Gloriose Figure di Merda - NNÒPTNNTE ovvero 1.500 lire
di
lewarcher
genere
comici
La meraviglia dell’anno scolastico è che finisce. Questa universale verità non è mai stata tanto vera come il 25 luglio del ’96, giorno del mio orale di maturità.
La mia Katia ha terminato una settimana fa (iniziale del cognome estratta a sorte…) e alla faccia dell’amore compartecipe è volata come un missile a Riccione, da dove mi raggiunge una sua bella cartolina datata 23. “Mettiglielo in culo. Ti penso. Katy”, mi scrive. “Prenditelo in culo. Ti penso. L.”, le rispondo onestamente nel mio cuore, ma nell’intimo subisco un’esplosione di dolcezza che ancora ricordo… Quella cartolina con le onde e i fidanzati limonanti nel tramonto di Riccione è qui sul mio tavolo adesso, tra il mouse e la tastiera… E il giorno dopo, in una busta da lettere, mi manda tre sue polaroid avvolte in un foglio a quadretti: “Buonasega!” mi scrive così, tutto attaccato, con tanti bei cazzetti colorati svolazzanti intorno… roba buona, foto degne di Turbo o Le Ore… le ho qui sotto gli occhi che ancora ingolosiscono il mio uccello… ma sentilo lo stronzo come cresce… vuoi uscire, vigliacco? Ti accontento… chiunque sia ad avergliele scattate…
Non è di Katia che parla questa mia Gloriosa Figura di Merda, ma della sua amica Martina…
L’estate del ’96 è bruciante, com’è bello che sia, e non afosa. Un tipo caloroso come me se le ricorda certe cose, soprattutto se il ricordo sensoriale si cementa in esperienze turbolente, materia gorgogliante per lo spirito di un diciottenne ignaro… Lo storico liceo che frequentiamo è nella parte vecchia di Verona. Katia è in classe con me, Martina in un’altra sezione (sperimentale). Katia e Martina si conoscono a pallavolo e diventano di colpo grandi amiche. Incontro Martina per la prima volta il pomeriggio in cui Katia la porta a casa mia per studiare insieme per l’esame.
Martina non è proprio il mio tipo. Io identifico il mio tipo femminile in Katia (un gran bell’osso duro volitivo, pane al pane e vino al vino, attiva socialmente, incazzatissima in favore dei diritti umani e acerrima nemica di ogni discriminazione. Sarà un ottimo medico, già a diciott’anni ha deciso che entrerà nei Medici senza Frontiere. Poi è mora, statuaria, sempre in tuta…). Martina è secca, mingherlina, con lunghissimi capelli castani, mi saluta impacciatissima porgendomi la mano, “piacere, Martina!”, con l’altra stringendosi i libri al reggiseno che le vedo sotto la t-shirt…
La mia casa ha un giardino molto grande. In un angolo c’è una bella pergola di legno coi vasi e i rampicanti, orgoglio di mia mamma. Ci mettiamo lì coi libri. Katia, seduta sul gradino, inizia a slacciarsi le scarpe, si toglie le calze. Martina la guarda, si siede accanto a lei, posa i libri e con grazia incomincia a sfiocchettare i lacci delle sue Superga. Io sono in bermuda e d’estate non indosso mai gli slip… Martina è seduta, io rimango in piedi al suo fianco. Katia si è alzata ed esibendo il suo magnifico culetto da modella va a sedersi al tavolo. Almeno lo penso, perché non lo posso ricordare. “Ma la pianti di guardarle le tette?”, Katia mi rimprovera infatti riscuotendomi da un sogno… spiavo il reggiseno di Martina nello scollo della sua maglietta… Martina mi sorride, andiamo a sederci…
Ci incontriamo quasi ogni pomeriggio. Il fratello di Martina lavora nel paese mio e di Katia, per pranzo torna a casa (nel paese confinante con il nostro, una decina circa di chilometri), prende Martina con sé, la porta da noi e la sera la riaccompagna a casa. Sul tavolo sotto la pergola mia mamma prepara vassoi di analcolici… noi la lasciamo fare, tanto in garage abbiamo una nostra riserva segreta… Come un rito le ragazze, ogni giorno e per prima cosa, si mettono scalze. Il terzo o quarto giorno Katia, ripassando geometria, mostra un’insofferenza al caldo che le fa piegare ambo le braccia sulla schiena, frugare con le mani sotto la maglietta e sganciarsi il reggiseno… con astute mosse femminili si fa scorrere sui gomiti spallina per spallina e rimane a seno nudo oltre il cotone lieve della sua t-shirt. Martina la guarda, io guardo Martina, ritorno a guardare le punte dei capezzoli di Katia che germogliano scolpendosi da dentro sul tessuto. Il mio cazzo s’indurisce come un torpido pitone. Martina flette le sue mani fra le scapole e si libera anche lei del reggiseno. “Dallo a me”, le dice Katia e lo nasconde insieme al suo dentro lo zaino. Io rimango con l’acume di un pangasio a contemplare quelle giovani tette sospese sul petto delle mie amiche. Da quel giorno in poi il rito delle scarpe includerà anche il rito del reggiseno…
Katia dà l’esame, parte per il mare, Martina continua a venire da me per studiare… non si toglie più le scarpe e il reggiseno, ma viene da me… io comincio ad accorgermi che è bellissima, con lei scherzo e mi trovo da Dio, ripassiamo greco e storia ammorbidendo i concetti con acqua tonica e gin…
“Venerdì do una festa a casa mia. Tu ci vieni?”. Il venerdì di cui parla Martina è il 26 luglio del ’96, il giorno dopo l’orale di maturità. Io la guardo nei suoi splendidi occhi d’ambra, un crampo mi attorciglia il cuore, le rispondo: “Certo, vengo con la macchina” accennando con scioltezza al garage in cui sono parcheggiate la Thema di mio padre e la 206 di mia madre. Lei fa un buffo sorrisetto e abbassa gli occhi. Il discorso cade. Questo succede di mercoledì: lo ricordo facilmente perché è il giorno dei funerali e la campana del duomo rintocca esattamente nel momento in cui rispondo a Martina…
Sembra una banalità ribadire che gli esami non finiscono mai, ma sciaguratamente è proprio così… in particolare, per una cazzo di coincidenza astrale, il 25 ho la maturità e il 26 ho la pratica della patente… io e Martina ci incontriamo fuori dai cancelli della scuola dopo che entrambi abbiamo detto addio alle materie del liceo. Lei è raggiante, saltellando mi abbraccia e mi bacia sulle guance, “A domani sera da me, allora!”, mi dice. “Contaci, non mancherei per niente al mondo!”, le rispondo custodendo il mio segreto…
L’esaminatore sorteggiato per me dalla Motorizzazione è la famigerata Regina: di nome (perché si chiama così), di fatto (perché è sexy e spietata come una sontuosa dominatrice) e di fama (tramandata con timore da tutti i segati all’esame della patente). Non ho preoccupazioni particolari, ho dimestichezza con le macchine, guido abbastanza scioltamente con il foglio rosa, perché dunque temere di non farcela? Mi presento alle 11 alla scuola guida, siamo un gruppetto di quindici ragazzi in lista per l’esame. Gli istruttori (maschi) sono tutti assiepati in un angolo dell’aula, capisco che là in mezzo c’è Regina… infatti poco dopo emerge facendosi largo… non è alta, ma che sia lei a comandare è chiaro a tutti. Avrà intorno ai quarant’anni, capelli neri bui come l’inferno, un tailleur succinto color cremisi che non nasconde niente delle sue tette carnose, abbronzate, lascive e superbe come quelle di un’ancella demoniaca del sesso… Sfila davanti a noi, poveri esaminandi, con l’incedere imperioso del destino… mi guarda con le sue iridi viola… “Adinolfi! Avanti, lei è il primo”…
Non me la cavo per niente malaccio. “Vediamo che sai farmi, stronza!” mi dico per tenermi su mentre mi piazzo al posto di guida. Sedile, specchietti, accendo il motore, aspetto, “Vada pure!”, freccia a sinistra, parto… Lei mi studia dal retrovisore centrale: sono gli occhi del diavolo, mi viene duro di sasso ingombrandomi… un crocifisso d’oro sta annegando in mezzo alle sue tette… “Giri a destra”, “Poi vedi se ti inculo, puttana!”… voce sua: “Proviamo la partenza in salita”, mente mia: “Ti ravano la sorca con le dita”… “Entri qui!”, mi tenta astutamente con l’inganno. “Non si può, c’è il cartello di divieto!” e in cuor mio: “Più tardi ti incapretto nel baule!”… e via così, senza infamia e senza lode fino a che non ritorniamo dalle parti della scuola guida… chissà se stasera il papà mi presta la Thema, alla peggio prendo la 206 della mamma… mi apparto con Martina nel suo bagno, le sguscio le tette dalle coppe e ci sfrego il cazzo in mezzo mentre lei mi guarda innamorata… ecco l’ultimo semaforo, svolta a destra (facile)… verde… parto con la freccia già inserita… “Attento!” “Di😊 cane!” “Ma lei ha bestemmiato, Adinolfi!” “Mi scusi” “Scenda!”… accosto, spengo, scendo… la puttana col suo passeggino è ancora lì che attraversa col verde, sulle sue cazzo di strisce di merda…
Torno a casa a piedi… intanto nella giungla che ho dentro esplode il napalm, nubi multiple di fuoco che devastano ogni cosa con Jim Morrison che mi fa a pezzi il cuore intonando “This is the end, beautiful friend / This is the end, my only friend”… apro il cancelletto ed entro in casa…
Trovo apparecchiato per il pranzo, ma non ho per niente fame… ieri ho fatto la maturità, è andata anche bene, ma rispetto a stamattina… e a stasera… “Pa’, mi porti a Z*** stasera?”… lui mi guarda alzando gli occhi dal suo piatto, masticando mi fissa per qualche secondo (avrò pur preso da qualcuno, no?)… “Io e la mamma abbiamo il treno alle quattro”… Cazzo, ci mancava solo il week end dei piccioncini a Roma!...
Faccio la pazzia? Prendo la macchina lo stesso?... Passo tre ore di merda intensa, molto molto brutta, poi mi decido e telefono a Martina. Sua madre me la passa, Martina mi saluta, faccio qualche convenevole esitante, mi sforzo di essere simpatico sognando di dissolvermi nell’aria… “Mi sa che non vengo, sai?... “Che cappero dici? E perché non vieni, scusa?”… Ecco, l’ampia gamma delle scuse che mi ero preparato comprendeva ogni cosa, dalla morte della nonna per annegamento alla fuga del gatto su Marte, tutto… fuorché la verità… Ma che cazzo le dico, non è mica scema! Rifletto con la bocca prosciugata sul microfono della cornetta… “Martina…”, “Sì?”… “…NNÒPTNNTE…”. Silenzio.
La morte civile e sociale per un diciottenne consiste esattamente nel non andare alla festa di una bella ragazza per un motivo tipo il mio… ciondolo per casa abbandonandomi al dolore, mi butto sul divano con gli avambracci sugli occhi, resto così… e poi mi viene in mente la cazzata… lo faccio? non lo faccio? ma sì!...
Mi vesto da fighetto per la festa, apro il garage e prendo la bicicletta… pedalo come un ratto che affoga per dieci chilometri… è il 26 luglio… arrivo a casa di Martina messo bene come Rambo torturato dai Vietcong…
La sua casa è tutta illuminata, ci sono auto parcheggiate ovunque sulla strada, sul vialetto… quella è la Panda di Rizzardi, ecco la Fiesta di Santinato… ho la camicia chiazzata come una carta geografica, sono certo che il sellino mi ha lasciato un’impronta bagnata sul culo… giro la bici e ritorno come sono venuto…
Sono tipo le nove di sera, è ancora chiaro ma i lampioni sono accesi e sulla provinciale iniziano a emergere da chissà dove le lucciole… mi guardano, chi lo sa cosa pensano… e una certa voglia malsana e perversa mi punge all’improvviso nello stomaco… Mi fermo in mezzo alla strada frugandomi in tasca… 1.500 lire… proseguo verso casa…
La mia Katia ha terminato una settimana fa (iniziale del cognome estratta a sorte…) e alla faccia dell’amore compartecipe è volata come un missile a Riccione, da dove mi raggiunge una sua bella cartolina datata 23. “Mettiglielo in culo. Ti penso. Katy”, mi scrive. “Prenditelo in culo. Ti penso. L.”, le rispondo onestamente nel mio cuore, ma nell’intimo subisco un’esplosione di dolcezza che ancora ricordo… Quella cartolina con le onde e i fidanzati limonanti nel tramonto di Riccione è qui sul mio tavolo adesso, tra il mouse e la tastiera… E il giorno dopo, in una busta da lettere, mi manda tre sue polaroid avvolte in un foglio a quadretti: “Buonasega!” mi scrive così, tutto attaccato, con tanti bei cazzetti colorati svolazzanti intorno… roba buona, foto degne di Turbo o Le Ore… le ho qui sotto gli occhi che ancora ingolosiscono il mio uccello… ma sentilo lo stronzo come cresce… vuoi uscire, vigliacco? Ti accontento… chiunque sia ad avergliele scattate…
Non è di Katia che parla questa mia Gloriosa Figura di Merda, ma della sua amica Martina…
L’estate del ’96 è bruciante, com’è bello che sia, e non afosa. Un tipo caloroso come me se le ricorda certe cose, soprattutto se il ricordo sensoriale si cementa in esperienze turbolente, materia gorgogliante per lo spirito di un diciottenne ignaro… Lo storico liceo che frequentiamo è nella parte vecchia di Verona. Katia è in classe con me, Martina in un’altra sezione (sperimentale). Katia e Martina si conoscono a pallavolo e diventano di colpo grandi amiche. Incontro Martina per la prima volta il pomeriggio in cui Katia la porta a casa mia per studiare insieme per l’esame.
Martina non è proprio il mio tipo. Io identifico il mio tipo femminile in Katia (un gran bell’osso duro volitivo, pane al pane e vino al vino, attiva socialmente, incazzatissima in favore dei diritti umani e acerrima nemica di ogni discriminazione. Sarà un ottimo medico, già a diciott’anni ha deciso che entrerà nei Medici senza Frontiere. Poi è mora, statuaria, sempre in tuta…). Martina è secca, mingherlina, con lunghissimi capelli castani, mi saluta impacciatissima porgendomi la mano, “piacere, Martina!”, con l’altra stringendosi i libri al reggiseno che le vedo sotto la t-shirt…
La mia casa ha un giardino molto grande. In un angolo c’è una bella pergola di legno coi vasi e i rampicanti, orgoglio di mia mamma. Ci mettiamo lì coi libri. Katia, seduta sul gradino, inizia a slacciarsi le scarpe, si toglie le calze. Martina la guarda, si siede accanto a lei, posa i libri e con grazia incomincia a sfiocchettare i lacci delle sue Superga. Io sono in bermuda e d’estate non indosso mai gli slip… Martina è seduta, io rimango in piedi al suo fianco. Katia si è alzata ed esibendo il suo magnifico culetto da modella va a sedersi al tavolo. Almeno lo penso, perché non lo posso ricordare. “Ma la pianti di guardarle le tette?”, Katia mi rimprovera infatti riscuotendomi da un sogno… spiavo il reggiseno di Martina nello scollo della sua maglietta… Martina mi sorride, andiamo a sederci…
Ci incontriamo quasi ogni pomeriggio. Il fratello di Martina lavora nel paese mio e di Katia, per pranzo torna a casa (nel paese confinante con il nostro, una decina circa di chilometri), prende Martina con sé, la porta da noi e la sera la riaccompagna a casa. Sul tavolo sotto la pergola mia mamma prepara vassoi di analcolici… noi la lasciamo fare, tanto in garage abbiamo una nostra riserva segreta… Come un rito le ragazze, ogni giorno e per prima cosa, si mettono scalze. Il terzo o quarto giorno Katia, ripassando geometria, mostra un’insofferenza al caldo che le fa piegare ambo le braccia sulla schiena, frugare con le mani sotto la maglietta e sganciarsi il reggiseno… con astute mosse femminili si fa scorrere sui gomiti spallina per spallina e rimane a seno nudo oltre il cotone lieve della sua t-shirt. Martina la guarda, io guardo Martina, ritorno a guardare le punte dei capezzoli di Katia che germogliano scolpendosi da dentro sul tessuto. Il mio cazzo s’indurisce come un torpido pitone. Martina flette le sue mani fra le scapole e si libera anche lei del reggiseno. “Dallo a me”, le dice Katia e lo nasconde insieme al suo dentro lo zaino. Io rimango con l’acume di un pangasio a contemplare quelle giovani tette sospese sul petto delle mie amiche. Da quel giorno in poi il rito delle scarpe includerà anche il rito del reggiseno…
Katia dà l’esame, parte per il mare, Martina continua a venire da me per studiare… non si toglie più le scarpe e il reggiseno, ma viene da me… io comincio ad accorgermi che è bellissima, con lei scherzo e mi trovo da Dio, ripassiamo greco e storia ammorbidendo i concetti con acqua tonica e gin…
“Venerdì do una festa a casa mia. Tu ci vieni?”. Il venerdì di cui parla Martina è il 26 luglio del ’96, il giorno dopo l’orale di maturità. Io la guardo nei suoi splendidi occhi d’ambra, un crampo mi attorciglia il cuore, le rispondo: “Certo, vengo con la macchina” accennando con scioltezza al garage in cui sono parcheggiate la Thema di mio padre e la 206 di mia madre. Lei fa un buffo sorrisetto e abbassa gli occhi. Il discorso cade. Questo succede di mercoledì: lo ricordo facilmente perché è il giorno dei funerali e la campana del duomo rintocca esattamente nel momento in cui rispondo a Martina…
Sembra una banalità ribadire che gli esami non finiscono mai, ma sciaguratamente è proprio così… in particolare, per una cazzo di coincidenza astrale, il 25 ho la maturità e il 26 ho la pratica della patente… io e Martina ci incontriamo fuori dai cancelli della scuola dopo che entrambi abbiamo detto addio alle materie del liceo. Lei è raggiante, saltellando mi abbraccia e mi bacia sulle guance, “A domani sera da me, allora!”, mi dice. “Contaci, non mancherei per niente al mondo!”, le rispondo custodendo il mio segreto…
L’esaminatore sorteggiato per me dalla Motorizzazione è la famigerata Regina: di nome (perché si chiama così), di fatto (perché è sexy e spietata come una sontuosa dominatrice) e di fama (tramandata con timore da tutti i segati all’esame della patente). Non ho preoccupazioni particolari, ho dimestichezza con le macchine, guido abbastanza scioltamente con il foglio rosa, perché dunque temere di non farcela? Mi presento alle 11 alla scuola guida, siamo un gruppetto di quindici ragazzi in lista per l’esame. Gli istruttori (maschi) sono tutti assiepati in un angolo dell’aula, capisco che là in mezzo c’è Regina… infatti poco dopo emerge facendosi largo… non è alta, ma che sia lei a comandare è chiaro a tutti. Avrà intorno ai quarant’anni, capelli neri bui come l’inferno, un tailleur succinto color cremisi che non nasconde niente delle sue tette carnose, abbronzate, lascive e superbe come quelle di un’ancella demoniaca del sesso… Sfila davanti a noi, poveri esaminandi, con l’incedere imperioso del destino… mi guarda con le sue iridi viola… “Adinolfi! Avanti, lei è il primo”…
Non me la cavo per niente malaccio. “Vediamo che sai farmi, stronza!” mi dico per tenermi su mentre mi piazzo al posto di guida. Sedile, specchietti, accendo il motore, aspetto, “Vada pure!”, freccia a sinistra, parto… Lei mi studia dal retrovisore centrale: sono gli occhi del diavolo, mi viene duro di sasso ingombrandomi… un crocifisso d’oro sta annegando in mezzo alle sue tette… “Giri a destra”, “Poi vedi se ti inculo, puttana!”… voce sua: “Proviamo la partenza in salita”, mente mia: “Ti ravano la sorca con le dita”… “Entri qui!”, mi tenta astutamente con l’inganno. “Non si può, c’è il cartello di divieto!” e in cuor mio: “Più tardi ti incapretto nel baule!”… e via così, senza infamia e senza lode fino a che non ritorniamo dalle parti della scuola guida… chissà se stasera il papà mi presta la Thema, alla peggio prendo la 206 della mamma… mi apparto con Martina nel suo bagno, le sguscio le tette dalle coppe e ci sfrego il cazzo in mezzo mentre lei mi guarda innamorata… ecco l’ultimo semaforo, svolta a destra (facile)… verde… parto con la freccia già inserita… “Attento!” “Di😊 cane!” “Ma lei ha bestemmiato, Adinolfi!” “Mi scusi” “Scenda!”… accosto, spengo, scendo… la puttana col suo passeggino è ancora lì che attraversa col verde, sulle sue cazzo di strisce di merda…
Torno a casa a piedi… intanto nella giungla che ho dentro esplode il napalm, nubi multiple di fuoco che devastano ogni cosa con Jim Morrison che mi fa a pezzi il cuore intonando “This is the end, beautiful friend / This is the end, my only friend”… apro il cancelletto ed entro in casa…
Trovo apparecchiato per il pranzo, ma non ho per niente fame… ieri ho fatto la maturità, è andata anche bene, ma rispetto a stamattina… e a stasera… “Pa’, mi porti a Z*** stasera?”… lui mi guarda alzando gli occhi dal suo piatto, masticando mi fissa per qualche secondo (avrò pur preso da qualcuno, no?)… “Io e la mamma abbiamo il treno alle quattro”… Cazzo, ci mancava solo il week end dei piccioncini a Roma!...
Faccio la pazzia? Prendo la macchina lo stesso?... Passo tre ore di merda intensa, molto molto brutta, poi mi decido e telefono a Martina. Sua madre me la passa, Martina mi saluta, faccio qualche convenevole esitante, mi sforzo di essere simpatico sognando di dissolvermi nell’aria… “Mi sa che non vengo, sai?... “Che cappero dici? E perché non vieni, scusa?”… Ecco, l’ampia gamma delle scuse che mi ero preparato comprendeva ogni cosa, dalla morte della nonna per annegamento alla fuga del gatto su Marte, tutto… fuorché la verità… Ma che cazzo le dico, non è mica scema! Rifletto con la bocca prosciugata sul microfono della cornetta… “Martina…”, “Sì?”… “…NNÒPTNNTE…”. Silenzio.
La morte civile e sociale per un diciottenne consiste esattamente nel non andare alla festa di una bella ragazza per un motivo tipo il mio… ciondolo per casa abbandonandomi al dolore, mi butto sul divano con gli avambracci sugli occhi, resto così… e poi mi viene in mente la cazzata… lo faccio? non lo faccio? ma sì!...
Mi vesto da fighetto per la festa, apro il garage e prendo la bicicletta… pedalo come un ratto che affoga per dieci chilometri… è il 26 luglio… arrivo a casa di Martina messo bene come Rambo torturato dai Vietcong…
La sua casa è tutta illuminata, ci sono auto parcheggiate ovunque sulla strada, sul vialetto… quella è la Panda di Rizzardi, ecco la Fiesta di Santinato… ho la camicia chiazzata come una carta geografica, sono certo che il sellino mi ha lasciato un’impronta bagnata sul culo… giro la bici e ritorno come sono venuto…
Sono tipo le nove di sera, è ancora chiaro ma i lampioni sono accesi e sulla provinciale iniziano a emergere da chissà dove le lucciole… mi guardano, chi lo sa cosa pensano… e una certa voglia malsana e perversa mi punge all’improvviso nello stomaco… Mi fermo in mezzo alla strada frugandomi in tasca… 1.500 lire… proseguo verso casa…
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Amante mia e di altriracconto sucessivo
Nell'alba incerta
Commenti dei lettori al racconto erotico