Nell'alba incerta
di
lewarcher
genere
pulp
Custodisco questa torre da vent’anni, mia adorata e lontanissima Rachele. Baluardo abbandonato fra distese sempre uguali di pianura e un’oscura inestricabile foresta.
Mio padre morì – quando il mondo era diverso – combattendo un’invasione disumana. Mia madre e mia sorella, subita ogni violenza, furono deportate nelle regioni del Nord. Novecentosessantuno anni di civiltà fiorita sulla striscia di confine furono devastati e cancellati, in un tremendo battito di ciglia, da orde sanguinarie e analfabete. Non ne rimane più nulla, solo la pace di queste colline, il segreto mormorare della foresta, le spirali dei corvi nel cielo sopra la torre.
Fu nel cuore dell’alba più incerta (proprio allora) che mio nonno salvò i libri, memoria dimenticata di un progresso annientato. Li nascose in questa torre di cui sono il guardiano, sentinella della gialla pianura e della foresta. Non ricordo il mio nome. Poco importa. Ricordo solo il tuo, dolce Rachele.
La notte fu ricca di stelle e pensieri, all’alba mi punge la voglia di leggere. Sollevo la coperta, gonfio i muscoli e li tendo, questo corpo nudo è rassegnato a non appartenere più a nessuno. Eppure, se tu fossi qui, i tuoi occhi incandescenti abbraccerebbero le spalle del soldato e le mie mani larghe, su cui scherzando, un tempo, ridevi dei miei calli… non mi permetteresti di scendere dal letto, “Nessuno ci aspetta” diresti, come allora... tu, elettrica strega, disegneresti trame con le unghie sul mio petto, scorreresti sul mio addome come l’acqua benedetta, spoglieresti la cappella dalla pelle che la veste, lisceresti il frenulo, accoglieresti i miei testicoli gonfi nella tua piccola mano puttana… E il dolore, tutto quel nostro infinito dolore, non sarebbe mai esistito.
La stanza è invasa dalla luce, metto un piede sul pavimento, incontro una pozzanghera gelata… il libro è ancora aperto come ieri sera. Salgo al piano di sopra, mangio una scialba razione saccheggiata dalla mensa militare, mi siedo come ogni volta sul davanzale (la schiena appoggiata allo stipite, un piede penzolante dentro e l’altro fuori, nel vuoto). Ho il libro in una mano e nell’altra l’obelisco del mio cazzo palpitante di vene, carne e sangue, ingenuo e lascivo come un turgido animale lussurioso.
La foresta è intatta, inaccessibile. Gli esploratori, i nostri cacciatori, ci si avventuravano impauriti e raramente. Ne ricordo uno che tornò… mutilato, torturato, impazzito… Quali mostri vivano nella foresta non lo conosce nessuno. Io la sorveglio da questa mia torre sicura. Un giorno avvisto un cervo, altre volte credo di vedere alcuni roditori che si arrischiano oltre il muro dei tronchi, altre volte giurerei di stare adocchiando un cinghiale… La sera la mia stanza è illuminata da lampade potenti, antidoto alla mia tetra inquietudine.
Le mie armi in abbandono sono sparse al pianterreno. Vivo completamente nudo. Da 1521 giorni non esco dalla torre. Li conto ripiegando un angolino delle pagine dell’Enciclopedia dei Sogni Erotici dei Santi e delle Sante, dono di tua madre alla mia.
Tra gli oggetti ereditati da mio nonno c’è un binocolo militare. Me ne servo per spiare oltre la prima fila dei tronchi. Ma la foresta è buia, il binocolo diventa presto inutile.
Piccoli animali ciondolanti fra l’erba, stormi di passaggio appollaiati sui rami… e un improvviso bagliore riflesso da lenti simili alle mie… sono a mia volta spiato?... il lampo si dilegua e rimango a dubitare di quello che ho visto, Rachele…
L’immane solitudine cui ero rassegnato si dilegua nel sospetto che un cerchio visuale racchiuda me e un altro essere umano. Da quanto tempo potrei essere osservato? E da chi? mi domando segandomi assorto e frugando col binocolo fra i rami… Non ti vedo, amico, sei sempre lì? Sento il mio cazzo tendersi come una molla di carne, i vermoni gonfi delle vene affondano nei corpi cavernosi e poi riaffiorano bollenti e palpitanti a una passata dopo l’altra del mio pugno, la cappella freme come il cuore di un capretto… mi inginocchio a gambe large sopra il davanzale, masturbandomi sperando che mi veda… sì, godo… godi anche tu… godiamo insieme… un guizzo di luce! mi guardi allora!... aaahhh… getto archi… lucenti… di sperma… nel vuoto oltre i confini della torre… verso la tua bocca sconosciuta…
La mattina, l’indomani, trovo una lepre e due pernici deposte ai piedi della torre… Sorrido. Sono felice che tu sia là fuori. Abbiamo stabilito il nostro patto? Ti omaggio apertamente col mio nuovo sperma caldo, frutto del riposo di stanotte. Poi scendo, recupero il pranzo e la cena di oggi e di domani…
Quante pagine, le nostre, segna l’Enciclopedia? Vediamo…1529… otto giorni che tu apprezzi la mia offerta ricambiandola col cibo… forse anche tu, là in mezzo alle ramaglie, strofini il tuo cazzo col mio… oppure forse gemi di piacere dissolvendoti nei fiotti della figa…
Grazie al mio imprevisto ammiratore guarda che cenetta succulenta c’è per noi, dolce Rachele…
Le nubi, ecco… nubi nere di tempesta che si addensano stasera sulle cime innumerevoli degli alberi… lampi… presagi…la pianura è distesa come una pagina bianca, la foresta è densa e indecifrabile e attraente… leggo alla pagina 1548 che il padre di Santa Cristina, strappatale la tunica di dosso, la fece incatenare per frustarla nuda lui personalmente… Santa Giuliana, visitata in carcere dal Diavolo sotto forma di angelo, fu scaltra a smascherarlo, lo aggredì immobilizzandolo, gli disfece i nodi della veste sui suoi peli da caprone… il legno della sedia è reso tiepido dai miei testicoli… mi confondo, non so per chi, non so più neanche come… da tre giorni, ormai, la porta al piano terra è semichiusa…
I cardini… lo scatto di una serratura che si chiude tra me (tra noi) e l’esterno… sull’interminabile sequela dei gradini sento i passi! Passi circospetti di due piedi scalzi, l’inconfondibile pressione delle punte e dei calcagni sulla pietra, adagio… più su… ancora più su… sì, vieni, risali questa torre, amore mio, penetrala più a fondo, più su…
Spengo tutte le luci. Il barlume fioco di una piccola candela sale a far tremolare le ombre sulle pareti. Il gelo di un lampo, lo schianto di un tuono e la porta che si apre alle mie spalle… la sento con l’udito di chi ha familiare ogni suono generato dalla torre… C’è umido, sai, questa sera, malinconica Rachele… l’odore delle foglie marcite entra dalla finestra, portato dal vento, entra dalla porta accompagnato a questo mio visitatore notturno…
Solennemente, quasi, mi alzo in piedi, lasciando che mi esamini la schiena, il sedere, le gambe… mi giro… e dunque ti mostri ai miei occhi, silenziosa donna cacciatrice, vestita di luridi stracci…
La cappella di quest’uomo (io) attorcigliato nei suoi sogni si solleva srotolandosi la pelle di dosso, i coglioni sono ampolle ribollenti che ti dono, mi sputo nella mano per segarmi mentre guardo i movimenti con cui scacci dal tuo corpo gli indumenti e, completamente nuda, ti abbandoni nel mio letto… sinuosa arroganza del tuo corpo seducente… le tue tette modellate di sciamana, la tua figa in cui scompaiono e riappaiono le dita che ci anneghi, i tuoi piedi (i magnifici piedi arcuati nelle piante e sui dorsi) in dissoluta contrazione… ti raggiungo… finalmente evolve in coito, la masturbazione…
Dalla finestra aperta, spalancata, la pioggia monotona e grama imperversa sui nostri corpi in affanno, sulla mia schiena che spinge, ritira e riaffonda il mio cazzo stupefatto dal piacere. La tua figa è morbida e sugosa, bollente come il ventre di una lepre, le tue tette palpitano tese, la tua bocca spasima, la lingua riluce tra i denti come un rosso pesciolino… tutto il sapere dei libri non sa di quest’attimo in cui tu godi, ragazza cacciatrice…
Naturalmente sei un sicario… la tua mano scompare sotto il letto, abile nascondiglio del tuo pugnale… la lama ne riluce dentro un lampo, l’orrore, il dolore, la carne del mio collo che si squarcia, il sangue che ne sprizza e che ti lava… fallisce così, ovviamente ingannato, quest’ultimo (inadatto) custode della torre…
I tuoi compagni selvaggi ora scalpitano sulle scale… urla, bestemmie, risa di animali… gli scaffali si rovesciano, l’incendio, la sconfitta, l’oltraggio dei libri… guardo nei tuoi occhi accesi, verdi come il cuore della foresta che ti manda… ombre infernali accolgono il mio sguardo mentre sprizzo dal collo e dal cazzo… che orgasmo mi uccide, Rachele!
Mio padre morì – quando il mondo era diverso – combattendo un’invasione disumana. Mia madre e mia sorella, subita ogni violenza, furono deportate nelle regioni del Nord. Novecentosessantuno anni di civiltà fiorita sulla striscia di confine furono devastati e cancellati, in un tremendo battito di ciglia, da orde sanguinarie e analfabete. Non ne rimane più nulla, solo la pace di queste colline, il segreto mormorare della foresta, le spirali dei corvi nel cielo sopra la torre.
Fu nel cuore dell’alba più incerta (proprio allora) che mio nonno salvò i libri, memoria dimenticata di un progresso annientato. Li nascose in questa torre di cui sono il guardiano, sentinella della gialla pianura e della foresta. Non ricordo il mio nome. Poco importa. Ricordo solo il tuo, dolce Rachele.
La notte fu ricca di stelle e pensieri, all’alba mi punge la voglia di leggere. Sollevo la coperta, gonfio i muscoli e li tendo, questo corpo nudo è rassegnato a non appartenere più a nessuno. Eppure, se tu fossi qui, i tuoi occhi incandescenti abbraccerebbero le spalle del soldato e le mie mani larghe, su cui scherzando, un tempo, ridevi dei miei calli… non mi permetteresti di scendere dal letto, “Nessuno ci aspetta” diresti, come allora... tu, elettrica strega, disegneresti trame con le unghie sul mio petto, scorreresti sul mio addome come l’acqua benedetta, spoglieresti la cappella dalla pelle che la veste, lisceresti il frenulo, accoglieresti i miei testicoli gonfi nella tua piccola mano puttana… E il dolore, tutto quel nostro infinito dolore, non sarebbe mai esistito.
La stanza è invasa dalla luce, metto un piede sul pavimento, incontro una pozzanghera gelata… il libro è ancora aperto come ieri sera. Salgo al piano di sopra, mangio una scialba razione saccheggiata dalla mensa militare, mi siedo come ogni volta sul davanzale (la schiena appoggiata allo stipite, un piede penzolante dentro e l’altro fuori, nel vuoto). Ho il libro in una mano e nell’altra l’obelisco del mio cazzo palpitante di vene, carne e sangue, ingenuo e lascivo come un turgido animale lussurioso.
La foresta è intatta, inaccessibile. Gli esploratori, i nostri cacciatori, ci si avventuravano impauriti e raramente. Ne ricordo uno che tornò… mutilato, torturato, impazzito… Quali mostri vivano nella foresta non lo conosce nessuno. Io la sorveglio da questa mia torre sicura. Un giorno avvisto un cervo, altre volte credo di vedere alcuni roditori che si arrischiano oltre il muro dei tronchi, altre volte giurerei di stare adocchiando un cinghiale… La sera la mia stanza è illuminata da lampade potenti, antidoto alla mia tetra inquietudine.
Le mie armi in abbandono sono sparse al pianterreno. Vivo completamente nudo. Da 1521 giorni non esco dalla torre. Li conto ripiegando un angolino delle pagine dell’Enciclopedia dei Sogni Erotici dei Santi e delle Sante, dono di tua madre alla mia.
Tra gli oggetti ereditati da mio nonno c’è un binocolo militare. Me ne servo per spiare oltre la prima fila dei tronchi. Ma la foresta è buia, il binocolo diventa presto inutile.
Piccoli animali ciondolanti fra l’erba, stormi di passaggio appollaiati sui rami… e un improvviso bagliore riflesso da lenti simili alle mie… sono a mia volta spiato?... il lampo si dilegua e rimango a dubitare di quello che ho visto, Rachele…
L’immane solitudine cui ero rassegnato si dilegua nel sospetto che un cerchio visuale racchiuda me e un altro essere umano. Da quanto tempo potrei essere osservato? E da chi? mi domando segandomi assorto e frugando col binocolo fra i rami… Non ti vedo, amico, sei sempre lì? Sento il mio cazzo tendersi come una molla di carne, i vermoni gonfi delle vene affondano nei corpi cavernosi e poi riaffiorano bollenti e palpitanti a una passata dopo l’altra del mio pugno, la cappella freme come il cuore di un capretto… mi inginocchio a gambe large sopra il davanzale, masturbandomi sperando che mi veda… sì, godo… godi anche tu… godiamo insieme… un guizzo di luce! mi guardi allora!... aaahhh… getto archi… lucenti… di sperma… nel vuoto oltre i confini della torre… verso la tua bocca sconosciuta…
La mattina, l’indomani, trovo una lepre e due pernici deposte ai piedi della torre… Sorrido. Sono felice che tu sia là fuori. Abbiamo stabilito il nostro patto? Ti omaggio apertamente col mio nuovo sperma caldo, frutto del riposo di stanotte. Poi scendo, recupero il pranzo e la cena di oggi e di domani…
Quante pagine, le nostre, segna l’Enciclopedia? Vediamo…1529… otto giorni che tu apprezzi la mia offerta ricambiandola col cibo… forse anche tu, là in mezzo alle ramaglie, strofini il tuo cazzo col mio… oppure forse gemi di piacere dissolvendoti nei fiotti della figa…
Grazie al mio imprevisto ammiratore guarda che cenetta succulenta c’è per noi, dolce Rachele…
Le nubi, ecco… nubi nere di tempesta che si addensano stasera sulle cime innumerevoli degli alberi… lampi… presagi…la pianura è distesa come una pagina bianca, la foresta è densa e indecifrabile e attraente… leggo alla pagina 1548 che il padre di Santa Cristina, strappatale la tunica di dosso, la fece incatenare per frustarla nuda lui personalmente… Santa Giuliana, visitata in carcere dal Diavolo sotto forma di angelo, fu scaltra a smascherarlo, lo aggredì immobilizzandolo, gli disfece i nodi della veste sui suoi peli da caprone… il legno della sedia è reso tiepido dai miei testicoli… mi confondo, non so per chi, non so più neanche come… da tre giorni, ormai, la porta al piano terra è semichiusa…
I cardini… lo scatto di una serratura che si chiude tra me (tra noi) e l’esterno… sull’interminabile sequela dei gradini sento i passi! Passi circospetti di due piedi scalzi, l’inconfondibile pressione delle punte e dei calcagni sulla pietra, adagio… più su… ancora più su… sì, vieni, risali questa torre, amore mio, penetrala più a fondo, più su…
Spengo tutte le luci. Il barlume fioco di una piccola candela sale a far tremolare le ombre sulle pareti. Il gelo di un lampo, lo schianto di un tuono e la porta che si apre alle mie spalle… la sento con l’udito di chi ha familiare ogni suono generato dalla torre… C’è umido, sai, questa sera, malinconica Rachele… l’odore delle foglie marcite entra dalla finestra, portato dal vento, entra dalla porta accompagnato a questo mio visitatore notturno…
Solennemente, quasi, mi alzo in piedi, lasciando che mi esamini la schiena, il sedere, le gambe… mi giro… e dunque ti mostri ai miei occhi, silenziosa donna cacciatrice, vestita di luridi stracci…
La cappella di quest’uomo (io) attorcigliato nei suoi sogni si solleva srotolandosi la pelle di dosso, i coglioni sono ampolle ribollenti che ti dono, mi sputo nella mano per segarmi mentre guardo i movimenti con cui scacci dal tuo corpo gli indumenti e, completamente nuda, ti abbandoni nel mio letto… sinuosa arroganza del tuo corpo seducente… le tue tette modellate di sciamana, la tua figa in cui scompaiono e riappaiono le dita che ci anneghi, i tuoi piedi (i magnifici piedi arcuati nelle piante e sui dorsi) in dissoluta contrazione… ti raggiungo… finalmente evolve in coito, la masturbazione…
Dalla finestra aperta, spalancata, la pioggia monotona e grama imperversa sui nostri corpi in affanno, sulla mia schiena che spinge, ritira e riaffonda il mio cazzo stupefatto dal piacere. La tua figa è morbida e sugosa, bollente come il ventre di una lepre, le tue tette palpitano tese, la tua bocca spasima, la lingua riluce tra i denti come un rosso pesciolino… tutto il sapere dei libri non sa di quest’attimo in cui tu godi, ragazza cacciatrice…
Naturalmente sei un sicario… la tua mano scompare sotto il letto, abile nascondiglio del tuo pugnale… la lama ne riluce dentro un lampo, l’orrore, il dolore, la carne del mio collo che si squarcia, il sangue che ne sprizza e che ti lava… fallisce così, ovviamente ingannato, quest’ultimo (inadatto) custode della torre…
I tuoi compagni selvaggi ora scalpitano sulle scale… urla, bestemmie, risa di animali… gli scaffali si rovesciano, l’incendio, la sconfitta, l’oltraggio dei libri… guardo nei tuoi occhi accesi, verdi come il cuore della foresta che ti manda… ombre infernali accolgono il mio sguardo mentre sprizzo dal collo e dal cazzo… che orgasmo mi uccide, Rachele!
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