Il pipistrello. Atto I, scena V
di
Beinhorn
genere
orge
In casa Von Eisenstein la preparazione per la serata fu febbrile, almeno per due terzi dei suoi residenti. Un affaccendarsi celato, ma che non sarebbe sfuggito ad un osservatore attento.
Adele, non senza qualche patema, aveva approfittato del riposo pomeridiano della padrona per introdursi nel suo guardaroba. Gli abiti adatti erano una vera moltitudine e la scelta fu oltremodo impegnativa. Voleva un vestito bello, ma non troppo appariscente. Insomma, che non destasse troppe attenzioni, visto che avrebbero persino potuto accusarla di furto. Si decise, infine, per un vestito con gonna a balze in taffettà dal colore verde appena accennato e nastri blu. Completarono la mise un piccolo cilindro con veletta e una mantellina entrambi azzurro acceso.
Riempita la borsa, attese che la padrona si svegliasse, le preparò la stanza e il bagno per la notte e quindi si congedò. Erano le cinque del pomeriggio.
Giusto in tempo per raggiungere l’abitazione della sorella Ida.
Il nostro amato Conte Gabriel, invece, finse mestizia e con accondiscendenza, di fronte alla moglie, si vestì con un quotidiano completo colore della mota, infilò la tuba, prese un borsone e, dopo un leggero bacio sulla guancia a Rosalinde, se ne uscì di casa.
Venne il tramonto e poi il crepuscolo.
Sul viale residenziale, a poca distanza da dove si affacciava la villa, una carrozza chiusa pareva scrutare l’ingresso. All’interno di essa il signor Frank attendeva il momento propizio per entrare in scena. Sua infatti era la consegna della traduzione del Conte al Penitenziario Cittadino. Ad accompagnarlo c’erano, in cabina, due fidati agenti, Haffner e Steiner, nonché, per meglio adempiere ai propri compiti e alleggerire l’attesa, una graziosa brunetta, tale Greta Lewy, tosto raccolta e subito abbigliata e arruolata nella milizia viennese.
Proprio le grazie concesse dalla signorina Lewy avevano impedito che Frank, e gli altri due agenti, si fossero accorti che il conte se ne era uscito di casa intabarrato e recante una grossa valigia. E nemmeno che fosse entrato il prestante Alfred a prenderne il posto, almeno nelle intenzioni, per la notte che stava sopraggiungendo.
Ora, mentre Frank saggiava il miele di cui erano intrise le labbra intime di Greta, ella era intenta a massaggiare con vivaci movimenti le aste lucide e dure dei due non eccellenti agenti.
“Forza, ragazzi, sbrigatevi! Ordinò Frank “Ho questa incombenza da concludere e poi voi ve la spasserete per tutta la notte con la signorina. Paga il sottoscritto!”. Detto questo fece un cenno con il palmo della mano alla brunetta, come di accelerare e darci dentro. Il ritmo aumentò e, in men che non si dica, le due nerchie spruzzarono sul tappeto grossi fiotti di seme tra i grugniti belluini. Il direttore del penitenziario, invece, si limitò a schioccare un sonoro bacio sulle profumate labbra di Greta.
La fretta di Frank non era tanto motivata dal compimento del dovere, quanto, piuttosto, dal presentarsi per tempo alla festa del principe Orlovsky dove avrebbe vestito i panni dell’altra sua attività, quella dell’impresario teatrale Chagrin, come era noto nel bel mondo viennese.
Quindi, rintuzzate tra i pantaloni le poco gradevoli e smunte appendici i due agenti si misero in strada. Seguiti dall’attendente Lewy, rivestitasi in fretta, e dall’ispettore capo Frank. Al conducente venne lasciato una gruzzolo di qualche scellino affinché attendesse l’esito delle operazioni.
Mentre il quartetto era impegnato in gradevoli occupazioni, all’interno della casa, la Contessa Rosalinde si era data da fare, con inusitata foga, sul procace membro di Alfred senza nemmeno attendere che si avvicinasse al salotto o che si trovasse a condividere con lui un’alcova qualsiasi. Inginocchiata sul tappeto dell’atrio e già spoglia della vestaglia, nuda e bellissima, pareva quasi d’avorio, impugnava il cazzo del maestro e lo menava nella sua bocca scorrendolo tra le labbra.
Gli avvenimenti del giorno, gli amplessi multipli del mattino e la punizione lussuriosa a Adele inflitta dal marito, avevano causato un vulcano di eccitazione alla nostra. Ecco il perché del famelico accanimento indirizzato alla nerchia tesa di Alfred. Ecco perché la sua fica sgorgava umori in abbondanza solo al pregustare la cavalcata annunciata.
Le frullava in testa l’idea di ricevere in gola un primo aperitivo di caldo sperma e questo la caricava, come una molla di quei giocattoli per bambini.
Alfred, dal canto suo, non chiedeva di meglio e già sentiva i coglioni indurirsi e gonfiarsi nell’atto dell’eiaculare con violenza.
Ma il picco del piacere, per quanto una volta innescato non è più dato trattenere, avvenne nell’esatto momento in cui il drappello di agenti batteva con forza alla porta.
La signora Contessa, colpita e stupefatta dal repentino e violento imprevisto, si staccò dall’arnese ruotando, d’istinto, il viso verso l’androne. Fu così che copiosi schizzi del lattescente liquido seminale le si proiettarono sulla guancia destra, la fronte, l’orecchio e perfino sui capelli. Incapace, scusato, Alfred di trattenersi.
La porta si aprì di schianto e nell’atrio i nostri tutori dell’ordine si riversarono attoniti di fronte alla scena.
Seguì un momento di silenzio interrotto da Greta che chiudeva il pesante portone.
Frank, ripresosi, non perse altro tempo ordinando ai due imbarazzati agenti di incatenare il presunto Conte.
Rosalinde, rimasta di pietra, raccolse repentina il primo degli indumenti che si trovò vicina e si dette una ripulita veloce. Nel mentre, si mise a pensare alla massima velocità consentita. “Se costoro non conoscono mio marito devo salvare le apparenze”. Fu l’efficace risultato finale.
Esclamò quindi a gran voce recitando la parte dell’inconsolabile moglie prossima al privarsi dell’oggetto di tanta sfrenata passione:
“Signori agenti, vi prego. Lasciatemi passare ancora qualche tempo con il mio consorte. Io l’amo e il venirmi meno dell’oggetto della mia passione mi sta struggendo”
Frank, accennò un inchino, capì al volo come volgere a proprio vantaggio la situazione e disse: “Il nostro compito è forse penoso, ma irrimandabile. Tuttavia, non sia mai che si lasci una donna pregna di lussuria e passione senza adeguata e parziale ricompensa.”
Il povero Alfred non riusciva a comprendere nulla, o forse intuiva di aver preso anche l'inatteso destino del conte, tuttavia, nudo, alla mercè dei poliziotti e con le mani già incatenate dietro la schiena e, anche, esausto, per la copiosa razione di sperma appena emessa, incurvò le spalle e si intristì sottomettendosi senza proferire parola.
“Forza, agenti” disse riprendendo la parola l’ispettore, “mostriamo la dedizione del corpo delle guardie alla nostra Contessa”. E senza attendere oltre diede ordini affinché si trascinassero, con tutta la gentilezza e i riguardi del caso, i due verso la scala che portava ai piani superiori.
Rosalinde, pur temendo il peggio, fece buon viso a cattivo gioco e, senza che lo volesse davvero, ma del resto l’eccitazione di prima era rimasta inevasa, la sua fica continuò a inumidirsi.
Arrivarono quindi al cospetto della camera da letto della signora. Il povero Alfred fu incatenato nudo a una delle poltrone di velluto che erano ai lati della stanza in prossimità delle pareti: le mani confinate dietro lo schienale. Avrebbe guardato la scena, fu l’idea non priva di un certo sadismo scaturita dalla mente del nostro Franck. Nel mentre Rosalinde, ormai in balia degli eventi, si lasciò franare sul letto mostrando le sue grazie agli agenti, divaricando, peraltro, le gambe e mostrando il sesso lucido. Fu un attimo inconsapevole, o forse sgorgato dalle insondabili profondità animali di cui tutti siamo dotati. La Contessa era pronta, con una esplicita richiesta di soddisfazione. Gli sguardi lubrici degli uomini comunicarono l’apprezzamento per l’ospitalità della padrona di casa così prodiga di estatici auspici.
Greta, intanto, da vera professionista, si era spogliata della divisa e mostrava le sue grazie. Un culetto sodo e armonioso, la vita stretta e due superbe tette sfidanti la legge di gravità. I capelli a caschetto incorniciavano un viso delicato. Perfino Alfred, pur calamitato dalla bella mostra dello smanioso pube dell’amante, volse il viso per ammirarla e il suo cazzo diede segni di vitalità decretandone infine il favore di giudizio.
La prostituta si fece strada tra i maschi ammaliati e salì, con movimenti felini, sul letto e, avvicinato il viso alla fica madida della Contessa, prese a leccarla con voluttà.
La Contessa, dal canto suo, si trovava posseduta dalla bramosia.
Essere lì, nuda, con le gambe spalancate, la fica zuppa, il suo amante che la guardava incantato e incatenato, e, per giunta, in balia di tre uomini, che di certo non l’avrebbero lasciata insoddisfatta, la riempivano di cupidigia. Il lavorìo meticoloso ed efficace di Greta, infine, portò Rosalinde a capitolare del tutto. Capì, in quell’istante, di avere oltrepassato un crinale di cui aveva, fin lì, ignorato l’esistenza. E, come spesso accade, una volta abbandonata la strada a cui si è usi, si scopre che all’avventura diventa difficile rinunciare.
Gli agenti e il loro superiore, nel frattempo, non avevano perso tempo estraendo le loro vigorose e ringalluzzite nerchie. Chi si torturava con frenesia l’asta, chi si scappellava mostrando un glande lucido e tesissimo, chi, come il direttore del penitenziario, stringeva con forza un cazzo gonfio e marmoreo quasi a trattenerlo prima dell’esplosione.
Frank, pur rammaricandosi del ritardo che ciò avrebbe comportato, era ormai accecato dal desiderio. Quando mai avrebbe visto la signora Contessa nella stessa condizione, pronta a concedersi in un’orgia di tale portata? Nemmeno nei più reconditi sogni. Che arrivasse pure in ritardo alla festa e al diavolo il Principe.
L’aria della sfarzosa camera da letto ormai trasudava lussuria, nessuno fiatava. L’unico suono era dato dai gorgoglii: saliva e umori e una competente lingua erano i solisti in quel silenzio lascivo.
La signora stava perdendo il raziocinio, lo annunciavano il respiro affannato e i sommessi sospiri di godimento sempre più fitti a rompere lo stallo nella camera da letto. La sbirraglia, nel timore di mancare di rispetto alla padrona di casa così altolocata, non osava prendere l’iniziativa.
Così fu Franck ad avanzare. Sputò sul glande, appoggiò le mani, divaricando le chiappe strette di Greta, scorse il cazzo sulle labbra della sua fica e poi, con un colpo netto, glielo ficcò tutto dentro.
“Ragazzi, io mi riscaldo un po’ con questo bocconcino. Voi aiutate la signora ad avere la giusta dose di soddisfazione!”. Disse l’ispettore mentre scorreva con brio l’asta lucida di umori tra le labbra della ragazza.
Haffner e Steiner si svegliarono dalla malia adorante che avevano stampato sui visi e si spogliarono in fretta e furia. In men che non si dica, i due aitanti giovanotti erano nudi, con le verghe svettanti e si proposero con deferenza ognuno ad un lato del letto.
Alfred osservava la scena deglutendo a fatica la saliva. il cazzo ormai teso sussultava ad ogni respiro.
Rosalinde si mise carponi, il volto e la mente ormai colmi di lussuria, osservò i due cazzi pronti a servirla. Ciò costrinse Greta a rotolare e sdraiarsi trovandosi con la faccia, sussultante per i colpi inferti dall’ispettore capo, sotto la fica della Contessa. La lingua della ragazza continuava inesorabile a scorrere su di essa, ricevendone in cambio copiose stille di umori aristocratici.
Rosalinde fece un cenno ai due prodi tutori dell’ordine. In breve, i due salirono in ginocchio sul letto e lei si trovò le due svettanti saette che le accarezzavano il viso. Come una gatta in cerca di fusa scivolava le gote imporporate sui cazzi bollenti e marmorei.
La temperatura stava salendo. Ancora poche lappate di Greta e Rosalinde urlò tutto il suo orgasmo. E godette stringendo strette le dure aste accasciandosi con il volto tra le lenzuola.
Con una sculacciata alle arrossate natiche di Greta, Franck la fece scostare per montare la fica protesa e svettante di Rosalinde. Non dovette forzare e iniziò così a stantuffarla senza troppi complimenti.
“Ah, dio. Prendetemi come una cagna, Sìììì! Voglio godere come mai!”, la Contessa era ormai sprofondata nel godimento estatico e frenetico. Sollevò il viso e prese in bocca prima l’uno, poi l’altro cazzo alternandoseli senza tanti convenevoli.
Steiner, ad un certo punto, si fece coraggio e aiutandosi con una mano tra i capelli di Rosalinde iniziò a fotterla in bocca. Haffner era in attesa di mettere a dimora il suo vigoroso uccello.
Franck prese la donna e sdraiatosi la sollevò impalandola e trattenendola per la vita. Steiner, allora, che forse possedeva una buona dose di intraprendenza finora quasi del tutto celata, ebbe l’idea di aprire una seconda via per scalare il picco del piacere: le montò dietro, le diresse la schiena verso il basso e con il cazzo stretto in mano provò a forzarle l’ano. Rosalinde che intanto compiva ridotti movimenti sul cazzo di Franck sentiva i muscoli del sedere cedere all’intrusione e dopo una manciata di minuti accolse l’asta in tutta la sua lunghezza e calibro. Dopo un momento di stasi, Franck e Steiner presero a muoversi in alternanza, coordinati come un equipaggio di vogatori. Rosalinda gradiva: aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
La stessa bocca che Haffner riempì con il suo attrezzo.
Intanto Greta accarezzava delicata il corpo di Alfred . “Povero signor Conte, vi eccita moltissimo la scena? La vostra illustre moglie riempita in tutti i buchi!” Le sussurrò nell’orecchio. “È giusto che anche voi arriviate al culmine”. E detto questo questo impugnò la procace verga protesa e, spostatasi davanti all’incatenato, le volse le terga e, abbassandosi e premendo contro il suo corpo, la accolse dentro di sè. Le labbra purpuree si dischiusero avviluppando la notevole dotazione di Alfred. Greta avviò dei lenti e flessuosi movimenti di bacino. Scorreva con voluttà e maestria. Anche lei aveva bisogno della sua razione di piacere e godimento.
Le tre guardie si cambiarono di posizione dopo qualche minuto. Franck volle impossessarsi del culo della Contessa. Steiner stringendole il viso tra le mani passò ad otturarle la bocca mentre Haffner scivolò sotto il suo corpo, non prima di averle leccato i meravigliosi e irti capezzoli. E infine riuscì a penetrarla pur con il poco agio dato dal calibro dell’ispettore di cui sentiva lo scorrere animalesco nell’altro canale.
La Contessa subiva un tracollo emozionale come mai aveva provato.
Alfred, dal canto suo, chiuse gli occhi: stava giungendo in picchiata al parossismo. Greta, esperta, se ne accorse e, divincolandosi dal cazzo, si inginocchiò spalancando la bocca e lappando generosa il frenulo. Alfred venne eruttando una quantità immensa di sperma, strizzando tutti i muscoli del viso e urlando bestemmie. Difficile avesse mai goduto meglio, pur se ben nota la sua esperienza amatoria. E infine si lasciò andare esausto.
Anche Franck che pistonava con vigore e violenza l’intestino raggiunse l’apice poco dopo. Le viscere della Contessa furono inondate tra le urla belluine. Rosalinde godeva senza ritegno, nemmeno lei avrebbe potuto contare il frangersi degli orgasmi sconquassanti che si ripetevano facendola fremere come un usignolo alle prime luci dell’alba.
I due marmittoni invece che, ricordiamolo, avevano già goduto delle dolci mani di Greta poco prima perduravano nel loro folle possesso del corpo della donna.
Tuttavia ella, stremata, appena Franck le stappò il cazzo dalle chiappe, rovinò su Haffner. Il quale la fece rotolare con delicatezza sulla schiena e prese a fotterla sorreggendole le caviglie. In breve Steiner, masturbandosi con frenesia, le venne sul viso imbrattandone gli augusti lineamenti. Haffner, invece, accelerò lo scorrere del cazzo nella fica e, dopo una selvaggia manciata di colpi, impugnando l’arnese, le spruzzò il godimento sull’addome arrivando persino a irrorarle il seno.
Travolta dall’estasi e dall’intensità del piacere provato, Rosalinde si sentì venire meno e crollò sul suo letto perdendo i sensi. Rivoli e gocce di sperma le imperlavano la pelle alla luce delle candele.
Rosalinde si risvegliò, sola e ancora tremante per l’impeto e l’ardore con cui aveva consumato la sua prima orgia. Tutti gli altri se ne erano andati. Anche Alfred era sparito. Alfred. Alfred ormai in prigione ingiustamente e a causa sua.
Fu un pensiero che durò solo un breve lasso di tempo. A sprazzi le tornò in mente quanto aveva vissuto. Arduo il compito di ricostruire la completezza del godimento. Esausta, sì, si sentiva colma, spossata, stremata.
Puzzava anche, e perciò si avviò verso il bagno incerta e barcollante.
In corridoio, sul tavolino prima della porta del bagno, vide una busta chiusa indirizzata a lei stessa.
La raccolse, inquieta, e si avviò verso la stanza da bagno per lavarsi, facendo quindi scorrere dell’acqua bollente nella vasca. Si mise una vestaglia e si guardò allo specchio: aveva tracce di sperma sul viso e sperma le colava ancora tra le cosce e dentro la fica.
In attesa che la vasca si riempisse, aprì la busta.
Una lettera scritta dal notaio Falke. Ciò la sorprese: era un amico di famiglia, certo, ma quello che la turbava era non riuscire a stabilire con certezza quale poteva essere stato l’esatto momento del recapito. Poteva essere stato solo l’ispettore Franke a consegnarla, si disse (e ancora un brivido la percorse all’atto di ricordare quanto era appena accaduto).
La lettera recitava pressappoco così:
Cara Contessa Rosalinde, le recapito questa missiva poiché sono certo di avere destato in voi bramosie troppo a lungo represse e desideri che attendevano solo di essere lasciati liberi di esprimersi.
Non tentate di negare questa mia intuizione: certamente un povero vecchio par mio vi conosce più di quanto voi possiate pensare.
Ebbene, stasera ho voluto ritorcere, contro il Conte vostro marito, uno scherzo, in risposta ad un precedente lazzo che mi è stato da lui giocato tempo fa. Voi, gentile Rosalinde, siete una pedina fondamentale per la buona riuscita del dileggio che ho progettato. Conto, per questo e in seguito alla serata che avete appena trascorsa, di avervi dalla mia parte.
Proprio in virtù di questa liberazione estatica di cui siete stata protagonista sono certo che vorrete prendere parte alla festa del Principe Orlofsky e qui basterà che seguiate il vostro istinto. Non sarete costretta a nulla. E nemmeno vi si potrà rimproverare nulla.
Tempo un paio di ore una carrozza vi attenderà per recarvi alla festa a cui vi presenterete come la baronessa Elizabet Kocsis Székely. Dentro la carrozza troverete la maschera necessaria per il vostro ingresso al palazzo a cui sarete condotta.
Stupita ed incredula, e anche non senza un certo batticuore, la Contessa Rosalinde posò la lettera e si immerse nella vasca.
Affondata nell’acqua calda ella si distese levandosi l'inquietudine che i recenti avvenimenti e, soprattutto, la lettera le avevano gettato addosso, come una pesante e malevola ombra. Iniziò così a meditare, come in un flusso di coscienza che sgorgava da una sorgente: "Non capisco in che modo potrei aiutare il notaio in questo scherzo. E che tipo di scherzo può essere? Oltretutto mio marito è in prigione. E Alfred, anche lui. Oddio, chissà domani che guaio quando scopriranno che hanno arrestato due volte la stessa persona".
Respirò con affanno, ma subito riprese il filo del pensiero: "E dunque questi personaggi sapevano che Alfred non era il vero conte e, nonostante ciò, mi hanno spinto a fare quello che è stato. E chissà cosa succederà alla festa in maschera.” Rosalinde, infatti, era ben conscia che le feste del Principe si trasformavano in leggendarie orge in cui donne e uomini, protetti dalle maschere e in fuga dall'ipocrisia, abbandonavano ogni freno inibitore. Era già stato così durante quella dell'anno prima. Ne aveva parlato, sottovoce, tutta la città.
Ci rimuginò. Gli effluvi dell'acqua calda e dei sali da bagno le diradarono, infine, la foschia dei pensieri.
“Forse nessuno mi ha spinta fin qui. Oggi, per la prima volta nella mia vita, mi sono lasciata guidare dalla lussuria più sfrenata. Fin da stamattina. Ho goduto e ho dato piacere, ma l'ho fatto perché l'ho desiderato. Nessuno mi ha obbligata. Ci sono arrivata da sola. Nemmeno ho provato a resistere: è stata una mia scelta!"
La conclusione la raggiunse come un fulmine e capì:
“Non sono tanto diversa da una sgualdrina eppure questo è ciò che, in cuor mio, ho sempre desiderato: godere. E se è questo quello che provano le puttane, ne voglio ancora”.
Adele, non senza qualche patema, aveva approfittato del riposo pomeridiano della padrona per introdursi nel suo guardaroba. Gli abiti adatti erano una vera moltitudine e la scelta fu oltremodo impegnativa. Voleva un vestito bello, ma non troppo appariscente. Insomma, che non destasse troppe attenzioni, visto che avrebbero persino potuto accusarla di furto. Si decise, infine, per un vestito con gonna a balze in taffettà dal colore verde appena accennato e nastri blu. Completarono la mise un piccolo cilindro con veletta e una mantellina entrambi azzurro acceso.
Riempita la borsa, attese che la padrona si svegliasse, le preparò la stanza e il bagno per la notte e quindi si congedò. Erano le cinque del pomeriggio.
Giusto in tempo per raggiungere l’abitazione della sorella Ida.
Il nostro amato Conte Gabriel, invece, finse mestizia e con accondiscendenza, di fronte alla moglie, si vestì con un quotidiano completo colore della mota, infilò la tuba, prese un borsone e, dopo un leggero bacio sulla guancia a Rosalinde, se ne uscì di casa.
Venne il tramonto e poi il crepuscolo.
Sul viale residenziale, a poca distanza da dove si affacciava la villa, una carrozza chiusa pareva scrutare l’ingresso. All’interno di essa il signor Frank attendeva il momento propizio per entrare in scena. Sua infatti era la consegna della traduzione del Conte al Penitenziario Cittadino. Ad accompagnarlo c’erano, in cabina, due fidati agenti, Haffner e Steiner, nonché, per meglio adempiere ai propri compiti e alleggerire l’attesa, una graziosa brunetta, tale Greta Lewy, tosto raccolta e subito abbigliata e arruolata nella milizia viennese.
Proprio le grazie concesse dalla signorina Lewy avevano impedito che Frank, e gli altri due agenti, si fossero accorti che il conte se ne era uscito di casa intabarrato e recante una grossa valigia. E nemmeno che fosse entrato il prestante Alfred a prenderne il posto, almeno nelle intenzioni, per la notte che stava sopraggiungendo.
Ora, mentre Frank saggiava il miele di cui erano intrise le labbra intime di Greta, ella era intenta a massaggiare con vivaci movimenti le aste lucide e dure dei due non eccellenti agenti.
“Forza, ragazzi, sbrigatevi! Ordinò Frank “Ho questa incombenza da concludere e poi voi ve la spasserete per tutta la notte con la signorina. Paga il sottoscritto!”. Detto questo fece un cenno con il palmo della mano alla brunetta, come di accelerare e darci dentro. Il ritmo aumentò e, in men che non si dica, le due nerchie spruzzarono sul tappeto grossi fiotti di seme tra i grugniti belluini. Il direttore del penitenziario, invece, si limitò a schioccare un sonoro bacio sulle profumate labbra di Greta.
La fretta di Frank non era tanto motivata dal compimento del dovere, quanto, piuttosto, dal presentarsi per tempo alla festa del principe Orlovsky dove avrebbe vestito i panni dell’altra sua attività, quella dell’impresario teatrale Chagrin, come era noto nel bel mondo viennese.
Quindi, rintuzzate tra i pantaloni le poco gradevoli e smunte appendici i due agenti si misero in strada. Seguiti dall’attendente Lewy, rivestitasi in fretta, e dall’ispettore capo Frank. Al conducente venne lasciato una gruzzolo di qualche scellino affinché attendesse l’esito delle operazioni.
Mentre il quartetto era impegnato in gradevoli occupazioni, all’interno della casa, la Contessa Rosalinde si era data da fare, con inusitata foga, sul procace membro di Alfred senza nemmeno attendere che si avvicinasse al salotto o che si trovasse a condividere con lui un’alcova qualsiasi. Inginocchiata sul tappeto dell’atrio e già spoglia della vestaglia, nuda e bellissima, pareva quasi d’avorio, impugnava il cazzo del maestro e lo menava nella sua bocca scorrendolo tra le labbra.
Gli avvenimenti del giorno, gli amplessi multipli del mattino e la punizione lussuriosa a Adele inflitta dal marito, avevano causato un vulcano di eccitazione alla nostra. Ecco il perché del famelico accanimento indirizzato alla nerchia tesa di Alfred. Ecco perché la sua fica sgorgava umori in abbondanza solo al pregustare la cavalcata annunciata.
Le frullava in testa l’idea di ricevere in gola un primo aperitivo di caldo sperma e questo la caricava, come una molla di quei giocattoli per bambini.
Alfred, dal canto suo, non chiedeva di meglio e già sentiva i coglioni indurirsi e gonfiarsi nell’atto dell’eiaculare con violenza.
Ma il picco del piacere, per quanto una volta innescato non è più dato trattenere, avvenne nell’esatto momento in cui il drappello di agenti batteva con forza alla porta.
La signora Contessa, colpita e stupefatta dal repentino e violento imprevisto, si staccò dall’arnese ruotando, d’istinto, il viso verso l’androne. Fu così che copiosi schizzi del lattescente liquido seminale le si proiettarono sulla guancia destra, la fronte, l’orecchio e perfino sui capelli. Incapace, scusato, Alfred di trattenersi.
La porta si aprì di schianto e nell’atrio i nostri tutori dell’ordine si riversarono attoniti di fronte alla scena.
Seguì un momento di silenzio interrotto da Greta che chiudeva il pesante portone.
Frank, ripresosi, non perse altro tempo ordinando ai due imbarazzati agenti di incatenare il presunto Conte.
Rosalinde, rimasta di pietra, raccolse repentina il primo degli indumenti che si trovò vicina e si dette una ripulita veloce. Nel mentre, si mise a pensare alla massima velocità consentita. “Se costoro non conoscono mio marito devo salvare le apparenze”. Fu l’efficace risultato finale.
Esclamò quindi a gran voce recitando la parte dell’inconsolabile moglie prossima al privarsi dell’oggetto di tanta sfrenata passione:
“Signori agenti, vi prego. Lasciatemi passare ancora qualche tempo con il mio consorte. Io l’amo e il venirmi meno dell’oggetto della mia passione mi sta struggendo”
Frank, accennò un inchino, capì al volo come volgere a proprio vantaggio la situazione e disse: “Il nostro compito è forse penoso, ma irrimandabile. Tuttavia, non sia mai che si lasci una donna pregna di lussuria e passione senza adeguata e parziale ricompensa.”
Il povero Alfred non riusciva a comprendere nulla, o forse intuiva di aver preso anche l'inatteso destino del conte, tuttavia, nudo, alla mercè dei poliziotti e con le mani già incatenate dietro la schiena e, anche, esausto, per la copiosa razione di sperma appena emessa, incurvò le spalle e si intristì sottomettendosi senza proferire parola.
“Forza, agenti” disse riprendendo la parola l’ispettore, “mostriamo la dedizione del corpo delle guardie alla nostra Contessa”. E senza attendere oltre diede ordini affinché si trascinassero, con tutta la gentilezza e i riguardi del caso, i due verso la scala che portava ai piani superiori.
Rosalinde, pur temendo il peggio, fece buon viso a cattivo gioco e, senza che lo volesse davvero, ma del resto l’eccitazione di prima era rimasta inevasa, la sua fica continuò a inumidirsi.
Arrivarono quindi al cospetto della camera da letto della signora. Il povero Alfred fu incatenato nudo a una delle poltrone di velluto che erano ai lati della stanza in prossimità delle pareti: le mani confinate dietro lo schienale. Avrebbe guardato la scena, fu l’idea non priva di un certo sadismo scaturita dalla mente del nostro Franck. Nel mentre Rosalinde, ormai in balia degli eventi, si lasciò franare sul letto mostrando le sue grazie agli agenti, divaricando, peraltro, le gambe e mostrando il sesso lucido. Fu un attimo inconsapevole, o forse sgorgato dalle insondabili profondità animali di cui tutti siamo dotati. La Contessa era pronta, con una esplicita richiesta di soddisfazione. Gli sguardi lubrici degli uomini comunicarono l’apprezzamento per l’ospitalità della padrona di casa così prodiga di estatici auspici.
Greta, intanto, da vera professionista, si era spogliata della divisa e mostrava le sue grazie. Un culetto sodo e armonioso, la vita stretta e due superbe tette sfidanti la legge di gravità. I capelli a caschetto incorniciavano un viso delicato. Perfino Alfred, pur calamitato dalla bella mostra dello smanioso pube dell’amante, volse il viso per ammirarla e il suo cazzo diede segni di vitalità decretandone infine il favore di giudizio.
La prostituta si fece strada tra i maschi ammaliati e salì, con movimenti felini, sul letto e, avvicinato il viso alla fica madida della Contessa, prese a leccarla con voluttà.
La Contessa, dal canto suo, si trovava posseduta dalla bramosia.
Essere lì, nuda, con le gambe spalancate, la fica zuppa, il suo amante che la guardava incantato e incatenato, e, per giunta, in balia di tre uomini, che di certo non l’avrebbero lasciata insoddisfatta, la riempivano di cupidigia. Il lavorìo meticoloso ed efficace di Greta, infine, portò Rosalinde a capitolare del tutto. Capì, in quell’istante, di avere oltrepassato un crinale di cui aveva, fin lì, ignorato l’esistenza. E, come spesso accade, una volta abbandonata la strada a cui si è usi, si scopre che all’avventura diventa difficile rinunciare.
Gli agenti e il loro superiore, nel frattempo, non avevano perso tempo estraendo le loro vigorose e ringalluzzite nerchie. Chi si torturava con frenesia l’asta, chi si scappellava mostrando un glande lucido e tesissimo, chi, come il direttore del penitenziario, stringeva con forza un cazzo gonfio e marmoreo quasi a trattenerlo prima dell’esplosione.
Frank, pur rammaricandosi del ritardo che ciò avrebbe comportato, era ormai accecato dal desiderio. Quando mai avrebbe visto la signora Contessa nella stessa condizione, pronta a concedersi in un’orgia di tale portata? Nemmeno nei più reconditi sogni. Che arrivasse pure in ritardo alla festa e al diavolo il Principe.
L’aria della sfarzosa camera da letto ormai trasudava lussuria, nessuno fiatava. L’unico suono era dato dai gorgoglii: saliva e umori e una competente lingua erano i solisti in quel silenzio lascivo.
La signora stava perdendo il raziocinio, lo annunciavano il respiro affannato e i sommessi sospiri di godimento sempre più fitti a rompere lo stallo nella camera da letto. La sbirraglia, nel timore di mancare di rispetto alla padrona di casa così altolocata, non osava prendere l’iniziativa.
Così fu Franck ad avanzare. Sputò sul glande, appoggiò le mani, divaricando le chiappe strette di Greta, scorse il cazzo sulle labbra della sua fica e poi, con un colpo netto, glielo ficcò tutto dentro.
“Ragazzi, io mi riscaldo un po’ con questo bocconcino. Voi aiutate la signora ad avere la giusta dose di soddisfazione!”. Disse l’ispettore mentre scorreva con brio l’asta lucida di umori tra le labbra della ragazza.
Haffner e Steiner si svegliarono dalla malia adorante che avevano stampato sui visi e si spogliarono in fretta e furia. In men che non si dica, i due aitanti giovanotti erano nudi, con le verghe svettanti e si proposero con deferenza ognuno ad un lato del letto.
Alfred osservava la scena deglutendo a fatica la saliva. il cazzo ormai teso sussultava ad ogni respiro.
Rosalinde si mise carponi, il volto e la mente ormai colmi di lussuria, osservò i due cazzi pronti a servirla. Ciò costrinse Greta a rotolare e sdraiarsi trovandosi con la faccia, sussultante per i colpi inferti dall’ispettore capo, sotto la fica della Contessa. La lingua della ragazza continuava inesorabile a scorrere su di essa, ricevendone in cambio copiose stille di umori aristocratici.
Rosalinde fece un cenno ai due prodi tutori dell’ordine. In breve, i due salirono in ginocchio sul letto e lei si trovò le due svettanti saette che le accarezzavano il viso. Come una gatta in cerca di fusa scivolava le gote imporporate sui cazzi bollenti e marmorei.
La temperatura stava salendo. Ancora poche lappate di Greta e Rosalinde urlò tutto il suo orgasmo. E godette stringendo strette le dure aste accasciandosi con il volto tra le lenzuola.
Con una sculacciata alle arrossate natiche di Greta, Franck la fece scostare per montare la fica protesa e svettante di Rosalinde. Non dovette forzare e iniziò così a stantuffarla senza troppi complimenti.
“Ah, dio. Prendetemi come una cagna, Sìììì! Voglio godere come mai!”, la Contessa era ormai sprofondata nel godimento estatico e frenetico. Sollevò il viso e prese in bocca prima l’uno, poi l’altro cazzo alternandoseli senza tanti convenevoli.
Steiner, ad un certo punto, si fece coraggio e aiutandosi con una mano tra i capelli di Rosalinde iniziò a fotterla in bocca. Haffner era in attesa di mettere a dimora il suo vigoroso uccello.
Franck prese la donna e sdraiatosi la sollevò impalandola e trattenendola per la vita. Steiner, allora, che forse possedeva una buona dose di intraprendenza finora quasi del tutto celata, ebbe l’idea di aprire una seconda via per scalare il picco del piacere: le montò dietro, le diresse la schiena verso il basso e con il cazzo stretto in mano provò a forzarle l’ano. Rosalinde che intanto compiva ridotti movimenti sul cazzo di Franck sentiva i muscoli del sedere cedere all’intrusione e dopo una manciata di minuti accolse l’asta in tutta la sua lunghezza e calibro. Dopo un momento di stasi, Franck e Steiner presero a muoversi in alternanza, coordinati come un equipaggio di vogatori. Rosalinda gradiva: aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
La stessa bocca che Haffner riempì con il suo attrezzo.
Intanto Greta accarezzava delicata il corpo di Alfred . “Povero signor Conte, vi eccita moltissimo la scena? La vostra illustre moglie riempita in tutti i buchi!” Le sussurrò nell’orecchio. “È giusto che anche voi arriviate al culmine”. E detto questo questo impugnò la procace verga protesa e, spostatasi davanti all’incatenato, le volse le terga e, abbassandosi e premendo contro il suo corpo, la accolse dentro di sè. Le labbra purpuree si dischiusero avviluppando la notevole dotazione di Alfred. Greta avviò dei lenti e flessuosi movimenti di bacino. Scorreva con voluttà e maestria. Anche lei aveva bisogno della sua razione di piacere e godimento.
Le tre guardie si cambiarono di posizione dopo qualche minuto. Franck volle impossessarsi del culo della Contessa. Steiner stringendole il viso tra le mani passò ad otturarle la bocca mentre Haffner scivolò sotto il suo corpo, non prima di averle leccato i meravigliosi e irti capezzoli. E infine riuscì a penetrarla pur con il poco agio dato dal calibro dell’ispettore di cui sentiva lo scorrere animalesco nell’altro canale.
La Contessa subiva un tracollo emozionale come mai aveva provato.
Alfred, dal canto suo, chiuse gli occhi: stava giungendo in picchiata al parossismo. Greta, esperta, se ne accorse e, divincolandosi dal cazzo, si inginocchiò spalancando la bocca e lappando generosa il frenulo. Alfred venne eruttando una quantità immensa di sperma, strizzando tutti i muscoli del viso e urlando bestemmie. Difficile avesse mai goduto meglio, pur se ben nota la sua esperienza amatoria. E infine si lasciò andare esausto.
Anche Franck che pistonava con vigore e violenza l’intestino raggiunse l’apice poco dopo. Le viscere della Contessa furono inondate tra le urla belluine. Rosalinde godeva senza ritegno, nemmeno lei avrebbe potuto contare il frangersi degli orgasmi sconquassanti che si ripetevano facendola fremere come un usignolo alle prime luci dell’alba.
I due marmittoni invece che, ricordiamolo, avevano già goduto delle dolci mani di Greta poco prima perduravano nel loro folle possesso del corpo della donna.
Tuttavia ella, stremata, appena Franck le stappò il cazzo dalle chiappe, rovinò su Haffner. Il quale la fece rotolare con delicatezza sulla schiena e prese a fotterla sorreggendole le caviglie. In breve Steiner, masturbandosi con frenesia, le venne sul viso imbrattandone gli augusti lineamenti. Haffner, invece, accelerò lo scorrere del cazzo nella fica e, dopo una selvaggia manciata di colpi, impugnando l’arnese, le spruzzò il godimento sull’addome arrivando persino a irrorarle il seno.
Travolta dall’estasi e dall’intensità del piacere provato, Rosalinde si sentì venire meno e crollò sul suo letto perdendo i sensi. Rivoli e gocce di sperma le imperlavano la pelle alla luce delle candele.
Rosalinde si risvegliò, sola e ancora tremante per l’impeto e l’ardore con cui aveva consumato la sua prima orgia. Tutti gli altri se ne erano andati. Anche Alfred era sparito. Alfred. Alfred ormai in prigione ingiustamente e a causa sua.
Fu un pensiero che durò solo un breve lasso di tempo. A sprazzi le tornò in mente quanto aveva vissuto. Arduo il compito di ricostruire la completezza del godimento. Esausta, sì, si sentiva colma, spossata, stremata.
Puzzava anche, e perciò si avviò verso il bagno incerta e barcollante.
In corridoio, sul tavolino prima della porta del bagno, vide una busta chiusa indirizzata a lei stessa.
La raccolse, inquieta, e si avviò verso la stanza da bagno per lavarsi, facendo quindi scorrere dell’acqua bollente nella vasca. Si mise una vestaglia e si guardò allo specchio: aveva tracce di sperma sul viso e sperma le colava ancora tra le cosce e dentro la fica.
In attesa che la vasca si riempisse, aprì la busta.
Una lettera scritta dal notaio Falke. Ciò la sorprese: era un amico di famiglia, certo, ma quello che la turbava era non riuscire a stabilire con certezza quale poteva essere stato l’esatto momento del recapito. Poteva essere stato solo l’ispettore Franke a consegnarla, si disse (e ancora un brivido la percorse all’atto di ricordare quanto era appena accaduto).
La lettera recitava pressappoco così:
Cara Contessa Rosalinde, le recapito questa missiva poiché sono certo di avere destato in voi bramosie troppo a lungo represse e desideri che attendevano solo di essere lasciati liberi di esprimersi.
Non tentate di negare questa mia intuizione: certamente un povero vecchio par mio vi conosce più di quanto voi possiate pensare.
Ebbene, stasera ho voluto ritorcere, contro il Conte vostro marito, uno scherzo, in risposta ad un precedente lazzo che mi è stato da lui giocato tempo fa. Voi, gentile Rosalinde, siete una pedina fondamentale per la buona riuscita del dileggio che ho progettato. Conto, per questo e in seguito alla serata che avete appena trascorsa, di avervi dalla mia parte.
Proprio in virtù di questa liberazione estatica di cui siete stata protagonista sono certo che vorrete prendere parte alla festa del Principe Orlofsky e qui basterà che seguiate il vostro istinto. Non sarete costretta a nulla. E nemmeno vi si potrà rimproverare nulla.
Tempo un paio di ore una carrozza vi attenderà per recarvi alla festa a cui vi presenterete come la baronessa Elizabet Kocsis Székely. Dentro la carrozza troverete la maschera necessaria per il vostro ingresso al palazzo a cui sarete condotta.
Stupita ed incredula, e anche non senza un certo batticuore, la Contessa Rosalinde posò la lettera e si immerse nella vasca.
Affondata nell’acqua calda ella si distese levandosi l'inquietudine che i recenti avvenimenti e, soprattutto, la lettera le avevano gettato addosso, come una pesante e malevola ombra. Iniziò così a meditare, come in un flusso di coscienza che sgorgava da una sorgente: "Non capisco in che modo potrei aiutare il notaio in questo scherzo. E che tipo di scherzo può essere? Oltretutto mio marito è in prigione. E Alfred, anche lui. Oddio, chissà domani che guaio quando scopriranno che hanno arrestato due volte la stessa persona".
Respirò con affanno, ma subito riprese il filo del pensiero: "E dunque questi personaggi sapevano che Alfred non era il vero conte e, nonostante ciò, mi hanno spinto a fare quello che è stato. E chissà cosa succederà alla festa in maschera.” Rosalinde, infatti, era ben conscia che le feste del Principe si trasformavano in leggendarie orge in cui donne e uomini, protetti dalle maschere e in fuga dall'ipocrisia, abbandonavano ogni freno inibitore. Era già stato così durante quella dell'anno prima. Ne aveva parlato, sottovoce, tutta la città.
Ci rimuginò. Gli effluvi dell'acqua calda e dei sali da bagno le diradarono, infine, la foschia dei pensieri.
“Forse nessuno mi ha spinta fin qui. Oggi, per la prima volta nella mia vita, mi sono lasciata guidare dalla lussuria più sfrenata. Fin da stamattina. Ho goduto e ho dato piacere, ma l'ho fatto perché l'ho desiderato. Nessuno mi ha obbligata. Ci sono arrivata da sola. Nemmeno ho provato a resistere: è stata una mia scelta!"
La conclusione la raggiunse come un fulmine e capì:
“Non sono tanto diversa da una sgualdrina eppure questo è ciò che, in cuor mio, ho sempre desiderato: godere. E se è questo quello che provano le puttane, ne voglio ancora”.
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