronza colossale. Percepivo il rumore dell’acqua. Dove mi trovavo? Mi sforzai di metter a fuoco quanto potevo, attorno e me. Ero sdraiata. In cima ad una torretta. Era una piscina olimpionica per i tuffi. Ma dove mi trovavo?
Feci per alzarmi ma qualcosa me lo impediva. Ero legata! Con le braccia dietro la schiena. Caviglie e polsi stretti da alcuni lacci. Mi avevano, inoltre, assicurato una kettlebell di 5 kg. Fui presa da panico. Cercai di guardarmi attorno, per quanto possibile, in quella posizione. D’un tratto, un fascio di luce mi travolse.
“Molto bene! La signorina si è svegliata!” esordì l’individuo con la torcia. Mi gelò il sangue. Era Dom!
“Che significa Dom? Non è divertente! Cazzo, liberami!” sbottai, dimenandomi.
“Cosa significa, mi chiedi? Dunque, come spiegarlo brevemente… ah sì, sei una puttana bugiarda!”
Il tono che usava era pacato, distaccato. Non vi era una punta di odio o rabbia. Era completamente di ghiaccio.
“Vedi” continuò “quale esperto di situazioni come questa, ho pensato bene di munirmi di alcune precauzioni. Io ti amavo, Elena, ma non significa che mi sia mai fidato di te” disse ancora, freddo come non mai. E prese ad armeggiare sul cellulare, facendo partire un audio. Sentii la mia voce, ansimante. Sentii quella di Amber. Aveva registrato tutta la nostra avventura sessuale. Ricordai come la incitavo, come mi faceva godere. Il modo in cui la feci strillare io. Le risate per il solletico. All’udire di tutto quello, ritornai con la mente a quei momenti. Poi lo spense, facendo tornare il silenzio in quell’ambiente.
“Dove siamo?” chiesi tremante.
“Qui? Ah, già, certo. È un locale adiacente all’hotel. Come vedi, è una struttura dotata di piscina olimpionica ed una a doppio uso, nuoto e tuffi. Noi ora ci troviamo proprio sopra di essa, in cima al trampolino, a 3 metri di altezza circa. La sua profondità è di 3,70 metri. Perfettamente in linea con le normative”.
Fui terrorizzata da quel suo tono placido. Mi aveva presentato il locale come un qualunque agente immobiliare farebbe con dei potenziali clienti.
“Perché…perché siamo qui?”.
Si voltò verso di me, inclinando la testa di lato.
“Amore mio, siamo qui per farti fare un bel tuffetto… o meglio, l’ultimo tuffo!”.
“Aspetta…”. Cercai di parlare per prendere tempo, ancora non sapevo per cosa ma dovevo tentare.
“Non ti sei mai fidato di me…”.
“Che cosa?”.
“L’hai detto tu prima…dimmi cosa non so…cosa mi hai fatto in questi quattro mesi?” gli chiesi sconvolta.
“Mai sentito parlare di cimici microspia? Oggigiorno li puoi trovare su Internet e sono facilissimi da usare”.
“Dove? Dove li avevo?” chiesi impaziente.
“Ogni tua borsetta ne aveva uno. Voi donne non la lasciate mai.” Rispose con una punta di soddisfazione.
Ero costernata. Chi avevo avuto al mio fianco finora? Dov’era quel bravo ragazzo, gentile e divertente di cui mi ero innamorata? Non potevo crederci!
“Quindi…” iniziai, in preda allo sgomento “mi hai controllato tutto questo tempo? Sapevi cosa dicevo, a chi lo dicevo e perché? Dom, perché…?”. Gli rivolsi uno sguardo supplichevole.
“Beh, come si dice, a ragion veduta! Ti porto in vacanza per una settimana sulle montagne più belle che ci siano, e tu, la prima sera, fai sesso con una donna? Eh, no, cara mia, non ci siamo!”. Fece una pausa, quindi comparve un sorrisetto bizzarro sul suo volto. “Almeno potevi chiamarmi, mi sarebbe piaciuto fare una cosa a tre!”. Sogghignò, avvicinandosi a me. “Oppure la volevi tutta per te, eh?” sibilò.
“Bastardo! Ti odio! Sei un viscido sociopatico” urlai.
Come un fulmine, mi colpì con un violento manrovescio in pieno volto. Sentii le lacrime scorrermi sul viso. Lacrime di rabbia, di tristezza, di dolore. Mi sentivo tremendamente in colpa per il mio momento di debolezza, ma quello che lui mi stava facendo da mesi era imperdonabile.
Lo guardai. Stava lì, in piedi, ansimante per l’adrenalina.
“Sei patetica! Vieni a giudicare me dopo quello che hai fatto, dopo quello che ho passato! Che abbiamo passato! Fosti proprio tu a ridarmi la felicità. E allora perché? Perché mi hai fatto rivivere quell’incubo?”
Cercai di sostenere il suo sguardo, quando i miei occhi vennero attirati da qualcosa. Giù, a terra, oltre il trampolino, vidi una porta leggermente dischiusa. Tentati di ricordare se anche prima lo fosse. Tornai ad osservarlo, dovevo temporeggiare. Ancora. Non avevo scelta.
“Non posso credere che tu abbia intenzione di farlo davvero. Non tu. Riflettici, cerca di ragionare. Questo posto sarà pieno di telecamere. Come pensi di potertela cavare?”.
Scoppiò in una fragorosa risata.
“Sul serio? Non dimentichi nulla? Com’è andata a finire con la mia ex? Cos’ho fatto subito dopo?
Trasalii, al ricordo del corso intensivo che aveva frequentato, incentrato su dispositivi di sorveglianza e attrezzature simili. Il suo interesse divenne maniacale.
“Dal tuo sguardo e dal tuo silenzio, capisco che ti è venuto in mente. E prima che tu me lo chieda, sì, ho manomesso tutte le videocamere di sorveglianza” proseguì fiero.
“Mi dispiace” disse ancora, controllando l’orologio “ma è giunto il momento del tuo bagnetto, l’ultimo per la precisione” concluse. E si avvicinò minacciosamente.
“No, no! Aspetta, ti prego!! No!!” strillai in preda al terrore. Ma invano.
“Fermo!” esclamò una terza persona. Non fui in grado di vederla ma la riconobbi. Amber! Tornai ad avere una speranza.
“Non farlo!” lo intimò “non ce la puoi fare! Ho registrato tutto quello che hai detto e l’ho già spedito a mio padre. È un poliziotto, tra poco avrai tutti addosso. Fermati, finché sei in tempo” gli disse infine, mentre si avvicinava lentamente. La sua voce era ferma, decisa. Ostentava sicurezza. E senza il minimo rumore, ci era arrivata alle spalle. Fui quasi sorpresa da tanta intraprendenza.
“Non ti avvicinare, puttana! Un altro passo e spalsh… la piccola Elena farà un bel tuffetto!” inveì lui.
“Non farlo!” gli ripeté lei.
Dom non rispose. Ansante di rabbia, si girò verso di me.
“Ti ho amata davvero”. La sua voce sembrò un sussurro. Il suono di un addio.
Con un movimento fulmineo, mi spinse con i piedi, fino a quando il terreno non venne a mancare. Caddi in piscina, trascinata sul fondo dal peso della kettlebell.
“Noooo!! Elenaaaa!!!” strillai, vedendola sparire sott’acqua.
Lui mi si parò davanti con sguardo minaccioso.
“Che intenzioni hai ora, eh? Salverai la tua nuova amichetta o tenterai di bloccare il cattivo?” domandò divertito. Guardai ripetutamente lui e la piscina. Vedevo Elena a malapena. Dovevo fare presto.
Feci uno scatto per tuffarmi. Lui si aspettò questa mossa, mi si parò davanti e mi spinse via.
“Che fai?! Cazzo, annegherà! Vuoi questo?!” gli urlai, in preda al terrore. Ogni secondo era prezioso.
D’un tratto, un’irruzione di uomini in divisa ebbe luogo. Dom, mi scavalcò per tentare la fuga. Gli agenti avrebbero pensato a lui. Io dovevo salvare Elena. Era ormai sott’acqua da quasi due minuti. Mi tuffai e la vidi sul fondo. Era ancora viva. La vidi dimenarsi come poteva. Poi iniziarono gli spasmi. No, non c’era tempo. Stava iniziando ad espellere l’aria rimanente, stava annegando. Triplicai gli sforzi per raggiungerla. Cercai disperatamente la sua bocca per trasferirle un po’ di ossigeno, dovevo darle autonomia per avere il tempo di liberarla. Un lieve cenno del capo, mi confermò che ce l’avevo fatta. Appena in tempo. Riemersi per riprendere fiato, quindi tornai giù. Fui sollevata nel vedere che solamente un semplice nodo la teneva aggrappata a quella zavorra. Lo sciolsi. Quindi iniziai la risalita in superficie, trascinando Elena per le corde che la tenevano legata. E finalmente, fummo fuori!
Elena incominciò a tossire, ansimando pesantemente alla ricerca di aria.
“Va tutto bene! Va tutto bene! È finita! È finita, Elena. Sei fuori dall’acqua! Respira! Bei respiri profondi! Così brava! Brava la mia Elenuccia!”
La sorressi come potevo. Una volta uscite dall’acqua, fummo soccorse dagli agenti e trasportate in ospedale dall’ambulanza dei paramedici.
Il mattino successivo, ci dimisero, dopo una notte in cui i medici preferirono tenerci in osservazione.
Elena stava bene. La vidi abbastanza tranquilla, nonostante la disavventura e il grande spavento.
Se avessi tardato anche di un solo minuto… Fui grata di questo.
“Dove te ne vai??” mi chiese Elena, sbigottita.
“Vedi, non ho fatto a tempo a parlartene, ma il 4 Gennaio ho un volo per Washington. Me ne torno negli USA. Ho trovato una buona opportunità lavorativa. Credo sia la cosa migliore” le spiegai io.
“Ma…e la nostra amicizia?”
“Noi resteremo amiche, a distanza certo, ma ci sentiremo tutti i giorni, ok?”
“No, non è ok. Cazzo, Amber!” esclamò. Non potei non notare i suoi occhi lucidi. Non sono un mostro. Pure a me venne un nodo alla gola.
“Elena… ascoltami…”
“No!” mi apostrofò, voltandosi dall’altra parte.
“Ehi, ti prego…”
Si voltò. Il volto rigato dalle lacrime. Mi si gettò al petto. La strinsi a me, in un abbraccio lungo, triste, un abbraccio che sapeva di addio.
“Mi mancherai stronzetta americana…” mi disse, singhiozzando Elena.
Sorrisi e le baciai la fronte. Quindi incontrai il suo sguardo. Quei pochi secondi valsero più di mille conversazioni. Era il nostro ultimo giorno assieme.
“Attenzione prego: ultima chiamata per il volo XY12345 destinazione Washington DC. I signori passeggeri, sono pregati di recarsi all’imbarco”.
‘Cazzo! Cazzo!’ pensai tra me ‘Devo farcela! Devo!’
Arrivai al mio posto. Sedile 14G, lato corridoio. Non vidi nessuno al 14H, deducendo pertanto che il mio vicino di viaggio doveva ancora arrivare. Sistemai il trolley nella cappelliera e mi accomodai.
‘Finalmente ci siamo. Un nuovo capitolo sta per terminare ed un altro per iniziare’ dissi tra me.
Decisi di leggere. Feci per aprire la borsa, quando sentii una voce alle mie spalle.
“Mi scusi, credo che il 14H sia mio. Le dispiacerebbe farmi passare?”
Sussultai e mi voltai di colpo. Ero incredula. Elena!
“Ma che…che ci fai qui…?” chiesi ancora disorientata.
“Beh ecco, come spiegarlo brevemente…mmm… sì ok. Vengo in America con te!” esclamò lei tutta su di giri.
“Ma…” feci appena in tempo a dire.
“Lo so, lo so. Penserai che sono pazza, avventata, ma ehi…la verità è che… Amber, l’ho capito quando ci siamo salutate… il vuoto che ho provato quando ti ho vista salire su quel taxi…”
Ci fu una pausa, un momento che parve un’eternità. Il mio sguardo trasmetteva impazienza.
“Amber… io ti amo! Ok, l’ho detto. Sembrerà folle ma vedi…”
Non la lascia terminare. Le mie labbra piombarono sulle sue. La trassi a me e la baciai. La strinsi. Non potevo crederci. Aveva fatto una pazzia. Aveva deciso di stravolgere la sua vita… per me!
Quell’improvvisa ondata di emozioni non mi diede scampo. Lacrime di gioia presero a scendere sul mio viso.
“Ma insomma! Pensavo di farti felice, ed invece piangi?” scherzò Elena, facendomi sorridere a mia volta.
“Sei… sei una pazza furiosa, piccola mia. Forse per questo che ti amo anch’io!” le confessai.
Un altro lunghissimo bacio condensò quel momento, forse il più felice della mia vita.
“Signorine, per favore, allacciare la cintura prego” ci interruppe improvvisamente una hostess.
“Certo, certo… naturalmente…ci scusi…” bofonchiammo impacciate.
Scoppiammo a ridere divertite.
“Toglimi una curiosità: com’è che hai il posto vicino al mio? È una straordinaria coincidenza, non trovi?” le chiesi con un sorriso sospettoso.
“In effetti” iniziò lei, voltandosi verso il fondo dell’aereo. Seguii il suo sguardo e vidi un signore di mezza età, di origini orientali, rispondere sorridendo al cenno che Elena gli fece con la mano. La osservai, iniziando a capire.
“Quel signore era seduto qui, prima che arrivassi tu. Sapevo che era il tuo posto e lui ha gentilmente accettato di scambiarlo con il mio” spiegò.
“E come lo sapevi?” domandai.
“Con la scusa di volerti fare una sorpresa, ho chiesto dove fossi seduta, prima, durante il deposito bagagli. Non hanno saputo dire di no a questo faccino” disse, facendomi gli occhi dolci. Sorrisi ancora, quindi tornai a guardarla.
“Che c’è?” mi chiese.
“Nulla… vorrei solo scusarmi”
“Di cosa?”
“Di non averlo capito prima... se non fosse per te, ti avrei persa per sempre!”
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