Nei panni di Loana - Lusty Pepper, I episodio

di
genere
etero

Una sagoma oscura, appena percettibile nell’oscurità, attraversava il pendio poco irto di una collina coperta di arbusti bassi e cactus dalla forma tozza.
La frontiera era lontana una manciata di chilometri e per questa ragione Lusty Pepper decise di prendersi una pausa. Quel lato della collina, poco battuto dal vento, aveva sviluppato, tra le macchie di arbusti, una prateria folta e alta quasi un metro. Si sedette, completamente nascosta, bevve un sorso di acqua e si accese una sigaretta. Aveva un discreto margine di anticipo.
L’unica cosa che conta, pensò, è che le informazioni siano esatte.
Lusty non sopportava che qualcosa andasse storto oltre una certa percentuale di rischio rispetto alla sua pianificazione.
Oltre la collina passava la ruta departamental 23, un'insulsa striscia di ghiaia larga appena per un autocarro. Lì avrebbe trovato un’auto con cui raggiungere la secciòn 2, un commissariato anonimo, in cui avevano rinchiuso il suo fedele partner Woland.
Era stato essenziale organizzare al più presto la sua fuga prima che fosse trasferito in qualche centro di detenzione con più alto grado di sicurezza.
Ufficialmente era stato arrestato per avere attraversato la frontiera senza visto, ma presto avrebbero scoperto la sua vera identità e chissà quali torture avrebbe dovuto subire prima di avere una vera occasione di evasione o fuga.


La Bergantin verde schizzava a gran velocità sollevando un grande turbine di polvere alle sue spalle. Alla guida una Lusty trasformata rispetto alla tuta aderente scura di poco prima: vestiva una maglia a girocollo ocra e molto aderente ad evidenziare il superbo seno e una gonna corta plissettata, calze luccicanti, da ballerina di qualche rivista dei bassifondi e un paio di sandali senza tacco. I capelli erano raccolti dietro la nuca con un nastro. Il suo bel viso dai caratteri mediterranei caricato da un vistoso quanto accattivante trucco.
Dopo una decina di chilometri giunse in vista del commissariato. Il buio intorno era pesto e la piccola piazzola di fronte alla costruzione era debolmente illuminata da un lampione forse risalente ai tempi delle caverne tanto era sgangherato. Accanto alla porta di ingresso si intravedeva una sentinella seduta a terra con fucile, un Enfield riconobbe Lusty, a tracolla e la brace di una sigaretta nell’ombra buia proiettata dalla visiera del cappello.
Parcheggiò accanto ad una jeep militare scoperta con le insegne della guardia civil. Lusty aprì con studiata enfasi la portiera appoggiando a terra la lunga gamba sinistra scoperta. Immaginò la bocca aperta della sentinella e il mozzicone che precipitava al suolo.
Si avvicinò con passi decisi.
– Buonasera agente, – pronunciò Lusty. – Stasera avete vinto al lotto, portatemi dal vostro capo.
Ancora inebetito dalla sorpresa, il poliziotto balbettò qualcosa, ma, prima che potesse riaversi del tutto, Lusty lo precedette mostrandogli una lettera di viaggio della direzione dipartimentale con tanto di timbro e firma del Colonnello.
Al solo leggere il nome del superiore l’agente si ricompose facendo un balzo e subito le aprì la porta.
Oltre si estendeva uno stretto corridoio. Alla sinistra un corpo di guardia con due agenti che, vedendo passare Lusty, restarono pietrificati con le carte in mano a mezz’aria. La radio gracchiava canzonette nella scena surreale.
Il guardiano che accompagnava la ragazza bussò alla porta successiva. Servì una buona dose di colpi prima che dall’interno un grugnito segnalasse una presenza umana in risposta. La porta si spalancò e apparve un sottufficiale corpulento, oltre i cinquanta, dai grandi mustacchi e dalla pelle bruciata dal sole della pampa. La camicia era aperta fino al petto mostrando un colletto torturato da uno spesso alone giallastro. Anche l’ufficio alle sue spalle pareva avesse visto giorni migliori, qualche decennio prima.
– Che diavol... – fece diretto al sottoposto, ma si trattenne deglutendo accorgendosi della mora mozzafiato che l’accompagnava.
– La signorina qui presente dice di essere mandata dal Colonnello Vargas, ecco qui la sua lettera di viaggio. Si affrettò a dire la guardia.
– Va bene, Pedro, vattene al tuo posto e lei si accomodi.
Lusty varcò la soglia
Il maresciallo la invitò a sedersi sulla malmessa e sudicia sedia di fronte alla scrivania. Un ventilatore sferragliava al massimo della velocità mentre il graduato si affrettò a far scomparire dentro un cassetto un paio di riviste pornografiche che erano squadernate sul tavolo.
– Sono il maresciallo Juan Caicedo, mi dica, – e pronunciando queste parole crollò sulla cigolante poltrona.
– Mi chiamo Loana e vengo da Rivera. Il Colonnello Vargas mi ha pagato per venire qua –. E dicendo questo porse a Caicedo una busta chiusa.
Il baffuto sottufficiale strappò la busta e lesse.
Man mano scorreva nella lettura i suoi occhi strabuzzarono, Lusty pensò che ad un certo punto sarebbero schizzati fuori dalle orbite.
Quella lettera, ovviamente un mero espediente della nostra Lusty, invitava gli uomini del commissariato ad approfittare del corpo della signorina Luana. Un regalo che il nuovo colonnello della guarnigione di Rivera intendeva elargire a turno a tutti i commissariati sparsi per il territorio come parziale ringraziamento per il duro lavoro di repressione del contrabbando e della migrazione clandestina e insomma di un po’ tutti i nemici della repubblica.
– Madre de dios, – sentenziò Caicedo che prese un lercio fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e si asciugò il copioso sudore emesso dalla fronte. Posò la lettera e si alzò in piedi.
Si aggiustò i baffi e dandosi il migliore dei contegni possibili in quella situazione disse:
– Sono onorato di avere i vostri favori, signorina Loana.
– Oh, è il mio lavoro e lo faccio con piacere. Permettetemi di aiutarvi a superare lo scoglio dell’imbarazzo, – disse Lusty che, aggirata la scrivania, si inginocchiò di fronte alla pancia prominente e prese ad armeggiare con i pantaloni del sempre più incredulo Caicedo.
Lusty abbassò le brache. Le braccia del maresciallo cascavano inerti lungo il corpo.
– Sono davvero felice di iniziare con la vostra soddisfazione, mio eroe –. Abbassando i mutandoni, le docili mani di Lusty afferrarono una verga parecchio dotata. Estesa in lunghezza non sfigurava certo, ma era il diametro la sua carta vincente. E anche un pungente olezzo, che le nari di Lusty preferirono non investigare.
Il cazzo non aveva ancora raggiunto il massimo grado di turgidezza, ma le sapienti arti della nostra fecero il proprio lavoro in modo egregio.
Ora il bastone si estendeva in tutto il suo splendore e Lusty aggrappata ad esso ne percorreva con la lingua e le labbra tutta la lunghezza. L’altra mano accarezzava e ora stringeva i coglioni gonfi del nostro prode poliziotto.
Quando lo ritenne opportuno Lusty spalancò la bocca accogliendo il glande congestionato. L’abilità di Lusty non era in discussione: profonde lappate, labbra che stringevano e aspiravano, spingere il glande per tutto il palato. Il povero Juan Caicedo, complici anche le letture precedenti e travolto da una volata come mai aveva avvertito prima, sentì di essere giunto rapido al culmine. Urlando come una belva braccata da mille segugi esplose in un orgasmo stellare eruttando grossi schizzi di sperma nella gola di Lusty. Ella, pure avvezza al mestiere, faticò a deglutire senza avvertire conati, ma di questo non si accorse il nostro gagliardo esemplare di maschio. Trattenendo con inusitata gentilezza la nuca di Lusty finì per prosciugarsi e quindi si accasciò, prostrato, sulla poltrona con un tonfo degno di una megattera.
Al sentire le urla invereconde, la sbirraglia del distaccamento era accorsa nell’ufficio e spalancando di schianto la porta, i quattro si avvidero della scena.
– Calma, ragazzi, – disse ansimando il maresciallo, – ne abbiamo per tutti. Ve la lascio intanto che mi riprendo. Mi ha aspirato perfino l’anima.
Mai frase è più esatta, pensò sorridendo la nostra Lusty, finendo di pulirsi con il palmo della mano.
– Andiamo nella vostra guardiola, uomini –! Gli ordinò, – staremo più comodi. Fatemi solo prendere la borsa e sarò tutta vostra!
Ammutoliti e sorpresi, i quattro militari le lasciarono il passo, ma già nelle loro menti si affacciava il barlume di una grande scorpacciata di quella brunetta.
Lusty entrò nella stanza sculettando conscia delle quattro paia di occhi spalancati alle sue spalle.
Dentro, senza indugi, la nostra bella depose la borsa su uno scaffale e si spogliò del tutto tranne calze e scarpe. Gli uomini famelici si avvicinarono ancora indecisi sull’azione da intraprendere. Fu sempre la nostra Lusty ad assumere l’iniziativa, del resto il tempo a disposizione non sarebbe stato infinito. Tanto valeva stringere.
E strinse per davvero: con gli uomini a cerchio intorno, e intanto accovacciatasi sul pavimento, li guardava bramosa dal basso verso l’alto, scorse le mani tastando la durezza dei membri ancora celati dalle braghe militari.
Fu questo l’abbrivio per gli avidi maschi a dare sfogo alle loro voglie. Estrassero, uno ad uno, le nerchie puntandole diritte verso il volto della giovane.
Lei non si perse d’animo e impugnandone un paio diede profonde leccate e imboccate ad ognuno alternando l’attenzione su ogni asta, da vera esperta, per non lasciare nessuno a secco.
Poco dopo due uomini la sollevarono e la deposero sul tavolaccio.
Mani rozze le palpavano i seni, altre strizzavano i capezzoli e, altre ancora, si insinuavano tra le ammalianti labbra colme di lussuria e scintillanti di umori.
Va detto, infatti, che la nostra Lusty, sebbene scrupolosa, professionale e tutta tesa verso l’obiettivo fissato, gradiva questo particolare aspetto del proprio mestiere. A dirla tutta ci andava pazza. Essere un’avventuriera, forse la migliore in circolazione, non sarebbe contato poi molto se avesse dovuto rinunciare al lato ludico utilizzando il proprio corpo. Corpo che era un’arma, ma anche fonte di una buona dose di intime soddisfazioni.
Queste divagazioni nel racconto non fermarono gli ignari militari. Il primo, un tale pallido in volto, aveva già infilato la spada nella fessura umida pistonando con eccessiva foga. Un altro, baffuto ometto, trovava sollievo nella bocca di Lusty e un terzo, tarchiato dotato di un bastone mica male, ne assediava la guancia opposta. L’ultimo, in attesa di infilare la chiave del piacere, percuoteva col lungo cazzo i capezzoli appuntiti.
Fu proprio quest’ultimo a scansare quello pallido in volto e sfondare con veemenza la fica. Nessuno volle rimanere escluso, quasi litigavano per accaparrarsi il frutto del piacere. Aveva il suo bel daffare, Lusty, nel cercare di calmare la loro cupidigia dichiarandosi disposta a soddisfare tutti.
Nel frattempo era giunto pure il maresciallo, ripresosi, impugnando la sua verga tornata in vita. Il sottufficiale mise un po’ di ordine nella piccola disputa per il possesso della della donna.
– Siete proprio dei debosciati, buoni a nulla, – sentenziò.
E subito ordinò a Loana/Lusty di mettersi a carponi. Distribuì i compiti ai suoi sottoposti: due si sarebbero occupati dell’avida bocca della donna. Uno, sdraiato, avrebbe tentato di sbatterlo nella fica, mentre lui avrebbe avuto l’onore di romperle il culo per poi lasciare l’orifizio profanato alla mercé della rotazione che lui stesso avrebbe regolato.
– Non stavo aspettando altro, caro il mio capitano, – disse Lusty sbeffeggiandolo con concupiscenza.
– Ragazzi, giuro su mia madre, che Iddio l’abbia in gloria, non s’era mai vista una puttana tanto vogliosa di maschi. – Si affrettò a concludere il prode.
E così dicendo, maledicendo la propria pinguedine, si fece strada, aiutato da un poco educato, e nemmeno cristallino, sputacchio, tra le strette natiche della ragazza. Tanto spinse che fece urlare Lusty, ma, infine, riuscì a far scomparire l’osceno trave dentro il dilatato buco. Soddisfatto dell’impresa si sentì forse Napoleone a Borodino tanto che iniziò ad assestare colpi da indemoniato.
– Che culo, uomini, che culo stretto. Mi sta risucchiando – urlò in uno dei molteplici stantuffi.
Insomma: chi più, chi meno, chi guidato da un egoistico piacere, chi limitato dalle dimensioni del proprio palo, godettero tutti di tutti gli orifizi della nostra bella avventuriera. La quale, dal canto suo, aveva, sì, provato piacere, ma anche iniziava a dare segni di stanchezza e di noia. Mezz’ora di attività fisica poteva bastare per quel giorno.
Proprio per terminare nel migliore dei modi e con la soddisfazione di tutti si divincolò e si mise in ginocchio incitando i militi a svuotare il proprio nettare sul suo volto con la promessa che la notte sarebbe stata ancora lunga e si sarebbe concessa ad ognuno ancora e ancora.
I baldi non aspettavano altro. Menando e grugnendo come un quintetto depravato dedito a canti gregoriani i cazzi eruttarono il loro seme quasi in contemporanea. Schizzi che atterrarono sulla pelle liscia e un po’ martoriata di Lusty. Una vera e propria innaffiata di sperma Proprio mentre le verghe sussultavano gli ultimi fiotti ne diede una lappata ad ognuna.
Gli uomini, occhi socchiusi o rivoltati dal godimento, assaporavano quell’estatico attimo con trasporto. E ciò fu loro fatale, purtroppo.
Bastò davvero un attimo.
Lesta la nostra si scansò, raggiunse la vicina borsa e ne estrasse una vigorosa Colt.
Le smorfie dell’orgasmo fecero appena in tempo a trasformarsi in stupore. Durò una frazione di secondo. La canna sputò fiamme e piombo. cinque colpi in rapida sequenza. La pistola rispose alla pressione del grilletto senza tentennamenti.
I proiettili, data la breve distanza, trapassarono i crani proiettando brandelli di materia biancastra e fiotti di sangue tutto intorno. I cinque corpi si afflosciarono a terra.
Lusty non perse altro tempo. Si rivestì in fretta, concentrata sul da farsi. Un colpo con il calcio della pistola alla radio. Aveva ancora un colpo in canna e non aveva voglia di cercare le chiavi delle celle.
Corse rapida nel corridoio. –Woland. – Urlò. Sentì rispondere. – Woland, – ripetè.
– Woland sei qui? – Disse concitata di fronte ad una pesante porta.
– Sì. Lusty? – Chiese di rimando una voce maschile da dentro.
Un colpo di pistola con decisione contro il chiavistello che saltò in decine di schegge.

Pochi minuti dopo l'auto partì a gran velocità dal piazzale, sbandando sul treno posteriore.
– Non mi dire che quella roba secca sulla faccia è…? – Chiese quasi divertito Woland mentre ingoiava un sorso di cognac da una piccola fiasca che la ragazza le aveva consegnato dopo la liberazione.
– Sperma, sì. – Lo interruppe, – ma anche un semplice grazie sarebbe andato bene, dannata testa di cazzo. Mi hai fatta spaventare. Ora, zitto e lasciami guidare. Dobbiamo lasciare al più presto questa merda di paese.
Lusty gli fece un ampio sorriso premendo tutto il pedale trattenendo al contempo il volante con mestiere. Woland incollato alla fiasca le rispose con una strizzata d’occhi.
I fari rossi si persero tra le colline e la polvere che ancora faticava a darsi una calmata.
scritto il
2022-01-26
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