La donna in vetrina
di
lewarcher
genere
etero
Torino emana un fascino scontroso, mi attira e mi allontana con la grazia di una donna che desidero scopare. Bighellono per via Garibaldi atteggiandomi come il Marlon Brando di Ultimo Tango a Parigi… come lui porto un soprabito cammello, come lui non ho nessuno accanto a me... È venerdì, manca poco all’ora di cena. Fa freddo, così mi stringo il collo dentro i lembi del cappotto mentre adocchio le passanti con smorfie da cretino… In realtà non ho un cazzo da fare e allora il trambusto che mi macina dentro trova il modo di salire a stritolarmi cuore e coronarie con la cruda spietatezza di un vecchio nemico. Per questo faccio gli occhi seducenti alle passanti, così mi viene da ridere e frego il mio stupido dolore…
Mi punge la voglia di un vodka-martini… al Garibaldi c’è una bella vita, ma al Francia noto un cespo di fighe da leccarsi i baffi… colleghe che se la ridono meravigliosamente… una di loro (mora e boccoluta, con due splendidi riflessi di ossidiana dentro gli occhi) coprendosi le labbra con le dita mi indirizza una sbirciata niente male…
Le vetrine scintillanti rallentano le gambe e irretiscono gli sguardi, che si attardano ammirati a curiosare tra i prodigi espositivi di una delle shopping streets più famose d’Italia… prodigi espositivi, appunto… e anch’io mi sto fermando, a quanto pare…
Sotto l’insegna di un atelier di grido c’è una giovane coppia abbracciata. Mentre mi avvicino lei gli piazza un ceffone che neanche il divo Bud... Subito mi scappa da ridere, ma in breve spiando mi monta il sospetto che non sia soltanto per un’incazzatura che le guance le sono diventate belle rosse… che mistero ci sarà in questa vetrina? Eppure, contiene un semplice manichino… La coppia si allontana, io mi accosto al vetro e sgrano gli occhi… Una donna… una donna viva in carne e ossa, porca puttana!... e il mio cazzo nei boxer si sveglia pulsando…
C’è musica da strada, questa sera. Un sassofonista lontano modula Careless Whisper nella baraonda del viavai. Una bolla spaziotemporale di silenzio compare ad avvolgere me e questa giovane modella… che rimane immobile professionalmente sulla sua seggiola vintage, il corpo fasciato da una semplice stola… Cristo, una vena dentro il mio cervello sta irrorando l’antro delle voglie più nascoste… Perlustro i dintorni con rapide occhiate, noto che la mora boccoluta e le sue amiche non ci sono più e decido di concedermi un istante di contemplazione impura della donna in vetrina.
La mia sensualità viaggia su strade contorte. Per cominciare, mi godo i suoi piedi. Arcuati, sinuosi, flessi sulle punte adagiate sul cremisi della moquette, sono i piedi perfetti per sedurmi con le loro dita lunghe, elegantemente noccolute, gli alluci ovali, le unghie rifilate e corte… si genera nella mia testa il profumo della pelle in mezzo alle sue dita, fantastico su come la mia lingua andrebbe a perlustrare quelle pieghe, disegnare scie salate sulle piante, assaggiare quei talloni… e rido tutt’a un tratto, che idiota!, sorprendendomi a mimare leccatine sconce soprappensiero… cazzo, mi vedono, ma chi se ne frega? Senti qua che uccello duro mi è venuto…
Mi incanta l’idea che la complessità del cosmo si sgranelli in minime figure armoniose come i piedi di questa modella. Ne sono talmente rapito che neanche mi accorgo che mi sta osservando. Che immane bifolco mi sento! Compio un balzo siderale con lo sguardo, scavalco a perdifiato tutto ciò che resta in mezzo e studio il suo viso… piacere di conoscerti, sognante incantatrice, ho in mente di violarti e tu lo sai, per quelli come noi un vetro antisfondamento ha la consistenza dell’aria…
Hai gli occhi del colore del caffè che vorrei bere. Lo vedi cosa accade oltre il fustagno abbottonato del mio cappotto? Segui il movimento delle dita mentre scacciano il cursore della zip confinandolo giù, nella commessura bassa della patta? Me la allargo al pari di una figa e ci sprofondo la mano massaggiandomi il pacco nei boxer, confuso tra i miei mobili testicoli e il turgore perentorio dell’amico… Astuta mannequin, tu guardi altrove, ma la pelle del tuo viso avvampa e me ne accorgo, malgrado il tuo trucco pesante…
Via Garibaldi brulica di gente mentre libero il mio cazzo nel riparo del cappotto… che frizzo delizioso gli regala la frescura della sera… con la punta delle dita, con morbosa voluttà, faccio scorrere la pelle del prepuzio via dal glande. La nuvola dei tuoi capelli tra il nero e il violetto somiglia a un casco d’edera pagano. I tuoi occhi mi sfuggono, mia seria e riservata eccitatrice, ma la tua bocca ha un fremito e la lingua percorre il tuo labbro per un interminabile secondo… mi accarezzo il cazzo lentamente mentre cerco i tuoi capezzoli al di là della stola…
Persone si accostano alla vetrina. Con circospezione faccio emergere le mani dal soprabito, estraggo il cellulare dando a intendere che leggo i messaggi nell’attesa che gli intrusi se ne vadano.
A un tratto rinvengo, il dubbio mi scuote, sussulto… davvero?... davvero sto insistendo a importunare questa povera donna al lavoro? Vattene, maiale!, mi dico… Ma quando sollevo lo sguardo per rassicurarti che sto per sparire, nei tuoi occhi neri di caffè non trovo niente che mi voglia scacciare. Anzi, il buio delle tue iridi mi lancia una sfida. Siamo soli, anche se c’è tanta gente intorno a noi… Faccio il gesto di mettermi la mano in una tasca e invece impugno il mio uccello minacciandolo: “Vuoi godere? Io ti farò sputare ogni goccia di sborra che hai dentro!”. Tu fingi che sia per un caso se la stola ti precipita sul gomito spogliandoti la piega dell’ascella. Sul collo ti pulsa una vena, la lecco… lo senti, tesoro?
Arroto il mio cazzo con un torpido vigore. La cappella oscilla percuotendo la fodera del mio soprabito come farebbe il muso di una vipera in cerca di un varco, le vene estromesse dal turgore dei miei corpi cavernosi si comprimono nel palmo della destra, con i polpastrelli della sinistra mi liscio lo scroto perfettamente glabro… annido il mio sguardo fra i tomboli di raso del tuo seno modellato dalla stola d’alta classe… e i capezzoli, Diocristo!... ti si imprimono i capezzoli sul velo sottilissimo con la solennità di due prodigi… appoggio la fronte sul vetro… hai le areole ampie che mi fanno impazzire… mi sego… le punte delle tette sono antenne che si tendono a soccorrere il mio orgasmo…
Mi riduco a uno sconcio spettacolo osceno, una frana che dirupa inarrestabile… tace il sassofonista in fondo al viale, la mia bocca spasimando appanna vetro… La tua bellezza ha il fascino di un angelo lascivo, sussurra alle pulsioni di un’infanzia abbandonata, sveglia un uomo sepolto nel profondo più recondito di me… io gemo… Mia immobile compagna, preziosa apparizione inaspettata, perdonami se godo su di te… Separi le ginocchia lentamente, le tue pupille oscure (che mi fissano) scompaiono a metà sotto le palpebre… schiudi le lunghe cosce sopra l’abside segreto del tuo sesso… La traforatura dei tuoi slip vela e disvela il tuo disegno delle labbra, la piega delle arricciature brune… che profumo ha la tua figa, amore mio, e com’è soffice scavarla con la lingua…
Spettatori, ormai, si assiepano per rompermi le palle… me ne frego... l’orgasmo mi formicola nel cazzo mentre sto facendo scorrere la lingua sul tuo breve perineo tormentato… solleva appena il culo, ecco… tesoro… così posso violarti tutta quanta… aaahhh, straripo… mi svuoto dello sperma fiotto a fiotto… ancora… e ancora…
“Sta male, signore?”… se sto male?... sorrido riprendendomi un poco alla volta col glande che ancora strofina la stoffa già intrisa di seme. Rigagnoli mi gocciano dal lembo del cappotto sulla punta della scarpa. “No, no… tutto bene…”. Ti guardo, ti ringrazio con tutto me stesso rimettendomi alla meglio, come posso. Vado via.
Torino è una città meravigliosa. Mi incammino in direzione dell’hotel accompagnato dalla brezza della sera. E non ho nemmeno preso il mio vodka-martini. Irene, Cristiana… porto in cuore una modella sconosciuta che lasciandomi mi ha fatto l’occhiolino.
Mi punge la voglia di un vodka-martini… al Garibaldi c’è una bella vita, ma al Francia noto un cespo di fighe da leccarsi i baffi… colleghe che se la ridono meravigliosamente… una di loro (mora e boccoluta, con due splendidi riflessi di ossidiana dentro gli occhi) coprendosi le labbra con le dita mi indirizza una sbirciata niente male…
Le vetrine scintillanti rallentano le gambe e irretiscono gli sguardi, che si attardano ammirati a curiosare tra i prodigi espositivi di una delle shopping streets più famose d’Italia… prodigi espositivi, appunto… e anch’io mi sto fermando, a quanto pare…
Sotto l’insegna di un atelier di grido c’è una giovane coppia abbracciata. Mentre mi avvicino lei gli piazza un ceffone che neanche il divo Bud... Subito mi scappa da ridere, ma in breve spiando mi monta il sospetto che non sia soltanto per un’incazzatura che le guance le sono diventate belle rosse… che mistero ci sarà in questa vetrina? Eppure, contiene un semplice manichino… La coppia si allontana, io mi accosto al vetro e sgrano gli occhi… Una donna… una donna viva in carne e ossa, porca puttana!... e il mio cazzo nei boxer si sveglia pulsando…
C’è musica da strada, questa sera. Un sassofonista lontano modula Careless Whisper nella baraonda del viavai. Una bolla spaziotemporale di silenzio compare ad avvolgere me e questa giovane modella… che rimane immobile professionalmente sulla sua seggiola vintage, il corpo fasciato da una semplice stola… Cristo, una vena dentro il mio cervello sta irrorando l’antro delle voglie più nascoste… Perlustro i dintorni con rapide occhiate, noto che la mora boccoluta e le sue amiche non ci sono più e decido di concedermi un istante di contemplazione impura della donna in vetrina.
La mia sensualità viaggia su strade contorte. Per cominciare, mi godo i suoi piedi. Arcuati, sinuosi, flessi sulle punte adagiate sul cremisi della moquette, sono i piedi perfetti per sedurmi con le loro dita lunghe, elegantemente noccolute, gli alluci ovali, le unghie rifilate e corte… si genera nella mia testa il profumo della pelle in mezzo alle sue dita, fantastico su come la mia lingua andrebbe a perlustrare quelle pieghe, disegnare scie salate sulle piante, assaggiare quei talloni… e rido tutt’a un tratto, che idiota!, sorprendendomi a mimare leccatine sconce soprappensiero… cazzo, mi vedono, ma chi se ne frega? Senti qua che uccello duro mi è venuto…
Mi incanta l’idea che la complessità del cosmo si sgranelli in minime figure armoniose come i piedi di questa modella. Ne sono talmente rapito che neanche mi accorgo che mi sta osservando. Che immane bifolco mi sento! Compio un balzo siderale con lo sguardo, scavalco a perdifiato tutto ciò che resta in mezzo e studio il suo viso… piacere di conoscerti, sognante incantatrice, ho in mente di violarti e tu lo sai, per quelli come noi un vetro antisfondamento ha la consistenza dell’aria…
Hai gli occhi del colore del caffè che vorrei bere. Lo vedi cosa accade oltre il fustagno abbottonato del mio cappotto? Segui il movimento delle dita mentre scacciano il cursore della zip confinandolo giù, nella commessura bassa della patta? Me la allargo al pari di una figa e ci sprofondo la mano massaggiandomi il pacco nei boxer, confuso tra i miei mobili testicoli e il turgore perentorio dell’amico… Astuta mannequin, tu guardi altrove, ma la pelle del tuo viso avvampa e me ne accorgo, malgrado il tuo trucco pesante…
Via Garibaldi brulica di gente mentre libero il mio cazzo nel riparo del cappotto… che frizzo delizioso gli regala la frescura della sera… con la punta delle dita, con morbosa voluttà, faccio scorrere la pelle del prepuzio via dal glande. La nuvola dei tuoi capelli tra il nero e il violetto somiglia a un casco d’edera pagano. I tuoi occhi mi sfuggono, mia seria e riservata eccitatrice, ma la tua bocca ha un fremito e la lingua percorre il tuo labbro per un interminabile secondo… mi accarezzo il cazzo lentamente mentre cerco i tuoi capezzoli al di là della stola…
Persone si accostano alla vetrina. Con circospezione faccio emergere le mani dal soprabito, estraggo il cellulare dando a intendere che leggo i messaggi nell’attesa che gli intrusi se ne vadano.
A un tratto rinvengo, il dubbio mi scuote, sussulto… davvero?... davvero sto insistendo a importunare questa povera donna al lavoro? Vattene, maiale!, mi dico… Ma quando sollevo lo sguardo per rassicurarti che sto per sparire, nei tuoi occhi neri di caffè non trovo niente che mi voglia scacciare. Anzi, il buio delle tue iridi mi lancia una sfida. Siamo soli, anche se c’è tanta gente intorno a noi… Faccio il gesto di mettermi la mano in una tasca e invece impugno il mio uccello minacciandolo: “Vuoi godere? Io ti farò sputare ogni goccia di sborra che hai dentro!”. Tu fingi che sia per un caso se la stola ti precipita sul gomito spogliandoti la piega dell’ascella. Sul collo ti pulsa una vena, la lecco… lo senti, tesoro?
Arroto il mio cazzo con un torpido vigore. La cappella oscilla percuotendo la fodera del mio soprabito come farebbe il muso di una vipera in cerca di un varco, le vene estromesse dal turgore dei miei corpi cavernosi si comprimono nel palmo della destra, con i polpastrelli della sinistra mi liscio lo scroto perfettamente glabro… annido il mio sguardo fra i tomboli di raso del tuo seno modellato dalla stola d’alta classe… e i capezzoli, Diocristo!... ti si imprimono i capezzoli sul velo sottilissimo con la solennità di due prodigi… appoggio la fronte sul vetro… hai le areole ampie che mi fanno impazzire… mi sego… le punte delle tette sono antenne che si tendono a soccorrere il mio orgasmo…
Mi riduco a uno sconcio spettacolo osceno, una frana che dirupa inarrestabile… tace il sassofonista in fondo al viale, la mia bocca spasimando appanna vetro… La tua bellezza ha il fascino di un angelo lascivo, sussurra alle pulsioni di un’infanzia abbandonata, sveglia un uomo sepolto nel profondo più recondito di me… io gemo… Mia immobile compagna, preziosa apparizione inaspettata, perdonami se godo su di te… Separi le ginocchia lentamente, le tue pupille oscure (che mi fissano) scompaiono a metà sotto le palpebre… schiudi le lunghe cosce sopra l’abside segreto del tuo sesso… La traforatura dei tuoi slip vela e disvela il tuo disegno delle labbra, la piega delle arricciature brune… che profumo ha la tua figa, amore mio, e com’è soffice scavarla con la lingua…
Spettatori, ormai, si assiepano per rompermi le palle… me ne frego... l’orgasmo mi formicola nel cazzo mentre sto facendo scorrere la lingua sul tuo breve perineo tormentato… solleva appena il culo, ecco… tesoro… così posso violarti tutta quanta… aaahhh, straripo… mi svuoto dello sperma fiotto a fiotto… ancora… e ancora…
“Sta male, signore?”… se sto male?... sorrido riprendendomi un poco alla volta col glande che ancora strofina la stoffa già intrisa di seme. Rigagnoli mi gocciano dal lembo del cappotto sulla punta della scarpa. “No, no… tutto bene…”. Ti guardo, ti ringrazio con tutto me stesso rimettendomi alla meglio, come posso. Vado via.
Torino è una città meravigliosa. Mi incammino in direzione dell’hotel accompagnato dalla brezza della sera. E non ho nemmeno preso il mio vodka-martini. Irene, Cristiana… porto in cuore una modella sconosciuta che lasciandomi mi ha fatto l’occhiolino.
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