Il pipistrello. Atto I, scena IV

di
genere
trio

Il pranzo era appena terminato in casa Von Eisenstein. Adele aveva già annunciato la sua richiesta alla signora Rosalinde. Ma questa voleva che la decisione finale fosse presa anche dal signor Conte.
Gabriel era piuttosto di buon umore dato lo svolgersi della mattina. Aggiungete che la pillola datagli dal notaio Falke non aveva ancora terminato il suo conturbante effetto.
La stessa Rosalinde, ottenuta la sua razione eccezionale di piacere e dato il prospettarsi della serata, era molto ben disposta verso tutto e tutti. Dal canto suo Adele era molto eccitata. Eccitazione che provava non del tutto immune dalla prolungata masturbazione inflittasi durante la mattinata.
Insomma il trio, in opposte direzioni, desiderava che il futuro immediato fosse roseo con la massima speranza. Si trovavano, all’insaputa degli altri, in quella sensazione di benevolenza dovuta alle congiunture favorevoli. Il mondo stesso, pareva ai tre, completamente proiettato verso la migliore luce possibile.
Adele stava sparecchiando la tavola con la consueta professionalità.
Prese la parola la contessa:
“Caro marito, la nostra Adele ha una richiesta da sottoporre al vostro giudizio.” E dopo una pausa “Avanti, Adele, dichiara le tue intenzioni”
Adele si interruppe. Posò le stoviglie sul carrello, congiunse le mani, abbassò il viso e prese coraggio:
“Signor Conte, vi chiedo di dispensarmi dal servizio per l’intera serata fino a domattina. Ho da visitare una parente che abita a Gänserdorf.”
Il conte rimase per un momento interdetto.
“Adele, sai benissimo il gravoso compito che mi attende questa sera. Non possiamo certo permettere che la nostra signora contessa rimanga da sola per l’intera nottata”, disse infine.
“Caro Gabriel, se pensate che possa annoiarmi vi state sbagliando” intervenne Rosalinde e proseguì “Ho ancora un libro da leggere. La serata passerà presto.”
“Ma se vi servisse qualcosa nel corso della notte?” si sentì in obbligo di proferire il conte.
“Su, non siate così protettivo. Per una notte posso farne a meno. La toeletta prima di coricarmi sono in grado di gestirla da sola. Per una notte, poi!”
“Signori, scusate” disse Adele intromettendosi “Spero non ne abbiate a male per questa mia richiesta”
“Macché Adele. Io ti dispenso. Vai pure dalla tua parente” sentenziò Rosalinde che non vedeva l’ora di incontrare il suo Alfred in completa libertà.
Il conte si alzò dalla sedia e prese a camminare intorno al tavolo.
“Ebbene”, disse interrompendo il flusso dei suoi pensieri lussuriosi “Non ne sono per niente d’accordo”. Mentiva, il signor Conte, non gliene importava nulla del servizio della moglie, ma doveva in qualche modo salvare le apparenze, salvare la reputazione sua e di sua moglie che mai avrebbe lasciato a casa da sola.
Rosalinde prese in mano la situazione, caricata dal sesso fatto e da quello in divenire, si fece audace.
Si avvicinò al marito e con trasporto lo abbracciò da dietro. Al contatto, il conte, non abituato a effusioni da parte della moglie, ma il cui membro già premeva contro i calzoni per via della pillola, ebbe un sussulto. Insomma il cazzo prese a dolergli e a insistere con ancora più forza per liberarsi dalla costrizione dei vestiti.
Inoltre la moglie per convincerlo definitivamente avvicinò le proprie sensuali labbra all’orecchio del marito: “Gabriel, concedetele il permesso. Vi prometto che nel pomeriggio vi renderò un’attenzione particolare come da tempo non ne avete ricevuto”.
Il sussurro di queste parole e il loro significato galvanizzarono il conte. La pillola, non solo garantiva una eccezionale tensione al suo cazzo, ma, era evidente, pareva diminuire la sua razionalità oppure a destinarla altrove.
Si voltò, il suo viso a pochi centimetri da quello della moglie, la vide bellissima. Ogni remora andava perdendosi. L’inibizione scomparve. Baciò la moglie sulle labbra. “E sia, ma non prima di avere dato una lezione a questa stupida”, sussurrò di rimando.
Rosalinde non capiva e alzò stupita le sopracciglia.
“Adele.” Disse scandosi dalla vicinanza con la moglie. “Mi trovo costretto, al fine di concederti il permesso, di infliggerti una pena della casa a cui non avevi mai assistito. È un’abitudine a cui presenziai da bambino. A compierla fu mio padre. E, immagino, che ai tempi del mio venerando nonno fosse pratica piuttosto diffusa.” Il conte ormai aveva liberato tutti i freni inibitori.
Si avvicinò ad Adele che era abbastanza impaurita della piega assunta dagli eventi.
Il cazzo del conte era teso al massimo.
“Su, piega il tuo torso al tavolo e solleva la gonna” ordinò. “E tu, Rosalinde, vai a prendermi il battipanni. Per meritarti la libertà di una sera dovrai ricevere la tua giusta razione di sculacciate.”
Adele esitò, tremante, ma fece quanto le era stato ordinato. Stese il proprio torso in avanti sul tavolo, alzò la gonna rivelando ai coniugi l’assenza di indumenti intimi.
“Oh, la sfrontata. Temo che la pena subirà un deciso incremento” sentenziò il conte.
Rosalinde si stava eccitando. Meglio: l’eccitazione prima dormiente accrebbe. L’ordine del marito, il culo tondo di Adele, il sesso della serva che si intravedeva tra le gambe la eccitarono oltremodo.
Gabriel prese il battipanni. “Rosalinde, andate sull’altro lato del tavolo e trattenete le mani di questa puttanella.”
Adele tremava, ma c’era qualcosa che stava risvegliandosi in lei. Il cuore le batteva forte. Avvertì il sesso inumidirsi. La temperatura nella stanza stava aumentando, quasi prossima all’incandescenza.
Rosalinde unì le sue mani a quelle di Adele. Questo contatto fece arrossire le gote di entrambe. Un’eccitazione che portò le loro fiche a infiammarsi.
Il conte decise di abbandonare ogni indugio. Il cazzo gli doleva e convenne di liberlarlo al più presto non prima di avere sferzato un colpo secco, ma non forte, al culo sodo e invitante di Adele.
La giovane urlò dischiudendo le labbra. Il battipanni inferse la propria trama sul culo.
Fu in quel momento che Rosalinde, presa dall’istinto, avvicinò le sue labbra al volto della ragazza e la baciò. Un bacio che, forse, avrebbe voluto essere momentaneo e di rassicurazione, ma le labbra indugiarono premute le une contro le altre e la lingua si fece strada.
Le due donne si erano eccitate fuori misura per la situazione e crollando ogni freno iniziarono a mostrarlo.
Già alla seconda battuta, l’urlo di Adele non fu più, solo, di dolore o dell’inaspettato impatto. Si avvertì un gradiente di godimento.
Al terzo, rivoli di umori colarono dalla sua fica. Il bacio della padrona continuava sempre più intenso e con trasporto.
Il conte non potè controllarsi oltre: pose la spatola e slacciatosi i pantoloni estrasse la verga. Come già detto, si trattava di un attrezzo la cui fortuna non era la lunghezza, ma la dimensione del diametro, il glande rubizzo lucido e teso come una piccola mela del Tirolo. Rosalinde si staccò dalla bocca di Adele e lo guardò affascinata.
Aggirò il tavolo e inginocchiatasi pose la sue mani delicate, una sulle palle gonfie e l’altra scorrendo sulla robusta mazza. Le dita tastarono la consistenza marmorea delle vene e della pelle tesa. Di rado aveva desiderato imboccare il cazzo del marito con tanta necessità e impellenza. Avvicinò la lingua al frenulo, la scorse fino alle palle e poi risalì infine, spalancate le labbra e con grande sforzo, lo accolse per intero.
Gabriel gemette di godimento ciò nondimeno assestò un nuovo colpo al culo ormai in fiamme di Adele. E poi un altro e un altro ancora. Adele godeva, in silenzio e accasciata sul tavolo. Godeva, ancora un colpo e avrebbe avuto un orgasmo, lo sentiva crescere dentro, lo sentiva dalle ginocchia che tremavano e che con difficoltà teneva rette. Gli umori colavano oramai copiosi dalla fica gonfia.
Rosalinde, le labbra serrate sull’enorme membro, scorreva insalivandolo e la mandibola iniziava a farle male.
Alla decima sferzata Adele contrasse le natiche e venne. Una cascata di liquido sgorgò dalla fica senza possibilità di ritegno.
Rosalinde si staccò ormai incapace di trattenere oltre il cazzo del marito e guardandolo negli occhi diede l’assenso a possedere la serva. Gabriel non attendeva altro. Buttò il pattipanni e cinta la vita di Adele la penetrò senza esitazione. Tanto aveva goduto che la fica si dilatò acccogliendo la trave del conte.
Adele cacciò un urlo di piacere e di liberazione. Il padrone la sbatteva e infine un cazzo ben piantato se lo meritava. Rosalinde affascinata dalla scena non si perse d’animo, anch’ella eccitata si denudò in un lampo lasciando solo le calze e le scarpe. Appoggiò il culo sul tavolo e offrì la fica depilata e profumata alla bocca dei Adele affinché la servisse come era sua mansione.
Adele non ci pensò un attimo e, sebbene ostacolata dal fottere animalesco del padrone, allargò le labbra della signora e ci ficcò la lingua, leccando il nettare.
Gabriel godeva. La fica di Adele era stretta e ciò gli procurava un gran godimento.
Adele venne una seconda volta quasi mordendo la fica della padrona, che a sua volta le diede un sonoro ceffone sulla guancia. L’orgasmo fu ancora più intenso. Le gambe le cedettero e il padrone dovette sorreggerla per continuare a fotterla. Anche Rosalinde era prossima all’orgasmo: senza lasciare scampo alla serva le spinse la testa contro la fica e inarcando un poco il bacino le fece leccare anche il buco del culo. Adele quasi soffocava. Rosalinde venne: “Puttana, bevi tutto il mio succo! Lecca, troia.” E le inondò il volto del proprio piacere. Adele era distrutta, ma stava ancora godendo. Rosalinde, fuori di sé, le diede un altro schiaffo: “Dai, puttana, continua, sei la mia serva, obbedisci!”
Intanto il conte pompava e tratteneva Adele: la scena, con la moglie trasformata come la più sboccata donna di strada e la serva che le leccava la fica, lo spinse in vista del traguardo.
Bastò una manciata di colpi. Poi prese la serva per i capelli e la spinse a terra. “Forza, in ginocchio: questa è l’ultima penitenza”. Adele in ginocchio e prostrata nelle forze guardò il padrone. Rosalinde le si avvicinò le prese la testa tirandola per i capelli e le impose di spalancare la bocca: “Caro, innaffiate di sperma questa zoccola! E tu, guai a deglutire la minima goccia!”
Il conte se lo menava con violenza, non durò molto. Urlando bestemmie a ripetizione con tutta la sua voce spruzzò fiotti di sperma sul volto di Adele.
La serva, ancora tremante e scossa, aveva una maschera di seme: occhi, guance, naso e labbra ricoperti di crema colante biancastra .
Rosalinde le lasciò i capelli per leccare il cazzo del marito ancora congestionato. Lo ripulì e lo lucidò per bene. Poi si voltò e baciò con la lingua Adele che ricambiò.
Le due donne sorrisero spossate, ma in estasi per l’intensità.
“Ora va’, Adele. Te la sei guadagnata, la serata libera” disse la contessa.
“Grazie, madame” e alzandosi con fare incerto si diresse verso il proprio alloggio.
Rosalinde si rivolse poi al marito: “Caro, dovremmo farne più spesso di queste punizioni.”
“E voi, mia cara, siete stata prodigiosa. Vi conosco da tanti anni, ma non avevo mai avuto prova della vostra lussuria!” disse il conte soddisfatto.
“Bene. ora mi ritiro per darmi una ripulita e dovreste farlo anche voi: puzzate come un caprone”
Entrambi risero di gusto allontanandosi.
scritto il
2020-04-13
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