Io, corrotta da mio marito. - 23
di
Ludovica e Luigi
genere
trio
Per i primi due giorni successivi non parlai con nessuno. Rimasi a letto,quasi sempre sveglia, a rimuginare tutto ciò che ruotava attorno al mio stato. Il primo interrogativo che mi ronzava nella testa era, ovviamente, chi dei miei quattro amanti era il padre del figlio che avevo nel ventre. Nel tentativo di dipanare la matassa mi era chiaro che non potevo escludere nessuno dei quattro. Neanche il calcolo delle probabilità poteva incidere nell'indagine. Infatti, in base alla matematica, Jeff e Luisa dovevano essere annoverati tra i più probabili; un po` meno il "cornuto" e Giuseppe. Poi, con incoscienza, mi cimentai a stilare un ordine di preferenza da parte mia: Jeff, in testa; seguito da Luisa, la mia amante trav ; infine, sullo stesso piano gli altri due. Arrossii per aver pensato che mio figlio potesse essere di Luisa. Mi emozionai, e piansi di commozione, a pensare che il mio ovulo potesse essere stato fecondato da Jeff. Mi mancava e mi disperai al pensiero che anche se fosse suo, il mio bambino, non l'avrebbe mai conosciuto. Luigi me l'aveva strappato. Lo odiai per la freddezza di aver pianificato anche l'uscita di scena della persona che mi aveva plasmata e che mi aveva fatto scoprire la mia vera anima che era nascosta anche a me. Come conseguenza portai le dita sul marchio che portavo sulla natica e ne percorsi i contorni in rilievo che il ferro incandescente mi aveva impresso irreversibilmente. Poi, tirai gli anelli che mi aveva fatto infiggere ai capezzoli ed alle labbra della mia fica. Per ultimo, visitai le cicatrici che le sigarette di Jeff e Luisa mi avevano lasciato su entrambe le clavicole. Rabbrividii e sentii il vuoto allo stomaco. In quel momento pensai di voler avere quel bambino e che avrei lottato per evitare che la decisione di mio marito prevalesse sulla mia volontà di portare a termine la gravidanza. Già : ero certissima che Luigi, non appena gli avrei comunicato che ero incinta, avrebbe, sicuramente, deciso di farmi abortire. Ma subito mi disperai perché sapevo che nulla avrei potuto fare: avrebbe risolto la questione secondo il suo pragmatico modo di condurre le vicende, anche quelle che riguardavano la mia sfera intima. Ancora una volta avrei lasciato imporre il suo cinico volere. Dovevo trovare il modo di contattare Jeff e scongiurarlo di portarmi via; spiegargli che doveva, per salvare il... suo? bambino...
Mi addormentai, esausta, all'ineluttabilita` che nessuno poteva salvare il mio bambino.
Dopo due giorni a casa, decisi di tornare al lavoro. Avevo bisogno di allentare la mia angoscia, obliando la disillusione dall'aver vissuto il sogno di appartenere a Jeff; la speranza di dare un premio alla mia abnegazione ed ai miei sacrifici. Tolsi gli anelli dai capezzoli e dalle labbra vaginali e li gettai.
In ufficio, trovai le mie colleghe che cercarono di avere certezze dei loro sospetti, più che gioire del mio ritorno. Intuii che anche le altre due erano al corrente della mia tresca con Giuseppe. Come dubitare? Amaramente, conclusi che, "mal comune mezzo gaudio", era il sentimento che le riscattava. Anche io ero come loro: puttana, facile ad allargare le gambe. E non potevo che concordare.
Giuseppe mi chiamò nella sua stanza e mi assegnò degli incarichi che "spettavano" solo a me, blandendomi con elogi per la mia capacità di disempegnarmi nel lavoro con serietà, riservatezza e capacità. Mi anticipo` che la preparazione di quelle pratiche che mi affidava sarebbero servite per un incontro che dovevamo fare presso l' Istituto Regionale Finanziamenti. E pertanto, avrei dovuto accompagnarlo per un viaggio, fuori sede, di due giorni. Nel comunicarmelo, si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò ponendosi dietro le mie spalle. Mi abbracciò e cercò le mie labbra. Non collaborai e non risposi ai suoi baci. Mi infilò la mano tra le tette e poi tra le cosce. Era sicuro di trovarmi pronta. Mi chiese perché indossassi le mutandine e che ne era stato dei miei anelli. Rimasi zitta. Mi tiro` su dalla sedia e mi attrasse a lui facendomi sentire il turgore del suo cazzo. Mi disse che mi desiderava e che gli ero mancata e che il breve viaggio sarebbe stato utile per ravvivare la nostra relazione. Gli dissi:
"sono incinta".
L'espressione del suo viso si cristallizzo` nel disegno delle sue labbra: in quell'atteggiamento potei leggere stupore, disappunto, preoccupazione. Parlai io per lui, essendo più che certa che avrebbe detto delle banalità. Gli spiegai le circostanze, che quindi lui poteva essere il padre del bimbo pur senza certezza. Che il mio padrone era stato estromesso dalla mia vita in maniera definitiva e che volevo troncare la relazione di sua concubina. Infine, che subito dopo la gravidanza non sarei più tornata al lavoro. Che avevo intuito che in ufficio sapessero tutti che eravamo amanti. Che, quindi, non sarei andata con lui per quel breve viaggio ma avrei preparato il lavoro che mi aveva chiesto. Detto questo, mi girai ed uscii. Di lui, nessuna reazione degna di un uomo che si possa definire tale.
La sera, affrontai Luigi in auto perché non volevo contaminare il clima di casa,angustiando i miei figli. Appena salita in auto gli chiesi di allontanarci dal piazzale dello stabilimento e di fermare l'auto. Appena arrestata l'auto, senza dargli tempo di fare la domanda, scontata, su cosa mi fosse successo, gli dissi con voce priva di alcuna emozione: "sono incinta. Non so chi di voi quattro sia il padre del bambino. Sono al secondo mese di gravidanza. Voglio tenere mio figlio e tu non ti opporrai. Ho troncato la tresca con Giuseppe che è al corrente che il bambino potrebbe essere suo ma non ha aperto bocca. Gli ho, virtualmente, rassegnato le dimissioni, a partire dal mese successivo alla conclusione del periodo di licenza di maternità dopo che avrò partorito mio figlio. Tu ed io lo cresceremo insieme e gli darai, ovviamente, il tuo nome. Non accetto altra decisione "
Riavvio` il motore. Guidò piano, senza parlare, fino a casa. Tremavo perché conoscevo quel silenzio: presto avrei saputo la sua decisione racchiusa in poche, secche, parole che non avrebbero ammesso repliche ed opposizioni.
Entrati in ascensore, pigiato il tasto di avvio, disse senza tradire nervosismo: "domani mattina andrai dal mio amico ginecologo; gli darò istruzioni e lui le darà a te per le pratiche relative all'aborto. Con Giuseppe, parlerò io e non ci sarà alcuna dimissione ne` troncamento della relazione tra voi."
Apri`la porta introducendoci ai nostri figli: " siamo qui, si cena".
Quella notte mi prese, nonostante il mio vano tentativo di rifiuto e, mentre godeva nell'utero già pregno, mi disse: "tu ed io siamo indissolubili, nel compromesso, nelle nequizie, nella dissoluzione, nell'immoralità e nell'amoralità. Dimentica Jeff: lui e`stato lo strumento che avevamo bisogno per demolire ogni tua remora nel donarti a me oltre ogni limite. Ti sperperero` fino alla fine e rinascerai ogni volta. Appena ti riprenderai dall'aborto faremo un viaggio indimenticabile e perderai questa acrimonia e questa malmostosita` che ti ostini a conservare. Ti anticipo un nome "Abdullah" che non scorderai mai". Bacio`il mio viso rigato di lacrime e si girò per dormire. Io non potei chiudere occhio e, nel marasma di quella notte bianca, ricordai quel sogno che avevo fatto qualche mese prima e dimenticato.
"visi di uomini senza identità,un bambino senza volto, piccolo come un micino, ed io che piangevo."
Piansi tutta la notte e quelle lacrime spazzarono il ricordo di Jeff.
Mi addormentai, esausta, all'ineluttabilita` che nessuno poteva salvare il mio bambino.
Dopo due giorni a casa, decisi di tornare al lavoro. Avevo bisogno di allentare la mia angoscia, obliando la disillusione dall'aver vissuto il sogno di appartenere a Jeff; la speranza di dare un premio alla mia abnegazione ed ai miei sacrifici. Tolsi gli anelli dai capezzoli e dalle labbra vaginali e li gettai.
In ufficio, trovai le mie colleghe che cercarono di avere certezze dei loro sospetti, più che gioire del mio ritorno. Intuii che anche le altre due erano al corrente della mia tresca con Giuseppe. Come dubitare? Amaramente, conclusi che, "mal comune mezzo gaudio", era il sentimento che le riscattava. Anche io ero come loro: puttana, facile ad allargare le gambe. E non potevo che concordare.
Giuseppe mi chiamò nella sua stanza e mi assegnò degli incarichi che "spettavano" solo a me, blandendomi con elogi per la mia capacità di disempegnarmi nel lavoro con serietà, riservatezza e capacità. Mi anticipo` che la preparazione di quelle pratiche che mi affidava sarebbero servite per un incontro che dovevamo fare presso l' Istituto Regionale Finanziamenti. E pertanto, avrei dovuto accompagnarlo per un viaggio, fuori sede, di due giorni. Nel comunicarmelo, si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò ponendosi dietro le mie spalle. Mi abbracciò e cercò le mie labbra. Non collaborai e non risposi ai suoi baci. Mi infilò la mano tra le tette e poi tra le cosce. Era sicuro di trovarmi pronta. Mi chiese perché indossassi le mutandine e che ne era stato dei miei anelli. Rimasi zitta. Mi tiro` su dalla sedia e mi attrasse a lui facendomi sentire il turgore del suo cazzo. Mi disse che mi desiderava e che gli ero mancata e che il breve viaggio sarebbe stato utile per ravvivare la nostra relazione. Gli dissi:
"sono incinta".
L'espressione del suo viso si cristallizzo` nel disegno delle sue labbra: in quell'atteggiamento potei leggere stupore, disappunto, preoccupazione. Parlai io per lui, essendo più che certa che avrebbe detto delle banalità. Gli spiegai le circostanze, che quindi lui poteva essere il padre del bimbo pur senza certezza. Che il mio padrone era stato estromesso dalla mia vita in maniera definitiva e che volevo troncare la relazione di sua concubina. Infine, che subito dopo la gravidanza non sarei più tornata al lavoro. Che avevo intuito che in ufficio sapessero tutti che eravamo amanti. Che, quindi, non sarei andata con lui per quel breve viaggio ma avrei preparato il lavoro che mi aveva chiesto. Detto questo, mi girai ed uscii. Di lui, nessuna reazione degna di un uomo che si possa definire tale.
La sera, affrontai Luigi in auto perché non volevo contaminare il clima di casa,angustiando i miei figli. Appena salita in auto gli chiesi di allontanarci dal piazzale dello stabilimento e di fermare l'auto. Appena arrestata l'auto, senza dargli tempo di fare la domanda, scontata, su cosa mi fosse successo, gli dissi con voce priva di alcuna emozione: "sono incinta. Non so chi di voi quattro sia il padre del bambino. Sono al secondo mese di gravidanza. Voglio tenere mio figlio e tu non ti opporrai. Ho troncato la tresca con Giuseppe che è al corrente che il bambino potrebbe essere suo ma non ha aperto bocca. Gli ho, virtualmente, rassegnato le dimissioni, a partire dal mese successivo alla conclusione del periodo di licenza di maternità dopo che avrò partorito mio figlio. Tu ed io lo cresceremo insieme e gli darai, ovviamente, il tuo nome. Non accetto altra decisione "
Riavvio` il motore. Guidò piano, senza parlare, fino a casa. Tremavo perché conoscevo quel silenzio: presto avrei saputo la sua decisione racchiusa in poche, secche, parole che non avrebbero ammesso repliche ed opposizioni.
Entrati in ascensore, pigiato il tasto di avvio, disse senza tradire nervosismo: "domani mattina andrai dal mio amico ginecologo; gli darò istruzioni e lui le darà a te per le pratiche relative all'aborto. Con Giuseppe, parlerò io e non ci sarà alcuna dimissione ne` troncamento della relazione tra voi."
Apri`la porta introducendoci ai nostri figli: " siamo qui, si cena".
Quella notte mi prese, nonostante il mio vano tentativo di rifiuto e, mentre godeva nell'utero già pregno, mi disse: "tu ed io siamo indissolubili, nel compromesso, nelle nequizie, nella dissoluzione, nell'immoralità e nell'amoralità. Dimentica Jeff: lui e`stato lo strumento che avevamo bisogno per demolire ogni tua remora nel donarti a me oltre ogni limite. Ti sperperero` fino alla fine e rinascerai ogni volta. Appena ti riprenderai dall'aborto faremo un viaggio indimenticabile e perderai questa acrimonia e questa malmostosita` che ti ostini a conservare. Ti anticipo un nome "Abdullah" che non scorderai mai". Bacio`il mio viso rigato di lacrime e si girò per dormire. Io non potei chiudere occhio e, nel marasma di quella notte bianca, ricordai quel sogno che avevo fatto qualche mese prima e dimenticato.
"visi di uomini senza identità,un bambino senza volto, piccolo come un micino, ed io che piangevo."
Piansi tutta la notte e quelle lacrime spazzarono il ricordo di Jeff.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Io, corrotta da mio marito. - 22racconto sucessivo
Io, corrotta da mio marito. - 24
Commenti dei lettori al racconto erotico