La cattedra [Il professore]
di
Beinhorn
genere
trio
Katrina muoveva veloci passi sul selciato che separava il rettorato dalla facoltà di scienze naturali. Era tutta eccitata per il prossimo incontro con il cugino Walther Konrad.
Lì, a Heidelberg, Walther era da poco diventato il più giovane titolare della appena istituita cattedra di petrografia. Certo, non aveva avuto una grande concorrenza, ma, nondimeno, aveva brillantemente superato tutte le prove e infine la commissione di facoltà aveva approvato il suo progetto di ricerca.
Lei, invece, era ancora una studentessa di astronomia, ma era riuscita a farsi assumere nella Cancelleria dell’antica università. In questo modo, oltre a coprire tutte le spese per gli studi, le era anche permessa una vita quasi agiata. Un appartamento aristocratico in Mantelgasse! Dalle finestre del piano superiore vedeva il corso del Neckar e le verdi colline a settentrione e, addirittura, riusciva a permettersi una domestica a ore. Si riteneva fortunata. A tante ragazze non era ancora consentito studiare. Una donna poi doveva lavorare più duramente di un uomo per sgomitare e farsi strada. Da questo punto di vista era irreprensibile: studiare al massimo per distruggere ogni pregiudizio. Voleva diventare ricercatrice e magari, un giorno, riuscire ad insegnare. Ce la stava mettendo tutta.
Sul lavoro, quello che le garantiva la bella vita, non era stata tanto schizzinosa.
Vivere da sola le aveva permesso di conoscere le meraviglie del sesso e, anche, di comprendere quanto gli uomini, cresciuti nel clima rigido e severo del Palatinato, potessero essere piegati con grande facilità da qualche piccolo favore alle proprie concupiscenze.
Si era concessa, con discrezione e, anche, con grande metodo: a un membro della commissione di ammissione alla facoltà, a un membro del consiglio di facoltà, a un sotto-cancelliere-capo e infine, il suo ultimo e vincente colpo di fioretto, a un membro del senato accademico. Li teneva tutti in pugno, laidi omuncoli ipocriti e sessuofobi. Con il risultato di essere l’unica donna impiegata in pianta stabile nell’università più antica di tutto il Reich.
Con Walther era stato tutto diverso. Fin da quella notte di Natale del ‘89. Nella grande casa di Bamberg era stata una notte fredda e lei, Katrina, si era infilata nel letto di Waldi, come lei lo chiamava, avviando una prima e timida conoscenza dei loro corpi. Da allora, oltre sei anni fa, erano diventati amanti dandosi una semplice ed unica regola: il loro sarebbe stato solo sesso, non esclusivo delle rispettive vite sentimentali.
Katrina camminava spedita, dicevamo, verso lo studio del cugino. Erano tre mesi che non lo vedeva, ma, ora che era lì in facoltà, avrebbe potuto incontrarlo più spesso. L’occasione era l’incarico, e l’assegno, che il rettore aveva affidato al cugino per le sue ricerche. La ragazza già sapeva cosa conteneva la busta che doveva consegnare. L’università, in vista delle tre settimane di sospensione primaverile, lo autorizzava a compiere dei rilievi nella Slesia tedesca. Il grande fermento attorno alla nuova scienza della terra era dovuto al bisogno di materie prime sempre crescente della macchina industriale tedesca. Valanghe di soldi disponibili ai pochi ricercatori che avevano intuito in anticipo il grande potenziale dello studio dei minerali e del sottosuolo.
Dare questa notizia, che il cugino attendeva da settimane, la riempiva di eccitazione. Chissà che volesse festeggiare.
C’era però quella mocciosa dell’assistente, Inga. Una biondina tutta lentiggini che aveva intravisto lungo i corridoi dell’ateneo. Ogni volta che Walther parlava, fosse dei suoi studi o dell’ultima escursione lungo il fiume, i suoi occhi luccicavano. Essendole ben noti la brama e l’appetito del cugino immaginava che l’avesse già conquistata e la ragazza irretita e infine capitolata.
Le regole erano state chiare: poteva spassarsela con chi voleva. Tuttavia, non senza un certo fremito al ventre, voleva mettere in chiaro la sua egemonia sulla dotazione sessuale del cugino. Va detto, infatti, che quanto ad amante valeva quantomeno, se non oltre, la sua capacità di esperto geologo.
Suonò dunque al campanello dello studio.
Nell’attesa, si vide riflessa nel vetro sabbiato della porta. Aveva messo il suo vestito migliore. Fianchi stretti e curve magnifiche facevano da contorno ad un viso sinuoso da cerbiatta. I lunghi capelli corvini raccolti appena sopra la nuca incorniciavano i suoi occhi azzurri, grandi e curiosi.
Quel lampo di vanità svanì quando si accorse che il trillo del campanello non aveva prodotto alcuna reazione all’interno. Un indugio che spazientì la nostra Katrina che pure evitò un secondo avvertimento avendole, il fatto, suscitato qualche sospetto.
La facoltà di scienze naturali, di nuovissima concezione, aveva disposto gli studi e gli uffici dei professori con i loro appartamenti in villini indipendenti gli uni dagli altri.
Aggirò quindi la costruzione finché individuò la finestra dello studio.
Le imposte erano accostate, ma non chiuse. Diede una rapida occhiata intorno per assicurarsi che nessuno la stesse guardando e poi si accucciò al di sotto della soglia togliendosi il cappello. Con la massima accortezza cercò di sollevare il capo per osservare la stanza. C’era un grande tavolo da disegno su cui erano aperte svariate carte geografiche. Walther era seduto alla scrivania sul lato opposto. La testa reclinata all’indietro come se stesse concedendosi un attimo di riposo. Stava per alzarsi, Katrina, nell’atto di battere alla finestra per avvertirlo della propria presenza quando un particolare la attirò facendola desistere dal proposito. Dal bordo della scrivania spuntava una chioma bionda che si muoveva ritmata.
La sfrontata. Altro che capitolata. Quella puttanella stava lavorando con la bocca lo scettro bollente del suo Walther!
Si ritrasse, quasi di scatto, prima con un moto di contrarietà e rabbia nell’animo, ma subito si bloccò: la scena non aveva mancato di conturbarla.
Si alzò e appoggiando la schiena al muro si accorse di respirare con affanno. L’eccitazione di raggiungere il cugino sommata a quanto aveva appena visto crebbe esponenziale. Il petto le sobbalzava veloce e si fece strada un calore crescente tra le cosce. Doveva decidere ed agire in fretta.
Tante ore di studio sul moto dei pianeti non le avevano sottratto una certa manualità innata che tante volte ci viene in soccorso quando siamo impegnati verso un obiettivo. Il suo scopo era aprire una porta chiusa chiave, quella dell’ingresso al villino.
Si tolse un orecchino e, piegato il metallo come sapeva, si diede da fare a rimuovere la serratura. L’eccitazione le diede la concentrazione adeguata e, in pochi secondi, ecco il chiavistello cedere. Entrò. Nessun rumore tranne un sommesso e ovattato mugolio. Si tolse il cappello e il giacchino, lasciò il plico da consegnare su un tavolo, si sbottonò il vestito ed eccola con un corpetto rosa bordato di nero. Nero come le calze che le fasciavano le gambe affusolate.
Spinse piano la porta dell’ufficio e poté vedere la finta ingenua Inga Rapp imboccare famelica la lucida asta del cugino. La voglia le salì ancora di più. Le mutande di pizzo avevano già una chiazza. Come entrare? Spalancare la porta? Sorprendere entrambi con la probabile conseguente scena di imbarazzo oppure agire in altro modo?
L’arguzia le diede un’altra soluzione. Avanzò come una gatta in caccia di una preda. Carponi e silente raggiunse alle spalle la poltrona di Walther.
Nascosta dallo schienale si alzò infine appoggiando gli abbondanti seni ancora avviluppati nel corsetto sulle spalle e circondando il collo con le mani.
Walther ebbe un sussulto al contatto, Inga invece, scambiando il sobbalzo per una contrazione di piacere continuò il proprio intenso lavoro di ingoio.
— Cugina! — esclamò spaventato il professore. A questo punto la situazione non poté rimanere in stallo: la ragazza inginocchiata interruppe le proprie azioni e arretrò stupita e sorpresa.
— Non volevo certo interrompervi, caro cugino —, si giustificò Katrina, — piuttosto desideravo molto unirvi ai vostri giochi. Che ne dite? —
Inga era ancora inebetita e interdetta. La bocca spalancata, la saliva colante dalle labbra.
— Io credo che possiamo divertirci tutti e tre, non credi Inga? — disse Katrina tentando di scuoterla.
Walther sorrise, già entusiasta della mano di carte che si trovava in mano. — Che potrei volere di meglio? —
La poveretta, invece, non riusciva a connettere una sillaba, incapace di muoversi, ma Katrina, più avvezza alle pratiche e oltremodo vogliosa, si fece avanti. Si accucciò accanto alla ragazza, afferrò il duro arnese e, con l’altra mano, spinse la testa di Inga verso di esso per farle riprendere dove era stata interrotta.
Pur ancora recalcitrante, Inga riprese la suzione. Prima ancora titubante e poi, via via che riacquistava confidenza, sempre più coinvolta e, forse, ancora più eccitata di prima. Aveva imboccato la possente nerchia e, con la bocca spalancata, ne scorreva le labbra finché le fosse consentito dalle dimensioni dell’attrezzo.
La mora cugina, intanto, si alzò e si spogliò anche del corpetto rivelando due superbi seni, prima solo immaginabili.
Quindi, inginocchiandosi, aiutò la ragazza leccando e baciando le palle e poi l’asta del professore. Il quale, superata la sorpresa, tornò a godere sommesso e accarezzando i capelli di entrambe. L’asta tornò in breve al massimo splendore luccicante di saliva.
— Dai, Waldi, ora scopala! — e il professore fu ben lieto di obbedire. Fece sollevare la ragazza sopra di sé e cingendola per le natiche la portò sopra il proprio obice. Katrina lo impugnò e lo diresse nella fica di Inga che già grondava rugiada. Ella inarcò la schiena mentre il cazzo le scivolava dentro. Poi, appoggiando le mani sulle spalle dell’uomo cominciò a muoversi. Dapprima lenta, ma poi, colta dalla brama del godimento, andò ad aumentare il ritmo.
Katrina, intanto, la baciava sul collo, sapeva di bucato, e le accarezzava le minuscole tette con i capezzoli irti tanto da sembrare due chiodi.
Il ritmo della cavalcata era ormai frenetico, il cazzo di Walther raccoglieva, ed estraeva, umori da una fica in stato di godimento. E, infatti, poco dopo, Inga, contraendosi e strizzando gli occhi, esplose in un urlo spasmodico. Le sue unghie si conficcarono nelle spalle del professore. Il cui scettro, ben piantato dentro quell’abitacolo fin troppo angusto, ricevette i sussulti e le contrazioni del godimento.
— È ora di fare godere anche te, cugina. Venite sul tappeto —. Disse Walther. — Mettiti a quattro zampe, voglio prenderti da dietro! —
Non se lo fece ripetere. Sul tappeto con le calze nere a farle da contorno, svettava già un culo morbido e come tornito. Tra le labbra si intravedeva un luccicore.
— Avanti, Waldi. Spaccami tutta! — disse con la voce roca, Katrina, — E tu, puttanella, allarga le gambe davanti a me: ho voglia di leccarti —.
Walther la prese per i fianchi e spinse fino alla cervice il suo nodoso bastone. Katrina cacciò un urlo. Inga sudata, spossata e, però ancora carica di lascivia, si sedette, divaricando le gambe e sbattendo le labbra arrossate sulla faccia dell’intrusa. Certo, aveva creduto di godere in solitaria delle doti del professore, ma la nuova piega degli eventi le piaceva. Inutile dire che, farlo con un’altra donna, era una sfaccettatura non ancora contemplata nella sua giovane esperienza. Tutto lasciava supporre che avvesse imboccato la strada per il paradiso della lussuria.
Il corpo di Walther sbatteva sulle natiche come un tamburo. Ed ogni colpo Katrina urlava di piacere andando a sbattere naso e bocca sulla fica di Inga che chiudeva gli occhi e sospirava in preda alla beatitudine del piacere.
— Spaccami, Waldi! Spaccami! — disse Katrina incitando il maschio e, assieme, incitando la volata per il traguardo.
— Che troia sei, Katrina! Mi fai impazzire —. Fece Walther tra un colpo e l’altro ansimando.
— Sì, sono la tua troia personale! — Katrina ormai aveva perso qualsiasi freno inibitore. — Rompimi il culo, ficcamelo dentro! — e lo disse urlando.
Walther, il cui scettro era in fiamme, sputava tra le chiappe della mora cugina. Mollò un fianco e, mentre continuava a sbattere l’ingorda parente, la penetrò nell’ano con il pollice. Katrina urlava ingiurie al creato e anche Inga aveva sostituito i sospiri con urla sempre meno sommesse.
Poi, Walther si fermò, estrasse il pollice e il cazzo lucido del godimento della cugina puntando allo stretto pertugio. Spinse senza timori, lento, ma inesorabile. L’asta sprofondò, poco alla volta, fino a scomparire tra le chiappe sode. L’urlo di Katrina si tramutò in un vizioso vocalizzo da cantante lirica peccaminosa.
Il professore, una volta assestato l’arnese, avanzò sulla schiena della cugina impugnandone le rigogliose tette e prese a sbatterla come un lupo mannaro. Senza sosta, cali di ritmo o di veemenza. Un lupo mannaro assatanato. Inga, nell’assistere la scena e vedere il volto trasformato del suo amato professore, fu sconvolta da un nuovo orgasmo. Forse meno clamoroso e inaspettato del primo, intravisto da lontano, come nuvole di tempesta in arrivo avvistate dalla cima di un colle, ma da cui è impossibile scappare. Arrivò e la travolse. Inga cacciò un urlo acutissimo spingendo dalla nuca il viso di Katrina contro la sua fica. Lo spasmo durò per un’apparente eternità. Labbra e clitorde premuti sul viso con sussulti sconclusionati quanto violenti.
Il viso di Katrina fu inondato dagli umori della piccola Inga. Proprio questo fece capitolare pure la cugina. Il pistone di Walther non accennava segni di cedimento, come un treno lanciato a tutta lungo la discesa più ripida del mondo. Katrina urlò il piacere tra le labbra fradice di Inga. Il tremore del climax la percorse dal capo fino alle dita dei piedi passando per i muscoli del culo dove il cugino continuava la sua azione. Duro e bollente si sentiva ormai pronto per dissetare le due piccole e lussuriose compagne.
Estrasse la verga stringendola a tutta forza e si alzò in piedi. Non servì avvertire né dare ordini. Katrina e Inga si inginocchiarono. Walther se lo menò per poco, poi la cappella viola e lucida eruttò fiotti di sperma. Il professore grugniva frasi sconnesse in una smorfia animalesca. Le due ragazze accolsero le ondate di nettare a bocca spalancata come non avessero mai desiderato altro.
Passarono attimi e mareggiate di schizzi che si riversarono sulle gote e gocciolanti rivoli sui seni di entrambe.
I sussulti del maestoso cazzo terminarono. Walther socchiuse gli occhi cercando di riprendere un respiro meno che bestiale e insinuando la congestionata asta tra i volti delle due appena battezzate. Katrina e Inga non si fecero pregare lappando il cazzo e ripulendolo di ogni goccia ancora colante.
— Meravigliose. Siete meravigliose! — sentenziò il geologo con difficoltà ed enfasi.
Le due intanto si baciavano nel languore successivo all’orgasmo.
Qualche minuto dopo, di fronte ad una tazza di tè che, di certo, non placava il rossore dell’amplesso, Katrina annunciò al cugino della lettera.
— Partirai tra poco, immagino —. disse — vedi di non dimenticarmi.
— Impossibile dimenticare due gatte come voi. Avrete presto mie notizie —. concluse Walther.
Lì, a Heidelberg, Walther era da poco diventato il più giovane titolare della appena istituita cattedra di petrografia. Certo, non aveva avuto una grande concorrenza, ma, nondimeno, aveva brillantemente superato tutte le prove e infine la commissione di facoltà aveva approvato il suo progetto di ricerca.
Lei, invece, era ancora una studentessa di astronomia, ma era riuscita a farsi assumere nella Cancelleria dell’antica università. In questo modo, oltre a coprire tutte le spese per gli studi, le era anche permessa una vita quasi agiata. Un appartamento aristocratico in Mantelgasse! Dalle finestre del piano superiore vedeva il corso del Neckar e le verdi colline a settentrione e, addirittura, riusciva a permettersi una domestica a ore. Si riteneva fortunata. A tante ragazze non era ancora consentito studiare. Una donna poi doveva lavorare più duramente di un uomo per sgomitare e farsi strada. Da questo punto di vista era irreprensibile: studiare al massimo per distruggere ogni pregiudizio. Voleva diventare ricercatrice e magari, un giorno, riuscire ad insegnare. Ce la stava mettendo tutta.
Sul lavoro, quello che le garantiva la bella vita, non era stata tanto schizzinosa.
Vivere da sola le aveva permesso di conoscere le meraviglie del sesso e, anche, di comprendere quanto gli uomini, cresciuti nel clima rigido e severo del Palatinato, potessero essere piegati con grande facilità da qualche piccolo favore alle proprie concupiscenze.
Si era concessa, con discrezione e, anche, con grande metodo: a un membro della commissione di ammissione alla facoltà, a un membro del consiglio di facoltà, a un sotto-cancelliere-capo e infine, il suo ultimo e vincente colpo di fioretto, a un membro del senato accademico. Li teneva tutti in pugno, laidi omuncoli ipocriti e sessuofobi. Con il risultato di essere l’unica donna impiegata in pianta stabile nell’università più antica di tutto il Reich.
Con Walther era stato tutto diverso. Fin da quella notte di Natale del ‘89. Nella grande casa di Bamberg era stata una notte fredda e lei, Katrina, si era infilata nel letto di Waldi, come lei lo chiamava, avviando una prima e timida conoscenza dei loro corpi. Da allora, oltre sei anni fa, erano diventati amanti dandosi una semplice ed unica regola: il loro sarebbe stato solo sesso, non esclusivo delle rispettive vite sentimentali.
Katrina camminava spedita, dicevamo, verso lo studio del cugino. Erano tre mesi che non lo vedeva, ma, ora che era lì in facoltà, avrebbe potuto incontrarlo più spesso. L’occasione era l’incarico, e l’assegno, che il rettore aveva affidato al cugino per le sue ricerche. La ragazza già sapeva cosa conteneva la busta che doveva consegnare. L’università, in vista delle tre settimane di sospensione primaverile, lo autorizzava a compiere dei rilievi nella Slesia tedesca. Il grande fermento attorno alla nuova scienza della terra era dovuto al bisogno di materie prime sempre crescente della macchina industriale tedesca. Valanghe di soldi disponibili ai pochi ricercatori che avevano intuito in anticipo il grande potenziale dello studio dei minerali e del sottosuolo.
Dare questa notizia, che il cugino attendeva da settimane, la riempiva di eccitazione. Chissà che volesse festeggiare.
C’era però quella mocciosa dell’assistente, Inga. Una biondina tutta lentiggini che aveva intravisto lungo i corridoi dell’ateneo. Ogni volta che Walther parlava, fosse dei suoi studi o dell’ultima escursione lungo il fiume, i suoi occhi luccicavano. Essendole ben noti la brama e l’appetito del cugino immaginava che l’avesse già conquistata e la ragazza irretita e infine capitolata.
Le regole erano state chiare: poteva spassarsela con chi voleva. Tuttavia, non senza un certo fremito al ventre, voleva mettere in chiaro la sua egemonia sulla dotazione sessuale del cugino. Va detto, infatti, che quanto ad amante valeva quantomeno, se non oltre, la sua capacità di esperto geologo.
Suonò dunque al campanello dello studio.
Nell’attesa, si vide riflessa nel vetro sabbiato della porta. Aveva messo il suo vestito migliore. Fianchi stretti e curve magnifiche facevano da contorno ad un viso sinuoso da cerbiatta. I lunghi capelli corvini raccolti appena sopra la nuca incorniciavano i suoi occhi azzurri, grandi e curiosi.
Quel lampo di vanità svanì quando si accorse che il trillo del campanello non aveva prodotto alcuna reazione all’interno. Un indugio che spazientì la nostra Katrina che pure evitò un secondo avvertimento avendole, il fatto, suscitato qualche sospetto.
La facoltà di scienze naturali, di nuovissima concezione, aveva disposto gli studi e gli uffici dei professori con i loro appartamenti in villini indipendenti gli uni dagli altri.
Aggirò quindi la costruzione finché individuò la finestra dello studio.
Le imposte erano accostate, ma non chiuse. Diede una rapida occhiata intorno per assicurarsi che nessuno la stesse guardando e poi si accucciò al di sotto della soglia togliendosi il cappello. Con la massima accortezza cercò di sollevare il capo per osservare la stanza. C’era un grande tavolo da disegno su cui erano aperte svariate carte geografiche. Walther era seduto alla scrivania sul lato opposto. La testa reclinata all’indietro come se stesse concedendosi un attimo di riposo. Stava per alzarsi, Katrina, nell’atto di battere alla finestra per avvertirlo della propria presenza quando un particolare la attirò facendola desistere dal proposito. Dal bordo della scrivania spuntava una chioma bionda che si muoveva ritmata.
La sfrontata. Altro che capitolata. Quella puttanella stava lavorando con la bocca lo scettro bollente del suo Walther!
Si ritrasse, quasi di scatto, prima con un moto di contrarietà e rabbia nell’animo, ma subito si bloccò: la scena non aveva mancato di conturbarla.
Si alzò e appoggiando la schiena al muro si accorse di respirare con affanno. L’eccitazione di raggiungere il cugino sommata a quanto aveva appena visto crebbe esponenziale. Il petto le sobbalzava veloce e si fece strada un calore crescente tra le cosce. Doveva decidere ed agire in fretta.
Tante ore di studio sul moto dei pianeti non le avevano sottratto una certa manualità innata che tante volte ci viene in soccorso quando siamo impegnati verso un obiettivo. Il suo scopo era aprire una porta chiusa chiave, quella dell’ingresso al villino.
Si tolse un orecchino e, piegato il metallo come sapeva, si diede da fare a rimuovere la serratura. L’eccitazione le diede la concentrazione adeguata e, in pochi secondi, ecco il chiavistello cedere. Entrò. Nessun rumore tranne un sommesso e ovattato mugolio. Si tolse il cappello e il giacchino, lasciò il plico da consegnare su un tavolo, si sbottonò il vestito ed eccola con un corpetto rosa bordato di nero. Nero come le calze che le fasciavano le gambe affusolate.
Spinse piano la porta dell’ufficio e poté vedere la finta ingenua Inga Rapp imboccare famelica la lucida asta del cugino. La voglia le salì ancora di più. Le mutande di pizzo avevano già una chiazza. Come entrare? Spalancare la porta? Sorprendere entrambi con la probabile conseguente scena di imbarazzo oppure agire in altro modo?
L’arguzia le diede un’altra soluzione. Avanzò come una gatta in caccia di una preda. Carponi e silente raggiunse alle spalle la poltrona di Walther.
Nascosta dallo schienale si alzò infine appoggiando gli abbondanti seni ancora avviluppati nel corsetto sulle spalle e circondando il collo con le mani.
Walther ebbe un sussulto al contatto, Inga invece, scambiando il sobbalzo per una contrazione di piacere continuò il proprio intenso lavoro di ingoio.
— Cugina! — esclamò spaventato il professore. A questo punto la situazione non poté rimanere in stallo: la ragazza inginocchiata interruppe le proprie azioni e arretrò stupita e sorpresa.
— Non volevo certo interrompervi, caro cugino —, si giustificò Katrina, — piuttosto desideravo molto unirvi ai vostri giochi. Che ne dite? —
Inga era ancora inebetita e interdetta. La bocca spalancata, la saliva colante dalle labbra.
— Io credo che possiamo divertirci tutti e tre, non credi Inga? — disse Katrina tentando di scuoterla.
Walther sorrise, già entusiasta della mano di carte che si trovava in mano. — Che potrei volere di meglio? —
La poveretta, invece, non riusciva a connettere una sillaba, incapace di muoversi, ma Katrina, più avvezza alle pratiche e oltremodo vogliosa, si fece avanti. Si accucciò accanto alla ragazza, afferrò il duro arnese e, con l’altra mano, spinse la testa di Inga verso di esso per farle riprendere dove era stata interrotta.
Pur ancora recalcitrante, Inga riprese la suzione. Prima ancora titubante e poi, via via che riacquistava confidenza, sempre più coinvolta e, forse, ancora più eccitata di prima. Aveva imboccato la possente nerchia e, con la bocca spalancata, ne scorreva le labbra finché le fosse consentito dalle dimensioni dell’attrezzo.
La mora cugina, intanto, si alzò e si spogliò anche del corpetto rivelando due superbi seni, prima solo immaginabili.
Quindi, inginocchiandosi, aiutò la ragazza leccando e baciando le palle e poi l’asta del professore. Il quale, superata la sorpresa, tornò a godere sommesso e accarezzando i capelli di entrambe. L’asta tornò in breve al massimo splendore luccicante di saliva.
— Dai, Waldi, ora scopala! — e il professore fu ben lieto di obbedire. Fece sollevare la ragazza sopra di sé e cingendola per le natiche la portò sopra il proprio obice. Katrina lo impugnò e lo diresse nella fica di Inga che già grondava rugiada. Ella inarcò la schiena mentre il cazzo le scivolava dentro. Poi, appoggiando le mani sulle spalle dell’uomo cominciò a muoversi. Dapprima lenta, ma poi, colta dalla brama del godimento, andò ad aumentare il ritmo.
Katrina, intanto, la baciava sul collo, sapeva di bucato, e le accarezzava le minuscole tette con i capezzoli irti tanto da sembrare due chiodi.
Il ritmo della cavalcata era ormai frenetico, il cazzo di Walther raccoglieva, ed estraeva, umori da una fica in stato di godimento. E, infatti, poco dopo, Inga, contraendosi e strizzando gli occhi, esplose in un urlo spasmodico. Le sue unghie si conficcarono nelle spalle del professore. Il cui scettro, ben piantato dentro quell’abitacolo fin troppo angusto, ricevette i sussulti e le contrazioni del godimento.
— È ora di fare godere anche te, cugina. Venite sul tappeto —. Disse Walther. — Mettiti a quattro zampe, voglio prenderti da dietro! —
Non se lo fece ripetere. Sul tappeto con le calze nere a farle da contorno, svettava già un culo morbido e come tornito. Tra le labbra si intravedeva un luccicore.
— Avanti, Waldi. Spaccami tutta! — disse con la voce roca, Katrina, — E tu, puttanella, allarga le gambe davanti a me: ho voglia di leccarti —.
Walther la prese per i fianchi e spinse fino alla cervice il suo nodoso bastone. Katrina cacciò un urlo. Inga sudata, spossata e, però ancora carica di lascivia, si sedette, divaricando le gambe e sbattendo le labbra arrossate sulla faccia dell’intrusa. Certo, aveva creduto di godere in solitaria delle doti del professore, ma la nuova piega degli eventi le piaceva. Inutile dire che, farlo con un’altra donna, era una sfaccettatura non ancora contemplata nella sua giovane esperienza. Tutto lasciava supporre che avvesse imboccato la strada per il paradiso della lussuria.
Il corpo di Walther sbatteva sulle natiche come un tamburo. Ed ogni colpo Katrina urlava di piacere andando a sbattere naso e bocca sulla fica di Inga che chiudeva gli occhi e sospirava in preda alla beatitudine del piacere.
— Spaccami, Waldi! Spaccami! — disse Katrina incitando il maschio e, assieme, incitando la volata per il traguardo.
— Che troia sei, Katrina! Mi fai impazzire —. Fece Walther tra un colpo e l’altro ansimando.
— Sì, sono la tua troia personale! — Katrina ormai aveva perso qualsiasi freno inibitore. — Rompimi il culo, ficcamelo dentro! — e lo disse urlando.
Walther, il cui scettro era in fiamme, sputava tra le chiappe della mora cugina. Mollò un fianco e, mentre continuava a sbattere l’ingorda parente, la penetrò nell’ano con il pollice. Katrina urlava ingiurie al creato e anche Inga aveva sostituito i sospiri con urla sempre meno sommesse.
Poi, Walther si fermò, estrasse il pollice e il cazzo lucido del godimento della cugina puntando allo stretto pertugio. Spinse senza timori, lento, ma inesorabile. L’asta sprofondò, poco alla volta, fino a scomparire tra le chiappe sode. L’urlo di Katrina si tramutò in un vizioso vocalizzo da cantante lirica peccaminosa.
Il professore, una volta assestato l’arnese, avanzò sulla schiena della cugina impugnandone le rigogliose tette e prese a sbatterla come un lupo mannaro. Senza sosta, cali di ritmo o di veemenza. Un lupo mannaro assatanato. Inga, nell’assistere la scena e vedere il volto trasformato del suo amato professore, fu sconvolta da un nuovo orgasmo. Forse meno clamoroso e inaspettato del primo, intravisto da lontano, come nuvole di tempesta in arrivo avvistate dalla cima di un colle, ma da cui è impossibile scappare. Arrivò e la travolse. Inga cacciò un urlo acutissimo spingendo dalla nuca il viso di Katrina contro la sua fica. Lo spasmo durò per un’apparente eternità. Labbra e clitorde premuti sul viso con sussulti sconclusionati quanto violenti.
Il viso di Katrina fu inondato dagli umori della piccola Inga. Proprio questo fece capitolare pure la cugina. Il pistone di Walther non accennava segni di cedimento, come un treno lanciato a tutta lungo la discesa più ripida del mondo. Katrina urlò il piacere tra le labbra fradice di Inga. Il tremore del climax la percorse dal capo fino alle dita dei piedi passando per i muscoli del culo dove il cugino continuava la sua azione. Duro e bollente si sentiva ormai pronto per dissetare le due piccole e lussuriose compagne.
Estrasse la verga stringendola a tutta forza e si alzò in piedi. Non servì avvertire né dare ordini. Katrina e Inga si inginocchiarono. Walther se lo menò per poco, poi la cappella viola e lucida eruttò fiotti di sperma. Il professore grugniva frasi sconnesse in una smorfia animalesca. Le due ragazze accolsero le ondate di nettare a bocca spalancata come non avessero mai desiderato altro.
Passarono attimi e mareggiate di schizzi che si riversarono sulle gote e gocciolanti rivoli sui seni di entrambe.
I sussulti del maestoso cazzo terminarono. Walther socchiuse gli occhi cercando di riprendere un respiro meno che bestiale e insinuando la congestionata asta tra i volti delle due appena battezzate. Katrina e Inga non si fecero pregare lappando il cazzo e ripulendolo di ogni goccia ancora colante.
— Meravigliose. Siete meravigliose! — sentenziò il geologo con difficoltà ed enfasi.
Le due intanto si baciavano nel languore successivo all’orgasmo.
Qualche minuto dopo, di fronte ad una tazza di tè che, di certo, non placava il rossore dell’amplesso, Katrina annunciò al cugino della lettera.
— Partirai tra poco, immagino —. disse — vedi di non dimenticarmi.
— Impossibile dimenticare due gatte come voi. Avrete presto mie notizie —. concluse Walther.
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