La collega di lavoro (parte 2)

di
genere
saffico

Da quel martedì notte dove ho realizzato che Milena mi piace da impazzire, sul lavoro i miei occhi si posano su di lei come uno scalpello si posa sul marmo di una statua. Vorrei poter affondare le mie dita nella sua morbida pelle. E’ un desiderio fisso, da diventarci matta.
Mi sono innamorata di una donna che sicuramente non sarà mai mia.
Se sarò fortunata, riuscirò a tenermi tutto dentro, soffocando il mio sentimento in un mare di disperazione, come se dovessi annegarlo sul nascere. Reprimendo quel sentimento, ucciderò anche una parte di me. So che farà male.
Se non sarò fortunata, prima o poi glielo farò sapere. Magari non resisterò alla tentazione e cercherò di carpirle un bacio, o una carezza. Potrei subire delle ripercussioni pesanti dal punto di vista legale e professionale, ma non ci penso.
Quando ci si ammala di amore, di desiderio, di passione, si va completamente fuori di testa. Ed io ero completamente andata, anche se apparentemente conservavo il mio tipico aplomb da impiegata modello.
Comunque vada, ne uscirò a pezzi.

Finalmente arriva giovedì.
Passiamo una giornata di lavoro intensa e frenetica, tra scadenze, email a cui rispondere, telefonate e problemi informatici di varia natura.
Nel tardo pomeriggio ci salutiamo, dandoci appuntamento per le 21.
Torno a casa contenta, felice di spezzare, almeno per una sera, la noiosa routine della mia vita, fatta di doccia, cena, televisione e letto. Sono euforica di passare un po’ di tempo con lei, di vivere un po’ della sua intimità dopo tanti mesi di solo rapporto professionale.

Puntualmente alle 21 suono al citofono, mi apre dicendomi di salire al quinto piano.
Arrivo alla sua porta, che si spalanca al mio arrivo: “Benvenuta!” mi accoglie con un sorriso.
E’ bellissima. Il tailleur grigio di ordinanza lascia spazio ad un bel vestito bianco con un motivo floreale blu, che fa risaltare la sua bellezza e la sua femminilità.
Resto senza fiato “Sei splendida Mile!” le dico, balbettando come una adolescente, allungando poi una bottiglia: “Ti ho portato questa, spero che ti piaccia il vino!”
“Grazie Na, non dovevi. Entra, accomodati!”
Mi accomodo nella sua casa, e la trovo accogliente e particolare; noto che tutti i mobili e gli oggetti di arredamento sono sulla tonalità del bianco.

Ci sediamo a tavola, dove è imbandito una specie di aperitivo, con pizzette, salatini e l’immancabile spritz.
Iniziamo a parlare, mi trovo molto a mio agio ed in sintonia con lei e durante la cena ci lasciamo andare a raccontare della nostra vita. Parliamo delle nostre rispettive famiglie, della nostra infanzia, di giochi e di film, di musica, dell’università.

Ovviamente non potevano mancare le domande sulle relazioni sentimentali.
“Tu non sei fidanzata, vero?” mi domanda.
Io rido: “No, certo che no … è ormai anni che sono da sola. Da quando sono a Milano …”
Annuisce: “Capisco …” poi azzarda, un po’ maliziosamente: “Ad Enrico piaci e si vede …”
Rido ancora, scuotendo la testa: “Enrico è fidanzato e l’anno prossimo si sposerà. E poi io preferisco non mischiare il lavoro con la mia vita sentimentale. Con i colleghi di lavoro non si fotte, questa è la regola!” aggiungo.
La guardo, vedo che abbassa il capo. Adesso tocca a me chiedere: “Tu sei fidanzata?”
Alza lo sguardo, incrociando i miei occhi: “No!” mi dice scuotendo la testa: “Ho avuto solo un paio di storielle nella mia vita, durate pochissimo.”
Rido ancora, forse l’alcool mi sta dando alla testa, azzardo la battuta: “Ma come, una bella ragazza come te … sono certa che sei piena di pretendenti … pensavo infatti di trovare casa tua seguendo semplicemente la fila dei corteggiatori e spasimanti!”
Sorride con un certo imbarazzo, glissando sull’argomento. “Tu hai mai avuto delle storie?”
Annuisco. “Si, ho avuto tre grandi amori nella mia vita. Con l’ultimo ho anche convissuto qualche anno, prima di confessarmi una sera che aveva messo incinta una sua collega di lavoro e che il nostro rapporto era finito!” Il ricordo di quel momento ancora mi turba, bevo un sorso di vino.
“Che bastardo!” commenta lei.
Annuisco ancora: “Già!”
Non so se dirle o meno di Paola. Alla fine glielo dico.
“Prima di trovare lavoro a Milano ho lavorato a Genova. Li ho conosciuto una ragazza …”
Gli occhi di Milena adesso sono sgranati, sembrano due grossi lapislazzuli azzurri fissi su di me. Resta in silenzio. Mi inquieta un po’.
“Abbiamo avuto una storia finché sono rimasta li. Siamo state bene insieme, è stato bello!” commento.
La pelle del volto di Milena diventa rossa come il vino che sto bevendo. Adesso non mi guarda più.
“Va a finire che è omofoba, magari è una ultra-cristiana che vorrebbe bruciarmi.” penso tra me e me, cercando di fare finta di nulla.
“Vado un attimo in bagno.” Me lo indica, sento che il suo tono di voce è strano.
Vado in bagno e mi do una rinfrescata al viso.
Sono confusa, penso a mille cose: “Cazzo Nadia che cretina che sei. Magari domani tutti nell’ufficio sapranno che te la facevi con una a Genova. Ci manca solo che tutti sappiano che sono lesbica!” mi dico a bassa voce davanti allo specchio, mentre l’acqua scorre nel lavabo: “Cretina, cretina, cretina!” mi do dei leggeri colpi sulla testa. Sento che ho nausea. Ho voglia di essere a casa e di mettermi a letto. Ho voglia di vomitare e di piangere.

Ritorno nella sala da pranzo, e quello che vedo mi fa gelare il sangue uscire gli occhi dalle orbite.
Lei non è più seduta a tavola, ma è seduta sul divano.
Solo che è completamente nuda.
Mi guarda attraverso i suoi occhiali dalla montatura nera che fanno da cornice ai suoi occhi di ghiaccio. Le sue braccia cingono le sue gambe ripiegate a livello del suo petto, a coprirle i seni.
“Milena …” riesco a balbettare. Mi scoppia il cuore, ho la seria paura di svenire e di crollare per terra. Che cazzo sta succedendo?
“Nadia …” mi risponde, con un filo di voce.

Mi avvicino a lei piano piano. Sembro un automa. Non riesco a staccarle gli occhi da dosso. Sono pazza? Si, forse il mio cervello è fulminato, sto vedendo qualcosa che non esiste. Non sono sicura di quello che sto vedendo davanti a me.
Mi accuccio davanti al divano dove lei è seduta. Lei stacca le braccia dalle sue gambe e con le mani accarezza il mio viso. “Milena …” le dico, quando sento il contatto delle sue mani calde sulla mia pelle. Possibile che stia sognando? Possibile che tutto quello che sto provando non sia reale? Eppure io le sue mani sulla pelle le sento … le sento nitidamente.
“Nadia …” mi risponde. Mi accomodo lentamente accanto a lei. L’unica cosa che sento è il mio cuore che pulsa forte, ogni battito si ripercuote sulle tempie e mi si annebbia il cervello.
Lei ora si siede a gambe incrociate. Vedo la sua collana al collo che brilla, un cuore argentato con delle piccole pietre incastonate che sbrilluccicano alla luce del lampadario, immersa in un paio di tette meravigliose. Abbasso lo sguardo e vedo la sua figa completamente depilata. La guardo di nuovo negli occhi, mi sorride.
Allunga le braccia ad afferrarmi, e lentamente mi tira verso di se. Mi trovo distesa sopra di lei.
Sento il calore del suo corpo che trapassa i miei vestiti e si trasferisce su di me. Ci guardiamo negli occhi, intensamente e lungamente. Ci accarezziamo.
Vedo che le lacrime scendono dai suoi occhi azzurri, andando a bagnare le sue guance, i suoi capelli e la fodera del divano: “Na, mi piacciono le ragazze … e sono tremendamente innamorata di te.” confessa. “Mi piaci da quando ci siamo viste la prima volta, da quando ho stretto la tua mano mi sono sentita viva. Come mi sono sentita viva in ogni minuto che ho trascorso con te in ufficio.”
Per qualche lunghissimo secondo resta in silenzio, esitante. Non so cosa dire. Poi lei mi chiede, titubante: “Io ti piaccio?”
Le sorrido, e per la prima volta la bacio. Non c’è miglior risposta.

Al prossimo racconto per la nostra prima volta! :)
scritto il
2021-11-14
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