Scontro a fuoco
di
lewarcher
genere
pulp
Non sono un granché sentimentale, quindi credo di essere nei guai… Liliana mi guarda trafelata con due occhioni rapaci di ossidiana, mentre sulle tette lucide e sudate le balugina il chiarore della luna. “Mi sa che ho combinato un bel pasticcio” dico sfilando il mio attrezzo dalla sua fica elastica imporporata, che subito mi infama vomitando la mia sborra sul sedile. Mi spremo la cappella fra le dita e riaccompagno il cazzo nella gabbia dentro i jeans. Liliana col piedino mi accarezza la guancia, io mi abbasso sui pedali sotto il volante per raccogliere il suo maglione, mi chino prosternandomi ignaro… e una subdola manina puttanella mi sgattaiola nel solco del sedere… occhio, troietta, a non scherzare col fuoco!… nnnnhhh… fermati, sennò mi trovi il buco… Dhhhio!... appoggio la fronte al volante… aaaahhh...
La Locanda del Bandito è un posticino in cui non porterei neanche mia suocera (ammesso che ne avessi una). Liliana deve avere sentito una gran fame per dirmi di fermarci proprio qui… ma fame di cosa? Non certo delle cotolette surgelate che ci toccherà mangiare in questo cesso… le famose cotolette della nonna, quelle di Non aprite quella porta…
L’uomo (e mi riferisco al maschio) si è evoluto dalla scimmia, ma non tutte le scimmie preistoriche hanno avuto l’occasione di toccare il monolite e direi che gli antenati di questi bei soggetti non l’hanno mai visto nemmeno di striscio. Al muro ci riceve l’immancabile TV con la partita e sotto, sulle seggiole come nei fioretti intorno al capitello, emblematici campioni del genere maschile. Passo oltre con Liliana sottobraccio. Qualcuno gira lo sguardo a pesarle il culetto, poi però misura me e riporta subito gli occhi sul campo da calcio.
Faccio accomodare Liliana al tavolo che sembra il meno peggio, un quadrato da due con tovaglia a cerchietti arancioni. “Potevi lasciarlo in macchina il libro”, commento notando la borsa che Liliana posa sul pavimento. “Mi piace portarlo con me. Me lo regali?”. Prendo il foglio plasticato del menù e comincio a scorrerlo senza speranza. “Ma certo, è già tuo”.
Una corpulenta cameriera tatuata viene a interrogarci senza dire una parola. “Cosa prendi?”. “Bigoli al sugo d’asino”. E brava Lilly! Io invece scelgo la milanese con tante patatine belle unte. “Da bere?”. In certi posti la scelta più sicura sono l’acqua e la birra: lo esprimo ad alta voce guardando Liliana ammirare i capezzoli della cameriera, protesi come due falangi di mignolo attraverso il reggiseno e la casacca. La donna se ne accorge, ma si rivolge a me tirando fuori dalla tasca un dépliant sgualcito che depone sul ripiano: “LA GRANDIOSA ORGIA DEL BANDITO – SOLO IL 22 SETTEMBRE – QUI DA NOI ALLA LOCANDA”. “Ti interessano le tette, ragazzina?”. “Tu le hai grosse come la mia mamma, io invece le ho tanto piccine”. Il donnone fa una smorfia oscena. “Fammi un po’ sentire”. Gira dietro lo schienale di Liliana, le affonda ambo le mani nello scollo del maglione e si mette a palparla come una scassinatrice, nel senso che da come le rotella con le dita sui capezzoli sembra un asso nell’aprire casseforti. Lo stato del mio compare passa rapidamente da dolcetto jelly belly a pietra dura, mentre Lilly docilmente fa le fusa. “Mmmhhhhh… che brava! Ti ha insegnato Franco queste cose?”. Di colpo mi riscuoto, smetto di coccolarmi l’uccello e divento attento e interessato. La cameriera si stacca da Liliana. “Cosa c’entra Franco? Lo conosci?”. “Certo, d’estate lavoravo qui due anni fa”. L’altra fa un passo indietro, insicura. “È in cucina… vuoi che te lo chiami?”. “No, lascia stare. Ma se hai voglia offrigli questo da parte mia”. Liliana tira fuori dalla borsa una delle bottiglie del mio capo, quelle che tengo nel baule della macchina. Non ci capisco più un cazzo… anzi no… comincio a capire proprio tutto! Diosanto, ragazzina, ma da dove sbuchi fuori? La cameriera se ne va in cucina stringendo la bottiglia per il collo. “Adesso non ho più fame, sai?”, mi fa Lilly seria seria come non l’ho mai vista prima d’ora. Uscendo mi volto (eh, l’istinto) e sorprendo la megera che confabula con l’uomo occhi-di-rana che ho schifato stamattina nella foto. Rido. Mi hai proprio fregato, mocciosa!
“Non me li devi più fare, certi scherzi, hai capito?”, la rimprovero quando siamo in macchina, ma con un’ammirazione e un rispetto decisamente nuovi. “Mi ha picchiata e violentata. Lui mi ha…”. Si trattiene, ma completo mentalmente la sua frase, perché non serve che mi spieghi che quel giorno lui l’ha veramente uccisa. Stringo la sua piccola mano nella mia sopra la sua coscia, quindi metto in moto.
Impieghiamo una manciata di minuti per raggiungere la casa di Maddalena. Non so più perché ci sto andando: per me, per Maddalena o per Liliana? Tutto è spento, tranne una luce al piano di sopra: esattamente quella finestra, quella stanza… “Sai cosa ti aspetta, lassù?”. La ragazza annuisce. Quando premo con la nocca sul citofono il metallico ronzio del cicalino echeggia come un sasso tuffato in un pozzo.
Maddalena ci apre scalza e in accappatoio. Ma ciao, mio tesoro!, vorrei dirle, ma non dico, perché il suo sguardo non è rivolto a me, bensì a Liliana. “Ciao, mamma”. Maddalena trema, gli occhi le si fanno gonfi e rossi, si sposta di lato e ci fa entrare.
“Siamo stati alla Locanda del Bandito”. Sono le prime parole che rivolgo alla mia donna dopo più di vent’anni. “A quest’ora Franco sarà morto, ubriacone di merda com’è!”, sibila Liliana deponendo in mezzo al tavolo una seconda bottiglia. Maddalena abbassa gli occhi. “Vuoi che beva anch’io questo veleno?”. “No, questo è per papà, quando ritorna”. Poi la ragazza si alza e placidamente, con la perentorietà del destino, si sfila il maglione, sotto il quale è nuda. Maddalena la osserva avvicinarsi fin quando l’altra si eclissa alle sue spalle appoggiandole il seno ai capelli sulla nuca. “Liliana, cosa fai?”. Mani operose e giovani districano il nodo dell’accappatoio, che sciogliendosi permette alle falde di aprirsi. “No, ti prego…”. “Su! Ora alzati in piedi!”, le intima la figlia con l’impazienza di un’adolescente ferita. La madre si solleva dalla sedia, l’accappatoio cade ammonticchiandosi ai suoi piedi e Liliana lo scaccia lontano. “Avanti, stallone, coraggio! Non era questo che cercavi?”. Maddalena mi scongiura con due occhi rassegnati che nel fondo hanno il dolore di una vita. Esamino il suo viso consumato dagli anni, eppure bellissimo come da ragazzi, considero il dragone attorcigliato sul suo seno che lascia le areole scoperte, scorro giù per il ventre perforato da un buio ombelico, guardo l’inguine arricciato dal pelo castano, scendo lungo le cosce flessuose, incontro le ginocchia, tocco i piedi con lo sguardo e le sue dita contratte nello spasmo della concitazione. Maddalena!… “Non così, Liliana, non può andare in questo modo”. “Ma lui sarà qui fra poco”. Negli occhi neri di Liliana c’è una supplica accorata. Si sgancia con rabbia la cintura, si strattona i jeans a mezza coscia, le sue mutandine le ho qui appallottolate nella tasca, nel mio pugno indeciso e nervoso. “È quello che vogliamo tutti e tre!”. E il fuoco, di cui sono fatto, vortica nella regione del cuore…
I fanali della macchina di Ezechia Malone detto il Porco si spengono in strada davanti all’ingresso. Il lampo che proiettano sui muri della stanza scansiona le pareti come una minaccia di tempesta. Puntellato sulle braccia mando gli ultimi sussulti nella figa di Maddalena. Col rancore di un amante rifiutato mi aggancio ai suoi occhi celesti come due pozzanghere fra l’erba tenebrosa. Le assesto colpi duri, vigorosi e antichi. Mi impossesso del suo ventre palpitante in una tormentosa regressione verso casa. Casa mia, la mia vita dispersa in un arco interminabile di anni che cancello a ogni percossa del mio cazzo nel suo grembo… Le tette mi massaggiano il torace come il seno di una moglie innamorata, i denti negli alveoli sono muriccioli bianchi dentro il vento del respiro. Liliana se la gode masturbandosi nuda, distesa al nostro fianco nel letto, con un vario crepitio della mano nel guazzo della figa, incitando il nostro orgasmo coi suoi rapidi sospiri. Non resisto! Non sono un uomo che mette radici… Scaravento Maddalena a pancia sotto e la sollevo per i fianchi quanto occorre per piantarle bene il cazzo tutto dentro, la martello come un cane disperato mentre lei piano si aggrappa al lenzuolo con la bocca trasognata, la fragola sugosa della lingua sulle labbra, gli occhi nella formaldeide del piacere… lo sperma trabocca dai miei testicoli, le affondo intero il pollice nell’ano, Liliana gridando ci lava spruzzandoci in viso il suo orgasmo bollente e io sborro, di**orco, e riverso nella cupida vagina la crudele nostalgia del mio ritorno… provvisorio, è naturale… adatto al diavolo fottuto che io sono e alla scaltra principessa dei serpenti che sei tu, Maddalena.
Ezechia Malone sbraita alla porta massacrando il campanello: “Puttana! Puttana! Aprimi! Puttana!”. Ormai tutto è compiuto. Bacio Maddalena, bacio anche Liliana nella sua rinnovata carne viva. “State qui, non guardate. Copritevi gli occhi e non guardate in strada per niente al mondo”. Capiscono, si nascondono con il lenzuolo. Scendo nudo per le scale (a cosa servirebbero i vestiti?). Mi imperversa nella mente il ricordo di Irene, mia moglie, la mia pace, nella macchina del Porco in quel giro di tornanti in cui la ruota davanti… e poi lo schianto… la ferita mortale sul mio petto… il risveglio come un demone guardiano ridicolo, un’altra volta un povero fallito. Porco a me che ho una mira eccezionale, che sparando il mio ultimo proiettile prima di precipitare l’ho colpito, Ezechia Malone, e l’ho ucciso. Lui però non si è svegliato come un demone guardiano e la mia Irene, invece… Irene…
Spalanco la porta. Il Porco distorce la faccia da orango, mi sbircia di sbieco e bestemmia… “Tu! Tuuuu!”, mi urla in faccia, “Cosa cazzo ci fai già tu qui dentro? Te la sei già scopata, eeeh??! te la sei già scopata??! Maledetto merdoso di merda, te la sei già scopata??!”. Fa il gesto di aggredirmi, lo ricaccio piazzandogli un pugno tra il naso e i denti. Sono ancora in forma a dispetto degli anni. “Sì”, affermo asciuttamente e la cicatrice a forma di albero che adorna il mio torace si accende, si arroventa come un’irradiante serpentina, diffonde nella tenebra notturna i bagliori ineluttabili di un odio sconfinato. L’atmosfera si deforma nel calore, la densità dell’aria liquefatta e tremolante crea un diaframma di fantasmi intorno a noi.
È una legge ferrea e risaputa che chi prenda parte all’orgasmo di un guardiano e di una strega alla vigilia di un’orgia contadina torna in vita, diocristo. E Liliana vive nuovamente di sopra abbracciata a sua madre. Mentre tu, Porco, che ora cerchi di sfuggirmi rincorrendo la tua ombra nella strada (deserta, per fortuna), morirai del tutto. Tu che finora non-morto sei rimasto sospeso in un limbo, ti illudevi di incastrarmi un’altra volta persuadendo Maddalena a richiamarmi qui: liberami da Onofrio, uccidi mio marito, solo trappole inventate per usarmi. Pensavi di spiarci segandoti? Brutto pezzo di imbecille! Liliana vive al posto tuo. L’universo si accende intorno a te, Ezechia Malone, dal cuore dell’inferno io ti colpisco!
La vampa inestinguibile, che mai ho sperimentato, si sviluppa e si accresce, emana dal mostro di fiamme che sto diventando, si espande incendiando la strada come un’ardente giogaia di fuoco, si propaga in tentacoli di luce incandescente che si irradiano contorti sulle auto e fra i lampioni, mentre io ti tengo dietro, mio antico e maledetto rivale, numerando coi miei passi gli istanti alla tua fine. Tu fuggi, vigliacco, ma invano. Ti raggiungo e quando ti tocco strilli atrocemente come un porco ustionato. Ti avvolgo, tu bruci e ti estingui! Più nulla, non resta più nulla di Ezechia Malone, solo un lamento già dimenticato, un pulviscolo in viaggio nell’aria, un odore malsano nelle mie narici. Polveriera del cielo, splendi per sempre, universo in fiamme…
Le mie donne sono salve, le ritrovo nel letto abbracciate, tremolanti in lacrime ma sorridenti. Sirene lontane si dirigono d’urgenza, io penso, alla Locanda del Bandito. Se è così ci vanno inutilmente, il veleno del mio capo non dà scampo. Anche Liliana pensa la stessa cosa, perché mi guarda con furore appassionato, “Vieni” mi dice e mi attira nel letto. Maddalena bacia me su una spalla e Liliana sulle labbra. Sono esausto, mi rovescio sulla schiena. Maddalena mi si accoscia sulla bocca e Liliana incomincia a succhiarmi l’uccello. Chiudo gli occhi. Finalmente mi sento felice.
La Locanda del Bandito è un posticino in cui non porterei neanche mia suocera (ammesso che ne avessi una). Liliana deve avere sentito una gran fame per dirmi di fermarci proprio qui… ma fame di cosa? Non certo delle cotolette surgelate che ci toccherà mangiare in questo cesso… le famose cotolette della nonna, quelle di Non aprite quella porta…
L’uomo (e mi riferisco al maschio) si è evoluto dalla scimmia, ma non tutte le scimmie preistoriche hanno avuto l’occasione di toccare il monolite e direi che gli antenati di questi bei soggetti non l’hanno mai visto nemmeno di striscio. Al muro ci riceve l’immancabile TV con la partita e sotto, sulle seggiole come nei fioretti intorno al capitello, emblematici campioni del genere maschile. Passo oltre con Liliana sottobraccio. Qualcuno gira lo sguardo a pesarle il culetto, poi però misura me e riporta subito gli occhi sul campo da calcio.
Faccio accomodare Liliana al tavolo che sembra il meno peggio, un quadrato da due con tovaglia a cerchietti arancioni. “Potevi lasciarlo in macchina il libro”, commento notando la borsa che Liliana posa sul pavimento. “Mi piace portarlo con me. Me lo regali?”. Prendo il foglio plasticato del menù e comincio a scorrerlo senza speranza. “Ma certo, è già tuo”.
Una corpulenta cameriera tatuata viene a interrogarci senza dire una parola. “Cosa prendi?”. “Bigoli al sugo d’asino”. E brava Lilly! Io invece scelgo la milanese con tante patatine belle unte. “Da bere?”. In certi posti la scelta più sicura sono l’acqua e la birra: lo esprimo ad alta voce guardando Liliana ammirare i capezzoli della cameriera, protesi come due falangi di mignolo attraverso il reggiseno e la casacca. La donna se ne accorge, ma si rivolge a me tirando fuori dalla tasca un dépliant sgualcito che depone sul ripiano: “LA GRANDIOSA ORGIA DEL BANDITO – SOLO IL 22 SETTEMBRE – QUI DA NOI ALLA LOCANDA”. “Ti interessano le tette, ragazzina?”. “Tu le hai grosse come la mia mamma, io invece le ho tanto piccine”. Il donnone fa una smorfia oscena. “Fammi un po’ sentire”. Gira dietro lo schienale di Liliana, le affonda ambo le mani nello scollo del maglione e si mette a palparla come una scassinatrice, nel senso che da come le rotella con le dita sui capezzoli sembra un asso nell’aprire casseforti. Lo stato del mio compare passa rapidamente da dolcetto jelly belly a pietra dura, mentre Lilly docilmente fa le fusa. “Mmmhhhhh… che brava! Ti ha insegnato Franco queste cose?”. Di colpo mi riscuoto, smetto di coccolarmi l’uccello e divento attento e interessato. La cameriera si stacca da Liliana. “Cosa c’entra Franco? Lo conosci?”. “Certo, d’estate lavoravo qui due anni fa”. L’altra fa un passo indietro, insicura. “È in cucina… vuoi che te lo chiami?”. “No, lascia stare. Ma se hai voglia offrigli questo da parte mia”. Liliana tira fuori dalla borsa una delle bottiglie del mio capo, quelle che tengo nel baule della macchina. Non ci capisco più un cazzo… anzi no… comincio a capire proprio tutto! Diosanto, ragazzina, ma da dove sbuchi fuori? La cameriera se ne va in cucina stringendo la bottiglia per il collo. “Adesso non ho più fame, sai?”, mi fa Lilly seria seria come non l’ho mai vista prima d’ora. Uscendo mi volto (eh, l’istinto) e sorprendo la megera che confabula con l’uomo occhi-di-rana che ho schifato stamattina nella foto. Rido. Mi hai proprio fregato, mocciosa!
“Non me li devi più fare, certi scherzi, hai capito?”, la rimprovero quando siamo in macchina, ma con un’ammirazione e un rispetto decisamente nuovi. “Mi ha picchiata e violentata. Lui mi ha…”. Si trattiene, ma completo mentalmente la sua frase, perché non serve che mi spieghi che quel giorno lui l’ha veramente uccisa. Stringo la sua piccola mano nella mia sopra la sua coscia, quindi metto in moto.
Impieghiamo una manciata di minuti per raggiungere la casa di Maddalena. Non so più perché ci sto andando: per me, per Maddalena o per Liliana? Tutto è spento, tranne una luce al piano di sopra: esattamente quella finestra, quella stanza… “Sai cosa ti aspetta, lassù?”. La ragazza annuisce. Quando premo con la nocca sul citofono il metallico ronzio del cicalino echeggia come un sasso tuffato in un pozzo.
Maddalena ci apre scalza e in accappatoio. Ma ciao, mio tesoro!, vorrei dirle, ma non dico, perché il suo sguardo non è rivolto a me, bensì a Liliana. “Ciao, mamma”. Maddalena trema, gli occhi le si fanno gonfi e rossi, si sposta di lato e ci fa entrare.
“Siamo stati alla Locanda del Bandito”. Sono le prime parole che rivolgo alla mia donna dopo più di vent’anni. “A quest’ora Franco sarà morto, ubriacone di merda com’è!”, sibila Liliana deponendo in mezzo al tavolo una seconda bottiglia. Maddalena abbassa gli occhi. “Vuoi che beva anch’io questo veleno?”. “No, questo è per papà, quando ritorna”. Poi la ragazza si alza e placidamente, con la perentorietà del destino, si sfila il maglione, sotto il quale è nuda. Maddalena la osserva avvicinarsi fin quando l’altra si eclissa alle sue spalle appoggiandole il seno ai capelli sulla nuca. “Liliana, cosa fai?”. Mani operose e giovani districano il nodo dell’accappatoio, che sciogliendosi permette alle falde di aprirsi. “No, ti prego…”. “Su! Ora alzati in piedi!”, le intima la figlia con l’impazienza di un’adolescente ferita. La madre si solleva dalla sedia, l’accappatoio cade ammonticchiandosi ai suoi piedi e Liliana lo scaccia lontano. “Avanti, stallone, coraggio! Non era questo che cercavi?”. Maddalena mi scongiura con due occhi rassegnati che nel fondo hanno il dolore di una vita. Esamino il suo viso consumato dagli anni, eppure bellissimo come da ragazzi, considero il dragone attorcigliato sul suo seno che lascia le areole scoperte, scorro giù per il ventre perforato da un buio ombelico, guardo l’inguine arricciato dal pelo castano, scendo lungo le cosce flessuose, incontro le ginocchia, tocco i piedi con lo sguardo e le sue dita contratte nello spasmo della concitazione. Maddalena!… “Non così, Liliana, non può andare in questo modo”. “Ma lui sarà qui fra poco”. Negli occhi neri di Liliana c’è una supplica accorata. Si sgancia con rabbia la cintura, si strattona i jeans a mezza coscia, le sue mutandine le ho qui appallottolate nella tasca, nel mio pugno indeciso e nervoso. “È quello che vogliamo tutti e tre!”. E il fuoco, di cui sono fatto, vortica nella regione del cuore…
I fanali della macchina di Ezechia Malone detto il Porco si spengono in strada davanti all’ingresso. Il lampo che proiettano sui muri della stanza scansiona le pareti come una minaccia di tempesta. Puntellato sulle braccia mando gli ultimi sussulti nella figa di Maddalena. Col rancore di un amante rifiutato mi aggancio ai suoi occhi celesti come due pozzanghere fra l’erba tenebrosa. Le assesto colpi duri, vigorosi e antichi. Mi impossesso del suo ventre palpitante in una tormentosa regressione verso casa. Casa mia, la mia vita dispersa in un arco interminabile di anni che cancello a ogni percossa del mio cazzo nel suo grembo… Le tette mi massaggiano il torace come il seno di una moglie innamorata, i denti negli alveoli sono muriccioli bianchi dentro il vento del respiro. Liliana se la gode masturbandosi nuda, distesa al nostro fianco nel letto, con un vario crepitio della mano nel guazzo della figa, incitando il nostro orgasmo coi suoi rapidi sospiri. Non resisto! Non sono un uomo che mette radici… Scaravento Maddalena a pancia sotto e la sollevo per i fianchi quanto occorre per piantarle bene il cazzo tutto dentro, la martello come un cane disperato mentre lei piano si aggrappa al lenzuolo con la bocca trasognata, la fragola sugosa della lingua sulle labbra, gli occhi nella formaldeide del piacere… lo sperma trabocca dai miei testicoli, le affondo intero il pollice nell’ano, Liliana gridando ci lava spruzzandoci in viso il suo orgasmo bollente e io sborro, di**orco, e riverso nella cupida vagina la crudele nostalgia del mio ritorno… provvisorio, è naturale… adatto al diavolo fottuto che io sono e alla scaltra principessa dei serpenti che sei tu, Maddalena.
Ezechia Malone sbraita alla porta massacrando il campanello: “Puttana! Puttana! Aprimi! Puttana!”. Ormai tutto è compiuto. Bacio Maddalena, bacio anche Liliana nella sua rinnovata carne viva. “State qui, non guardate. Copritevi gli occhi e non guardate in strada per niente al mondo”. Capiscono, si nascondono con il lenzuolo. Scendo nudo per le scale (a cosa servirebbero i vestiti?). Mi imperversa nella mente il ricordo di Irene, mia moglie, la mia pace, nella macchina del Porco in quel giro di tornanti in cui la ruota davanti… e poi lo schianto… la ferita mortale sul mio petto… il risveglio come un demone guardiano ridicolo, un’altra volta un povero fallito. Porco a me che ho una mira eccezionale, che sparando il mio ultimo proiettile prima di precipitare l’ho colpito, Ezechia Malone, e l’ho ucciso. Lui però non si è svegliato come un demone guardiano e la mia Irene, invece… Irene…
Spalanco la porta. Il Porco distorce la faccia da orango, mi sbircia di sbieco e bestemmia… “Tu! Tuuuu!”, mi urla in faccia, “Cosa cazzo ci fai già tu qui dentro? Te la sei già scopata, eeeh??! te la sei già scopata??! Maledetto merdoso di merda, te la sei già scopata??!”. Fa il gesto di aggredirmi, lo ricaccio piazzandogli un pugno tra il naso e i denti. Sono ancora in forma a dispetto degli anni. “Sì”, affermo asciuttamente e la cicatrice a forma di albero che adorna il mio torace si accende, si arroventa come un’irradiante serpentina, diffonde nella tenebra notturna i bagliori ineluttabili di un odio sconfinato. L’atmosfera si deforma nel calore, la densità dell’aria liquefatta e tremolante crea un diaframma di fantasmi intorno a noi.
È una legge ferrea e risaputa che chi prenda parte all’orgasmo di un guardiano e di una strega alla vigilia di un’orgia contadina torna in vita, diocristo. E Liliana vive nuovamente di sopra abbracciata a sua madre. Mentre tu, Porco, che ora cerchi di sfuggirmi rincorrendo la tua ombra nella strada (deserta, per fortuna), morirai del tutto. Tu che finora non-morto sei rimasto sospeso in un limbo, ti illudevi di incastrarmi un’altra volta persuadendo Maddalena a richiamarmi qui: liberami da Onofrio, uccidi mio marito, solo trappole inventate per usarmi. Pensavi di spiarci segandoti? Brutto pezzo di imbecille! Liliana vive al posto tuo. L’universo si accende intorno a te, Ezechia Malone, dal cuore dell’inferno io ti colpisco!
La vampa inestinguibile, che mai ho sperimentato, si sviluppa e si accresce, emana dal mostro di fiamme che sto diventando, si espande incendiando la strada come un’ardente giogaia di fuoco, si propaga in tentacoli di luce incandescente che si irradiano contorti sulle auto e fra i lampioni, mentre io ti tengo dietro, mio antico e maledetto rivale, numerando coi miei passi gli istanti alla tua fine. Tu fuggi, vigliacco, ma invano. Ti raggiungo e quando ti tocco strilli atrocemente come un porco ustionato. Ti avvolgo, tu bruci e ti estingui! Più nulla, non resta più nulla di Ezechia Malone, solo un lamento già dimenticato, un pulviscolo in viaggio nell’aria, un odore malsano nelle mie narici. Polveriera del cielo, splendi per sempre, universo in fiamme…
Le mie donne sono salve, le ritrovo nel letto abbracciate, tremolanti in lacrime ma sorridenti. Sirene lontane si dirigono d’urgenza, io penso, alla Locanda del Bandito. Se è così ci vanno inutilmente, il veleno del mio capo non dà scampo. Anche Liliana pensa la stessa cosa, perché mi guarda con furore appassionato, “Vieni” mi dice e mi attira nel letto. Maddalena bacia me su una spalla e Liliana sulle labbra. Sono esausto, mi rovescio sulla schiena. Maddalena mi si accoscia sulla bocca e Liliana incomincia a succhiarmi l’uccello. Chiudo gli occhi. Finalmente mi sento felice.
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