Come! Sweet death, one last caress!

di
genere
pulp


“Si può sapere perché cazzo ogni tanto ti presenti con questa divisa da SS addosso?”
“Non trovi che questo colore mi doni?”
“Tu sei tutto scemo, lo sai cosa significa, vero?”
“Ma non farmi tanto la morale. C’è molto più nazismo in quelle riviste di moda che leggi sempre tu. In fondo questa è solo una divisa, e poi si abbina perfettamente con gli occhiali Route 66 e i guanti Guardian”
“E gli anfibi, erano anche quelli in dotazione alle SS?”
“A quelli non ho saputo rinunciare. Prendi il frustino di cuoio piuttosto, vedrai che anche l’aspetto estetico ha i suoi vantaggi”
“No, no, no. Ho appena messo la maschera emolliente al pistacchio, vorrai scherzare. E poi è tutto il giorno che me lo metti nel culo, ho bisogno di riposo. Perché no chiedi a lei, lì sotto”
C_Ca ha interrotto il pompino che mi stava facendo da tre quarti d’ora e si è aggiunta alla conversazione.
È vero, anch’io ho bisogno di riposarmi. Sono quasi disidratata. Comunque, da dove vengo io hanno fatto cose allucinanti quei tipi. Quando ero bambina mi raccontavano sempre di quel periodo, mi faceva venire i brividi”
“In nessun periodo della storia il genere umano è stato così vicino all’anarchia totale come durante il nazismo”
“Ma vai a fare inculo, vieni a farmi i massaggi piuttosto, avevamo detto almeno un paio d’ore al giorno per contraccambiare l’ospitalità, ricordi tesoro?”
“Sì, dai, anche a me. Sono stanca morta”
“Siete due sanguisughe”
Jenny si è voltata a pancia sotto per farsi massaggiare la schiena, le sono salito a cavalcioni e ho versato un po’ di olio profumato tra le scapole, proprio sopra il tatuaggio che aveva da poco.
Scorpion Flower
Scritto in corsivo con inchiostro nero.
“Cazzo è gelido. Ahh! Sì…quando passi lì sopra è davvero fantastico, continua”
“Due ore e mezza, se da qui in avanti ci lasci dormire insieme a te nel tuo letto”
“mmm…ok…tre ore e scopiamo anche”
“Cazzo era ora, non ne potevo più del divano. Se l’avessi saputo prima mi sarei portata qualcosa per cambiarmi”
“Ma perché voi due piccioncini non vi trasferite nel tuo appartamento, invece di stare sempre qui?”
“Non ha voluto”
A quel punto si è messa a bisbigliarle qualcosa nell’orecchio e poi hanno riso tra loro.
“Ma cara mia è per questo che non riusciva a venire”
“Ma di cosa ti lamenti. Condividere gli spazi comuni è il bello della convivenza. Si vede in tutti i film degli anni ’80, è sempre così, lo sanno tutti”
“Io negli anni ’80 non ero ancora nata, tesoro e poi il mio letto non è uno spazio comune, stronzo…”
Si è alzata in ginocchio sul divano e mi ha sbottonato la giacca della divisa. Jenny si è unita a lei, partendo dai pantaloni.
“Da quando i nazisti portavano le bretelle e la maglietta di Capitan America sotto la giacca?”
Ha tirato una bretella verso di sé e l’ha lasciata andare di colpo.
“Sai Pasticcina Jenny? Questa mattina quando le ho messe ho pensato a quanto tempo avresti impiegato per fare questa cazzata non appena le avessi viste”
“Ma è perché sono contenta che tu sia sempre qui vicino a me che sono così giocherellona”
Mi ha passato la lingua sul cazzo ed è scesa fino alle palle. Poi le ha prese in bocca ed è di nuovo tornata su per succhiare.
“Dopo che ti ha pompato per tutto il pomeriggio saranno cariche come un’autobotte”
“Allora sei davvero contenta se restiamo qui. In fondo ci sono ancora due settimane di vacanza, perché non facciamo qualcosa. Non ho niente da fare fino a quando non ricomincio a lavorare. Non possiamo certo continuare a guardare i tuoi film sul Vietnam fino al suicidio”
“Non correre troppo zuccherino, adesso devo togliermi la maschera per il viso, scopiamo dopo”
“Allora ci porti a sciare”
“Giusto questa mi sembra un’idea intelligente”
“Io? E perché? Io tra l’altro non so sciare, non ho mai fatto queste cose da alta borghesia”
“E allora perché non torniamo in quel posto sul lago? Lei non ci è mai stata”
“Lo vedi? È questo che mi piace dell’amore: riesce ad andare oltre le parole”
“E perché adesso?”
Mi sono chinato sopra di lei appena in tempo per vederla affondare nelle acque profonde del lago. Sulla superficie si stava riflettendo una pioggia di stelle cadenti. Continuavo a baciarla sul collo e sul viso mentre i nostri corpi intrecciati scendevano lentamente verso il fondo verde.
“Mi mandi al manicomio”
“Come dice Edgar Allan Poe: a volte calmo a volte impetuoso, come il corso di un fiume”
“Non sai neanche il mio vero nome”
“Tu puoi dirmelo”.

Dopo qualche giorno, ci siamo ritrovati tutti e tre sulla Lancia Y rosa di Jenny ad ascoltare i Velvet Underground a tutto volume diretti verso l’Hotel Marina. Eravamo stranamente in silenzio. Gradualmente ci stavamo rendendo conto della situazione che si era creata. Nei giorni precedenti c’era stata una lunga fase di studio in cui ognuno cercava di mettere alla prova gli altri, per capire se a sua volta stesse pensando la stessa cosa. Il giro di basso di Run! Run! Run! mi stava mandando al manicomio, c’è un punto in cui il basso si aggiunge agli altri strumenti seguendo esattamente lo stesso ritmo. Ci vuole una certa affinità per suonare in quel modo e raggiungere una così perfetta armonia. Una perfetta sintonia. A questo stavamo pensando, alla complicità nata tra di noi da qualche tempo.
“Avete mai fatto caso a quanta sintonia ci vuole per riuscire a suonare un pezzo come questo in quel modo. Voglio dire, non è così semplice seguire la parte degli altri e stargli dietro al tempo stesso con la propria mentre stai suonando”
Jenny mi ha rivolto un’occhiata veloce senza rispondere ed è tornata a guardare la strada con lo sguardo assente. Clara si è coperta la bocca con una mano. Ho lasciato morire il discorso senza insistere e sono tornato a guardare fuori del finestrino. Quando si era finta un’altra persona in chat, mi aveva chiesto ad un certo punto se non sentissi la mancanza di una persona con cui passare il resto della vita. Non ero più sicuro di ricordare la risposta. Di fianco mi è passato velocissimo un segnale stradale, attenzione uscita studenti. Per un attimo mi è sembrato che sul cartello ci fossero tre figure invece di due. Un uomo in testa con le valige in mano e due ragazze con la coda che lo inseguivano brandendo un coltello.
Non è possibile. Ho solo bisogno di dormire.
Ho abbassato gli occhiali e sono sprofondato nel giubbotto di pelle. Sono riuscito a prendere sonno solo per qualche minuto, ma ho subito sognato. Camminavo solo, in riva al lago. La nebbia avvolgeva il bosco in cui si perdeva la riva. Un levriero è uscito dalla boscaglia e si è fermato ad annusare l’aria gelida, poi è rientrato nella foresta senza fare caso a me. Dopo ho raggiunto una capanna di legno in cui ero sicuro avrei trovato Jenny. Era seduta sul bordo del letto ad ascoltare i Velvet Underground da un vecchio giradischi, sentivo la puntina inciampare tra i solchi di vinile. Per un attimo ho alzato lo sguardo verso la finestra. il cielo dietro la capanna era coperto da un fitto strato di nuvole grigie e azzurre solcate dai raggi del sole. Squarci nella cappa di vapore scuro, attraversati dalla luce del tramonto.
Sembrava mi stesse aspettando da tempo, quando mi sono avvicinato si è rivolta a me sorridendo.
“Ponimi come segno sul tuo cuore, come segno sul tuo braccio. Perché forte come la morte è l’amore”.
Ho teso il braccio verso di lei, stringevo la mano a pugno. Quando l’ho aperta le ho mostrato una chiave nera sul palmo. Abbiamo fatto l’amore, mentre le nuvole all’esterno si intrecciavano in un tornado intorno a noi.

Apri gli occhi

“Cucciolotto, sveglia! Da qui in avanti non ricordo la strada, allora?”
La Lancia Y era ferma in una piazzola appena fuori dell’autostrada. Jenny stava fumando una sigaretta, guardava i campi coperti di neve.
“Mmmm? Mmmm…”
“Questo è partito”
“Devi continuare fino alla statale. Alla rotonda prendi a destra e prosegui fino a trovarne un’altra con la scritta Lake. Alla rotonda Lake prendi a destra. L’hotel Marina è lì sotto, sul lago”
“Guida tu, almeno ti svegli”
“mmmm…noooo”
Jenny si è appoggiata allo sportello chiuso e mi ha appoggiato i piedi sulla pancia.
“Perché invece non ci mettiamo comodi a scopare?”
“Ho capito, guido”.

Stavamo scendendo lungo una strada secondaria, attraverso i vigneti intorno al lago. Procedevo lentamente come se avessi inserito il pilota automatico, intrappolato in una ragnatela di ricordi. Mi ero appena svegliato nella casa di campagna in cui trascorrevo le vacanze estive da bambino. La casa era vuota e silenziosa. Sono andato verso la porta finestra aperta. Attraverso le persiane accostate per riparare la stanza dalla calura, un gattino stava camminando distratto sul corrimano del balcone. Per passare il tempo ho iniziato a rovistare nei cassetti, senza uno scopo preciso. Alla fine, mi ero messo a sfogliare una vecchia rivista, sentivo nitido nella memoria l’odore della carta umida e ingiallita su cui era stampato un articolo di cronaca locale. Un turista in villeggiatura all’hotel Marina era scomparso da giorni, di fianco al trafiletto che occupava quasi l’intera pagina, una foto del lago. Nessuno era ancora riuscito a capire di preciso quando fosse scomparso, l’ultima volta era stato visto dal personale dell’albergo nei dintorni della spiaggia circa una settimana dopo il suo arrivo. Era del tutto plausibile che la sua scomparsa fosse avvenuta nelle ore successive, capitava spesso che i turisti si allontanassero per qualche giorno durante la villeggiatura, ma stando a quanto era risultato evidente da un attento esame delle dichiarazioni rilasciate dagli unici testimoni, l’ipotesi era stata scartata. Tutti erano più che convinti del fatto che fosse accidentalmente annegato nel lago, nuotando probabilmente al di fuori della zona delimitata dalle boe. Forse si era allontanato alla ricerca di un punto più appartato per fare il bagno, la spiaggia dell’impianto balneare dell’albergo in fondo era spesso affollata in quel periodo. L’aspetto che ancora sembrava incomprensibile era un altro. All’interno della sua stanza non erano stati trovati bagagli né oggetti di alcun tipo, fatta eccezione per un orologio al quarzo, lasciato in bella mostra sul cuscino del letto. Non era certo un oggetto di gran valore che valesse la pena custodire nella cassaforte, ma neanche era plausibile che fosse stato distrattamente dimenticato in quel modo dall’unico occupante della camera. Sembrava lasciato lì di proposito, perché fosse ben visibile. Nel ricordo chiudevo a questo punto la rivista restando per qualche istante a guardare ipnotizzato la copertina in bianco e nero in cui si vedeva la squadra di soccorso intenta a perlustrare il lago. Sopra il nome della rivista leggevo la data di pubblicazione: 15 luglio 1984, i fatti risalivano a tre anni prima. In uno dei riquadri più piccoli, si vedeva inoltre la stanza d’albergo con il letto rifatto e l’orologio appoggiato sul cuscino. Il mio viso riflesso sul finestrino di un’auto si è incrociato con la strada di fronte a me oltre il parabrezza, stavo osservando un incendio lungo la statale su cui si trovava la macchina, l’intera collina intorno al lago era coperta di focolai da cui salivano altissime colonne di fumo. L’insegna LAKE Hotel Marina, mi ha riportato alla realtà. Ho messo la freccia e sono entrato nel parcheggio dell’albergo. Come era prevedibile in quel periodo era completamente deserto. Sotto gli alberi si vedevano soltanto le auto del personale e i furgoni di servizio.
“Almeno è aperto”
“Secondo me non c’è nessuno, le stanze saranno tutte libere. Al massimo qualche ospite di passaggio”
Nella reception non abbiamo potuto fare a meno di notare come il riscaldamento fosse altissimo, si moriva di caldo. Ci ha accolto una donna con un vestito leggerissimo, nero. Le lasciava le spalle scoperte mettendo in risalto gli occhi grigi chiarissimi. Abbiamo preso tre camere, due singole e una matrimoniale, sicuri che ci saremmo trovati a passare la maggior parte del tempo in quella con il letto a due piazze.
“Per quanto tempo?”
“Ancora non abbiamo deciso, ma non meno del fine settimana”
“Capisco, decidete con calma, l’albergo è quasi vuoto”
Per pura e semplice curiosità le ho chiesto degli altri clienti.
“Davvero ci sono altri ospiti? Pensavamo di essere gli unici ad avere idee così originali per le vacanze di Natale”
“A dire il vero c’è soltanto una donna oltre a voi. Viene qui tutti gli anni in questo periodo. Probabilmente è in giro sulla spiaggia a quest’ora”
“Ho capito. Non si accorgerà nemmeno della nostra presenza”
“Ormai è quasi una ricorrenza. Ogni anno ci chiediamo tutti se si farà di nuovo viva per prenotare la solita stanza con la vista sul lago. Sembra sempre molto malinconica, forse questo posto ha un significato particolare per lei”
“Sarà come dice lei, magari un anniversario di quando era più giovane”
“Forse, il fatto è che non sembra ancora così avanti con gli anni. Comunque queste sono le vostre chiavi. Se avete bisogno di me mi trovate fino a questa sera. Durante la bassa stagione sono quasi sempre all’albergo, non ho un orario preciso. Anzi spesso resto anch’io a passare qualche giorno qui”
“D’accordo, grazie”
“Aspetti. Sa che è strano che mi abbia parlato dell’età di quella donna. Sembra ancora giovane, il fatto è che non saprei dire dal suo aspetto quanti anni possa avere…”
Siamo saliti in camera senza aggiungere altro. Jenny era completamente rossa in viso, si capiva dallo sguardo quello a cui stava pensando, era arrapata da morire. Appena siamo entrati in camera si è subito spogliata, come se i vestiti le stessero bruciando addosso. Clara invece sembrava leggermente a disagio per qualcosa, si è aggrappata alla mia spalla e ha ripreso a parlare della donna in vacanza da sola.
“Che ne pensi? Secondo te è come dice la tipa dell’albergo? Viene qui per celebrare una specie di anniversario?”
“Non lo so, però adesso che ne abbiamo parlato avverto anch’io una strana sensazione. E poi mi brucia da morire”
“Che cosa?”
“Il serpente sul collo, come se lo avessi appena fatto”
“Adesso facciamo l’amore”
Mi sono avvicinato alla finestra e ho alzato le tende per guardare fuori. Una donna con un lungo abito nero camminava lungo la spiaggia. Capelli lunghissimi, uno scialle sulle spalle. Si è fermata a guardare il lago per un po’. Poi è scomparsa dalla visuale.
“Ok”.

Ho aperto gli occhi nel cuore della notte, stavo pensando di nuovo a quella donna. Il ricordo della rivista con l’articolo sull’uomo scomparso si alternava alla sua immagine sulla spiaggia. Ho passato un braccio intorno alle spalle di Clara, era sveglia. Contro la schiena sentivo il corpo caldo di Jenny, anche lei era sveglia. Si sono abbracciate mettendosi una sull’altra e abbiamo di nuovo fatto l’amore. Faceva un caldo infernale anche nelle camere, sentivo il corpo di Clara completamente sudato muoversi nervosamente. Stava leccando la fica di Jenny masturbandola con una mano. Respirava affannosamente. Lei si era aggrappata ai miei fianchi, lasciava scivolare la lingua sul mio cazzo ogni volta che Clara spingeva dentro la mano, poi si è girata su un fianco esausta. Vedevo i suoi occhi brillare al buio.
“Vieni”.

Ero solo quando mi sono svegliato. Clara e Jenny mi avevano incollato un post-it in fronte, diceva: giochiamo a nascondino, siamo in giro intorno al lago. Ho continuato a rigirarmi nel letto con la testa infilata sotto il cuscino ancora per un po’. Il dolore al collo non si era attenuato per niente, prima di impazzire sono andato a farmi la doccia sperando di trovare sollievo sotto l’acqua bollente. Ho passato talmente tanto tempo con la testa piegata e il getto d’acqua calda sul collo che il bagno si è riempito di vapore. Appena la fitta di dolore è diminuita, ho cercato di riordinare le idee. Non ero mai stato particolarmente incline a credere alle coincidenze, cominciavo a sospettare che il ricordo del tizio annegato nel lago da cui ero stato assalito avvicinandomi all’albergo, fosse saltato fuori da qualche schedario nascosto nel mio cervello per un motivo ben preciso. Mentre fissavo l’acqua della doccia scorrere vorticosamente verso lo scarico ne ero più che sicuro. Ho abbassato la leva del miscelatore e sono uscito dalla doccia per asciugarmi. Prima che potessi raggiungere uno degli asciugamani la filodiffusione nella camera si è accesa, soltanto che invece di trasmettere musica ha emesso un lungo fruscio seguito da scariche di rumore. In mezzo a quel caos di suoni distorti ho avuto l’impressione di poter distinguere la voce di una donna, diceva: …non farlo…
Mi sono rivestito e sono sceso di sotto, volevo raggiungere le ragazze.

Nella hall la tizia dell’albergo stava leggendo una rivista appoggiata al bancone. Mi ha salutato distrattamente, sembrava piuttosto incuriosita dal fatto che portassi gli occhiali da sole anche se in effetti non c’era molta luce oltre a quella artificiale delle lampade. Le tapparelle e le tende del salone erano state tutte abbassate. Dall’ufficio alle sue spalle proveniva la voce di un televisore: “Maltempo in aumento, un nuovo vortice polare sta attraversando tutto il Nord Europa…”. Ho ricambiato il saluto passandole di fronte mentre mi dirigevo verso l’uscita.
“Senta. Era già stato qui, vero?”
“A dire il vero ci vengo spesso. Sono stato poche volte nell’albergo, comunque. Vengo più che altro al parco qui intorno, quando voglio rilassarmi, è un gran bel posto”
“Anche una delle ragazze è già stata qui altre volte con lei, vero? Quella con la berretta di lana”
“Possibile. Sì in effetti siamo stati qui insieme già una volta”. Sentivo che stava girando intorno a qualcosa che ancora non avevo messo bene a fuoco.
“Ricordo benissimo quando è stato qui in estate. Era insieme ad altre due ragazze. Loro si sono fermate ancora per un po’ dopo che lei è andato via. Sa, è successa una cosa strana subito dopo che hanno lasciato l’albergo. Una delle signore che si occupano delle stanze mi ha chiamato per consegnarmi una rivista che aveva trovato nella camera in cui erano state quelle sue amiche.”
“Davvero? Succede. L’avranno dimenticata prima di partire”
“Certo, ma non era questo il fatto strano. La cosa strana è che la rivista era di più di trent’anni fa. In copertina c’era un articolo proprio su queto posto. Un uomo scomparso durante le vacanze. Annegato nel lago mentre era in villeggiatura”
Non sono riuscito a nasconderle quello a cui stavo pensando, volevo lasciar cadere il discorso, ma deve aver frainteso.
“Vuole vederla? Non ha da fare vero? L’ho messa tra gli oggetti smarriti, è di sotto, nel seminterrato”
“Certo”
“Allora andiamo, le faccio strada. Sa, l’albergo è stato aperto negli anni ’60. Il deposito in cui teniamo gli oggetti smarriti è diventato quasi un museo ormai”.
Ha continuato a parlare mentre scendevamo le due rampe di scale che conducevano nel seminterrato, illuminate soltanto da una lampadina senza paralume.
“Ci sono oggetti di tutti i tipi, spesso quando non c’è niente da fare scendo di sotto per curiosare negli scaffali. Forse le sembrerà un passatempo un po’ eccentrico, ma a me piace. Lo trovo divertente”
“No, affatto. Sembra divertente anche a me”. Si è voltata per sorridermi, poi ha continuato fino ad una porta di ferro molto pesante. Ha tirato fuori un mazzo di chiavi dai jeans elasticizzati e si è messa ad armeggiare con la serratura. All’interno del deposito si sentiva un fortissimo odore di chiuso e muffa. I neon hanno tentennato per qualche secondo prima di accendersi e illuminare una decina di armadi in ferro colmi di scatoloni. Si è diretta spedita verso un armadietto leggermente più piccolo. Avevo l’impressione che lì dentro tenesse gli oggetti smarriti che la incuriosivano di più, come se volesse custodirli separati dagli altri perché speciali in un certo senso. Anche la mia curiosità si è fatta più viva quando ha scostato con indifferenza una rivista pornografica in tedesco. Di molti anni indietro anche quella, bella tosta tra l’altro. Il titolo rosso Sperm und Pisse non lasciava scampo a equivoci. Come se non bastasse in copertina si vedeva una donna completamente nuda intenta in un rapporto anale con tre uomini. Ha lasciato la rivista porno davanti a me, evitando di guardarla e si è messa sfogliare quella in cui era riportato l’articolo sul lago. Le speranze di venire a capo della scomparsa dell’uomo erano state ormai accantonate, non aggiungeva molto a quella che avevo visto nel mio ricordo. In un trafiletto vicino a quello sul lago parlavano di un violento incendio che aveva coinvolto tutta la zona. Luglio 1984.
“Dentro c’era anche una foto, infilata come segnalibro. Sembra la foto di una donna, anche se è talmente sbiadita. Non si riesce a distinguere il volto, è questo che mi ha incuriosita”
“Davvero interessante. Non saprei dirle però se si tratta di qualcosa che possa appartenere a quelle ragazze con cui mi aveva visto qui”
“Mi è sembrata una cosa strana, tutto qui. Non è ancora finita comunque. Dopo aver trovato quella rivista nella camera, mi sono messa a cercare tra gli archivi. Non so neanche io il motivo”
Con la stessa indifferenza con cui mi aveva messo Sperm und Pisse sotto il naso, ha cominciato a spogliarsi. Si è sfilata i jeans e gli slip, infilando di nuovo le scarpe da ginnastica, dopo esserseli tolti.
“All’inizio speravo più che altro di trovare qualcosa di curioso o bizzarro come quella rivista. Poi ho capito che stavo cercando qualcosa di preciso”.
Si è fermata a guardarmi, aveva appena slacciato il reggiseno.
“Che c’è, non le va? Ho visto come guardava la rivista porno, è la mia preferita. Ne ho accumulate molte altre, anche film e video amatoriali lasciati dai clienti dell’albergo. Possiamo vederli insieme, non le piaccio proprio?”
Mi sono tolto i guanti e le ho messo le mani sui fianchi. Aveva la pelle molto morbida.
“Non ha idea di quanto siano strani quelli girati dai clienti, nelle stanze di sopra intendo”.
Mi stava baciando sul collo armeggiando con un preservativo che aveva tirato fuori da una delle tasche dei jeans abbandonati sull’anta dell’armadietto.
“Alla fine l’hai trovato?”
“Cosa? Sì, ecco. Continuando a cercare negli scatoloni in effetti ho trovato un’altra cosa molto strana”.
Ci siamo messi a scopare appoggiati ad uno degli scaffali, aveva un modo molto dolce e allo stesso tempo deciso di fare sesso. Si teneva aggrappata alle mie spalle, cercando di restare in equilibrio con la schiena contro l’armadio di ferro.
“Un plico di altre riviste come quella, tenute insieme da un elastico giallo. Come se qualcuno le avesse collezionate o raccolte nel tempo. Alcune erano più vecchie di qualche anno”
Ha interrotto per un attimo il suo racconto, lasciandosi scopare più velocemente, ma dopo ha ricominciato.
“Non ci crederai, ma in quasi tutte ci sono articoli su quella donna”
“Quella della foto?”
“Sì, era una criminale. Rapine e furti”
“Come fai ad essere sicura che si tratti proprio di quella donna se non si riconosce il volto nella foto?”
“Lo so, ne sono sicura”
“Non può essere invece che tutta questa storia ti abbia semplicemente suggestionata?”
“No, sono sicura. Non mi sbaglio mai su queste cose, è il mio istinto a suggerirmelo, così come mi ha spinto a continuare a cercare tra gli oggetti smarriti, è come una rivelazione”.
Dopo essere venuto sono rimasto dentro di lei, aspettavo che continuasse il suo racconto.
“Sai, in uno dei porno che ho visto, una delle donne riprese, dopo aver fatto sesso in questo modo, sfila il preservativo all’uomo e beve lo sperma, spremendolo con due dita. Lo lascia gocciolare in bocca e lo ingoia. Mi ha fatto sentire a disagio la prima volta che l’ho visto. Ora lo guardo di continuo, ogni volta mi masturbo con le dita quando arriva il punto in cui beve lo sperma”.
Ho cercato di riportarla sulle riviste in cui si parlava della donna senza volto, ma lei era completamente persa nelle sue fantasie erotiche.
“Ne ho trovato uno anche con le tue amiche”
“Davvero?”
“Non fare il finto tonto. Una era seduta a quattro zampe. L’altra le stava sopra, la usava come se fosse una sedia. Poi…le ha fatto bere…insomma hai capito. Era disgustoso, allo stesso tempo incredibilmente eccitante. Sono venuta appena mi sono toccata”
“Fammi dare un’occhiata a quelle riviste sul lago”
“Forse”.

Si è rivestita ed è tornata di sopra senza aspettarmi. Sarei voluto salire in camera a dormire, il collo aveva ripreso a farmi un male cane, ma mi sono ricordato di Jenny e Clara. Ho acceso un sigaro alla menta e sono uscito a cercarle. Sulla spiaggia ho guardato l’ora del telefono, speravo non si fossero arrabbiate per averle fatte aspettare troppo. Quello che ho visto sul display mi ha lasciato quasi divertito: da quando ero sceso dopo la doccia erano passati soltanto due minuti. Ho respinto quel pensiero assurdo oltre la soglia dell’irrazionale, come se fosse stato ancora parte del sogno e ho cominciato a camminare fumando il sigaro. Avrei voluto dimenticare lo strano racconto sulle riviste.

Non ho faticato molto per trovarle, Jenny era seduta su una delle panchine in riva al lago, Clara le gironzolava intorno, giocherellando con i cumuli di neve come una bambina annoiata.
“Secondo te a quanti gradi sarà la temperatura dell’acqua?”
“Non saprei, ma a dire il vero anche in estate è abbastanza fredda per fare il bagno, è uno strano lago, in alcuni punti è incredibilmente profondo”
“Quindi non è possibile che la nostra ospite misteriosa riesca a nuotarci in pieno inverno, come se niente fosse. Voglio dire, senza andare in ipotermia e morire assiderata all’istante?”
“Cosa?”
“Il misterioso caso della donna di ghiaccio”. Clara si è avvicinata fingendosi seria e pensierosa, poi mi ha puntato l’indice verso la fronte.
“La prossima volta che non ti svegli quando ti bacio sulle labbra ti ci disegno sopra un cuore spezzato”.
Il lago si stava velando di una sottile patina bianca di ghiaccio, la temperatura era parecchio scesa nell’arco di pochi minuti. Un cane grigio con il pelo raso si è avvicinato annusando il terreno mentre faceva il giro degli ombrelloni chiusi. Ci ha superato e ha continuato verso il bosco. Dalla direzione in cui era scomparso, abbiamo visto avvicinarsi la donna vestita di nero. Era ancora molto lontana, camminava lentamente lungo la riva tenendo lo sguardo basso.
“Rientriamo? Sto morendo di freddo”
“Ok”
“Ho voglia di un bell’Irish Coffee bollente”.

Nel bar deserto, il caldo soffocante dell’albergo ci ha subito confortato. Eravamo ancora confusi dalla storia della donna di ghiaccio, evanescente figura dell’Hotel Marina, capace di nuotare in pieno inverno nell’acqua a quasi zero gradi, quando la ragazza dell’archivio si è avvicinata per prendere l’ordinazione. Ha guardato dritto verso di me e prima che potessimo parlare ha detto semplicemente: “Mi chiamo Vivien”.
Si era messa una camicetta molto leggera, senza reggiseno, sbottonata fino alla pancia. Tè bollente, un Irish Coffee e un caffè nero. Jenny e Clara non hanno battuto ciglio fino a quando non è tornata con un vassoio e le nostre ordinazioni. Si è chinata in avanti per appoggiare il vassoio di fronte a Clara, lasciandole vedere sotto la camicetta. Jenny era proprio di fianco a lei, le ha infilato una mano tra le gambe. Clara è scoppiata a ridere, ma ha subito soffocato la risata mordendosi il labbro inferiore. Vivien è rimasta immobile, poi ha ceduto: “Continua…”. Ho fatto appena in tempo a prendere dal vassoio la mia tazza di tè bollente ancora fumante prima che si rovesciasse. Jenny e Clara l’avevano stesa sul tavolino, la stavano palpando ovunque. Quando le hanno tolto i vestiti però non è riuscita a nascondere il panico. Ho cominciato a sorseggiare il mio tè lentamente, soffiandoci sopra di tanto in tanto e ho provato ad alimentare le sue preoccupazioni dicendo: “Potrebbe entrare qualcuno”. Jenny ha subito ribattuto: “Potrebbe, ma non succederà”. Le ha infilato due dita nella fica mentre con l’altra mano ha cominciato a masturbarsi. Clara invece si è alzata in piedi e si è spogliata completamente. Poi l’ha afferrata per i capelli e si è fatta leccare. Ha messo un dito nella panna dell’Irish Coffee e l’ha spalmata sul suo seno, intorno ai capezzoli. Jenny era quasi sul punto di venire, Vivien era già al secondo, forse terzo orgasmo. Una volta sull’isola tropicale ci siamo ritrovati nel cinema all’aperto. Avevo aspettato pazientemente quel momento prima di accendermi un sigaro alla menta, visto che nel bar era vietato fumare. Non so come ero riuscito a portarmi dietro anche la tazza di tè. Stavamo guardando un film amatoriale, sembrava girato negli anni ’80. Jenny e Clara erano sedute vicine, completamente nude. Jenny aveva i soliti occhiali a specchio calati sul viso. Vivien era carponi davanti a loro. Le avevano messo un collare con il guinzaglio, la strattonavano a turno per farsi leccare in mezzo alle gambe. Sullo schermo si vedeva l’interno di una casa, verso l’ora di cena. Un gruppo di persone si stava preparando per mettersi a tavola, non c’erano dialoghi, erano stati rimpiazzati dal suono della puntina di un giradischi. La cena veniva interrotta dall’ingresso di due persone, un uomo e una donna. Si erano tutti girati a guardarli, entrambi tenevano in mano delle pistole e gesticolavano impartendo ordini. Uno degli uomini a tavola si era alzato di scatto, ma l’uomo con la pistola lo aveva subito colpito al viso, continuando con qualche calcio una volta che questo era finito a terra. Un conto alla rovescia ha interrotto la sequenza, quando l’immagine all’interno della casa è ritornata sullo schermo, l’uomo colpito al volto con il calcio della pistola era stato legato e imbavagliato insieme agli altri. I due intrusi si stavano preparando ad andarsene, in mano stringevano una borsa da viaggio nera. Prima di tagliare la corda si fermavano per assaggiare un boccone della cena rimasta in tavola, incuranti dei proprietari legati. Nella scena successiva stavano per andarsene, la donna indugiava ancora qualche istante sulla porta. Sollevava il vestito da sera nero scoprendo il culo senza mutandine, poi si girava a guardare gli ostaggi ridendo e lasciava la stanza. Finito il mio tè, ho abbassato un seggiolino vuoto per appoggiarci sopra la tazza. Lucy era seduta nella fila dietro la mia.
“Tieni, è per lei”
“Che roba è?”
“Non ti riguarda, dallo a lei e basta”. Mi ha allungato un biglietto rosso piegato in quattro.
Ho preso il biglietto e sono tornato a guardare il film. Di nuovo i due rapinatori. Stavano scopando in una camera d’albergo. La donna si lasciava venire in faccia, cospargendosi il viso e il seno con lo sperma dell’uomo, a quel punto lo abbracciava e si metteva a dormire sopra di lui. Ho preso il guinzaglio dalle mani di Jenny e ho tirato Vivien a sedere di fianco a me.
“Tieni è per te. Che cosa leggi?”
“Frech. Ma che significa?”
“Significa: sfacciato, in origine audace, ardito. Ora posso dare un’occhiata al tuo archivio?”
“Va bene. Andiamo”.
Prima che il film finisse, la donna sullo schermo ha accarezzato il braccio dell’uomo, al polso portava un orologio al quarzo.

Sul tavolino del bar, Vivien stava ansimando ancora nuda. Teneva gli occhi chiusi, cercando di riprendersi. Jenny e Clara bevevano dalle loro tazze sorridendo amabilmente.
“Appena si riprende venite a svegliarmi. Ho bisogno di dormire un po’, il collo mi fa ancora malissimo. Non riesco quasi a pensare per il dolore. Vado a sdraiarmi qui fuori, su uno dei lettini. Portatela con voi, deve farci vedere una cosa”
“Ok”.
Raccogliendo la panna rimasta sul bordo della tazza, Clara ha aggiunto: “Riposati, a lei ci pensiamo noi”.

Ho approfittato di uno sprazzo di sole per sdraiarmi in riva al lago, sulla spiaggia. Mi sono messo il giubbotto di pelle addosso usandolo come coperta e ho cercato di dormire. Sentivo i raggi caldi del sole penetrarmi nelle ossa procurandomi una piacevole tregua dal dolore. Quando mi sono addormentato ho di nuovo sognato il lago. Camminavo lungo la spiaggia in cerca di Jenny. Stavo per addentrarmi nel bosco, ma ho cambiato idea non appena mi sono accorto di una ragazza a cavallo. Mi è passata di fianco e mi ha salutato timidamente. Era giovanissima. Portava la divisa da equitazione e l’apparecchio per i denti, le sue gambe e il dorso del cavallo erano avvolti in una coperta grigia.
“Ciao”
“Ciao, sei in giro anche con questo freddo?”
“Esco con lei tutti i giorni, è bellissimo girare qui intorno in questo periodo”
È vero anche a me piace molto. Hai visto una ragazza nei dintorni?”
“Sul sentiero non ho incontrato nessuno, a parte te. Sei rimasto bloccato con la macchina?”
“Io? No perché?”
“Non è tuo quel fuoristrada giallo impantanato vicino alla capanna di legno?”
“Il mio Patrol dici? Impantanato?”
“Ma sì, è proprio lì di fianco alla capanna con le ruote affondate nel fango. Ti ci accompagno se non ci credi”
“No, no. Non è che non ci credo. Soltanto non ricordavo di aver lasciato il mio fuoristrada nel bosco”
“Allora sali?”
“Preferisco camminare. Come si chiama lei?”
“Shot, la tengo al maneggio qui dietro. Andiamo?”
“Ok”.

Mi sono sentito inaspettatamente sollevato svegliandomi sul lettino prima che potessi raggiungere il Patrol impantanato. La ragazza a cavallo si era appena rimessa sul sentiero insieme a Shot per guidarmi alla capanna, il suo viso somigliava incredibilmente a quello di Jenny.
C’era qualcosa che però non quadrava. Non sentivo più il giubbotto di pelle sopra di me. Ho guardato in basso alzando gli occhiali da sole e mi sono accorto che al suo posto qualcuno aveva steso una mimetica militare americana degli anni ’60. Era inconfondibile, su uno dei taschini si vedeva chiaramente anche la scritta U.S. ARMY.
“Cazzo, non è possibile”.
La donna misteriosa era seduta di fianco a me. Distratto dalla sparizione del giubbotto, non mi sono accorto della sua presenza finché non ha cominciato a parlare.
“C’è una luce bellissima a quest’ora”
“Mi è successa una cosa strana. Mi sono addormentato sotto un giubbotto di pelle. Ora vede questa? Non so chi l’abbia lasciata al suo posto”
“Poco fa è passato un gruppo di ragazzi schiamazzando sulla spiaggia. Sono andati verso il bosco. Forse…”
“Viene spesso qui?”
“Tutti gli anni. Sto aspettando una persona, mio marito. Anche se a volte restiamo separati per lungo tempo, siamo molto uniti”
“E vi date appuntamento qui quando volete rivedervi?”
“Esatto, tra poco sarà con me. Di nuovo. Finalmente”.
Il sole è scomparso del tutto per lasciare il posto ad una fitta coltre di nubi.
“Capisco. Io torno dentro. Non voglio disturbarla oltre e poi sta iniziando a nevicare”
“Certo”
“Devo anche cercare il mio giubbotto, non credo che quei ragazzi di cui parlava centrino qualcosa”.
Ho infilato la mimetica per tornare al bar dell’albergo. Prima che rientrassi ha aggiunto:
“Ecce quam bonum et quam jucundum”
Non le ho risposto e sono tornato dentro. Le ragazze si erano spostate nel salotto vicino alla reception. Avevano acceso il caminetto a legna. Clara era rannicchiata nel suo giaccone di lana su una delle poltrone vicino al fuoco. Jenny stava leggendo delle riviste sgualcite sulla poltrona di fronte, si era messa una fascia elastica azzurra tra i capelli.
“Non dovevate venire a svegliarmi?”
“Ma ci hai già pensato da solo, no?”
“Vivien?”
È andata a prendere qualcosa da bere, arriva tra un attimo”
“Che cavolo ti sei messo addosso?”
“Non lo so, qualcuno mi ha fregato il giubbotto mentre dormivo”
“Non ci credo. E non ti sei accorto di niente?”
“Quando mi sono svegliato di fianco a me c’era quella donna. Mi ha parlato di suo marito, a quanto pare si vedono qui ogni anno per passare qualche giorno insieme. E’ strano, perché da quello che diceva Vivien si è sempre presentata da sola”
“Le stranezze non sono ancora finite, guardate questo”.
Jenny ha sollevato una delle riviste tenendola davanti a noi per farci leggere l’articolo datato 1983.

Continuano le scorribande dei fantomatici Bonnie e Clyde delle rapine in villa. Il copione è sempre lo stesso: entrano nelle case verso sera, quasi sempre a ora di cena. Sorprendono i proprietari e i loro ospiti con le armi in pugno. Dopo averli immobilizzati svuotano la cassaforte facendosi consegnare contanti e gioielli. Poi si allontanano a bordo di una delle auto sottratte tra quelle dei padroni di casa. Non ci sono stati ancora episodi di violenza gravi. Le vittime raccontano di non essersi mai sentite realmente in pericolo di vita. Quando tuttavia incontrano la resistenza dei proprietari, i malviventi non esitano a colpirli in modo da spingerli ad obbedire alle loro richieste. L’ultimo caso la settimana di Ferragosto. Sono entrati come sempre mentre le vittime erano radunate a tavola per la cena. Il proprietario, un noto antiquario della zona, racconta di essere stato colpito per aver opposto resistenza, riportando inoltre un fatto anomalo: prima di lasciare la casa la donna si sarebbe lasciata andare ad atti osceni. La moglie è ancora sotto shock.

Al fondo dell’articolo completava con una pennellata di colore una pubblicità degli occhiali a raggi X, perfetti per spiare sotto i vestiti delle donne (V.M. 18 funzionano davvero!).
“Che cavolo ti sei messo addosso, dove hai preso questa roba?”
Vivien era tornata dal bar con una bottiglia di liquore e dei bicchieri.
“Mi hanno rubato il giubbotto”
“Cosa? E dove?”
“Guardate questa”
Jenny ha tirato fuori dalla rivista una fotografia in bianco e nero. Si vedevano un uomo e una donna abbracciati. Era troppo sbiadita perché si riconoscessero i volti. L’uomo era magrissimo, sui trenta. Indossava un paio di jeans neri e una maglietta bianca dei Black Flag. La donna lo abbracciava guardando nell’obbiettivo. Una tuta di velluto nera con la cerniera davanti, capelli scuri a caschetto nascosti sotto un berretto di pelle con la catena sulla visiera.
“Questa storia sta diventando sempre più inquietante. Ho portato questo da bere. Liquore al caffè, ho svuotato mezza bottiglia e riempito il resto di espresso bollente”. Ho preso la bottiglia dal vassoio per riempire i bicchieri, dopo essermi seduto vicino a Jenny, volevo leggere le altre riviste. In un altro articolo parlavano ancora di atti osceni. La donna si era presentata completamente nuda. Dopo aver ripulito le vittime si era masturbata di fronte a loro. Uno degli uomini imbavagliati l’aveva provocata rivolgendole qualche commento probabilmente, non era specificato nell’articolo. L’uomo lo aveva colpito al viso ed erano spariti.
“Devo farvi vedere una cosa. Ho dato un’occhiata al registro sul computer dell’albergo mentre preparavo da bere, dovete assolutamente venire a vedere”.
Jenny si è alzata per confortarla massaggiandole le spalle.
“Non preoccuparti siamo abituate a questo qui, non ci scandalizziamo facilmente”
“No, non fraintendere. Venite a vedere”.
Abbiamo seguito Vivien in ufficio tenendo in mano i nostri bicchieri.
“Che significa siamo abituate a questo qui, abituate a cosa?”
“Ma non fare sempre il pignolo, era solo una precisazione”.
Lo schermo del computer era ancora acceso sulla pagina del registro clienti. Clara si è sporta in avanti per leggere l’elenco.
“E allora, a me sembra solo una lista delle registrazioni”
“Fa vedere ci siamo anche noi, guarda”
“Non è quello. Guardate la data. Secondo il registro siete arrivati questa mattina, la data non è cambiata”.
Ci siamo piegati in avanti per guardare sullo schermo tutti e tre contemporaneamente.
È vero”. Clara ha subito chiesto se non fosse il sistema ad essere impallato, Jenny invece mi aveva avvicinato le labbra all’orecchio.
“Che buon profumo che hai messo questa mattina”.
Stavo per mandarla al diavolo, ma mi sono fermato quando è andata via la luce. Le lampade dell’albergo si sono abbassate di colpo. Poi sono tornate per un secondo, prima di spegnersi del tutto. Fuori stava nevicando fortissimo. Dalle finestre vedevamo gli alberi nel parcheggio agitarsi sotto le raffiche di vento.
“Cazzo. Questo sì che è un bel casino. Per la nevicata dei giorni scorsi non sono ancora venuti a portarci la benzina per il generatore. Ne sarà rimasta sì e no una mezza tanica scarsa”
“Cosa? E adesso?”
“Cosa significa in termini di tempo?”
“Qualche ora forse cinque o sei”
“Ma quindi, se non torna, siamo senza elettricità. Cinque ore? Non arriviamo neanche a mezzanotte”
“Almeno il combustibile per il riscaldamento lo avete?”
“Si quello c’è, è solo che senza elettricità la caldaia va in blocco. Dobbiamo scendere ad avviare il generatore. L’ultima volta che c’è stata una tormenta come questa siamo rimasti senza corrente per tre giorni. La linea dell’alta tensione passa in mezzo al bosco. Se cade un albero sui cavi non vanno a ripararla finché non smette”
“Hai almeno delle candele?”
“Quelle credo di averle viste nel magazzino”
“Io torno davanti al camino. La legna c’è? Vero?”. Clara ha bevuto l’ultimo sorso di caffè ed è tornata nell’altra stanza.
“Sì, bisogna solo portarla dentro dalla legnaia”
“Io vado con lei, non si sa mai”. Anche Jenny si è allontanata dal computer. Ho guardato Vivien sconsolato.
“Sai com’è, non si sa mai. Scendiamo? Fammi strada”.
Ha preso una torcia elettrica da uno dei cassetti e siamo passati sul retro dell’ufficio, diretti alla scala per il seminterrato.
“Sono contenta di non essermi trovata in questa situazione da sola. Mi sarebbe venuta una crisi isterica”
“Dimentichi la donna”
“Cazzo, l’avevo completamente dimenticata. Che fine avrà fatto? Dobbiamo trovarla”
“Certo. Adesso però facciamo partire il generatore, non ci vorrà molto, giusto?”.
Nello scantinato era buio pesto, la torcia riusciva a mala pena ad illuminare i gradini della scala. Vivien ha spalancato una porta arrugginita, spingendola a fatica per entrare nel locale caldaia. Da una minuscola finestrella filtrava l’ultima luce del giorno, fuori era quasi buio.
“Quella è la tanica di benzina”. Ha indicato un fusto da trenta litri in un angolo della stanza. Ho riempito il serbatoio del generatore mentre lei mi faceva luce con la torcia e poi l’ho fatto partire.

“Torniamo su, c’è un tubo per gli scarichi, ma non è nuovissimo. Prima di uscire dobbiamo lasciare la finestra aperta, altrimenti nel giro di qualche ora l’aria sarà satura di gas di scarico”. Mi ha passato un’asta con un gancio ad una delle estremità con cui ho fatto scattare la maniglia del finestrino.
Le luci sono tornate ad illuminare la scala. Abbiamo spento la torcia e siamo tornati di sopra.
“Sai, le situazioni di emergenza mi hanno sempre fatta eccitare. Prima di tornare dalle tue amiche potremmo…”
“Dobbiamo cercare quella donna. Non vorrai lasciare una delle tue ospiti a congelarsi nella tormenta”
“È vero. Magari però…”
“Cammina”
“Ok, ok. Vengo”
“E poi voglio dare un’occhiata al tuo archivio”. Jenny e Clara stavano facendo l’amore davanti al camino. Le abbiamo sentite ansimare ancora prima di arrivare nel salone dove avevamo acceso il fuoco. Jenny era seduta sulla bocca di Clara, con le mani appoggiate sulle sue ginocchia. Si muoveva lentamente avanti e indietro per farsi leccare. Mi sono avvicinato e le ho parlato in un orecchio.
“La donna del lago è scomparsa, dobbiamo cercarla”.
Si è lasciata andare sopra Clara ed è scivolata di fianco a lei sul tappeto.
“Siete sicuri che non sia semplicemente nella sua stanza?”. Era palesemente una scusa per non allontanarsi da Clara.
“Andiamo con loro, tanto ormai è chiaro che non riusciremo a lasciare facilmente questo posto”. Si sono rivestite cercando di non lasciare trasparire la delusione per essere state interrotte.
“Avete trovato le candele?”
“Per ora c’è il generatore, le possiamo prendere dal magazzino mentre cerchiamo quella donna”. Siamo passati di nuovo sul retro. Vivien stava cercando all’interno di una scatola appoggiata sul pavimento, nel ripostiglio dove tenevano l’occorrente per le pulizie dell’ufficio. Jenny guardava fuori della finestra fumando una sigaretta.
“Non accenna ancora a diminuire. Ci saranno trenta centimetri di neve a terra”. Clara si è avvicinata a lei, ha asciugato il vetro con la manica del maglione per guardare attraverso la finestra appannata.
“Le macchine saranno sicuramente bloccate”
“Eccole. Prendiamone un po’ a testa. Se si spegne il generatore mentre stiamo cercando, almeno abbiamo un po’ di luce”
“Ci dividiamo l’albergo?”
“Ok. Ci sono quattro piani. Il seminterrato l’abbiamo già visto quasi tutto. Restano solo due depositi, ma sono chiusi a chiave. Possiamo guardare anche fuori, la legnaia è sul retro, tra il parcheggio e il parco. Si esce da una porta laterale del salone”. Jenny ha preso due candele e si è avvicinata a me.
“Io vengo con te”.
Clara si è diretta verso Vivien, prima che ci separassimo mi ha detto: “Se la troviamo sai come faccio a chiamarti”. Ho alzato gli occhiali sopra la testa, ma non le ho risposto. Dopo qualche secondo, è scoppiata a ridere. Vivien la guardava perplessa come se avesse intuito qualcosa, anche se la risposta in effetti non c’era stata.
“Che c’è? Che vi prende?”
“Niente, niente. Andiamo”
“Noi andiamo nella legnaia, almeno tornando portiamo dentro quello che serve per tenere acceso il fuoco durante la notte”
“Portiamo? In che senso portiamo?”
“Cammina Pasticcina”.

Siamo salite al primo piano quasi in silenzio. Questa Vivien era una gran bella donna, sono rimasta dietro di lei sulle scale soltanto per guardarle il culo. Si muoveva sicura tra i corridoi dell’albergo, li conosceva come le sue tasche.
“Cosa volevi dire, quando parlavate di chiamarvi nel caso l’avessimo trovata?”
“Niente non farci caso, è solo un gioco che facciamo quando abbiamo voglia di fare l’amore. Forse dipende da questa storia, ma è tutto il giorno che ho voglia. Deve essere la situazione di pericolo a farmi eccitare”.
Stavamo camminando lungo il corridoio provando le porte, ma erano tutte chiuse a chiave, come del resto si aspettava Vivien. Al fondo si divideva in due ali. Una conduceva all’uscita di emergenza, sulla scala antincendio, l’altra saliva al piano superiore. Sulla parete avevano appeso una riproduzione di Klimt, la donna con i capelli rossi penetrata dalla pioggia dorata in cui si trasforma Zeus per raggiungerla. Mi aveva fatta eccitare sul serio. Avevo sempre considerato l’espressione della donna, una delle cose più sensuali che avessi mai visto.
“Conosci questa storia? La pioggia dorata secondo te a cosa si riferisce?”.
Invece di rispondermi si è messa a cercare un mazzo di chiavi nella tasca. Era già partita, ansimava senza capire più nulla. Si è avvicinata a una delle camere e ha aperto la porta con le chiavi. All’interno abbiamo lasciato la luce spenta. L’ho spinta verso il letto, avevo voglia di schiaffeggiarla e scoparla senza tante storie. Lei è inciampata cadendo sul letto e ha lanciato un urlo. Poi si è messa a ridere consapevole di essere in preda ad una crisi isterica dovuta all’eccitazione sessuale.
“Cazzo stavo morendo dalla voglia ancora prima che salissimo al primo piano”. Si è tolta i vestiti velocemente come se fosse stata colta da un raptus. Ho appoggiato un piede al letto su cui si era seduta e le ho afferrato la testa per avvicinarla alla fica. L’ho schizzata in piena faccia. Si riempiva la bocca cercando di leccarmi, con una mano si stava masturbando, mentre con l’altra si era aggrappata a me. Le ho passato le dita tra i capelli fradici e le sono salita sopra. Lei si è sdraiata sul letto e ha cominciato a leccarmi con calma, faceva passare la lingua intorno alla fica, la infilava dentro e la passava sul culo. A quel punto mi sono girata sopra di lei e le ho infilato la mano dentro. Era completamente fradicia e caldissima. Le sentivo le tette premute sulla pancia, mi stava facendo arrapare da morire. Ha schizzato urlando di piacere quando è venuta. Mi sono sollevata sul letto e le ho alzato il culo in modo che si lavasse da sola. Lei ha emesso una specie di rantolo e ha spalancato la bocca riempiendosela. Le ho stretto il seno e i capezzoli, stava di nuovo venendo. Mi sono ricordata improvvisamente della prima volta in cui ero stata all’Hotel Marina con C. A. Mi aveva portato in un posto lì vicino e avevamo fatto l’amore in mezzo alle rovine di una chiesa romanica. Ricordavo benissimo il fiume di farfalle blu e l’isola tropicale. Per un attimo ci sono stata con Vivien, era in piedi sulla riva del mare, completamente nuda e coperta di farfalle coloratissime. Le volavano intorno, posandosi sopra di lei una ad una. Quando ha aperto gli occhi sono volate via tutte insieme, lasciandomi vedere il suo corpo splendido.

“Senti zuccherino, non ti sarai messo in testa di arruolarmi come taglialegna?”
“Aiutami invece di spaccarmi le palle. Passami quella cesta, qui fuori si gela. Tanto non credo che troveremo quella donna sotto la tormenta”
In tutta risposta si è accesa una sigaretta e si è rifugiata dietro la catasta di legna per ripararsi dalle folate di vento.
“Cosa pensi di tutta questa storia? Ci hai capito qualcosa da quei giornali?”
Ho afferrato la cesta, spingendo da parte Jenny che nel frattempo ci si era piazzata proprio davanti.
“Non lo so. So solo che il collo mi fa impazzire dal dolore, fa un freddo allucinante e siamo isolati in questo posto per chissà quanto tempo”.
Appena ho finito di riempire la cesta con la legna, mi sono avvicinato a lei per farmi accendere un sigaro, avevo lasciato l’accendino dentro.
“In più questo è l’ultimo sigaro alla menta”
“Ma voglio dire, la storia di quella donna non ti ha colpito?”
“Quello che veramente non capisco e cosa centri tu in tutto questo. Continuo a sognarti in questo posto”.
Le sono passato di fianco per tornare davanti al fuoco, ma lei mi ha afferrato per un braccio.
“Ricordi quando ci siamo conosciuti?”
“Si certo”
“Da quanto tempo mi conosci?”.
Sono rimasto ad aspettare che continuasse, senza rispondere.
“Siamo come quei due”
“Una cosa sola, lo so. Vieni torniamo davanti al camino, sto gelando”.


REEL TWO, MENTAL TWIN

Lei però mi ha portato sull’isola tropicale a fare l’amore, ci siamo sdraiati sul ciglio della scogliera. Le stelle cadenti piombavano dal cielo sollevando esplosioni e nuvole altissime di fumo e vapore a pochi metri da noi. Il mare verde ci ha sommerso, riuscivo ancora a vedere la luce del sole attraverso la superficie dell’acqua, ma sapevo che saremmo presto finiti sul fondo insieme agli altri corpi intrecciati di cui era ricoperta la fossa oceanica. Mi ha passato una mano tra i capelli, guardandomi negli occhi.
“Da sempre”.

Siamo tornati dentro a scaldarci davanti al fuoco.
Vivien e Clara ci aspettavano sedute sul tappeto di fronte al camino. Clara si era messa la berretta di lana, il fuoco era ridotto ad una misera brace. Vedendoci arrivare ha aperto le braccia.
“Niente?”
“No, intorno all’albergo non c’è anima viva, solo neve e vento”.
Ho buttato un po’ di legna sulla brace, dopo qualche istante si è messa a scoppiettare alzando di nuovo la temperatura del salone.
“Guarda, leggi questo”. Mi ha avvicinato una delle riviste degli anni ’80.

Identificata la coppia criminale. Le forze dell’ordine non sono ancora riuscite a fermare i due psicopatici che terrorizzano da mesi la zona, ma ormai è questione di tempo. Identificata la donna…

“Questa foto sarebbe lei? 1984”
“Guarda bene. Vedi il polso?”
“Certo. Dovevo arrivarci prima, quando l’ho vista sulla spiaggia”. La nostra conversazione è stata interrotta dal generatore che tossiva gli ultimi litri di benzina. Le luci si sono spente di nuovo, siamo rimasti nella penombra del camino. Le ombre proiettate sul tappeto, danzavano impazzite dietro di noi.
Vivien si stava spazzolando i capelli bagnati, doveva essersi appena fatta una doccia. Il profumo di muschio bianco si sentiva a distanza.
“Senti, non prendermi per pazza”. Ha lasciato la spazzola a terra per afferrare due candele. Le ha accese incollandole con un po’ di cera fusa sul vassoio da bar. Nei pochi secondi che le sono serviti per compiere l’operazione sono rimasto ad osservare la scena con cui era stato decorato. Fine ‘800, pomeriggio al Caffè. Le dame in abiti eleganti si pavoneggiavano di fronte agli ufficiali in alta uniforme.
“Quello, dico. Lo so dove si trova è di sotto”.
Un frastuono di stoviglie e piatti in frantumi ci ha fatti trasalire. Subito dopo una porta si è chiusa sbattendo violentemente. Jenny mi ha guardato con gli occhi sbarrati.
“Col cazzo, io non ci vengo”
“Tu ci vieni”. Vivien si era già alzata in piedi e aveva acceso la torcia elettrica che avevamo preso dall’ufficio prima di scendere ad avviare il generatore.
Clara la stava seguendo dopo essersi infilata le scarpe da ginnastica, piegando il tallone per usarle come ciabatte. Era nuda a parte il maglione e la berretta. Mi è sfrecciata di fianco tenendo gli occhi bassi.
“Si può sapere che cazzo avete fatto invece di cercare quella donna?”
Si è limitata a sorridere continuando a tenere lo sguardo basso. Dopo avermi superato ha sollevato il maglione con una mano, scoprendo il culo. Jenny mi ha consolato a modo suo.
“Cucciolotto, non pensavi di esserti aggiudicato l’esclusiva, vero?”.
Ho girato la testa dall’altra parte, mettendo le mani sui fianchi e mi sono ritrovato a fissare la pagina di una delle riviste di Vivien su cui era stampata una barzelletta. La luce era troppo bassa per distinguere la vignetta, riuscivo soltanto a leggere la didascalia.

- senza parole -

Siamo arrivati in cucina camminando in fila indiana dietro al fascio di luce proiettato dalla torcia elettrica.
“Che casino”. La cucina era completamente a soqquadro. I piatti rotti, sparsi sul pavimento insieme alle stoviglie.
“Almeno adesso sappiamo che è ancora viva”
“Sembrerebbe di sì”.
Ha puntato la torcia verso di noi, poi si è di nuovo girata indirizzando la luce verso una finestra. Si è avvicinata per guardare fuori tenendo il viso vicino al vetro. Muoveva la torcia cercando di evitare che il riflesso le impedisse di vedere all’esterno.
“Nevica ancora fortissimo. Possiamo metterci il cuore in pace, per questa notte niente elettricità”.
“Perché non ci fai vedere il resto del tuo archivio. Mi avevi parlato anche di alcuni video lasciati dai clienti”.
Jenny si è aggiunta a me. “Video? Hai dei video dei clienti? E di che tipo?”
“Non starci a pensare, piacciono di sicuro anche a loro”. Mi sono avvicinato a lei e abbiamo guardato dalla finestra ancora per qualche istante. Il vento non si era ancora calmato, la neve scendeva velocissima, creando vortici e mulinelli mentre girava intorno all’albergo. L’enorme abete che riparava la porta di servizio della cucina sembrava sul punto di spezzarsi e crollare contro la facciata dell’edificio.
“Ok, però guardate che sono di sotto. Nel seminterrato”.
Clara ha cercato di sdrammatizzare. “Senti, stai cercando di metterci paura? Non dovevi scendere a prendere qualcosa, tra l’altro? Stavamo parlando della foto in quell’articolo poco fa o sbaglio?”.
“Sì, anche quello è di sotto…”. Prima che potesse finire la frase, un fortissimo boato proveniente dall’esterno, ci ha di nuovo interrotti.
“Ma che cazzo…”
“Sembrava il rumore di qualcosa che si schianta a terra”
“Da qui non si vede niente”
“No, veniva dalla legnaia”. Ci ha superato tutti, tornando alla testa della fila indiana. “Venite, tanto dobbiamo passare di lì per scendere”. Siamo tornati alla stanza con il camino. Invece di scendere nel seminterrato abbiamo provato ad aprire la porta laterale, ma il passaggio era sbarrato. La catasta di legna era stata fatta crollare proprio davanti alla porta. Ho cercato di spingerla indietro, invece sono riuscito soltanto a far entrare una folata di vento gelido e neve.
“Ora non ci resta che scendere di sotto”
“Non vedo l’ora”.
Il deposito nello scantinato era troppo buio per mettersi a cercare. Abbiamo preso con noi alcuni scatoloni seguendo le indicazioni di Vivien, intenzionati a portarli di sopra per ispezionarli con calma, comodamente seduti davanti al fuoco. Quando mi sono girato verso Jenny per chiederle di aiutarmi con una pila di riviste, l’ho trovata intenta a sfogliare Sperm und Pisse con una mano infilata nei jeans.
“Bella mia…”
“Ma senti, cosa dovevo fare? Era lì in bella mostra…”
“Andiamo”.

Ci siamo messi a rovistare tra gli oggetti prelevati dal deposito, dopo aver rovesciato il contenuto degli scatoloni sul tappeto. Clara era sdraiata a pancia sotto di fianco a me. Avevo buttato qualche pezzo di legna nella brace e mi ero messo seduto a terra, con la schiena appoggiata ad una delle poltrone e le gambe distese. Vivien stava riempiendo i bicchieri rimasti con il liquore al caffè. Si era appoggiata a una delle poltrone usandola come tavolino. Jenny era davanti a lei a gambe incrociate.
“Guarda questo. Fumetti porno degli anni ‘80”. Mi ha messo sulle gambe un libricino stampato in bianco e nero. Si vedeva un lupo mannaro con la bava alla bocca strappare i vestiti di una delle sue vittime. Nella pagina successiva la stava penetrando da dietro, gli avevano disegnato un cazzo enorme, la donna urlava sentendosi sfondare completamente. Nell’ultima pagina le riempiva la bocca di sperma. Era talmente piena che traboccava dalle labbra schizzando su tutto il corpo graffiato dagli artigli del licantropo.
“E’ un classico. La licantropia come metafora della frenesia sessuale”.
Clara mi aveva afferrato il mento tra due dita intenzionata a baciarmi. Vedevo il suo solito sorrisetto avvicinarsi a me, ma Jenny si è intrufolata tra noi due sventolando un’altra rivista. “Guardate questa, foto porno di autentiche casalinghe”. Ha messo la sua rivista sopra il fumetto di Clara abbassandole il braccio in modo che si staccasse da me. Una didascalia sotto le foto delle donne seminude, fotografate con il viso nascosto da maschere di vario genere, specificava che le modelle erano tutte autentiche dilettanti e per ovvie ragioni il loro volto era stato nascosto. Vivien ha aggirato Clara e si è venuta a sedere di fianco a me sull’altro lato, con il vassoio e i bicchieri.
“Questa me la ricordo, è stata dimenticata in una delle camere da una coppia in vacanza. Erano sempre molto discreti, se non ricordo male lei era una professoressa delle medie o qualcosa del genere. Ci deve essere anche una polaroid in cui la donna si versa sul viso un bicchiere pieno di sperma. Eccola qui, era infilata nelle pagine della rivista.” Ci ha mostrato la foto e ha bevuto un sorso di liquore.
“Cazzo che tette, chi sa come gli veniva duro al marito quando la metteva a pecorina”. Jenny ha preso il suo bicchiere e ne ha scolato metà tutto d’un fiato.
“Come facciamo a vedere i video?”. Mi sono girato verso Vivien, prendendo uno dei bicchieri e le ho dato un bacio sulle labbra per ringraziarla.
“In uno degli scatoloni c’è un videoregistratore, ma senza corrente?”
“A meno che non spunti magicamente un’altra tanica di benzina, credo che per ora a quelli dovremo rinunciare”
“Certo che è pazzesco come tanta gente si vergogni del sesso. Guardate questi qui, vedendo come si sbizzarrivano una volta lontani da occhi indiscreti, non si può certo dire che gli mancasse la fantasia”. Clara si è arrampicata sui miei jeans fino a raggiungere la cintura elastica. Li ha sbottonati con disinvoltura intenzionata a farmi un pompino. Vivien ha continuato il discorso senza farci caso.
“Secondo me è una questione culturale, se lo vedi come un premio o una concessione straordinaria diventa un’ossessione. Una vera perversione collettiva”.
“Distorsioni della selezione naturale dovute all’evoluzione culturale”
“Cioè? Anche per te è così?
“Per me andrebbe bene qualunque cosa pur di non tornare a lavorare”
“Rispondi seriamente, la pensi così anche tu?”.
Jenny si è intromessa prima che potessi continuare.
“Ma non dargli corda o non la pianta più. Non capisco perché farsi tante domande, se una cosa è piacevole…”
“Sai una cosa Jenny? Quando ero bambino, e in qualche modo mi ferivo procurandomi un’escoriazione, non riuscivo mai ad aspettare che la ferita guarisse da sola. Appena si formava la crosta, mi mettevo subito a tormentarla fino a farla saltare via. Soltanto una volta ho aspettato che guarisse, dopo qualche giorno è sparita lasciando una chiazza rosa di pelle nuova, non mi aveva procurato alcun dolore. A quel punto ho pensato che trattenersi dal grattarla fosse molto più sensato, piuttosto che grattarla via con le unghie”
“E da quel momento non l’hai più fatto?”
“No, quello è stato l’unico episodio”.
Clara aveva preso a succhiarlo sempre più velocemente. Si è tirata fuori il cazzo dalla bocca, continuando a leccarlo mentre le venivo in faccia. A quel punto si è girata verso Jenny e le ha dato un bacio con la lingua, spingendole lo sperma sulle labbra. Lei l’ha presa tra le braccia e le ha sollevato il maglione scoprendole il corpo nudo sotto. Era completamente arrapata, le ha messo due dita nella fica continuando a baciarla. Vivien si è spogliata di fianco a me e mi è salita sopra, infilandosi il cazzo ancora bagnato di sperma nel culo.
“In uno di quei video si vedeva una donna fare la stessa cosa. Subito dopo si metteva a dire un sacco di parolacce”. Ho sentito di nuovo salire l’erezione, le ho appoggiato le mani sui fianchi, accompagnando il movimento del suo corpo.
“Le parolacce puoi anche risparmiartele”. Ho continuato a scoparla e a baciarla. Jenny e Clara, nel frattempo si erano appoggiate a lei, la stavano leccando sul seno e sulla schiena. Mi ha sollevato la maglietta per infilarci le mani sotto. In quel momento le luci dell’albergo si sono riaccese tutte insieme. Jenny si è staccata per prima.
“Cazzo che brutta sensazione. Mi ha fatto ricordare quando i miei mi hanno sorpreso a scopare con degli amici in salotto”. Vivien non sembrava molto interessata al racconto di Jenny. Continuava a muoversi sempre più velocemente, teneva la testa appoggiata al mio petto. Un altro rumore proveniente dall’esterno ci fatto accapponare la pelle. Jenny l’ha afferrata per una spalla. “Avete sentito? Che cosa è stato?”.
Clara mi ha guardato con aria interrogativa, Vivien era immobile seduta sulla mia pancia. Aspettavamo di capire se il rumore proveniente dall’esterno fosse reale e non frutto soltanto della nostra immaginazione. Di nuovo come pochi secondi prima abbiamo sentito qualcosa grattare contro la porta di ingresso, questa volta in maniera distinta e inequivocabile. Sembravano artigli contro il legno.
“Senti, io me la sto facendo sotto. Che cazzo è?”
“E io come faccio a saperlo”
“Prendo la torcia, andiamo a vedere”
“E se fosse quella tizia?”.
Clara si è aggiunta a lei afferrando Vivien per l’altra spalla.
“La licantropa dici?”
“Ma si può sapere che vi prende? Chi cazzo vi dice che quella donna sia una licantropa, non siamo neanche sicuri che sia ancora all’albergo”.
Ci siamo avvicinati con cautela alla porta a due ante dell’ingresso. Nessuno di noi aveva voglia di girare la maniglia. Il vento all’esterno la scuoteva facendola tremare sotto raffiche continue. Ho abbassato la maniglia cercando di non pensare a quello che poteva esserci dietro. Quando abbiamo aperto lentamente una delle ante, sbirciando all’esterno, ci siamo trovati di fronte al cane grigio che avevamo visto gironzolare sulla spiaggia. Era coperto di neve e infreddolito, guaiava tenendo una zampa piegata sul petto.
“Cazzo, prendilo. Si sta congelando”. In tutta risposta il cane è arretrato di qualche passo leccandosi il naso. Una folata di vento però lo ha convinto a farsi di nuovo avanti.
“Aspetta”. Mi sono battuto una mano sulla gamba e ho provato a chiamarlo.
“Vieni bello”. Finalmente si è deciso ed è entrato trotterellando diretto verso il camino. Ho richiuso la porta immediatamente, ma non prima di notare la neve caduta fino a quel momento. Era alta quasi mezzo metro e continuava a scendere senza dare segno di voler diminuire di intensità. Ho raccolto la mimetica da terra e l’ho infilata. Il riscaldamento si era rimesso in funzione, ma lontano dal fuoco la temperatura era ancora piuttosto bassa.
“E adesso come facciamo?”
“Prendo un asciugamano, sembra fradicio per la neve”.
Siamo tornati sulle poltrone dove avevamo sparpagliato gli oggetti dell’archivio di Vivien. Il cane era seduto sul tappeto, si guardava intorno ancora confuso. Mi sono messo seduto di traverso su una delle poltrone, lasciando le gambe penzolare da uno dei braccioli e ho allungato una mano per accarezzarlo sulla testa, lui si è avvicinato per rispondere al saluto, ma prima di ritornare a cuccia si è scrollato la neve di dosso riempiendomi di schizzi.
“Vi intendete a meraviglia, vedo”
“Che bastar…”.
Vivien era appena tornata con un asciugamano quando Clara si è avvicinata stringendo qualcosa in mano. “Cercavi questo, giusto?”. Sono rimasto a guardare l’orologio al quarzo sulla mano tesa di Clara, aveva infilato il polsino a metà del palmo. “Sì, esatto. Credo che quell’orologio sia uno dei motivi per cui quella donna si ostina a tornare in questo posto ogni anno...Pazzesco”
“Cosa? Che ti prende?”
“Niente. Non è importante”. Jenny intanto era sparita, è riapparsa dopo qualche minuto con delle coperte in mano. Tornando in salotto aveva spento le luci, sembrava decisa a passare il resto della notte davanti al fuoco.
“Che mi dite?”
“Per me va bene, anzi se devo dirla tutta per oggi ne ho avuto abbastanza”. Mi sono girato su un fianco dopo essermi preso una delle coperte. L’avevo messa sotto la testa, usandola come cuscino. Vivien ha lasciato il cane e si è messa su una delle altre poltrone.
“Che ne pensi dell’orologio? Che cosa significa, secondo te?”
“Niente, probabilmente non significa niente”
“Non vuoi vedere qualche video?”
“Sono troppo stanco, preferisco dormire”. Clara e Jenny non sembravano affatto d’accordo.
“Io invece sì, montiamo il video registratore”. Jenny le ha fatto eco. “Anch’io voglio vederli, non dargli retta”
Hanno trafficato per un po’ con cavi e cassette, ma stavo già per sprofondare nel mondo dei sogni. Avevano collegato il videoregistratore ad un piccolo televisore da dodici pollici. Prima di passare ad un sonno profondo ho fatto in tempo a sentire l’audio di un paio di video. Nel primo si sentiva una donna gemere sotto delle frustate. Non sembrava niente di eccezionale, ho aperto un occhio per spiare quello che stavano facendo le ragazze. Erano tutte e tre sotto la stessa coperta sul pavimento. Ridevano tra loro, mentre la coperta si agitava all’altezza delle loro gambe. Il cane dormiva acciambellato a qualche metro, alle frustate più vigorose aveva risposto abbassando le orecchie. Il secondo video era diverso, sono rimasto ad ascoltare il più possibile cercando di resistere al sonno, ma non riuscivo a decifrare i suoni al punto di capire di cosa si trattasse. Ero quasi sicuro però che fosse una festa di compleanno. Dopo un po’ si è interrotto. Ho di nuovo aperto un occhio, ma anche le ragazze si erano addormentate, dalla coperta sbucavano soltanto le teste illuminate dalla luce sempre più tenue del fuoco. Quando ho ripreso sonno, sono stato nel cinema all’aperto sull’isola tropicale. Lucy era seduta di fianco a me, guardava un altro film amatoriale tenendo il mento appoggiato su una mano. Non mi ha prestato alcuna attenzione. La festa di compleanno era terminata, il salotto era vuoto, avanzi di torta e stelle filanti sparse intorno alla tavola. Come sempre niente audio, solo il suono della puntina sul disco di vinile. L’inquadratura è rimasta immobile per circa un minuto sulla stanza vuota, dopo la donna delle rapine si è fatta avanti esaminando la tavola, cercava un accendino. Si è accesa una sigaretta ed è di nuovo uscita. Un conto alla rovescia sullo schermo ha interrotto la scena, poi è ricomparsa la sala in cui si era tenuta la festa. Al centro della stanza un uomo imbavagliato e legato ad una sedia. Di fronte a lui una sedia vuota. È ricomparsa la donna, indossava una vestaglia rosa e una maschera nera sul viso. Si è fermata davanti all’uomo passandogli le mani tra le gambe, sotto la vestaglia non indossava niente. L’uomo era visibilmente a disagio, ma allo stesso tempo non opponeva grande resistenza. Probabilmente la ragione principale del suo imbarazzo era la sua visibile erezione sotto i pantaloni. Lei glie l’ha preso in bocca, continuando a fumare con l’altra mano, poi si è aperta la vestaglia e si è seduta sulla sedia di fronte alla sua. Appena gli ha lasciato andare il cazzo lui è venuto. Le immagini sono di nuovo state interrotte da un conto alla rovescia. Ho guardato Lucy, ma lei continuava ad ignorarmi, si è limitata a passarmi un altro biglietto rosso piegato in quattro. Senza distogliere lo sguardo dallo schermo ha detto: “Questo è per te”. Sopra c’era scritto: “Frevel (delitto)”. L’immagine di un capanno nel bosco ha preso il posto della sala da pranzo per qualche secondo. Nel frattempo, la puntina del giradischi aveva raggiunto lo spazio vuoto, continuava a tornare indietro come se il braccio si fosse incantato. Inquadratura fissa come per la sala, credevo non dovesse succedere niente finché un lampo non ha illuminato i vetri delle finestre, come se qualcuno al suo interno avesse scattato una foto col flash.
“In origine questa parola significava “avventura”, nessun riferimento negativo”.
Alla mia sinistra si è avvicinata Marina, si è seduta di fianco a me e ha preso a guardare il film fumando una sigaretta. Indossava ancora la maglietta bianca e rossa che avevo da bambino, questa volta però è rimasta seria, con gli occhiali scuri calati sul viso. Sullo schermo le immagini erano tornate alla donna delle rapine, si era sfilata la vestaglia, stava leccando lo sperma dal cazzo dell’ostaggio. A quel punto mi sono acceso un sigaro. Il marito è comparso davanti all’inquadratura e ha slegato l’ostaggio. Il tizio era visibilmente scosso, per qualche interminabile secondo è rimasto immobile davanti alla donna nuda senza fare nulla, dopo si è alzato e ha cominciato a scoparla nel culo. Ho fatto per andarmene, Marina mi è sembrata contrariata. Prima che uscissi dal cinema ha detto: “Scarecrow”.

Mi sono svegliato quando ormai era giorno. Il fuoco era quasi spento nel camino, ho buttato qualche pezzo di legna sulla brace cercando di ravvivare la fiamma e sono andato verso la finestra per guardare fuori. Il cielo sembrava ancora scuro, ma la neve si era fermata. Appena mi sono avvicinato alla porta il cane grigio mi ha seguito per uscire in giardino. Erano caduti quasi cinquanta centimetri di neve, le macchine ferme sotto gli alberi erano completamente coperte. Ho acceso una delle sigarette di Jenny camminando verso la spiaggia. Volevo raggiungere le panchine e restare a fumare guardando il lago. Ne ho liberata una dalla neve e mi sono seduto sullo schienale, con i piedi appoggiati sul sedile. Dopo qualche boccata di fumo mi sono accorto che la donna scomparsa era seduta di fianco a me.
“Non si è ancora fatto vedere?”
“No, ma sono sicura che tra poco sarà con me”
“Sì, lo penso anch’io. Anzi in un certo senso è proprio così, è già qui con lei”. Ho messo una mano nella tasca della mimetica e ho tirato fuori l’orologio al quarzo.
“Questo lo avete trovato nella casa di quell’antiquario, se lo ricorda?”. Si è voltata a guardarmi, ma non ha parlato.
“Lo cercava da tanto, non è così? Il calendario segna il quindici luglio”. Le ho preso la mano per infilarglielo al polso. Era gelida. Sul braccio sinistro aveva dei tagli profondi, coperti di sangue rappreso. Ho immaginato che ci fossero anche sull’altro.
“Non vi hanno mai preso dopo tutto. L’anno giusto è il 1984. Lo troverai lì, anche se non ti piacerà”
“E’ ancora vivo, lo sento”.
Ho finito di fumare senza aggiungere altro e mi sono alzato per tornare dentro. Le lacrime le rigavano il viso inarrestabili mentre guardava impassibile verso il lago. Prima di rientrare ho chiamato il cane, mi sono voltato un’ultima volta verso di lei, quindi mi sono diretto verso l’albergo.

Sulla maniglia della porta d’ingresso ho ritrovato il mio giubbotto di pelle. L’ho scambiato con la mimetica americana e sono entrato. Qualche giorno più tardi eravamo nel cinema all’aperto, sull’isola tropicale. Christiane F. usciva dal Sound insieme ai suoi amici, dopo aver visto per l’ennesima volta, La notte dei morti viventi di Romero.
Andiamo da qualche parte?
Dove?
Non lo so, da qualche parte
Venite con noi?
Dove?
Da qualche parte
Pasticcina era seduta di fianco a me.
“Si po' sapere che ti prende?”
“David Bowie, avrebbe detto: bella mia, non credo sia un effetto collaterale della cocaina. Penso sia amore.”
“Sei partito”
“Yes, we’re lovers, that is a that”
“Tu sei tutto scemo”.
“Potrai dormire quanto ti pare da crepata”.

FIN
scritto il
2021-01-25
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