Susan (prima parte)
di
Leida
genere
saffico
Il tavolino è davvero piccolo, un piccolo quadrato in metallo su cui trovano spazio due coppe di sorbetto e quattro mani in movimento.
Mi sorprendo a riflettere sulle dimensioni ridotte del tavolo, delle sedie, della gelateria; mi sorprendo a chiedermi come sia possibile chiamare locale un luogo tanto minuscolo; ancora non so quante altre volte mi sorprenderò da questo momento in avanti.
A questo tavolo due persone stanno dando inizio a una relazione, ma gli inizi, così come le fini, sono spesso sottili, impercettibili, invisibili e, quando si prova a ricostruirne i contorni, ci si ritrova a tentar di catturare impalpabili istanti che sfumano dentro e fuori momenti di portata ben maggiore.
È così che, quando ripenso a quel giorno e ai successivi, scopro di aver conservato nella memoria frame vari e confusi, gesti che si sovrappongono, audio misti, come avessi pescato ritagli di diverse pellicole cinematografiche ricomponendo alla moviola un montato intricato e scombinato dalla trama astrusa.
– Il tuo sguardo è incredibile, i tuoi occhi tra il verde e l'azzurro parlano.
– Ho imparato a comunicare così nell’infanzia. Non osavo parlare in presenza di mio padre che veneravo e temevo; lo seguivo ovunque in silenzio.
Comincia così un dialogo che si fa col trascorrere dei giorni sempre più intimo.
Il tavolo del ristorante eritreo è molto più grande, neppure paragonabile a quello della gelateria, ma le dimensioni non contano perché ci ritroviamo da subito a occupare quasi il medesimo spazio. Mangiamo parlando e ridendo, pescando il cibo con le mani dallo stesso piatto, in un’intimità calda e magica.
Mi interrogo a tratti sulle mie emozioni tutt’altro che celate. Esprimo pensieri appena pensati e li sento accolti, talora rifiniti dalle sue parole come da pennellate estranee eppure perfettamente congruenti.
Il dialogo è fitto. Due passi, due sorbetti a un piccolo tavolo, un pranzo in un unico piatto, un’altra passeggiata per un caffè mai bevuto e in un lampo la settimana è trascorsa e noi siamo lì a bere prosecco e mangiare cracker in mezzo ad un prato.
Sono confusa e felice; sorpresa e pensierosa; ridente e ansiosa.
Ho portato con me un volume di poesie in cui mi pregio siano contenuti tre miei piccoli componimenti. Nel corso della settimana appena trascorsa, nel fluire del nostro dialogo affatto fluente per via delle differenti lingue da noi parlate (eppure sempre vicendevolmente compreso grazie a un sortilegio cui non so dare un nome), le ho parlato della mia passione per la scrittura; ma un conto è discorrere, altro sottoporle la lettura. Così ho ripescato il volumetto che per ogni testo reca la traduzione a fronte in inglese.
Le avevo proposto un aperitivo, non mi aspettavo che Susan si presentasse con tutto l'occorrente nella borsa. Con un sorriso da Mary Poppins ammiccante, ha estratto un telo colorato che in un solo gesto ha disteso nel prato, una bottiglia di prosecco ghiacciato (mi chiedo se in quella borsa vi sia anche un frigo), due bicchieri a stelo in plastica e un pacchetto di cracker comprati al suo paese, con un gusto saporito e sconosciuto che ho gradito al primo assaggio.
Dalla mia borsa, ho pescato il libro e Susan mi ha subito invitato a leggere.
– Ma no dai, non ha senso. Te lo regalo, lo leggerai con calma nella tua lingua.
– No, è più bello se tu leggi piano con quella tua voce rauca che mi piace tanto; tieni il libro in modo ch'io possa vedere la traduzione così ti seguo meglio.
Sono seduta a gambe incrociate sul telo, lei si mette dietro di me e mi sistema il libro tra le mani, si sporge un po' in avanti appoggiando il mento sulla mia spalla.
– Ecco, così è perfetto. Leggi dai.
È un tardo pomeriggio di fine maggio. Il sole va calando pian piano, ma il calore dei suoi raggi scalda ancora le nostre braccia nude. Sento il profumo della sua pelle, mi sistemo meglio appoggiando la schiena al suo seno.
Quando ripenso a noi due in quel prato, alla gente che ci sfiorava, forse senza neppure notarci, mi chiedo quanti ci abbiano prese per due amiche qualunque e quanti per le amanti che stavamo per diventare.
Comincio a leggere, piano come mi ha chiesto. La sento attenta, presente, ma sento anche con forza, con impudenza, il suo splendido seno che mi accoglie e insieme mi stuzzica.
Le ho detto al primo incontro, sedute a quel piccolo tavolo, che non ho esperienza, che, se si esclude qualche audace carezza durante un paio di amplessi a quattro, non sono mai stata davvero con una donna. Mi ha sorriso. Sorride spesso Susan e il suo volto si illumina. Le sorride la bocca, le sorridono gli occhi, ma le sorridono anche il naso e la fronte.
Io leggo e lei mi ascolta con il mento nell'incavo tra la mia spalla e il collo. Ogni tanto mi riempie il bicchiere ed io m'interrompo per bere un sorso.
Ecco, è in una di queste pause che mi volto per vederle il viso e le sue labbra attraggono le mie come calamita.
Non mi trattengo. (E quando mai è successo ch'io trattenessi l'istinto?) Le nostre labbra s'incontrano e non si abbandonano per un lungo momento, anzi si socchiudono entrambe e ci ritroviamo a limonare in mezzo al parco come ragazzine.
Il libro è caduto in un angolo del telo e l'ultimo dei miei pensieri è riprenderlo in mano. Sento la mia eccitazione farsi strada con una sorta d'improvvisa consapevolezza dell'esistenza di alcune specifiche parti del mio corpo: mi sento grandi e piccole labbra, clitoride e capezzoli; è come se mi chiamassero, come se desiderassero la mia totale attenzione: "siamo qui!!!", sembrano urlare e "vogliamo di più, dacci di più!!!".
Dalla mia posizione in torsione – gambe e sedere da una parte, busto e testa dall'altra – sbircio nella scollatura di Susan; vedo il suo décolleté e, attraverso il cotone leggero della maglietta, i suo capezzoli grandi e duri e mi bagno. Ahhhh quanto mi eccita il seno, a cominciare dal mio!
– Andiamo in albergo? – dice Susan, che sembra molto più tranquilla di me.
Non so se sono pronta o, meglio, il mio corpo sembra esserlo, ma, maledizione!, la mia testa comincia a fare il solito casino: liste di pro e contro e quella disgustosa morale che ho succhiato col latte materno... ma la soluzione c'è: – Credo di non aver bevuto ancora abbastanza –, rispondo porgendole il bicchiere che lei si affretta a riempire.
Mentre bevo riconsidero il mio sentire: il brivido che mi percorre come scarica elettrica al lieve tocco di quelle mani, il desiderio che continua a diffondersi caldo ed eccitante lasciandomi andare contro quel petto accogliente, la spontaneità con la quale rispondo ai suoi baci.
– Andiamo in albergo!
– Hai cambiato idea? Sei sicura?
– Sì.
Ci sorridiamo. Ci prendiamo per mano e non è né strano né fuori luogo, solo bello. Sorprendente.
Casa mia è off limits e lei è ospite da amici. Cerchiamo su google l'albergo più vicino.
Al portiere chiede una matrimoniale per una notte e paga subito. Saliamo.
Qui la mia memoria sbanda, eppure sono passati solo due anni.
Ricordo d'essermi trovata nuda in quel letto con Susan che ripeteva: – Non preoccuparti, faccio tutto io –. E il mio corpo che accoglieva con gratitudine ed eccitazione crescente ogni suo gesto.
Ci siamo baciate tanto e a lungo in quel mese scarso, e ad ogni bacio il mio corpo rispondeva "sì, prendimi, ancora ancora ancora".
In quel letto, quindi, ci baciamo mentre i nostri capezzoli si stuzzicano a vicenda.
– Non chiudere gli occhi, guardami! Neanche per un attimo devi dimenticare che sei con me.
È disposta a sorvolare sulla mia incapacità di prendere l'iniziativa, ma non sull'ipotetica possibilità ch'io immagini d'essere con un uomo. Cerco di spiegarle che sono felice d'essere con lei, che mi piace da impazzire e che i miei timori sono legati solo all'imbranataggine, ma lei mi zittisce: – Guardami e basta, il resto non conta.
E io la guardo. La guardo in quegli incredibili occhi azzurri e verdi che da soli esprimono tutto quello che le parole non possono dire. La guardo leccarmi e mordicchiarmi un capezzolo. La guardo scendere tra le mie cosce. La guardo.
La sua lingua si muove sapiente tra clitoride e grandi e piccole labbra, affonda a tratti nella vulva procurandomi in ogni situazione lunghi gemiti di piacere.
Allungo una mano verso il suo seno e la sento sospirare, questo incrementa il mio desiderio di lei, non solo di goderne ma d'essere artefice del suo piacere. Così le mie dita si richiudono sul suo capezzolo. Il suo volto torna a fianco del mio. Tra le cosce ha lasciato una mano a compiere gesti magici, mentre la sua bocca s'impossessa della mia regalandomi il mio sapore. Vengo mugolando tra le sue labbra.
Si lascia andare supina accanto a me che ancora sussulto negli spasmi del piacere.
– E tu? – le chiedo non appena sono in grado di articolare parole.
– Non importa, sono contenta così. Vieni, andiamo in doccia.
Sotto il getto della doccia ci insaponiamo vicendevolmente a lungo. Susan conduce una mia mano fino al suo inguine.
– Ecco, toccami, sentimi. Non c'è bisogno che tu faccia nulla, solo senti come sono fatta. Per stasera questo mi basta.
La mia mano insaponata massaggia la sua figa glabra e poi torna ai suoi seni grandi e morbidi dai capezzoli invitanti, glieli lecco, li stringo tra due dita, li succhio, lei si tocca e veniamo ancora: io eccitata dalla sua eccitazione. Restiamo così, sotto l'acqua scrosciante, a baciarci in silenzio.
[fine prima parte]
(fatti e personaggi sono reali, solo i nomi sono di fantasia)
Mi sorprendo a riflettere sulle dimensioni ridotte del tavolo, delle sedie, della gelateria; mi sorprendo a chiedermi come sia possibile chiamare locale un luogo tanto minuscolo; ancora non so quante altre volte mi sorprenderò da questo momento in avanti.
A questo tavolo due persone stanno dando inizio a una relazione, ma gli inizi, così come le fini, sono spesso sottili, impercettibili, invisibili e, quando si prova a ricostruirne i contorni, ci si ritrova a tentar di catturare impalpabili istanti che sfumano dentro e fuori momenti di portata ben maggiore.
È così che, quando ripenso a quel giorno e ai successivi, scopro di aver conservato nella memoria frame vari e confusi, gesti che si sovrappongono, audio misti, come avessi pescato ritagli di diverse pellicole cinematografiche ricomponendo alla moviola un montato intricato e scombinato dalla trama astrusa.
– Il tuo sguardo è incredibile, i tuoi occhi tra il verde e l'azzurro parlano.
– Ho imparato a comunicare così nell’infanzia. Non osavo parlare in presenza di mio padre che veneravo e temevo; lo seguivo ovunque in silenzio.
Comincia così un dialogo che si fa col trascorrere dei giorni sempre più intimo.
Il tavolo del ristorante eritreo è molto più grande, neppure paragonabile a quello della gelateria, ma le dimensioni non contano perché ci ritroviamo da subito a occupare quasi il medesimo spazio. Mangiamo parlando e ridendo, pescando il cibo con le mani dallo stesso piatto, in un’intimità calda e magica.
Mi interrogo a tratti sulle mie emozioni tutt’altro che celate. Esprimo pensieri appena pensati e li sento accolti, talora rifiniti dalle sue parole come da pennellate estranee eppure perfettamente congruenti.
Il dialogo è fitto. Due passi, due sorbetti a un piccolo tavolo, un pranzo in un unico piatto, un’altra passeggiata per un caffè mai bevuto e in un lampo la settimana è trascorsa e noi siamo lì a bere prosecco e mangiare cracker in mezzo ad un prato.
Sono confusa e felice; sorpresa e pensierosa; ridente e ansiosa.
Ho portato con me un volume di poesie in cui mi pregio siano contenuti tre miei piccoli componimenti. Nel corso della settimana appena trascorsa, nel fluire del nostro dialogo affatto fluente per via delle differenti lingue da noi parlate (eppure sempre vicendevolmente compreso grazie a un sortilegio cui non so dare un nome), le ho parlato della mia passione per la scrittura; ma un conto è discorrere, altro sottoporle la lettura. Così ho ripescato il volumetto che per ogni testo reca la traduzione a fronte in inglese.
Le avevo proposto un aperitivo, non mi aspettavo che Susan si presentasse con tutto l'occorrente nella borsa. Con un sorriso da Mary Poppins ammiccante, ha estratto un telo colorato che in un solo gesto ha disteso nel prato, una bottiglia di prosecco ghiacciato (mi chiedo se in quella borsa vi sia anche un frigo), due bicchieri a stelo in plastica e un pacchetto di cracker comprati al suo paese, con un gusto saporito e sconosciuto che ho gradito al primo assaggio.
Dalla mia borsa, ho pescato il libro e Susan mi ha subito invitato a leggere.
– Ma no dai, non ha senso. Te lo regalo, lo leggerai con calma nella tua lingua.
– No, è più bello se tu leggi piano con quella tua voce rauca che mi piace tanto; tieni il libro in modo ch'io possa vedere la traduzione così ti seguo meglio.
Sono seduta a gambe incrociate sul telo, lei si mette dietro di me e mi sistema il libro tra le mani, si sporge un po' in avanti appoggiando il mento sulla mia spalla.
– Ecco, così è perfetto. Leggi dai.
È un tardo pomeriggio di fine maggio. Il sole va calando pian piano, ma il calore dei suoi raggi scalda ancora le nostre braccia nude. Sento il profumo della sua pelle, mi sistemo meglio appoggiando la schiena al suo seno.
Quando ripenso a noi due in quel prato, alla gente che ci sfiorava, forse senza neppure notarci, mi chiedo quanti ci abbiano prese per due amiche qualunque e quanti per le amanti che stavamo per diventare.
Comincio a leggere, piano come mi ha chiesto. La sento attenta, presente, ma sento anche con forza, con impudenza, il suo splendido seno che mi accoglie e insieme mi stuzzica.
Le ho detto al primo incontro, sedute a quel piccolo tavolo, che non ho esperienza, che, se si esclude qualche audace carezza durante un paio di amplessi a quattro, non sono mai stata davvero con una donna. Mi ha sorriso. Sorride spesso Susan e il suo volto si illumina. Le sorride la bocca, le sorridono gli occhi, ma le sorridono anche il naso e la fronte.
Io leggo e lei mi ascolta con il mento nell'incavo tra la mia spalla e il collo. Ogni tanto mi riempie il bicchiere ed io m'interrompo per bere un sorso.
Ecco, è in una di queste pause che mi volto per vederle il viso e le sue labbra attraggono le mie come calamita.
Non mi trattengo. (E quando mai è successo ch'io trattenessi l'istinto?) Le nostre labbra s'incontrano e non si abbandonano per un lungo momento, anzi si socchiudono entrambe e ci ritroviamo a limonare in mezzo al parco come ragazzine.
Il libro è caduto in un angolo del telo e l'ultimo dei miei pensieri è riprenderlo in mano. Sento la mia eccitazione farsi strada con una sorta d'improvvisa consapevolezza dell'esistenza di alcune specifiche parti del mio corpo: mi sento grandi e piccole labbra, clitoride e capezzoli; è come se mi chiamassero, come se desiderassero la mia totale attenzione: "siamo qui!!!", sembrano urlare e "vogliamo di più, dacci di più!!!".
Dalla mia posizione in torsione – gambe e sedere da una parte, busto e testa dall'altra – sbircio nella scollatura di Susan; vedo il suo décolleté e, attraverso il cotone leggero della maglietta, i suo capezzoli grandi e duri e mi bagno. Ahhhh quanto mi eccita il seno, a cominciare dal mio!
– Andiamo in albergo? – dice Susan, che sembra molto più tranquilla di me.
Non so se sono pronta o, meglio, il mio corpo sembra esserlo, ma, maledizione!, la mia testa comincia a fare il solito casino: liste di pro e contro e quella disgustosa morale che ho succhiato col latte materno... ma la soluzione c'è: – Credo di non aver bevuto ancora abbastanza –, rispondo porgendole il bicchiere che lei si affretta a riempire.
Mentre bevo riconsidero il mio sentire: il brivido che mi percorre come scarica elettrica al lieve tocco di quelle mani, il desiderio che continua a diffondersi caldo ed eccitante lasciandomi andare contro quel petto accogliente, la spontaneità con la quale rispondo ai suoi baci.
– Andiamo in albergo!
– Hai cambiato idea? Sei sicura?
– Sì.
Ci sorridiamo. Ci prendiamo per mano e non è né strano né fuori luogo, solo bello. Sorprendente.
Casa mia è off limits e lei è ospite da amici. Cerchiamo su google l'albergo più vicino.
Al portiere chiede una matrimoniale per una notte e paga subito. Saliamo.
Qui la mia memoria sbanda, eppure sono passati solo due anni.
Ricordo d'essermi trovata nuda in quel letto con Susan che ripeteva: – Non preoccuparti, faccio tutto io –. E il mio corpo che accoglieva con gratitudine ed eccitazione crescente ogni suo gesto.
Ci siamo baciate tanto e a lungo in quel mese scarso, e ad ogni bacio il mio corpo rispondeva "sì, prendimi, ancora ancora ancora".
In quel letto, quindi, ci baciamo mentre i nostri capezzoli si stuzzicano a vicenda.
– Non chiudere gli occhi, guardami! Neanche per un attimo devi dimenticare che sei con me.
È disposta a sorvolare sulla mia incapacità di prendere l'iniziativa, ma non sull'ipotetica possibilità ch'io immagini d'essere con un uomo. Cerco di spiegarle che sono felice d'essere con lei, che mi piace da impazzire e che i miei timori sono legati solo all'imbranataggine, ma lei mi zittisce: – Guardami e basta, il resto non conta.
E io la guardo. La guardo in quegli incredibili occhi azzurri e verdi che da soli esprimono tutto quello che le parole non possono dire. La guardo leccarmi e mordicchiarmi un capezzolo. La guardo scendere tra le mie cosce. La guardo.
La sua lingua si muove sapiente tra clitoride e grandi e piccole labbra, affonda a tratti nella vulva procurandomi in ogni situazione lunghi gemiti di piacere.
Allungo una mano verso il suo seno e la sento sospirare, questo incrementa il mio desiderio di lei, non solo di goderne ma d'essere artefice del suo piacere. Così le mie dita si richiudono sul suo capezzolo. Il suo volto torna a fianco del mio. Tra le cosce ha lasciato una mano a compiere gesti magici, mentre la sua bocca s'impossessa della mia regalandomi il mio sapore. Vengo mugolando tra le sue labbra.
Si lascia andare supina accanto a me che ancora sussulto negli spasmi del piacere.
– E tu? – le chiedo non appena sono in grado di articolare parole.
– Non importa, sono contenta così. Vieni, andiamo in doccia.
Sotto il getto della doccia ci insaponiamo vicendevolmente a lungo. Susan conduce una mia mano fino al suo inguine.
– Ecco, toccami, sentimi. Non c'è bisogno che tu faccia nulla, solo senti come sono fatta. Per stasera questo mi basta.
La mia mano insaponata massaggia la sua figa glabra e poi torna ai suoi seni grandi e morbidi dai capezzoli invitanti, glieli lecco, li stringo tra due dita, li succhio, lei si tocca e veniamo ancora: io eccitata dalla sua eccitazione. Restiamo così, sotto l'acqua scrosciante, a baciarci in silenzio.
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