Doppio esame di maturità

di
genere
incesti



Sono passati una trentina d’anni, ma ricordo ancora nitidamente, e con un po’ di tenera nostalgia, la breve vacanza che passai in campagna da mia zia Rachele subito dopo aver conseguito il diploma di maturità scientifica.
A quei tempi l’esame di maturità era un traguardo molto impegnativo: tre prove scritte, dieci materie all’esame orale con programmi triennali. La prova per fortuna era andata bene, ma ero ridotto uno straccio, stavo sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Per la verità il volto smunto e gli occhi scavati non dipendevano soltanto da quello; allo stress da studio si aggiungevano le incessanti seghe che, arrapato e imbranato com’ero, mi tiravo con frequenza quotidiana sognando di scoparmi colleghe o professoresse.
Mia madre era preoccupatissima, anche perché di lì a qualche mese sarei dovuto trasferirmi in città per frequentare l’università. Il medico di famiglia parlava di grave deperimento organico, mi aveva prescritto un ciclo di ricostituenti per via orale e intramuscolare, ma, aveva aggiunto, cambiare aria per qualche settimana mi avrebbe fatto sicuramente bene.
Mamma pensò subito a Rachele, sua sorella maggiore che abitava in campagna dove conduceva una piccola fattoria agricola col marito Giacomo. E gli zii si dichiararono ben contenti di ospitarmi. Erano soli, non avevano avuto figli maschi, le due figlie si erano già sposate e vivevano altrove.
Partii di mala voglia, temendo di andare ad immalinconirmi in un posto privo di ogni distrazione; mi portai con me, ben nascoste in valigia, alcune riviste porno. Treno, corriera e una vecchia utilitaria con la quale lo zio Giacomo venne a prendermi alla fermata. Giunsi all’ora di cena e fui subito inebriato dagli odori dei manicaretti che la zia stava preparando.
“Toruccio, bello di zia, vieni, fatti vedere come stai!”.
Toruccio sono io, Vittorio, così chiamato affettuosamente da familiari ed amici.
Zia Rachele aveva all’epoca 54 anni. Da giovane doveva essere stata una bella gnocca, rigogliosa e vogliosa: lo si vedeva dalle forme voluminose del petto e dei fianchi, certo appesantiti dagli anni, e dall’espressione ancora procace degli occhi e della bocca.
Mi abbracciò e fui accolto dalle sue enormi tette che lasciava libere sotto un camicione sempre pulitissimo. La morbidezza di quelle mammellone e il profumo di bucato che emanava dal corpo della zia produssero un effetto immediato, ancorchè inaspettato, sul mio uccello, che inopinatamente si impennò.
La zia prese la mia valigia e la portò nella cameretta a me riservata, dove la disfece per sistemare le mie cose nei cassetti. Lo zio mi fece accomodare e cominciò a versarmi del vino che dovetti accettare anche se lo sorseggiavo molto lentamente per evitare che me lo riempisse di nuovo. Lui invece cominciò a tracannare ed era già abbastanza brillo ancor prima

di iniziare a mangiare.
Io invece, da pipparolo arrapato, ero come calamitato dalla visione del culone ondeggiante della zia che sfaccendava ai fornelli. Guardandola da vicino compresi finalmente quello che i libri indicavano come donna giunonica. Sì, mia zia Rachele era effettivamente una donna giunonica, in versione rusticana.
Lo zio Giacomo era un omaccione un po’ rude che indulgeva a infiorettare il suo discorso di espressioni volgari. Mangiò in fretta, era stanco, diceva, e non appena finito si diresse in camera da letto, dalla quale chiamò a gran voce la zia:
“Rachele, sbrigati a venire, zoccola!”
Trovai sgradevole quella sbrigativa volgarità dello zio. La zia imprecò, sbuffò e mi fece cenno di aspettare. Si chiusero in camera da letto, ma non potei fare a meno di ascoltare i rumori che provenivano dalla stanza.
“Datti da fare, troia… succhiamelo come sai fare tu, che mi fa dormire meglio…”
La zia non parlava, ma poco dopo sentii distintamente lo sciacquettio della sua bocca sul cazzo dello zio che emetteva grugniti animaleschi. Durò poco, poi un grido finale:
“Aaahhh …. sborroooo…. mmhhhh, brava puttana!”.
Poi più nulla. Tentavo di mangiare la frutta, ma mi andava di traverso. Trascorsero dieci minuti, poi la porta si aprì e la zia apparve, rossa in viso, con il camicione bianco spiegazzato. Mi fece segno di star zitto e andò in bagno. Sentii che si lavava i denti.
Rinfrescata e profumata rientrò e mi fece sedere sul divano a due posti di fronte al televisore in bianco e nero, mi preparò un limoncello fatto da lei e si sedette accanto a me.
“Toruccio, sarai stanco …. ma, prima di andare a letto, ti va di parlare un pò?”.
Il divano era piccolo e la mia coscia aderiva alla cosciona della zia.
“Non badare allo zio …. è fatto così … è ruvido, ma tutto sommato è un brav’uomo”.
“Zia, io non so …. certo quelle parolacce sconce ….”.
“Fosse per quelle….. il fatto è che lui è un egoista …. pensa solo ai suoi bisogni ed ai suoi capricci …. mangia, beve, poi si scarica e si mette a dormire…. e poi si lava poco, per lui il bidet non esiste”.
Commiseravo la zia, ma al tempo stesso mi sentivo eccitato dalla sua vicinanza, oltre che molto gratificato perché confidava a me i suoi tormenti. Vinsi la mia timidezza e le chiesi:
“Zia, scusa se mi permetto, ma come fai a sopportare le sue prepotenze, le sue volgarità?”
“Sì, lo sopporto sempre meno …. un tempo era più gentile… si lavava anche di più …”
La zia spinse un braccio attorno alla mia spalla.
“Ma ora non parliamo di lui … piuttosto, posso coccolare un pò il mio nipotino?”.
“Certo che sì! le coccole piacciono anche a me”.
“Tua madre è molto preoccupata per la tua salute …. In effetti ti trovo un pò sciupato …. Va bene studiare, ma senza esagerare…. Vedrai che l’aria di campagna ti farà bene”.
La zia mi vezzeggiava teneramente. La sua mano era sul mio petto, si era intrufolata dal collo del pigiama e mi graffiava come per togliermi un prurito, il mio viso era poggiato sul suo seno sinistro spinto verso di me, mentre vedevo il grosso capezzolo del seno destro bucare il camicione.
A quel contatto ed a quella vista il mio cazzo non tardò a reagire evidenziando un vistoso gonfiore. Lei se ne accorse, fece un sorrisino malizioso ed esclamò:
“Mah, non mi sembri tanto depresso …. ma, ora andiamo a letto … immagino che sarai stanco …. riposati e …. lascia stare quei giornaletti!”
Sobbalzai e arrossii. Capii che la zia aveva scoperto le mie rivistine porno nella valigia. Ma prima che abbozzassi una qualche risposta, lei mi fece una carezza, mi diede un bacio sulla guancia e mi sussurrò:
“Certe cose consumano più dello studio …”
Arrossii sentendomi scoperto e una volta in camera, per quanto fossi eccitato, resistetti all’istinto di tirarmi un segone, anche se trascorsi la notte piuttosto agitato.
L’indomani mi svegliai tardi, gli zii erano già nei campi a lavorare, trovai apparecchiata in cucina la mia colazione. Passai la mattinata a gironzolare intorno alla casa, incuriosito e attratto dagli animali della stalla, in particolare dalla spaventosa proboscide di un mulo e dal poderoso didietro di una giumenta, immaginando morbosamente i loro accoppiamenti. Nemmeno lì in campagna le mie ossessioni mi abbandonavano.
Ci ritrovammo con gli zii all’ora di pranzo e, subito dopo mangiato, assistetti alla replica del rito della sera prima. Zio Giacomo andò a riposarsi non senza essersi fatto accompagnare dalla zia Rachele. Sentivo benissimo ciò che le diceva e ciò che le faceva fare.
“Dai, che aspetti?, spogliati troia. Non lo vedi come si è fatto tosto? No, niente pompino, ti voglio scopare oggi, anzi te lo voglio mettere in culo …”
Sentivo che mia zia diceva qualcosa sottovoce, ma non distinguevo le parole. Forse faceva obiezioni, avanzava resistenze. In cuor mio mi auguravo proprio che non cedesse alle pretese di quel porco prepotente del marito. Provavo un senso di gelosia e di ripulsa al tempo stessi.
Per ascoltare meglio me ne andai in camera mia e mi misi a letto cominciando a tirarmelo. E, dopo un paio di minuti di misterioso silenzio, cominciai a risentire i grugniti dello zio e le sue espressioni sempre più volgari:
“Ti piace, maialona, il punteruolo di tuo marito, eh?... non ti lamentare, chè hai il culo sfondato come una galleria!”
I gemiti e i grugniti che provenivano di là portarono la mia eccitazione alle stelle. La zia stava soddisfacendo le voglie più oscene dello zio. Mi sentivo tradito. Mi segai con foga, quasi con rabbia, sborrando alla fine in un fazzoletto e imprecando a bassissima voce:
“Troia! troia! troiaaa!!!”
Quando uscii dalla camera la zia era affaccendata in cucina. Ero ancora imbronciato e la cosa non le sfuggì:
“Cosa c’è, Toruccio? Non hai riposato bene?”
Per risposta bofonchiai sbrigativamente:
“No, niente. Ho un po’ di mal di testa … esco a prendere un po’ d’aria”.
Gironzolai per una mezz’oretta nei dintorni, poi sentii la zia che mi chiamava a gran voce e rientrai in casa.
“Toruccio, dov’eri finito? Ti ho preparato questa bella crostata… è ancora bella calda, vieni”.
Mi misi ad assaggiare il dolce tenendo la testa bassa ed evitando di incrociare lo sguardo della zia, la quale, accarezzandomi dietro la nuca, mi sussurrò con fare materno:
“Perché ti sei rabbuiato così, all’improvviso? … dillo alla zia, ti puoi confidare…. mica l’hai con me? ho fatto qualcosa che ti ha disturbato?”
Ma, siccome continuavo a tacere, interpretò il mio silenzio come una conferma, mi sedette di fronte e, sollevandomi la testa dal mento, mi disse con tono dolce:
“Ho capito. Hai sentito che lo zio ….”
A quel punto le risposi secco, in tono risentito:
“No, ho sentito che tu …..”
Un po’ sorpresa per la mia reazione un po’ brusca, sorrise appena, tornò ad accarezzarmi le guance:
“Che caro che sei, Toruccio! ti sei ingelosito, vero?... ma tu devi capire …”
Ormai non mi potevo sottrarre al chiarimento:
“Cosa devo capire? … ieri mi hai detto che non lo sopportavi più …. e oggi invece ti sei fatta …. ”
“Povero nipotino mio, ti sei messo ad origliare?”
“No, no, zia …. è che dalla mia stanza si sentiva tutto!”
“Ah! … e che cosa hai sentito?”
“Tutto! …. e ti dico che non avrei mai pensato che ti facessi trattare come una …..”
“Una puttana, vuoi dire?”
Non risposi. Zia Rachele sospirò profondamente, poi mi si rivolse con tono amorevole:
“Vedi, Toruccio, la vita coniugale è fatta di tante cose, di tanti compromessi …. ed io, per salvare il matrimonio, ho dovuto subire anche delle violenze”.
La guardai in volto sgranando gli occhi. Lei mi prese le mani tra le sue e cominciò a raccontare:
“E’ accaduto molti anni fa, io ero ancora giovane, le tue cuginette erano piccole. Dato che io accudivo le bambine, lo zio aveva assunto due lavoranti che ci aiutavano nei lavori agricoli; uno di loro era un bel giovane, che non riusciva a nascondere la sua attrazione nei miei confronti. Ti confesso che io non ero insensibile alle sue attenzioni, il ragazzo mi piaceva e, forse anche involontariamente, glielo feci capire. Sta di fatto che un giorno, vedendomi casualmente entrare nella stalla, mi seguì furtivamente, richiuse la porta alle spalle e in quattro e quattr’otto mi schiacciò contro un muro e cominciò a baciarmi ed a palparmi tutta, tirando fuori le tette dal corpetto. Non mi opposi, lo lasciai fare; lui si mise a ciucciarmi i capezzoli, poi si sbottonò i pantaloni e tirò fuori il suo uccello. Il destino volle che proprio in quel momento lo zio aprisse la porta della stalla e ci sorprendesse in quella posa inequivocabile. Puoi immaginare la sua reazione. Si scaraventò sul giovanotto, lo prese a calci e pugni e lo cacciò via, intimandogli di non farsi vedere più. Poi mi venne vicino, mi mollò due ceffoni violentissimi, rovesciandomi addosso i peggiori epiteti. Non aveva tutti i torti lo zio. Non ci siamo separati per il bene delle figlie. Certo, col passare del tempo i nostri rapporti sono migliorati, ma da quel giorno ha continuato a chiamarmi puttana ed a trattarmi come tale. Capisci ora come stanno le cose? Ti ho confessato tutto perché penso che sei un ragazzo intelligente e sensibile e sicuramente potrai capirmi”.
Terminato il racconto, la zia mi aveva fatto alzare dalla sedia, mi avevo preso sottobraccio e mi aveva condotto nel tinello di casa, facendomi accomodare sul divano. La lunga confessione della zia mi aveva smosso, prima mi ero intenerito, poi il desiderio represso di lei aveva ripreso il sopravvento, tanto più che la porcona aveva dato il via ad un’abile opera di seduzione.
“Io mi sono confessata con te …. Tu perché non lo fai con la zia?... Dimmi, come va con le ragazze? …. Non mi dirai che ti diletti solo con le donnine di quei giornaletti?”
Mi stavo eccitando come un riccio, ero congestionato, respiravo a fatica. La zia si avvicinò ancora di più, poggiò la mano destra sulle mie ginocchia e risalì lungo la coscia fino a raggiungere il cazzo che scoppiava, cominciò a palparlo, mentre io cominciai ad ondeggiare il bacino in avanti per l’eccitazione.
“Zia, ti prego, se lo zio torna all’improvviso ... “.
“Stai tranquillo!... se arriva sentiamo il motore della macchina e l’abbaiare del cane…. ”.
La sua mano raggiunse il bordo del pantalone, dello slip, tirò fuori il mio cazzo svettante.
“Uhmm …questa sì che è una delizia! Come è sodo, bello, superbo!”
Io tremavo, mentre la sua mano andava su e giù in una estenuante, tenera carezza, andava in cerca delle palle, le palpava per poi ritornare sull’asta fremente. Abbassò la testa e la sua lingua cominciò a percorrere il cazzo dalla punta alla base fino a quando, con ingordigia, lo ingoiò e iniziò a succhiare come una forsennata. La base del cazzo chiusa dalle labbra, tutta la lunghezza dentro la bocca succhiante, la lingua che roteava attorno al glande. Come facesse non riuscivo a capire, fatto sta che mi faceva impazzire.
All’improvviso si staccò, mi prese per mano e mi condusse nella mia camera. Mi spogliò completamente, si sfilò il camicione e si manifestò in tutta la sua giunonica bellezza. Le tette erano enormi globi di latte, un po’ cadenti, il ventre bianco era un po’ arrotondato ma con poche smagliature, i fianchi larghi, lo cosce due colonne doriche, i polpacci induriti dal lavoro.
Si buttò sul letto trascinandomi su di lei. Il mio viso raggiunse i suoi seni, si inebriò di quella morbidezza, le mie labbra passavano da un capezzolo all’altro sino a quando zia Rachele cercò la mia bocca con la sua, la lingua oltrepassò l’arcata dentaria e cominciò a cercare ogni angolo del mio palato. Le mani corsero ai nostri sessi.
Anche se avevo letto sui libri, mai avevo immaginato che una donna potesse bagnarsi tanto. Dalla sua vagina colavano liquidi che bagnavano financo le cosce. Mi insegnò a penetrarla con le dita e a titillare il clitoride.
- Così Toruccio, sì…. vai, non ti fermare!
La sua mano continuava a segarmi e il mio cazzo che per un certo momento si era lievemente afflosciato riprese vigore. La masturbavo da venti minuti e non raggiungeva ancora l’orgasmo. Poi aprì le cosce e mi ordinò di cavalcarla. Ero inesperto, ma lei mi guidava, impugnò il cazzo e lo infilò nella sua fica spingendo in avanti il bacino. Era la prima volta che fottevo, ma riuscii ben presto ad adeguarmi al suo ritmo. Poi tirò fuori il cazzo dalla vagina e iniziò a strofinarlo sul clitoride.
“Da oggi voglio rifarmi un po’…. sai, un bel cazzo giovane è una manna… ah come mi fai godere!.... sì, sono una troia …. ma voglio essere la tua troiaaa!”
Uno scossone proprio forte e venne. In quel movimento il mio cazzo scivolò di nuovo dentro, sentivo le sue vibrazioni che da sole mi portarono all’orgasmo.
“Bellooo zia, magnificoooo!”
“Oh sì, mio caro nipotino, scarica tutto, riempimi!”.
Le sue vibrazioni si affievolirono mentre lunghi schizzi di sborra la inondavano. Restammo a lungo immobili, poi la zia si alzò, mi baciò sulle labbra e, prima di andare in bagno, mi disse:
“Grazie, Toruccio…. Vedrai, passerai una bella vacanza e la farai passare anche a me”.
E, in effetti, così fu. In quelle due settimane che restai suo ospite, la zia mi fece un corso accelerato di capacità amatoria, mi fece svuotare coglioni tutti i giorni, si fece scopare senza ritegno e senza risparmio, mi fece provare tutto, proprio tutto, anche il culo. E, sostituendomi in tutto e per tutto allo zio, io godevo a trattarla quasi con disprezzo, insultandola peggio del marito:
“Dai, puttanona, leccami il cazzo … e poi puliscimi il culo con quella lingua da scrofa!”
Oppure:
“Sì, allarga quelle chiappone chè te lo sfondo il culo, troia!”
Era lei che, abituata a quel tipo di rapporto, mi autorizzava, anzi mi incoraggiava a farlo.
Un esperienza travolgente, irripetibile, resa ancor più indimenticabile dal clima intrigante delle trovate, a volte comiche, che la zia si inventava quotidianamente per celare i nostri incontri agli occhi del marito. Come quel giorno che eravamo sul suo lettone a scopare selvaggiamente e, sentendo arrivare lo zio prima del previsto, inscenò che aveva delle fitte lancinanti al ventre e costrinse il poveretto a correre in paese a prelevare di corsa il medico curante. Naturalmente, noi riprendemmo a scopare tranquillamente e, quando il dottore arrivò, la zia si fece sfacciatamente trovare già ristabilita, gridando ad un miracolo di Santa Rita per una così subitanea guarigione. E il medico che si prodigava a spiegare allo zio Giacomo che certi fatti imponderabili spesso sono più efficaci di ogni medicina.
Mi chiavavo una inenarrabile porcona e insieme godevamo al quadrato a cornificare quel rozzo coglione del marito. E scoprii che fottere è tutt’altra cosa che masturbarsi: più scopavo più guadagnavo in vigoria e salute, anche perché la zia mi ricaricava a tavola con uovo sbattuto alla marsala a colazione e carne alla brace a pranzo.
Tornai a casa spremuto ma rinfrancato, con il viso più paffuto e il colorito più vivace, per la contentezza di mamma che non la finiva di ringraziare la sorella. La cura di zia Rachele mi aveva fatto bene, grazie a lei avevo superato il secondo e più vero esame di maturità. Ero davvero pronto per affrontare l’università e … le donne di città.
scritto il
2012-03-07
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